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1. Occhi verdi

 Il rumore assordante della musica house mi pervase e il mio cuore sembrò martellare a quel ritmo sfrenato, non appena varcai la soglia della discoteca.

Era affollata e calda. Mi sentivo soffocare nonostante avessi un vestitino che a stento mi copriva il sedere. Non era mio, me lo aveva prestato la mia amica Victoria e mi sentivo molto a disagio. Cercavo continuamente di tirarlo giù e di stare in equilibrio sui tacchi vertiginosi che avevo ai piedi.

La discoteca non era proprio il mio ambiente, non mi piaceva la musica e ballavo pochissimo. Mi piacevano invece i luoghi aperti, le piazze, i parchi e i locali dove suonavano musica dal vivo. Vicky al contrario, adorava la discoteca. Eravamo amiche da un paio di anni, da quando ci eravamo conosciute alla facoltà di lettere che entrambe frequentavamo. Per questo genere di cose avevamo un compromesso: un sabato in discoteca e uno in un pub. Così entrambe non dovevamo rinunciare a stare insieme e a fare ciò che ci piaceva.

Quel sabato era dedicato alla discoteca.

‹‹Dafne, andiamo a prendere da bere.›› Vicky mi prese per mano e insieme a lei cercai di farmi strada tra la calca di ragazzi addossati alla pista. Al centro, sul palco, ballerini e ballerine in maschera stavano inscenando uno spettacolo. Intrattenevano i ragazzi in attesa dell'arrivo di un famoso dj.

Presi il mio solito drink: un gin lemon. Ci sistemammo in un punto meno affollato, dal quale avevamo una buona visuale dell'intera discoteca. Mi guardai attorno, più per abitudine che per interesse, e alla fine decisi di concentrare la mia attenzione sui bellissimi ballerini a torso nudo sul palco.

Vicky mi tirò una gomitata per attirare la mia attenzione. ‹‹Dafne, c'è quel ragazzo laggiù che ti sta mangiando con gli occhi››, mi sorrise entusiasta.

Di solito quando uscivamo era lei quella che veniva sempre guardata e avvicinata. Non che io fossi brutta, ero magra e alta, e carina, ma ero timida e riservata. Diffidente. Quei pochi che si avvicinavano scappavano a gambe levate dopo due o tre minuti di conversazione. Cosa potevo farci? Tendevo a parlare molto poco.

Guardai nella direzione che mi aveva indicato e incrociai lo sguardo di un bel ragazzo: i capelli non troppo corti incorniciavano un viso ben definito, labbra carnose e un bel taglio degli occhi. Lui mi sorrise e io ricambiai, ma la mia attenzione fu catturata dal ragazzo che gli sedeva accanto.

Era il ragazzo più bello che avessi mai visto. Non il tipo di bellezza da copertina, il tipo di bellezza rude e mascolina che avrebbe fatto perdere la testa a qualsiasi donna. Il suo sguardo scivolava indifferente tra la gente, senza soffermarsi mai su niente in particolare. Sembrava assorto nei suoi pensieri e vagamente attento agli amici che gli si avvicinavano per salutarlo.

‹‹Hai visto quanto è bello il ragazzo vicino al tuo tipo?›› Vicky mi riscosse.

Il mio tipo?

‹‹Non è il mio tipo!›› dissi scontrosa.

‹‹Senti Dafne, hai ventuno anni, quando pensi di iniziare a divertirti un po' e a lasciarti andare? Devi smetterla di essere così rigida.››

Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. Quante volte avevamo avuto quella conversazione... Victoria sapeva bene quanto fosse difficile per me ma non perdeva mai occasione per dirmi che avrei dovuto seguire di più il suo esempio. La vita va vissuta appieno, diceva sempre.

‹‹Oh guarda, sembra che quei due stiano venendo qui!››

Ed in effetti i due stavano venendo proprio verso di noi. Mi incantai a guardare il ragazzo bellissimo. Era enorme, forse alto uno e novanta. I muscoli dell'addome risaltavano sotto la maglietta attillata grigio scuro e fui attraversata da un brivido, che si trasformò subito in una vampata di calore quando i suoi occhi si posarono su di me.

Erano di un verde scuro e intenso, dello stesso colore dell'acqua del mare.

Il ragazzo carino si avvicinò a me e si abbassò verso il mio orecchio per farsi sentire.

‹‹Sei molto bella›› mi disse.

Sorrisi, in segno di ringraziamento.

‹‹Come ti chiami? Io sono Francesco.››

‹‹Dafne›› risposi. ‹‹E lei è la mia amica Vicky›› mi girai verso Victoria, che era intenta a squadrare l'amico di Francesco.

Lui si era appoggiato al bancone e guardava verso la pista. Annoiato, forse. Per nulla interessato a noi.

‹‹E il tuo amico, invece?›› chiese subito Vicky.

‹‹Lui è Jader.››

‹‹Ciao Jader, io sono Vicky››, la lunga chioma bionda le ondeggiò sulle spalle nude quando si spostò al fianco di Jader.

Lui la guardò per un istante. ‹‹Ciao›› rispose, poi si girò a guardare altrove.

Lei però non si lasciò scoraggiare dall'atteggiamento di Jader, cominciò a fare delle domande a entrambi, rivolgendosi spesso a lui con la speranza di scucirgli qualche informazione in più.

Dopo un po' di chiacchiere scoprimmo che i due gestivano una palestra nel quartiere dove viveva Vicky e che avevano entrambi ventisette anni.

Jader parlava poco. Mi sarebbe piaciuto incrociare di nuovo il suo sguardo. Mi scoprii a desiderare con tutta me stessa i suoi occhi di nuovo su di me.

Mentre Francesco mi chiedeva cosa facessi nella vita, sentii Vicky chiedere a Jader:

‹‹Come mai sei così misterioso?››

Lo fissai. La mia amica non era l'unica ad essere incuriosita da lui.

Jader sorrise mentre prendeva il bicchiere in mano, un sorriso disarmante, che nascondeva una punta di amarezza. Poi, finalmente, mi guardò. Pochi secondi, ma bastarono a scombussolarmi lo stomaco.

‹‹Non amo molto parlare di me.››

‹‹Ok. Beh... allora balliamo?››

‹‹Perché non balli con Francesco?››

Vicky perse un po' del suo solito sorriso e si girò verso Francesco.

‹‹Sì, sì, balliamo! Dafne, tu vieni?››

‹‹Magari tra un po'››, dissi alzando il bicchiere vuoto. ‹‹Vado a prendere da bere.››.

‹‹Ti aspetto in pista.››

Francesco e Vicky si unirono alla folla che ballava e io guardai in direzione di Jader, ma lui era già sparito. Scorsi tra la gente le sue ampie spalle in direzione dei bagni.

Sospirai. Ora non mi rimaneva che unirmi a Vicky e Francesco. Decisi però che avrei mandato giù un altro po' di gin. Mi misi in fila alla cassa e di tanto in tanto sbirciavo tra la gente per cercare di individuare Jader. Ma niente. Sembrava sparito nel nulla. C'era qualcosa di affascinante in quel ragazzo. E non ero stata colpita solo dalla sua bellezza dirompente. I suoi occhi mi erano entrati dentro, vi avevo visto il tormento che cercava di nascondere.

Finalmente, dopo un quarto d'ora arrivò il mio turno.

‹‹Un gin lemon›› dissi alla ragazza.

‹‹Sono sette euro.››

Infilai la mano nella borsetta in cerca della banconota. Dietro di me qualcuno si avvicinò.

‹‹Offro io.›› sentii dire.

Mi girai accigliata, pronta a rifiutare, ma... le parole rimasero bloccate in gola. Jader mi sorrise, ordinò la sua consumazione e pagò. Lo ringraziai e ci spostammo verso il bancone.

‹‹Come mai non balli?›› mi chiese mentre aspettavamo i nostri drink.

‹‹Non amo molto la discoteca.››

‹‹Siamo in due.››

Dio, era veramente bello. Non volevo fare la figura della stupida, ma non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso e avevo il cervello in tilt.

‹‹Sei di qui?›› chiesi. Stranamente, mi sentivo in imbarazzo a starmene in silenzio. Avevo bisogno di fare conversazione.

‹‹Sì. Anche tu?››

‹‹Anche io.››

‹‹Sei una studentessa, giusto? Cosa studi?››

‹‹Lettere.››

Lo vidi sorridere e guardarmi con più interesse.

‹‹Anche io ho frequentato la facoltà di lettere per un periodo.››

‹‹Davvero?››, chiesi stupita. ‹‹E poi? Come sei finito a fare il personal trainer?››

‹‹Mi piace lo sport. Ho preferito seguire questa passione.››

Mi guardava negli occhi mentre parlavamo, sorridendo un poco.

Era come se tutta quella gente e la musica assordante fossero state risucchiate via. C'eravamo solo io e Jader, i nostri occhi, il suo sorriso, la mia timidezza e l'elettricità che riempiva l'aria tutt'intorno a noi.

Poi lo vidi infilare una mano nella tasca dei jeans ed estrarre un cellulare. Lesse un messaggio e scrisse una rapida risposta, mi guardò e per un momento pensai che fosse dispiaciuto per qualcosa, poi la sua espressione tornò seria e buttò giù tutto d'un fiato il contenuto del suo bicchiere.

‹‹Devo andare›› disse. ‹‹Ciao Dafne.››

Non ebbi il tempo nemmeno di dirgli "ciao". Mi lasciò lì, sola, a chiedermi se mai l'avessi rivisto. 

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