11
Non avevo mai pensato e neanche minimamente immaginato che il liceo fosse cosi duro. Di solito questi cinque anni dovrebbero essere i migliori della nostra vita, ma a quanto pare, per la sottoscritta non è cosi.
Toc toc.
Sentivo questo rumore ogni due secondi e pensai che fosse la mia testa a farli, a causa della bella bevuta che mi ero fatta.
Toc toc.
Mi forzai ad aprire un occhio, e mi resi conto che mi ero addormentata per terra con la testa contro la porta.
Mi alzai in piedi barcollando e aprii la porta della mia camera. Con mia grande sorpresa c'era Taylor alla porta.
Senza che gli dicessi nulla, si sedette sul letto e fece cenno di sedermi di fianco a lui.
Probabilmente, voleva parlare del mio stato d'animo di quel giorno.
Mi sedetti accanto a lui aspettando che iniziasse il suo discorso.
"È venuto un tuo amico, prima." disse.
"Ti cercava e ha detto che quando ti saresti svegliata dovevamo avvisarlo perché voleva parlarti" continuò.
"Cosa è successo?" domandò curioso e allo stesso tempo implorante.
"Nella mia nuova scuola sono successe un po' di cose" risposi.
"Alcune belle" pensai all'inizio di tutto ciò: quando Dylan mi aveva chiesto una sigaretta.
"E altre brutte" conclusi e invece in quel momento pensai a tutto ciò che era successo quel giorno.
"Le hai dette allo psicologo?" chiese ancora.
Annuii, mentendo.
"Bene. Sono contento che tu abbia qualcuno con cui parlare, ma ti voglio chiedere solo una cosa..." disse non concludendo la frase per aspettare il mio consenso.
Annuii.
"Quel ragazzo, ti sta ferendo?" domandò.
Scossi subito la testa: Dylan non mi avrebbe mai fatto del male, né fisicamente, né emotivamente, però...
"No, ma ci sono stati alcuni... Episodi che... Non... Non mi hanno resa... Contenta" ammisi.
"Cosa è successo?" mi supplicò.
"Tutti pensano che io sia... Muta." abbassai lo sguardo sulle mie unghie smaltate di nero.
Vidi le sue mani stringersi a pugno, fino a far diventare le nocche bianche.
"Chi? Chi l'ha detto?" domandò curioso.
Scossi la testa cercando di soffocare un singhiozzo che mi era salito in gola.
"Non devi preoccuparti... Non... Non ha più importanza adesso" sospirai.
"Sono il tuo secondo padre adottivo che tu abbia avuto e ti voglio un mondo di bene e mi preoccupo se non è tutto okay nella tua vita. Non voglio che tu soffra di più per merito di un tuo compagno - o quel che sia - di scuola che neanche conosci." ribatté.
"Mi dispiace così tanto, bambina mia. Non volevo che tu soffrissi tanto. Voglio che tu sorrida sempre e che sia felice." mi sorrise tristemente.
"Ti prometto che un giorno, troveremo la tua vera famiglia" mise una mano sul cuore come per fare un giuramento.
"Prima o poi, morirai" disse mr. Brown girandomi attorno.
Un singhiozzo mi uscì dalle labbra prima che io potessi impedirlo.
"Che bisogno c'è di respirare ancora?" domandò con fare provocatorio.
"M-mi dispiace, morire" sussurrai tirando su con il naso.
"Mmm... E perché mai?" bisbigliò vicino al mio orecchio per poi leccarmelo.
Feci un respiro pesante: "non voglio morire, perché voglio sapere cosa si prova ad essere innamorati. Ad affezionarsi a una persona o altro" mi asciugai una lacrima traditrice con la manica della felpa grigia che indossavo.
Lui rise, come se fosse la cosa più divertente del mondo. "E cosi credi che amerai qualcuno nel futuro? E se non fosse cosi? E se fosse solo un modo per usarti? Magari per spogliarti, toccarti o altre cose. Tu che ne sai?" sbottò spazientito.
"Amare, non significa toccare. Significa lottare, soffrire e piangere per poi rialzarsi. A volte non è cosi semplice, a volte ci si può far male. Amare è come un pezzo di vetro che va verso il tuo cuore: a volte può ferire, a volte può aggiustare." singhiozzai sempre più forte.
"E se ora ti uccidessi? Il tuo futuro amore cosa direbbe?" chiese facendo rigirare nelle sue grandi e possenti mani il coltello che aveva preso poco prima dalla cucina.
Il briciolo di coraggio che mi era rimasto in corpo, mi fece reagire: "ti direbbe proprio che fai schifo, che sei una persona schifosa e stramaledetta" sputai acida.
Mi diede uno schiaffo cosi forte che lo schiocco fece eco nella stanza buia. "Brutta ragazzina, tu non sai di cosa io sia capace. Hai capito bene?" urlò.
Annuii intimorita da quello che avrebbe fatto da li a poco.
"Ora guardami negli occhi, e dimmi brutta ragazzina. Che cosa ci facevi da sola al parco?" domandò con fare provocatorio.
"E-ero andata a fare u-un giro. Non volevo non rispettare le tue regole,
p-padrone." ammisi.
Si voltò di scatto e disse: "ripetilo".
"Padrone" dissi io intimorita.
"Bene, voglio che d'ora in poi tu mi chiamerai così. Hai capito bene?" chiese alzando un po' la voce.
"Si" risposi mentre lui usciva dalla stanza lasciandomi da sola.
"Vorrei tanto che... io fossi... adesso con la mia... famiglia" annunciai.
"Lo so, tesoro. Quando sarai pronta ci chiederai tutti i documenti, cosi saprai tutto della tua famiglia" mi diede un bacio sulla fronte.
"Bene, adesso fatti a fare una doccia, che puzzi di fumo. Per caso qualche tuo amico fuma?" chiese.
"N-no" balbettai.
Sapevo che non era una bella cosa fumare, ma mi veniva spontaneo e non potevo farne a meno.
Ogni volta che accendevo una dannata sigaretta, mi sentivo viva, come se nelle vene non passasse il sangue, ma una droga.
Tay, chiuse la porta della mia camera e io presi tutto ciò che mi serviva per fare la doccia.
Ma riflettei prima.
Se io prendessi la mia valigia e inizio a scappare? Se io vado via? Cosi scappo dalla realtà, pensai.
Senza che me ne accorgessi, mi ritrovai in mano la valigia rosa tra le mani e misi dentro tutto ciò che mi serviva.
Presi anche il mio libro d'infanzia.
Presi tutto.
E presi il mio passato, per non dimenticarlo.
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