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L'inizio-Cap.8:

Ho fatto una cazzata! Merda, merda, merda!!!

Mi ripeto misurando la mia camera in lungo e in largo.

Non sono Francesca! Non sono capace di giocarmela!

Francesca ci sa fare con i ragazzi, lei sa tenerli a bada e gestirli, ma io no. La testa mi scoppia. Ho preso un'aspirina a stomaco vuoto dall'armadietto del bagno. Ho la gola prosciugata come avessi dormito sotto il sole nel deserto e la nausea, solo respirando l'olezzo di Cuba Libre rimasto sul top di Lorena che indossavo l'altra sera.

-Se oggi servo anche un solo superalcolico al bancone, credo che sboccherò-rifletto tra me e me, pensando al ragazzo dei bagni pubblici e al suo Negrone delle venti.

Sono nevrotica e questo non aiuta.

-Non dovevo "imboscarmi" con Nunzio! Anzi non dovevo bere così tanto, senza aver mangiato! Ora, quando ci rivedremo, non penserà che a quello, a rifarlo e ad andare oltre. Ho bruciato tutte le tappe come una qualsiasi idiota e mi getterà come una caramella, appena mi avrà scartata -

So di non avere altre doti ai suoi occhi.

Mi crede grassa, rimugino ripensando alla conversazione origliata al bowling. Mi fermo al centro della stanza; i piedi nudi e freddi sul granito del pavimento. Mi passo le mani sui capelli e le incrocio dietro la nuca. Stringo i gomiti racchiudendo tutta la testa. Mi vergogno di me stessa.

Come ho potuto essere tanto stupida? Chissà cosa penserà di me ora? Continuo a domandarmi.

Non riesco a soffermarmi su quel momento esatto; l'idea mi disturba, mi imbarazza. Il primo ricordo che riaffiora della serata appena trascorsa è la sua dolcezza nel chiedermi se mi fosse piaciuto. Quella è la parte che salverei. Non so cosa darei per uscire con un ragazzo che penda dalle mie labbra. Avere qualcuno che mi ami così tanto, che la sua felicità dipenda da ciò che provo io.

Abbasso le braccia. Mi gratto nervosamente un polso, poi mi sfioro le labbra con le dita.

Sì, sarebbe proprio bello, sussurro tra me e me, ripensando a quei suoi occhi indagatori dentro i miei.

Mi butto supina sul letto, riprendendo il mio posto e a occhi chiusi rivivo quel ricordo. Cerco di ricreare le sensazioni provate. Cerco di ricordare il tocco vellutato delle dita di Nunzio, mentre giocava con il rossetto sulle mie labbra.

Ritorno con il pensiero a quelle vibrazioni. Colmo i vuoti della memoria con la fantasia. Le dita a sfiorare leggere la bocca aperta e l'altra mano ad accarezzare a lato un seno sotto il pigiama.

Sorrido ripensando a quel contatto lieve e poi deciso. Inizio a muovermi lentamente da sola, sul mio letto, dove la vergogna non mi fa compagnia. Mi ascolto, mentre la mente sogna, immagina, sfugge al controllo della ragione. Un calore lieve risale, mentre i miei muscoli pelvici vibrano. Rabbrividisco di piacere, mentre timidamente mi sfioro con entrambe le mani sotto le coperte, ma non è la stessa cosa. Mi fermo accaldata e insoddisfatta.

Com'è difficile essere donna, divisa tra la moralità, la paura di essere usata e quel desiderio che la natura ci ha donato.

A cosa serve il libero arbitrio quando sei giudicata dalla società per ogni minima cosa?

Ho dentro una gran confusione di sensazioni e dilemmi troppo grandi da risolvere da sola, meglio discuterne al tavolo di una pizzeria con qualche buona amica e generazioni di aneddoti.

-Andiamo a fare colazione- dichiaro ad alta voce per spronarmi ad alzarmi.

***

Ho il turno continuato fino alle venti ma ho controllato il cellulare in pausa. Nunzio mi ha scritto, mi ha pensata:

"Come va oggi? Com'è il tempo lì? Qui piove a dirotto"

Tre frasi banali, niente di che, niente che faccia riferimento a quanto accaduto. Leggo e rileggo in cerca di significati intrinsechi, ma non rispondo.

Ricontrollerò più tardi, non so bene come rivolgermi a lui. Il sesso incasina tutto quanto.

***

Sono passate le venti, sto aspettando il pullman alla fermata e diluvia così forte che ho già le scarpe ricolme d'acqua e i calzini fradici. Nunzio non mi ha più scritto.

-Avrà visto il mio accesso, forse si è offeso perché non gli ho risposto-immagino visualizzando la spunta di whats up e constatando rassegnata, di essermi scordata di togliere l'opzione che mi rende visibile.

Decido di controllare se ha postato qualcosa in Instagram, infatti trovo un breve video in cui sta con degli amici. Ci sono dei ragazzi che scherzano e si spintonano sotto la tettoia esterna di un locale. Nunzio sta fumando con un bicchiere in mano e la sola felpa con il cappuccio alzato. D'istinto cerco il fratello. Sono curiosa, ma non lo trovo.

Allora scorro qualche post stando attenta a non farmi sfuggire dei like a casaccio e lo trovo. C'è una fotografia in cui sono al mare. Sembrerebbe recente, forse della scorsa estate. Sono entrambi molto abbronzati. Si può notare una vaga somiglianza, ma pur non essendo tinti, i capelli del fratello sono più chiari.

Nunzio è molto più figo, lo devo ammettere, con il taglio allungato degli occhi e le ciglia folte e scure che paiono esaltate da un rimmel perenne. Il mio sguardo cade sui suoi occhi prima che sui suoi pettorali. Il cielo celeste limpido e il giallo oro della spiaggia impreziosiscono l'immagine come in un quadro impressionista. Nunzio ha i capelli lunghi appena sotto il mento, spettinati e mossi. Pare quasi un Dio greco. Accarezzo l'immagine con il pollice e mi sfugge una pioggia di cuoricini involontariamente.

-Cacchio! -

Chiudo tutto subito, ma in pochi minuti mi arriva la notifica di risposta.

"Ciao splendida, ti godi il panorama? "

-Devo rispondere qualcosa pubblicamente. Passerò per sfigata-ma non ho scelta, ormai.

"Sì, vista la pioggia, sognavo il mare" rispondo secca.

Nunzio cambia canale di comunicazione e riprende scrivendomi in privato:

"Bello vero? La foto è del mare di Agrigento, la spiaggia è bellissima e quasi tutta libera."

Non so come continuare la conversazione, ma lui mi viene in aiuto.

"Stai rientrando a casa?"

"Sì, sono quasi arrivata. Tu?" rispondo.

"Sono fuori con gli amici per vedere la partita del Milan al bar. Siamo usciti presto per occupare il tavolo migliore. Aperitivo e pizzata in compagnia."

Mi racconta la sua domenica, mi piace questa cosa di poter seguire i suoi passi e con il pensiero, entrare nella sua quotidianità.

Poi continua a scrivere:

"Stasera a letto presto, domani è lunedì. È già finita la settimana" commenta.

Mi sento un po' estranea a questa organizzazione della vita io che lavoro sfasata rispetto alla massa, aspettando la pausa del mercoledì e di un'altra mezza giornata distribuita in turni variabili settimana per settimana.

"Sono arrivata" gli scrivo "non ti risponderò più perché devo scendere, piove e ho l'ombrello".

Mi manda una faccina triste con le lacrime e una mano con il pollice alzato, comunicazione semplice, diretta ed efficace.

***

Ho cenato sola in cucina. Mi butto sul divano accanto a mio padre, che sta seguendo un film d'azione, mentre mia madre è impegnata a stendere in cameretta i panni appena tolti dalla lavatrice.

Lui non ama interruzioni, resta concentrato nel suo mondo. Sullo schermo si alternano falsi eroi armati e fanciulle disinibite a fare da cornice.

Ecco ci siamo: arriva la prima scena hot e fingo di non imbarazzarmi, anche se in realtà sono rigida e nervosa. Papà lascia correre le immagini ignorandomi.

Lo sbircio, sprofondato nell'angolo opposto al mio con il telecomando in mano. Era un bel ragazzo nelle foto da giovane. Capelli mossi e tratti mediterranei con una fossetta centrale sul mento alla Rock Hudson. Chissà cosa ha trovato in mia madre a cui quella ridicola acconciatura corta e rigonfia del tempo, valorizzava troppo il mento sporgente.

L'idea più orrida in assoluto è immaginare come mio padre e mia madre siano stati giovani, innamorati e indotti dalla passione a concepirmi. Ho sperato fino all'ultimo giorno della mia innocenza intellettiva, di scoprire che i genitori diventassero tali per un intervento divino diretto.

Credo fortemente che neanche mio padre gradirebbe immaginarmi con un ragazzo. Abbasso gli occhi. La mia mente ritorna alla sera precedente facendomi scoccare un sorrisetto malizioso a fior di labbra.

Chissà se i miei pensano che io sia ancora vergine. Quel discorso è stato sempre assolutamente tabù. Mia madre non mi ha preparata alla vita. Quando le chiedevo informazioni, si limitava a dirmi come avessi avuto un posto esclusivo nel suo ventre, ma mai come ci fossi entrata. Tutto quello che ho saputo, l'ho scoperto dalle amiche e dalla somma delle risposte rubate qua e là. Crescendo sono passata a fonti strabordanti di informazioni: film e poi video sul cellulare, cercando di bypassare con le amiche i parental control delle reti domestiche, certi di essere in questo, più esperti della generazione stessa che aveva cercato di imporceli.

E poi ... le esperienze dirette sul campo.

Avevo sedici anni quando a scuola Angelo di quinta F, iniziò ad adocchiarmi. Studiava informatica e ci scambiavamo l'aula di laboratorio al primo piano, due volte a settimana.

Io ero dimagrita durante l'estate e indossavo jeans e magliette più aderenti. Lui mi esaminava dalla testa ai piedi senza pudore con i suoi occhi color camomilla.

Non era un tipo in vista, ragazzo comune, una settantina di chili distribuiti in un metro e ottanta di corpo scarno e piegato dalla cartella. Ciuffo corto portato a sinistra, che riusciva a coprire solo qualche brufolo di quelli sparsi qua e là sulla fronte, ma una fila di denti bianchissimi perfettamente allineati tra le labbra sottili al centro di una importante mascella squadrata.

Mi piaceva come scambiassimo sguardi indecenti senza vergogna. Poi un giorno si fece avanti, mi chiese se nella pausa, prima dei laboratori del pomeriggio, mi andasse di pranzare con lui.

Ora so che avrei dovuto informarmi meglio sulla dinamica della cosa, ma in quel periodo mi sentivo così sicura di me che volevo vagliare le mie nuove possibilità con i ragazzi.

Così accettai. Uscimmo da scuola con la cartella, il sorriso sulle labbra e camminando ci scambiammo il numero di cellulare. Lui vestiva dei jeans piuttosto corti arrotolati al fondo che lo facevano sembrare più in carne e una semplice maglietta blu sfumata. I suoi occhi camomilla risplendevano ai riflessi del sole. Io mi ero messa dei pantaloni stretch con le righe chiare laterali dalla vita alle caviglie, per sottolineare la linea estetica che avevo raggiunto e una maglietta non troppo lunga, per evidenziare i miei seni ancora abbastanza importanti da fare la differenza con le altre ragazze.

Lo segui sino a ritrovarmi all'interno di un cortile, rendendomi conto solo all'ultimo che non c'erano locali in vista sotto i portici.

«Dove andiamo a mangiare?» gli chiesi stupita.

«A casa mia», rispose tranquillo: «i miei non rientreranno. Sono al lavoro».

Non sapevo se la cosa fosse un bene o un male. Ero incastrata in una situazione che non avevo immaginato. L'ansia mi salì a mille, ma ormai ero lì, non volevo sembrare una ragazzina immatura. In realtà ero spaventata, tutti gli avvertimenti di mia madre risuonavano come un concerto di campane a festa nelle mie orecchie. Vagliavo ogni vibrazione nell'aria con i sensi tesi, come una pantera in pericolo.

Lui invece fu molto tranquillo, cucinò un'ottima pasta alla bolognese e mi fece sentire a mio agio per tutto il tempo. Parlammo dei professori e dei suoi prossimi esami.

Non cercò scuse per portarmi in camera sua, così abbassai le difese e quello fu il mio errore.

Ci sedemmo sul divano a rilassarci un po', sapendo benissimo cosa sarebbe accaduto. Non passò molto tempo che sentii le sue labbra sulle mie. Chiusi gli occhi impacciata, cercando di farmi spazio tra i suoi denti prominenti, per scoprire il giusto adattamento a quella bocca nuova da baciare e contemporaneamente mi ritrovai a difendermi dalle sue mani troppo lunghe e dalle sue braccia troppo strette attorno al mio corpo.

Aveva una fretta assurda, come se la passione andasse simulata e non assecondata. Almeno questo era quello che sentivo io.

Dopo i primi minuti di lotta, mi alzai in piedi e mi risistemai la maglietta che aveva cercato di violare senza il mio permesso.

«Che c'è?»

«Niente, voglio tornare adesso. Facciamo tardi!»

Effettivamente la corsa del tempo mi salvò. Scendemmo in cortile in silenzio. Ci scambiammo poche parole essenziali, ma a differenza di quanto avessi pensato in quel momento, la cosa non finì lì: furono infinitamente più numerose le parole che scambiò a scuola con i suoi compagni sfigati.

Ero stata a casa sua: era una prova sufficiente della mia colpevolezza. Non ebbi mai diritto di appello. Io ero una ragazzina in preda a una tempesta ormonale tipica dell'età, perdutamente attratta dal fascino seduttivo di uno studente dell'ultimo anno. Niente di più stereotipato e quindi automaticamente vero.

Il giovane Angelo sorridente si era rivelato un diavolo chiacchierone e fantasioso, che si dava arie con contenuti sconosciuti, forse anche a lui.

Quanto avrei voluto essere meno timida per poter raccontare quanto fosse imbranato già come baciatore, ma la voce di una donna è meno ascoltata del vanto di un uomo.

Questo contribuì a elevare la sua notorietà nell'ultimo anno, mentre io desideravo rovinargliela tornando a indossare taglie abbondanti e cercando di scomparire dentro una grassa armatura di inferiorità confortante.

Il suo contatto mai usato sul mio cellulare diventò da "Angelo sorridente" a "Stronzo che non fa ridere".

Ora con Nunzio temevo di aver fatto lo stesso errore e di non poterlo verificare non conoscendo il suo giro di amici, ma forse proprio questo dimostrava che un po' di pubblicità in più non fosse il suo scopo. Inoltre, per i suoi amici non ero una gran conquista, io ero quella un po' grossa...

Improvvisamente mi ritornò alla mente quella sua risposta scherzosa alla mia domanda diretta:

"Gli ho detto che volevo farmi una ragazza."

-Com'è che funzionano i maschi? Come si può farne innamorare uno? - mi chiesi e i dubbi tornarono a minare la mia serenità e a pesarmi sul cuore, mentre mi vestivo per affrontare un'altra giornata.

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