L'inizio: Cap. 17
La primavera è ormai arrivata e non solo perché lo dice il calendario, lo si intuisce dagli alberi lungo i camminamenti delle mura, che con i loro fiori rosa e bianchi imbrattano i toni ormai foschi del tramonto. Sembrano nuvolette pennellate nel cielo sopra il profilo nero della città bassa, macchiettata da caotici puntini luminosi.
Il programma di questo sabato sera prevede che rientri a casa dopo il turno di lavoro solo per cambiarmi, così almeno ha deciso Nunzio. Non ho voluto deluderlo e ci sto provando. Mamma mi ha seguita con la bocca aperta, bisbigliando parole incomprensibili sotto i dieci decibel. Quel suo borbottio è la cosa che più mi irrita. Per anni, ho sperato che quel suono crescesse e prima o poi uscisse fuori un "No" o almeno un "Io penso che...". Per anni ho implorato, affidandomi ai suoi occhi, che prendesse una posizione. L'ho pure imitata, interpretando i suoi labiali, ma le mie orecchie sono rimaste vuote e ho dovuto difendermi da sola, dal bisogno di potere asfissiante di mio padre.
Anche stasera non dice nulla, si limita a farmi pesare le mie scelte e lo fa in silenzio perché lui, di là sul divano, non si accorga che sto raccogliendo le stoviglie pulite lasciate sul tavolo per me. Non credo gli interessi se resto o meno a cenare da sola in cucina, è solo che teme la reazione di mio padre ai cambi di programma. Si cheta quando entro in bagno per farmi la doccia: più tempo rimarrò in casa, meno lui si lamenterà per il mio "essere sempre fuori", il che in realtà si riferisce più al lavoro che alle mie due o tre uscite settimanali.
-Come se ci fosse stata la cena pronta in tavola! – sbotto chiusa in bagno. -Comunque il sabato è la serata dei toast in autonomia, tanto vale mangiare fuori...-mi ripeto, per convincermi.
Mi faccio una doccia bella calda, capelli compresi.
-Li asciugherò al volo, tutt'al più resteranno umidi-
Voglio eliminare gli odori e i sudori della giornata e sbarazzarmi degli umori neri dell'ultima mezz'ora, che mi restano sulla pelle come cicatrici pruriginose.
Mi guardo allo specchio appannato e cerco il tasto che accende anche la luce dell'armadietto. Mi sono scordata che da quando papà ha cambiato la lampada più di un anno fa, funziona semplicemente tirando una cordicella grigia.
Il solito brufolo sotto il mento ha già deciso di fare capolino. Sembra una tara di famiglia, a mia sorella ne spunta sempre uno uguale quando si avvicinano quei giorni del mese.
-Pazienza! Abbonderò di correttore sperando che non si asciughi lasciandomi quell'odioso aspetto da deserto arido.
Il mio sguardo cala in basso, lungo il corpo. Mi copro i seni con le braccia, non mi piace vedere le mie areole così grandi sopra le mammelle pesanti: le rendono volgari. Le modelle hanno dei seni ben proporzionati e con i capezzoli piccoli e perfettamente pigmentati. Una volta ho letto un articolo in cui si diceva che li truccavano per i servizi fotografici, ma certamente la dimensione è reale, quella non la puoi cambiare.
Però non mi dispiace l'aspetto soffice e rigonfio che esce fuori dalle mie braccia intrecciate. A Nunzio piace il mio seno anche se non è quello sodo e piccolo che si vede nelle pubblicità dello yoghurt.
-Ma cosa mi metto stasera? -
Non c'è Lorena. Chissà perché a casa sua trovo sempre qualcosa nella mia taglia. Sospetto che faccia degli acquisti ad hoc per me pur di scaricare il sostegno mensile garantitole dal padre fedifrago e benestante.
Non mi piace fare shopping. Cerco sempre di comprarmi il minimo necessario. Il problema non è che mi manchino i soldi, soprattutto ora che ho un ingresso economico tutto mio, ma è che non mi identifico con la ragazza che vedo nello specchio del camerino. Insomma, tutte quelle cose che mi piacciono sulle altre, non mi piacciono su di me.
-Posso sgusciare nella camera dei miei, tanto non se ne accorgeranno, intenti come sono a seguire il varietà del sabato sera! -
Mia madre tiene un'intera anta dell'armadio dedicata a vestiti che hanno attraversato un'epoca di storia. Stanno in fila per cerimonia: dal santo battesimo del primo figlio al matrimonio dell'ultimo nipote. Ci puoi pure giocare con la taglia: dalla quaranta alla cinquantadue.
Rubo una sottoveste di raso dal cassetto proibito, quello del corredo matrimoniale, che comprende anche le taglie da futura madre. Ci sono pure un paio di calze autoreggenti, che afferro lesta.
Corro in camera a nascondermi. Mi infilo la sottoveste candida e le calze con il merletto che spunta appena. Adoro quella moda retrò e mi piace pensare che molte cose gliele abbia regalate la nonna. Custodire un segreto intimo, mi fa sentire seducente e al tempo stesso "al sicuro": posso decidere io se sfoderare o meno le mie "armi", senza essere esposta a troppi giudizi.
Un sorrisino affiora malizioso sulle mie labbra. Un brivido irruente mi trasporta all'ultima serata trascorsa con Nunzio. Se chiudo gli occhi mi ritorna alla mente il calore e il suono dei suoi ansimi. Arrossisco ricordando le nostre intime effusioni. Quell'emozione ancora vivida conserva intatta la memoria del dolore e del piacere provati, e ora risale turbandomi dall'interno del corpo. Sono confusa tra il desiderio di ricercarla nuovamente e il timore di essere inadeguata nel farlo.
Torno prepotentemente a concentrarmi sul presente. Improvvisamente mi ricordo di avere intravisto sul fondo dell'armadio una minigonna nera, finita là da qualche mese, che non ho ancora restituito a Lorena: indosserò quella, andrà benissimo con il vecchio maglioncino a rombi di mia sorella. Mi ricontrollo allo specchio intero del corridoio. Posso incrociare gli occhi con la mia immagine riflessa senza abbassarli e oso anche sorriderle: c'è un ragazzo bellissimo che aspetta me da più di mezz'ora fuori casa.
«Sono pronta. Esco» annuncio ai miei già con la mano sulla maniglia dell'ingresso.
Mio padre tossisce dalla sala perché la voce risulti pulita e tuonante: «Mi raccomando l'orario!».
Non si preoccupa di chiedermi con chi esco, credo che dia per scontate le solite frequentazioni.
Solo mia madre si sporge oltre il velluto del poggiatesta, per osservarmi attraverso l'uscio aperto. Lo fa per abitudine. La sua trasmissione preferita è Chi l'ha visto e lì quando uno sparisce, è indispensabile ricordare come era vestito. Appena varco lo soglia, mi faccio un piccolo segno della croce sul petto, non si sa mai...
***
Nunzio è impegnato al cellulare. Alza la mano aperta e mi fa segno di attendere mentre prendo posto sul sedile accanto. Appena conclusa la conversazione mi sorride. La sua bocca si schiude e i lati salgono su, facendogli gonfiare le gote come a un bambino. Non posso impedirmi di imitarlo.
Si avvicina al mio viso e mi fissa intensamente, mentre le nostre fronti si sfiorano. I suoi capelli mi fanno il solletico. La mano morbida risale la mia guancia. Il pollice mi sfiora le labbra proprio lì dove il suo sguardo cade. Sento la salivazione aumentare, deglutisco. Ho improvvisamente caldo. Nunzio si avvicina e raccoglie tutte quelle sensazioni in un bacio che mi ricorda il sapore del latte al miele, l'unica cosa che mi conforta la sera prima di dormire quando sono stanca.
Il cuore mi batte forte mentre mi avvinghio a lui, noncurante di tutte quelle voci interiori che per anni mi hanno parlato solo di due fronti nemici: gli uomini da una parte e le donne dall'altra.
-Questo bacio, è una resa- vorrei urlare- la battaglia è finita. La guerra era una menzogna. L'amore è la soluzione a tutto.
Nunzio si ritrae con un leggero schiocco. Mi sorridono pure i suoi occhi : due smeraldi luccicanti tra le ciglia lunghe e scure. Si passa la lingua sulle labbra:
«Ha un buon sapore questo lucidalabbra.»
«Appiccica...» rispondo imbarazzata: è la prima volta che ne metto uno sopra il rossetto fin troppo rosso.
«Ho detto ai ragazzi che li avremmo raggiunti.»
Mi coglie impreparata. Credevo saremmo usciti da soli. Nascondo tra le onde sulla fronte la mia delusione. Pensavo mi desiderasse intensamente, che non avesse pensato ad altro, proprio come avevo fatto io.
«Va bene» roteo gli occhi e replico meccanicamente.
«Se ti va...»
Nunzio mi fissa in silenzio per un attimo. Io arrossisco, mio malgrado:
«Certo!» mi affretto a rispondere un poco stridula.
Poi chiudo la bocca e guardo in basso impegnandomi a sistemare la borsa tra i piedi.
Partiamo. Vorrei tanto chiedergli se ci sarà Stefano: non ho voglia di incrociarlo dopo che gli ha raccontato tutto di noi, ma non oso farlo. Quel pensiero lievita nella mia testa. Inizio a giocare con le maniche del maglioncino deformandole.
Nunzio mi rivolge un paio di domande banali sul mio lavoro a cui rispondo a monosillabi. Sono sicura di non riuscire a celare il mio nervosismo, ma lui pare sorridente e disinteressato.
Giunti al punto d'incontro, preferisco restare in auto, adducendo come scusa il freddo e i capelli che non ho asciugato a dovere. Nunzio dopo aver raggiunto gli amici e scambiato due chiacchere ritorna da me e apre la portiera dal mio lato. Si inginocchia per essere alla mia altezza. Un braccio è piegato mentre l'altro è allungato nella mia direzione con il palmo all'insù:
«Vieni, manca ancora qualcuno. Intanto ti presento alle persone nuove».
Appoggio la mia mano sulla sua così grande, liscia e morbida. Scendo e avanzo con i miei Dottor Martins slacciati per scelta. Mentre ci avviciniamo, i suoni striduli delle voci femminili aggrediscono i miei timpani. Alcune ragazze non sono nuove, me le ricordo tutte tirate a lucido nel cortile polveroso, alla festa in cascina. Vicino a loro, di spalle, intravedo Stefano poi Saverio e altri volti conosciuti. Nunzio mi comprime la mano, come se volesse assicurarsi che gli resti accanto.
Il capannello di persone si apre al nostro arrivo. Intravedo un ghigno sul volto di Stefano, ma prima che apra bocca Nunzio mi introduce, rivolgendosi alla donna bruna più vicina:
«Roberta, Sara, la mia ragazza».
Roberta scatta sull'attenti solerte più di un soldato e sgrana gli occhi, poi solleva il braccio freddo e rigido come il tubo di metallo di un'impalcatura e mi sfiora la mano per ritrarla subito dopo, manco avesse accarezzato una biscia.
Piego le labbra in un sorriso che si gela subito, mentre la scena si ripete, finché la cosa non fa più clamore e la mia mano ha imparato a riconosce a pelle le persone compatibili.
Stefano ha perso il suo sorriso idiota e mi guarda sempre con il naso puntato in alto , ma a distanza. Quando ci giriamo per tornare all'automobile, mi accorgo di stritolare letteralmente la mano di Nunzio.
- Scusa- biascico liberandola; la mia è sudata, la sua rossa vivida.
Chiudo la portiera. Un calore benefico si diffonde nel mio corpo. Improvvisamente ho tanta voglia di ridere e non riesco a non tenere il tempo della musica con i piedi. Incrocio le braccia strette, strette sul petto, calo la testa e mordicchio le labbra con i denti per non canticchiare. Due profonde fossette fanno capolino sulle mie gote, mentre spio Nunzio impegnato alla guida.
Mi sento una bambina la notte di Natale: reggo il pacco desiderato, adorante.
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