|Capitolo XII•|
I giorni per i due giovani avevano ripreso a scorrere con lentezza sfiancate mentre tentavano di comprendere come comportarsi, incapaci di comprendere i loro stessi sentimenti e pensieri.
Tentavano di comportarsi come se avessero la certezza che tutto si sarebbe risolto perfettamente, che quel senso di disagio costante e gelo perseverante sarebbero presto svaniti quando in realtà stavano solamente tentando di autonvincere loro stessi.
Erano giovani ed inesperti, incapaci di comprendere la reale portata di quel colorito sentimento che scuoteva i loro anime e sconvolgeva i loro pensieri impedendo loro di riflettere su quanto accadeva.
In questo fluire snervante di giorni lenti che però scorrevano fin troppo velocemente, Midoriya e Bakugou si ritrovarono alla metà di febbraio con un disagio costante fra loro, con le sensazioni di incompletezza e sicurezza che stavano lentamente riempiendo il loro tempo rendendo tutto insopportabile, nonostante tenetassero di apparire forti.
Loro però non lo erano certamente, anzi, la realtà era completamente differente infatti, i due, erano forse più fragili del cristallo, prenda dell'amore che li aveva stravolti ed avrebbe continuato ad influenzarli, cambiandoli.
Il loro sbaglio in questo periodo di tempo fu solo uno: passarono tutto il tempo dalla fine di gennaio alla metà di febbraio a pensare a loro stessi, a quanto provassero e come approcciarsi a quella persona con la quale condividevano un legame che non sarebbe mai stato spezzato, neppure dalla morte stessa.
Ma come detto questo fu un errore perché in questo modo, con il loro pensiero razionale, si erano allontanati dalla verità dei loro sentimenti che i loro cuori ed i loro corpi tentavano di trasmettere disperatamente ai loro proprietari.
Tuttavia, come avete già sentito più volte, quei due erano legati da un legame naturale incomprensibile per chiunque non lo provi ed il destino, che li aveva uniti, agì affinché quella situazione di stallo venisse risolta, ma perché questo succedesse fu costretto ad operare velocemente e con forte impatto, in modo duro a dire la verità, non che ne abbia avuto piacere.
Tutto successe fin troppo velocemente quel giorno, quel diciassette febbraio, un evento terribile ma comunque risolutivo che segnò i cuori dei nostri giovani ed ancora inesperti protagonisti.
La scuola venne attaccata da Shigaraki Tomura e i suoi, fu terribile, stranamente quel colpo parve studiato e molto caddero, studenti professori, non fece differenza per loro e nel trambusto generale alcuni degli studenti d'oro, le giovani speranze in un futuro a rischio vennero strappate via dalle braccia delle loro famiglie ed i loro cari.
Fra loro c'era Bakugou Katsuki.
Il biondo, tutto meno che debole e passivo a quel tipo di situazione, aveva pensato più volte di usare la sua unicità e far saltare in aria quel branco di criminali che già una volta lo avevano rapito, chiedendo se ci trovassero gusto, ma non aveva potuto.
Lui era molto forte ma gli altri con cui era stato imprigionato non sembravano esserlo, come se non bastasse erano tutti rannicchiati, pallidi in volto come fantasmi e tremavano come foglie secche attaccate incessantemente da un violento vento.
I ragazzi si chiedevano perché fosse loro toccata quella sorte, all'udirli Katsuki fece schioccare la lingua sul suo palato. Non poteva credere che persone del genere frequentassero U.A., come potevano anche solamente sperare di diventare degli heros se non riuscivano a pensare lucidamente e si lasciavano prendere tanto facilmente dallo sconforto? Semplicemente non potevano e forse fu meglio per loro fare quell'esperienza che li allontanasse da quella scelta di vita che a loro non si adattava affatto.
E menter lui era costretto a starsene immobile, in silenzio aspettando che la situazione fosse cambiata Midoriya si riprendeva da un forte colpo alla testa che gli aveva fatto perdere i sensi durante l'attacco.
Il ragazzo dalla chioma smeralda si svegliò circondato dai suoi compagni di classe che avevano dipinte sui loro volti espressioni di tristezza e preoccupazione, non ebbe bisogno di chiederlo che subito si rese conto quale poteva essere l'unico motivo per il quale non vedeva accanto a sè il suo amato.
Senza dire una parola si mise sulle sue gambe, non diede ascolto a nessuno di coloro che lo amavano e che avevano tentato di fermarlo, non prestò attenzione neppure alla voce rotta di sua madre che lo pregava di restare a riposare e di non buttarsi nella tana del lupo.
Ma lo sguardo allucinato, completamente stravolto e trasudante d'ira che mostrò ai presenti, il respiro pesante come lo sbuffo convulso di un drago furioso e la muscolatura continuamente tesa, nel tentativo di breve durata di conservare la sua calma furono abbastanza per far tacere chiunque.
La paura, la più vera e terrificante aveva fatto tremare il suo cuore nel suo petto, le sue gambe non stavano ferme sotto il loro peso, sembravano sul punto di crollare abbandonandolo ma non poteva permetterselo, doveva salvarlo, anche se avesse rischiato di scoprire che non era in salute.
Avrebbe fatto di tutto per lui, anche gettare via la sua vita se fosse stato necessario e quello che teneva non era certamente quello che sarebbe potuto accadere una volta entrato nella tana di quei bastardi che avevano osato portarglielo via, ma temeva che gli avessero fatto del male.
Dopo l'accaduto, dopo quell'attacco inaspettato alla U.A. le strade della città erano vuote, come se non vi fossero cittadini in quel luogo e lui camminava, circondato dal vento gelido che lo accompagnava quasi temesse che quei passi lenti e pesanti avessero potuto nuocergli.
Midoriya procedeva lentamente con le mani nelle tasche, il capo chino sull'asfalto scuro che si stava oscurando a chiazze a causa delle piccole gocce di pioggia che avevano cominciato a scivolare giù dal cielo.
Sentiva il petto stretto in una morsa dolorosa, era scosso nelle profondità del suo animo tanto da non essere capace si pensare o anche solo respirare normalmente e tremava, non per il freddo e non per la paura di un combattimento ma dalla paura insopportabile del pensiero che aleggiava nella sua mente, il pensiero che forse non avrebbe potuto più stringerlo fra le sue braccia, che forse non avrebbe potuto baciarlo ancora e che non avrebbe potuto dimostrargli quanto realmente era importante per lui.
A quel pensiero terrificante le lacrime cominciarono ad accarezzare il suo volto puntellare di dolci lentiggini, più veloci della pioggia che stava cadendo dal cielo, senza pensarci cominciò a correre singhiozzando, così veloce che neppure la pioggia riusciva a sfiorarlo anche se non aveva idea di dove andare.
Non poteva restare fermo, doveva fare qualcosa e sentiva che se avesse seguito il suo istinto lo avrebbe potuto trovare il suo amato mentre il cuore gli si spaccava nel petto e mentre pensava che voleva parlargli, che voleva toccarlo, che voleva salvarlo, proteggerlo e amarlo con ogni piccola parte del suo animo e di farglielo comprendere.
Di fargli comprendere quanto fosse senza speranza senza di lui e di quanto fosse incapace di qualunque cosa.
Si ritrovò in questo modo, con il suo animo e la sua mente che urlavano, il cuore che sanguinava ed il corpo che fremeva, davanti ad un vecchio edificio abbandonato di periferia.
Le pareti erano fatiscenti, il tetto era crollato verso l'interno, l'entrata era bloccata da un vecchio nastro della polizia che dichiarava quel luogo pericoloso ed inagibile.
Non aveva nessun motivo per credere che all'interno vi avrebbe trovato chi cercava ma lo sentiva ed era sufficiente.
Era pronto ad uccidere se si fosse rivelato necessario, non avrebbe mai pensato che un pensiero del genere avrebbe mai varcato la sua mente, gentile come era sempre stato, ma questo è quanto realmente lo amava.
Bakugou era stato separato dagli altri, lo avevano portato in una stanza fatiscente e polversa, l'aria era pesante e difficile da respirare e come se non bastasse, anche se quella poteva essere una buona occasione per lui, non poteva liberarsi perché avevano preso delle precauzioni contro la sua unicità con dei guanti che gli impedivano di utilizzare la sua sudorazione.
《Oh, non pensare troppo a come liberarti, sei forte e ti useremo come esempio per tutti gli altri, vedranno le cose terribili che accadono a chi si mette contro di noi》disse Dobi con un sorriso di scherno che a Katsuki non piacque affatto mentre Toga entrava nella stanza.
L'entrata della bionda fece fermare la mano dell'uomo, con il fuoco blu che vi rispondeva a qualche centimetro del suo volto, giusto in tempo pensó il biondo, mentre una goccia di sudore scivolava lungo la sua tempia destra.
《Che vuoi?》chiese l'uomo ma ella lo ignoró camminando spedita verso il prigioniero e controlló il suo collo notando i segni del morso di Midoriya sulla pelle ed insietreggió per qualche ragione.
《Ha un legame, proprio come avevano detto quei ragazzi, forse dunque anche il resto è vero....》fece un ulteriore passo indietro con un falso sorriso mentre cominciava a sudare freddo sotto lo sguardo confuso degli altri due presenti in quella stanza.
《C-chi ti ha morso?》chiese irrequieta 《Midoriya》rispose il ragazzo accogliato.
Non capiva cosa diavolo stesse passando per la mente di quella ragazza e qualsiasi cosa fosse sembrava spaventarla.
Con il senno di poi, se Katsuki ci avesse riflettuto più a fondo avrebbe certamente capito cosa poteva aver spaventato Toga a tal punto sapendo che aveva parlato con quei ragazzi della sua scuola, solo che in quel momento la sua mente non era abbastanza lucida per poterlo fare.
《È dunque vero che Midoriya è superiore a qualsiasi altro Alfa?》il ragazzo annuì in risposta.
Nessuno ebbe il tempo di elaborare le informazioni che delle urla rimbombarono per tutta la struttura, sembravano provenire dal piano superiore e ne ebbe la conferma quando il soffitto andò in pezzi in un punto rivelando la figura sanguinante, priva di conoscenza di un villain che Bakugou aveva già visto ma del quale non riusciva a ricordare il nome.
Si trattava dell'uomo con la maschera.
Subito dopo scesa da quel buco creato dall'impatto Izuku, che dava la spalle al biondo, lasciando che gli altri due tremassero dalla paura al solo contatto visivo.
Ci mise davvero poco a sconfiggerli ed immobilizzarli, fu spietato e non risparmió loro in alcun modo del dolore, anzi parve fare di tutto per arrecare loro la maggior quantità possibile e solo dopo, si voltò verso il biondo.
Lo slegó con mani tremanti e lo strinse a sè, liberato dalla tensione, tremante come un bambino spaventato mentre chiamava il suo nome con voce disperata, mentre piangeva come se gli avessero portato via la sua cosa più importante e mentre catturata le labbra morbide del suo ragazzo in un bacio che valeva più di mille e mille altre ancora parole.
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