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|Capitolo II•|

La confusione era l'unica cosa che vorticasse nella sua mente. Si fece poi spazio, in quella sua non comprensione, un terrore spaventoso e agghiacciante, una paura strana e dominante che stava facendo lentamente sfumare ogni pensiero sotto la sua mole imponente ed ingombrante.
Il suo corpo muscoloso e forte, caldo e pallido tremò come una foglia secca esposta al vento invernale, ecco che ancora una volta quella sua pelle ignara venne solcata da brividi provocatori ma non furono piacevoli, solo sconvolgenti nel loro manifestarsi e nel rendersi conto di questo, quei suoi magnifici occhi fiammeggianti si spalancarono tremanti, le pupille si restrinsero e gli parve che, sebbene fosse stato per un solo breve attimo, il suo cuore avesse cessato il suo moto con l'aria bloccata nei polmoni immoti.
Era la prima volta nella sua vita che sperimentava tale, sconvolgente emozione, la paura era qualcosa che prima di allora non aveva mai conosciuto. Egli aveva vissuto cedendo che tale sentimento che fosse attributo dei deboli errando, poiché la paura è forse la prima emozione che gli esseri umani scoprirono quando svilupparono il loro intelletto dato che è quanto ci permette sopravvivere.
Bakugou ne rimase scosso, non era mai stato abituato ad avere contatti con ciò che la sua natura umana comprendeva, mai nella sua vita aveva sfiorato la sfera emotiva che risiedeva dormiente all'interno del suo animo, aveva solamente e sempre attinto alla rabbia come unica manifestazione di sé stesso e a quel punto non sapeva se avesse scelto di farlo o semplicemente non era mai riuscito ad aprire il suo io neppure a lui medesimo.
Era pomeriggio, attraverso lo spiraglio lasciato dalle tende qualche raggio faceva la sua entrata portando sfumature rossastre e calde, il tramonto stava infiammando il cielo mentre lui era seduto sul suo letto, circondato dalle coperte nere come pece, tremante come un cucciolo davanti alle fauci spalancate di un leone. Era spaventato come un pulcino lasciato solo di notte che si trova davanti ad un lupo e piangeva in silenzio, addolorato da un qualcosa a cui non poteva ancora dare un nome.
Gli occhi vermigli lucidati dal pianto avevano perso la loro vista perfetta tanto ch'ogni sagoma pareva sfumata e confusa mentre delle piccole lacrime chiare, salate e ardenti bruciavano la pelle candida delle sue guance appena arrossate percorrendo un sentiero invisibile se non a loro fino alla punta del petto, per poi infrangersi sul tessuto stretto fra le sue mani, alla ricerca di un conforto che non avrebbe trovato, quel giorno, solo, circondato dal silenzio.
Le calde sfumature del dì che scemava illuminarono i suoi occhi grondanti, le lacrime amare e incomprensibili che correvano dal suo sguardo confuso, quasi fossero state di altri, risplendevano come diamanti purissimi ad impreziosire quella sua rara bellezza che celava ancora nel suo essere inesplorato.
Quando riuscì a calmarsi strinse il suo corpo con le sue stesse mani tremanti, afferrò fra le dita allungate la maglia nera e la strinse quasi avesse voluto strapparsela via di dosso tormentato da un gelo letale che aveva improvvisamente investito la sua mente confusa ed il suo corpo che probabilmente comprendeva più della sua ragione.
Le labbra si separarono, si incuervarono verso il basso mentre stringeva fra loro e con forza i denti bianchi; qualcosa lo stava torturando e non ne conosceva la natura, qualcosa stava strabbordando dal vaso di Pandora che fino al giorno prima era rimasto sigillato nel suo cuore e in quel pomeriggio del due gennaio, chissà perché, aveva cominciato ad aprirsi cogliendolo impreparato a quanto non conosceva e mai attraverso gli altri aveva compreso: le emozioni.
Ma non era solo questo, non si trattava solo del suo corpo tremante, non solo del suo cuore pronto ad lasciar esplodere tutto l'inespresso ma c'era anche un sentore dolciastro che lo stava pervadendo, come un sapore zuccherino in bocca e quella, fu la prima di tante volte, che la sua mentre divagò senza il suo permesso e un desiderio urlato in silenzio lo invase: lo desiderava, colui che aveva denominato numero dieci.
Desiderava sentire ancora una volta quella stretta forte, quasi possessiva sul suo corpo, quel calore infernale sciogliere la sua pelle, quelle labbra fruttate e voraci contro le sue mentre la sua lingua lo sottometteva in un bacio inaspettato. Desiderava percepire il suo calore contro il corpo e che quello sguardo ancora ignoto, non identificato, lo osservasse.
A quei pensieri si alzò di scatto appiattendosi contro una parete, scosse la testa come se in quel gesto infantile tutti i suoi pensieri e nuovi riscoperti sentimenti sarebbero stati scacciati dalla sua mente, poi crollò a terra contro la parete ed il pavimento, osservava quel suo letto con occhi sbarrati: quello non era possibile, non poteva essere lui, non era da lui.
Ma quanto poteva affermare cos'era da lui e cosa non lo era se stava appena imparando a ricoprirsi e conoscere se stesso? Come poteva essere certo che qualcosa del genere non gli appartenesse quando per la prima volta in vita aveva sfiorato quello scrigno che era stato chiuso moltissimo tempo addietro?
Il respiro a quel punto gli si fece pesante sommandosi al suo tremore implacabile, il suo cuore sembrava starsi spaccando in due per il dolore che provava all'altezza del petto e tutto perché stava rifiutando la natura più vera del suo essere.
Dalla fronte iniziarono a scaturire piccole gocce di sudore che accarezzavano la sua pelle, ma lui non poteva percepirle con quel freddo che aveva addosso e come in un futile tentativo di fuggire corse fuori dalla sua stanza, sbatté la porta in legno con uno scatto forte della sua mano e, una volta in corridoio osservò le mura perfettamente curate e le listelle lignee del parquet incastrate alla perfezione con quella loro calda tonalità tanto piacevole per la vista. Notò il silenzio assordante che regnava lì, la presenza di nessuno in quel momento nel quale non sembrava più sé stesso ma un animale spaventato persino dalla sua stessa ombra.
Allora camminò veloce, in una sorta di marcia serata, passò velocemente le varie porte, alcune anonime altre decorate, attraversò la sala comune con il cuore in gola che minacciava d'abbandonarlo da un attimo a quello dopo mentre le sue cosce si alternavano veloci, in una corsa rallentata.
Il suo respiro spezzato invadeva il tetro silenzio di quel luogo e le sue mani, in pugni serrati, si alternavano in un passo militareggiante.
Ma fu costretto a fermarsi quando delle voci pronunciarono il suo nome preoccupate, si trattava di Kaminari, Kisrishima e Sero che lo osservavano con sguardo apprensivo, quel comportamento e quell'espressione non erano consuete del Katsuki Bakugou che conoscevano. Era evidente che fosse turbato, deducibile che fosse spaventato e per qualche ragione in preda alla confusione più totale nella quale stava affogando solo, in quel suo mare di irrefrenabili pensieri insensati.
Dischiuse le labbra rosee per parlare, avrebbe solo dovuto comportarsi come era consueto eppure quanto uscì dalla sua bocca che ancora ricordava quel dannato bacio sconvolgente non fu altro che aria soffocata. In quello stesso momento riprese a tremare come un foglio abbandonato ad una tempesta spietata, non riusciva a calmarsi, non riusciva a ragionare, quasi neppure a respirare e si richiuse su se stesso terrorizzato, con le mani fra i capelli che li tiravano mentre il suo orgoglio gli gridava di dire che era uno scherzo e che non era un debole come loro, soffocato però da quel mare infinito che lo stava distruggendo da dentro.
Ansimava, quasi delle mani invisibili fossero state strette sul suo collo, poi, mentre i suoi amici gli si avvicinavano preoccupati, chiamando a gran voce il suo nome spaventati per quanto stesse improvvisamente accadendo scattò in piedi con gli occhi spalancati e le pupille quasi innotabili a causa della loro ristretta dimensione.
Era sconvolto, non più sé stesso, non più ignorante della sua condizione e soffocato dal peso dell'appena intrapresa conoscenza del suo essere e del suo pensiero, solo in quel pomeriggio invernale, sotto gli sguardi attoniti dei suoi amici, Katsuki Bakugou comprese di non essere mai stato libero come aveva sempre pensato, ma d'aver vissuto la sua vita legato a catene forti che forse non lo avrebbero mai abbandonato, comprese quante volte i suoi passi che credeva tanto suoi lo fossero stati veramente e quante volte manovrati dalle aspettative di chi lo aveva continuamente circondato nel susseguirsi sbiadito dei suoi giorni che, in quel momento lo capì, non avevano mai avuto davvero senso.
Presto si fecero vedere altri componenti della sua classe per qualche sospetta circostanza ignota.
Uraraka portò una mano a coprire la bocca spalancata, mai avrebbe pensato di poter vedere un'espressione tanto umana e vulnerabile su quel viso che soleva essere minaccioso come quello di un villains,ma dopotutto era normale perché lui era umano e come tale era fragile come cristallo, forse molto più di quanto egli stesso fosse consapevole.
Mina osservava la scena interdetta, incapace di nascondere la sorpresa e l'inquietudine che l'avevano attraversata, Yayorozu invece osserva la scena impassibile alla prima occhiata, eppure il suo sguardo manifestava tenerezza, la sua tristezza nel vedere quel ragazzo che tutti pensavano tanto forte essere in procinto di crollare su sé stesso e Todoroki rifletteva il suo stesso stato d'animo.
Poi c'era Midoriya, entrato nella sala comune dopo tutti gli altri, con passo silenzioso e calmo aveva percorso il parquet e nessuno si era reso controllo della sua presenza, dunque nessuno aveva fatto caso a come quelle due gemme di un verde vitale, brillante più di qualsiasi prezioso smeraldo, fossero focalizzate sul biondo con una strana mescolanza di emozioni incomprensibili.
In quel silenzio soffocante, spezzato in maniera irregolare dal respirare sconnesso e difficoltoso di Katsuki, il primo a rendersi conto di quella chioma verde scompigliata, di quegli occhi illuminati dalla luce del tramonto, brillanti di una sconosciuta e particolare sfumatura, di quelle lentiggini carine sul viso pallido e di quelle labbra carnose e appena curvate verso l'alto, fu proprio il biondo.
Per un attimo quel suo pensare vorticoso, quasi distruttivo cessò completamente, quel suo tremore preoccupante, quel suo dolore persistente al cuore e quella sua incapacità di respirare lasciarono il suo corpo. Per un solo breve attimo durato come il contatto fra il rosso vivo come sangue fresco ed il verde profondo e vibrante come la vegetazione di un luogo ancora inesplorato appartenenti ai loro occhi, tutto il lui si era calmato, fermato come se un pulsante d'arresto fosse stato improvvisamente premuto.
Era stato il fermarsi dello scorrere del tempo per il biondo tanto stravolto da qualcosa che in lui, prima di allora, aveva sempre giaciuto sepolto dal suo orgoglio e dalla sua impellente ira cye aveva cominciato però ad emergere velocemente, spiazzandolo e spezzando l' equilibrio che credeva appartenergli, ma che altro non era se non una mera illusione che celava la vera entità della sua persona.
Subito dopo, quando quel breve scorrere di infiniti secondo fu troncato, le gambe del ragazzo solitamente scontroso cedettero facendolo scontrare duramente contro il suolo, i suoi muscoli possenti e tonici sembravano non voler più dare ascolto alla sua mente, ma non si trattava solo delle sue gambe, il suo corpo intero sembra aver intrapreso un atto rivoltosi nei suoi confronti, come un equipaggio che si ammutina al suo capitano che per troppo tempo ne ha ignorato i segnali ed è stato incapace di governare la nave.
Fu così che Bakugou si ritrovò a terra, avendo ceduto al peso dei suoi pensieri e di qualcosa che in se si muoveva impetuoso, risvegliato da quel cozzare che c'era stato fra il suo sguardo confuso e quello peculiare di Midoriya, così diverso da come lo rammentava.
Non sentiva più nulla di sé se non un intenso formicolio propagatosi per ogni centimetro di quella sua pelle chiara come latte e perfetta come la porcellana più pregiata, le sue braccia s'erano fatte tanto deboli che non riuscivano neppure a sollevare il suo stesso petto di qualche centimetro.
La mente si era fatta vuota d'ogni razionale ragione, un insieme convulso e contorto di inesplorate sensazioni e vorticosi pensieri bisbigliati l'avevano invasa, un desiderio bollente, impellente e confuso aveva iniziato a propagarsi in lui affogando ogni altra cosa sepolta nel suo pensiero o nel suo cuore che lentamente stava cominciando a liberarsi da catene che Katsuki non s'era accorto d'avergli posto.
La vista perse la sua nitidezza perfetta che gli permetteva di affrontare i suoi avversari con discreta facilità, si fece nebbiosa come la sua mente confusa, come la sua ragione che lentamente sfumava lasciando spazio a qualcosa che mai aveva sfiorato nella sua vita prima di allora e perse i sensi sotto gli sguardi dei presenti.
La confusione in quella stanza, la preoccupazione per nulla celata dai ragazzi ed il loro panico prevalente su ogni barlume di ragione aveva fatto sì che qualcosa di nuovo e sconvolgente quanto evidente fosse ancora celato per qualche istante, abbastanza perché un segreto che era tale persino al suo possessore rimanesse celato fatta eccezione di chi avrebbe dovuto conoscerlo fin dall'inizio.

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