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5. La bocca dei giusti parla con sapienza

Os justi meditabitur sapientiam,

et lingua ejus loquetur judicium.
Lex Dei ejus in corde ipsius:
et non supplantabuntur gressus ejus.

(La bocca del giusto parla con sapienza,

E la sua lingua ragiona di giustizia.

La legge del suo Dio gli sta nel cuore,

E i suoi passi non vacilleranno.)


Veronica spalancò gli occhi.

Quanto tempo è trascorso?

Forse giorni, mesi, anni, o addirittura neppure un minuto. Il tempo pareva un punto nello spazio, infinitesimale e infinito. Aveva ingoiato la medicina e l'aveva sentita disciogliersi a poco a poco dentro di lei. I suoi effluvi l'avevano inebriata e teletrasportata in un luogo in cui la notte era eterna e la mente assente. Il corpo si era rimpicciolito fino a diventare un barlume di esistenza: esso stesso, un punto. Sapeva di trovarsi ancora da qualche parte solo perché l'amarezza della pillola le aveva seccato la gola, un retrogusto che ormai percepiva appena, ma tangibile.

Fece scoccare la lingua contro il palato: abrasiva. Doveva bere qualcosa.

Da quanto non mangio e non bevo?

Tastò il materiale sotto di lei. Era soffice al tatto, un po' elastico. Era sdraiata sul suo letto, ma la luce che spuntava fuori dalla finestra non corrispondeva all'oscurità che ricordava prima di aver salutato Elia.

Il soffitto venne oscurato dal volto di Andrea che si frappose davanti al suo, ancora gonfio di sonno. "Ehi, va tutto bene?"

Sollevò la schiena e si stropicciò gli occhi. Il sole che si intravedeva dalla finestra era una palla chiara ancora bassa nel cielo. "Ma che cosa è successo? Dove mi trovo?"

"Se è uno scherzo non fa ridere."

Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare come fosse arrivata a letto. Un minuto prima, il sussurro di Elia l'aveva accarezzata, delicato: non sei un sintetico. Veronica aveva chiuso gli occhi per trattenere le lacrime e li aveva riaperti al giorno successivo, con la testa pesante, ebbra di un dolce veleno di cui ricordava a malapena il sapore.

La stanza era immacolata, il letto di Andrea appena rifatto. Non c'era nulla che le lasciasse presagire cosa fosse accaduto dopo che la pillola era entrata in circolo. Uniche prove, il blister che giaceva a terra, vuoto e il bicchiere ancora colmo posato sul suo comodino. Lo afferrò e lo bevve, poteva sentire l'acqua fluire dentro di lei.

Una risata echeggiava nella sua testa. La sua.

Andrea ieri sera era seduta su questo letto accanto a me. Lei mi ha detto qualcosa, e io ho riso. La mia voce tintinnava, come il suono di una campana.

Una folgore l'attraversò. Ricordava la sua compagna di stanza e la musica che si diffondeva ogni volta che entrambe aprivano bocca, ma non la canzone che avevano cantato.

Le era sembrato di aver assistito a un concerto meraviglioso, di cui però non ricordava le parole. Un concerto dove i suoni avevano un colore e un sapore vivido, ma l'amarognolo in bocca le impediva di concentrarsi sul loro significato preciso. "Andrea... Tu sai se mi è successo qualcosa ieri sera?"

"Non mi dire che non lo ricordi?" mise il broncio.

Scosse la testa, la sentiva pesante, enorme, un pallone sul punto di scoppiare. Bevve un altro sorso. "C'è qualcosa che non va." Strinse le lenzuola, cercò di calmare il respiro che iniziava a rarefarsi. Mosse la testa a scatti, le pareti che si restringevano sempre di più, verso di lei, in procinto di schiacciarla. "Ho preso una medicina, me l'ha data," Elia, "Uno dei sintetici e... Che è successo, ieri sera, Andrea?"

L'altra si sedette accanto a lei. Come la notte precedente. Il letto sprofondò leggermente e una scheggia di ciò che era accaduto si conficcò nella sua mente.

"Devo raccontarti una cosa. Su di me." Un frammento del viso di Andrea le sorrideva e si avvicinava a lei. La sua voce suonava come un violino. Non era la stessa che maligna aveva sputato tutto quel veleno su Bianca.

Le aveva confessato qualcosa. Ma cosa? Quel  maledetto violino sovrastava tutto il resto.

"Eri diversa, questo è indubbio."

Diversa. Che poteva voler dire un mucchio di cose, a pensarci. Diversa nel senso di più simpatica del solito? Una Veronica nuova, la Veronica che avrebbe sempre voluto essere?

Aveva riso. E poi pianto. Singhiozzi isolati, pesanti, colmi di tutto il dolore che si era tenuta dentro. Una catarsi cieca e vuota non sortiva gli effetti che sperava. Bevve un altro sorso, ma le reminiscenze rimasero avvolte da una coltre di nebbia. Di tanto in tanto riusciva a intravedere la loro consistenza, ma venivano risucchiate immediatamente dal vapore. Aveva riso prima o dopo aver pianto? L'ordine delle sequenze non aveva senso. Ricordava la consistenza dei colori e i suoni ovattati, ma era tutto mescolato. La medicina scorreva nelle vene e le membra si alleggerivano. In quel momento, invece, pesavano come macigni.

Elia, ma che cazzo mi hai dato?

"Andrea..." sillabò piano, faticava a concentrarsi su quello che voleva dirle. Un violino? Perché aveva udito proprio un violino? "Andrea, forse non hai capito cosa ti sto chiedendo."

"Addirittura abbiamo parlato. E per parlato intendo che mi hai perfino risposto con delle frasi di senso compiuto, ogni tanto."

"Andrea..."

Altri sprazzi d'immagini che non credeva potessero appartenere a lei. Si era aggrappata al collo di Andrea, aveva farfugliato all'orecchio: devo dirti una cosa.

L'aveva toccata, senza esitazione, e non si era sentita sporca, né colpevole. Si era stretta a lei come se la conoscesse da secoli, lo scorrere del tempo fluiva davanti ai loro occhi. Cento anni trascorsi sullo stesso letto a parlare delle loro vite inconsistenti.

Quella pillola. Era stata lei a ridurla così?

Le palpebre sfarfallarono, prima buio, poi luce. Andrea le mise una mano davanti agli occhi e la fece scorrere su e giù.

"Non è successo niente, Vero. Tranquilla, rilassati. Hai riso un po', abbiamo chiacchierato e ti sei addormentata quasi subito. Dicevi di sentire una strana musica..." reclinò la testa da un lato, "ma niente di che, davvero. Mi sono perfino detta, ehi, mi sa proprio che le confiderò il mio segreto."

Cominciava a distinguere alcune parole estrapolate dalla memoria. 

"Anche io devo raccontarti una cosa. Su di me."

Quello lo ricordava, anche se a fatica. La scena era una nebulosa ovattata, diapositive ingarbugliate che emergevano dalla nebbia. Andrea le aveva sussurrato qualcosa subito dopo di lei, ma il violino che l'accompagnava aveva coperto il suono delle parole.

"Il... tuo segreto?"

"Il segreto che ti ho raccontato ieri sera. Non ricordi neanche quello?"

"Deve... deve essere stata la medicina che mi ha dato..." Si sollevò in piedi, venne scossa dalle vertigini. Faceva fatica a tenere sollevata la testa. Il blister a terra brillava alla luce del sole. Lo raccolse, lo tastò con le mani, la plastica emise un leggero scricchiolio che la fece rabbrividire. "Ieri sera, dopo la piscina. Ricordo solo... frammenti." Scosse la testa. "Credo che il Dottore mi abbia sbagliato il dosaggio."

"Impossibile. Il Dottor Jones non sbaglia mai."

Il Dottor Jones non sbaglia mai.

Santo Dottor Jones!

Come poteva, una reietta come lei, dubitare di uno come lui? Un benefattore, un uomo di tal levatura. Sfuggente e insondabile, eppure sempre presente, tra loro. E allora lo aveva fatto di proposito? 

Io cammino con voi.

Sgranò gli occhi.

Cosa aveva desiderato, lei, quel giorno, più di qualsiasi altra cosa? Così tanto da fuggire e rinchiudersi in stanza?

Smettere di pensare.

Ed era successo. Il Dottor Jones aveva captato la sua muta richiesta d'aiuto e aveva inviato il suo messaggero divino per offrirle il mezzo, la soluzione ai suoi problemi.

Per qualche ora, un essere sconosciuto aveva preso il posto della Veronica stanca e malata e aveva vissuto una vita al posto suo. Aveva socializzato con Andrea, aveva lasciato che distruggesse ogni sua barriera.

Jones. Le aveva detto qualcosa su di lui.

Jones è...

Jones è...

Accidenti, perché non le veniva in mente?

"Anche tu mi hai detto il tuo segreto."

Sollevò la testa. Una luce diversa dal solito brillava nello sguardo di Andrea. Appariva più alta del solito, la sovrastava con il suo sorriso, freddo e lontano.

"Il... il mio segreto, dici?"

Annuì. "Perché hai paura di farti toccare. Me lo hai raccontato."

Le ho raccontato di Elia.

Un altro ricordo, più remoto, eppure dai contorni più definiti: Elia. L'Elia originale, l'Elia più bello di tutti. Ma quel giorno, bello, non lo era per nulla.

Era così pallido. E ondeggiava. Gli occhi chiusi, la testa penzoloni.

Gli aveva stretto la mano ed era gelida. Aveva dovuto lavarsela subito dopo, per allontanare da sé quella sensazione, il marcio che si diffondeva dentro di lei.

Ma lei era già marcia, da molto tempo. E forse, quel marcio, l'aveva trasmesso a Elia. Ecco perché lo aveva trovato così.

Cazzo.

Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra. Aveva affidato la parte più fragile e intima di sé ad Andrea. Andrea. La stessa che non aveva esitato neppure un secondo a spifferarle tutti gli affari loschi di una perfetta sconosciuta.

Si rese conto di star tremando, il panico che cercava di sfuggirle per prendere possesso di lei. Il panico era sempre stata la sua miglior arma da difesa. Fingersi morta per non soccombere davanti a un predatore più grosso di lei. Oppure attaccare, le ultime energie conservate per salvarsi. Abbaiare contro un cane più grosso nella speranza che fosse sufficiente a farlo scappare.

Si scagliò contro la sua compagna di stanza. L'afferrò per la camicia da notte, sfiorò le ossa sporgenti che premevano contro il tessuto. Andrea aveva la consistenza del vetro, pronta a frantumarsi tra le sue mani. Sarebbe bastato anche solo spingerla contro il muro, per disintegrarla. "Andrea..." La sentì trattenere il fiato. Anche lei aveva dimenticato come respirare.

Bianca doveva essersi sentita così, il giorno in cui aveva picchiato il suo compagno di classe. Minacciata da una realtà più pericolosa di lei, aveva deciso di giocare d'anticipo. Aveva scelto che ruolo interpretare per prendere parte a quella messinscena sociale. Non esistevano angeli in paradiso, né demoni all'inferno, ma solo delle Bianca, Veronica e Andrea che vagavano nel mondo, sperando ogni giorno che le loro maschere non scivolassero via e rivelassero la loro fragilità. "Se lo racconti a qualcuno, io..."

Andrea si appiattì verso il muro, la bocca farneticava frasi che faticavano a venir fuori. Più che a un violino, in quel momento la sua voce assomigliava a una chitarra scordata. "A qualcuno? A chi dovrei dirlo?" le mani premevano contro le braccia di Veronica, cercando di divincolarsi. "Vero, io e te siamo amiche. Non ti farei mai un torto del genere. Puoi fidarti di me. Non lo racconterò mai, se non vuoi che si sappia, mi hai capito? A nessuno." Buttò giù un sospiro rumoroso. "Sei spaventata per la storia di Bianca? Ti sei fatta una strana idea solo perché ti ho confidato delle cose su di lei."

Sì.

"Io..." abbandonò la presa.

Andrea si lasciò cadere a terra, il respiro le era diventato pesante. Gracchiò dei colpi di tosse. La guardò negli occhi, le sclere innervate da venuzze rosse. "Non posso credere che tu pensi una cosa del genere di me. Dopo tutto quello che ci siamo dette!" Si prese la testa tra le mani. "La storia di Bianca te l'ho raccontata per farti un favore d'amica. L'ho fatto per tenerti al sicuro. Sono la sola di cui puoi fidarti, qui dentro."

La sola.

"Ma... ma certo. Certo, lo capisco. Noi siamo... amiche." Le porse una mano. La sua compagna l'afferrò e, lentamente, si tirò su.

Il suo tocco era diverso da quello di Bianca. Veronica non provò brividi mentre si aggrappava a lei, e nemmeno un senso di nausea.

"Devo dirti una cosa..." anche Andrea stava piangendo, quella notte, mentre si accostava al suo orecchio. "Su di me, questa volta. Vedi, devi sapere che il Dottor Jones..."

"Se siamo davvero amiche, allora facciamo uno scambio equo. Un segreto tu, uno io. Cos'è Jones? Ieri sera me lo hai detto, ma non riesco a ricordarlo."

"Jones?" Andrea sbatté le palpebre confusa.

Un rumore secco fece voltare entrambe verso la porta.

"È ora della colazione."

Elia. Provvidenziale. Sarebbe risultata una coincidenza piuttosto fortuita, ma Veronica cominciava a sospettare che le coincidenze, lì dentro, non esistessero affatto.

Si guardò attorno. Il Dottor Jones camminava davvero tra loro. Anche in quel momento era presente, in qualche modo?

Scrollò le spalle. "Non importa. Me lo racconti dopo, va bene?" Si sforzò di sorridere. Si portò una mano sullo stomaco, anche se non udiva alcun morso, né borbottio. "Ho una fame!"

Andrea smise di tremare, il rossore negli occhi stava svanendo pian piano. "Chissà che c'è oggi a colazione. Dicono che la mensa sia buonissima. Ieri sera ero così su di giri che mi sono dimenticata di cenare."

Lanciò un'occhiata alle clavicole della ragazza. Così visibili. "Oh, certo, non lo metto in dubbio." Si morse la lingua. Le era sfuggito per sbaglio. "Solo che... ti spiace andare avanti senza di me? Devo dire una cosa a..." Elia, "al sintetico. Ci vediamo direttamente in mensa."

Digitò la password di sicurezza. Dall'altra parte, Elia sorrideva, proprio come la sera precedente.

Un circolo che si ripeteva e forse si sarebbe ancora ripetuto, finché sarebbe stato necessario. Andrea li superò, il suo sguardo non l'abbandonò fin quando non svoltò il corridoio.

"Veronica Rossi, tu non segui la tua amica?" Il sorriso di circostanza di Elia era programmato. Il frutto di un ordine impartito da chissà chi. Quello della sera precedente, invece, le era parso qualcosa di diverso.

"Devo parlarti."

Il sintetico non si mosse. 

"No, anzi, non voglio parlare con te, ma con il Dottore. Me lo permetterai?"

Intrecciò le dita contro le sue.

Gelide.

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