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4- Tutte le sirene hanno denti affilati

"È stato così illuminante! Nessuno mi ha mai parlato in questo modo." Da quando erano uscite dall'auditorium, Andrea non aveva taciuto un secondo. "Si vede che è il migliore in circolazione, ci sa proprio fare. E poi..." Superarono un paio di ragazzi che stavano percorrendo la loro stessa strada. Andrea non li degnò neppure di uno sguardo. Si era trincerata in una camera mentale di contemplazione, poteva immaginare un poster gigante con la faccia del Dottor Jones tappezzare le pareti del suo cervello. "E poi mi ha guardata tutto il tempo. Ne sono certa, Vero. Lui lo sa che c'è un rapporto speciale tra noi. Lo ha capito."

Veronica si morse un labbro. La stessa sensazione aveva pervaso anche lei poco prima: un legame con Jones, di cui solo loro due erano a conoscenza. Qualcosa di inspiegabile, un filo che si era intrecciato al dito senza che se ne rendesse conto.

Un leggero pizzicore sottopelle le bruciò tra le mani, la voglia fremente di tirare un ceffone ad Andrea. Si era intromessa in quella connessione nascente e aveva reciso il filo a metà. Se ne era appropriata senza neanche chiederle scusa, come se le fosse dovuto. Più bella di lei, più magra di lei, più sana di lei. Era per questo che non aveva contemplato minimamente che il Dottore stesse guardando anche Veronica? Come si permetteva, quella, di rubarle sensazioni che aveva provato in modo così intenso per la prima volta dopo anni?

Perché, poi, infervorarsi così tanto? Solo perché un tizio li aveva guardati uno per uno e aveva fatto un discorso generico che si poteva adattare alla situazione di chiunque?

Avrebbe voluto sbatterglielo in faccia, per il puro gusto di strapparle quel sorrisetto etereo dalle labbra.

Non sei speciale, Andrea. Sei una pazza, malata e disperata quanto me. Non pretendere un posto nell'Olimpo che non ti meriti.

Tuttavia, Andrea non le prestava attenzione, cieca e sorda a ogni altro stimolo esterno. "È come mi ha raccontato mamma. Non vedo l'ora di dirglielo."

"Dirle cosa?"

Uscirono in cortile. Fuori, la calura di giugno era mitigata dal vento, che muoveva appena le fronde del salice, la luce del sole faceva slalom tra le fitte trame delle foglie.

La piscina era riparata all'ombra dei rami. Alcuni ragazzi si erano già radunati vicino al bordo, qualcuno aveva teso, cauto, un dito, cerchi trasparenti si espansero lungo la superficie dell'acqua.

Intercettò immediatamente lo sguardo di Bianca. Non era sola, se ne stava con un gruppetto di tre ragazzi, un po' più in disparte rispetto al resto della folla. Si scontrarono con gli occhi per un attimo, solo un attimo, abbastanza perché fosse riscossa da un brivido.

Sentiva ancora il male del suo tocco serpeggiare piano lungo le braccia.

Trattenne il respiro. Anche gli altri tre la osservavano.

Aveva parlato di lei? Magari aveva riferito la conversazione che avevano avuto il giorno del test. Poteva immaginarla, mentre sogghignante scendeva nei dettagli, rivelando quanto patetica fosse.

Non dimenticarti di respirare, Veronica. Respira.

"Ah, a proposito... Tu conosci quella?" L'estasi aveva abbandonato Andrea. Anche lei aveva spostato l'attenzione sui quattro, le sopracciglia svettarono verso l'attaccatura del naso. Le fossette sulle guance erano sparite.

"Sì. Cioè, no. Non proprio. Abbiamo parlato il giorno del test, hai presente? Mi sono sentita male, sono uscita e lei stava là a..." non era il caso di dirle che l'aveva beccata a pippare Etilene, una macchia rosa nel giardino dell'Eden del Dottor Jones. "Prendere una boccata d'aria."

"Capisco. Senti, non sono nella posizione di darti consigli, ma è meglio se ti tieni alla larga da tipi come lei."

Percepiva ancora gli occhi di Bianca addosso, come se avesse intuito che stessero parlando di lei. Poteva quasi sentire le unghie picchiettarle l'avambraccio, a distanza. Un monito. "Tu, piuttosto... sembri conoscerla bene."

"Veniva a scuola con me. È una piantagrane."

"Frequentavate la stessa scuola?"

Andrea era scura in volto, la bocca una sottile linea retta. Quando non sorrideva, le guance sembravano scavate nella pietra. "Si chiama Bianca Rinaldi. Purtroppo ho avuto a che fare con lei durante le elezioni per i rappresentanti d'istituto." La lingua scoccò contro il palato. "È una strega, Vero, devi credermi."

Si udì uno scroscio d'acqua. Alcuni ragazzi avevano preso finalmente coraggio e si erano tuffati in piscina con indosso ancora i camici bianchi. Ridevano, si schizzavano l'acqua addosso. Loro sì che avevano preso alla lettera il discorso del Dottore.

Siate voi stessi, perché qui non verrete giudicati.

La voce di Andrea spezzò l'illusione. "È andata in giro a dire che la davo a chiunque in cambio di voti. Quella mi stava rovinando la reputazione, è una stronza, ti dico. E quando l'ho affrontata, sai cosa mi ha detto?" la voce divenne stridula. "Guarda che ti ho fatto un favore. Hai vinto le elezioni o no? Dovresti ringraziarmi, come minimo." Uno sbuffo le fuoriuscì dal naso, le mani racchiuse in un pugno. "Stalle lontana, lo dico per il tuo bene. Quella ti si avvicina solo per trascinarti nel fondo con lei."

"Che le è successo?" Deglutì. Si voltò di nuovo, ma Bianca era sparita. Eppure, le sue unghie premevano ancora contro la carne, iniettandole la sua nefasta influenza. "Intendo dire... durante i test, l'ho vista che veniva portata via dalla polizia. Sai perché?"

"Ah, già... Vedi, ecco... di solito non mi piace sparlare degli altri, è poco corretto, però, nel suo caso..." Si chinò verso il suo orecchio. "Ha picchiato un suo compagno di classe. Gli ha aperto la testa in due, Vero, ti rendi conto? Quello è vivo per miracolo. È qui su ordine di un giudice ma, per quel che mi riguarda, dovrebbe essere rinchiusa in un manicomio permanente, altro che centro riabilitativo." Il suo fiato le sibilò nelle orecchie. I muscoli della schiena si contrassero. "Rimanga tra noi, eh! Io te l'ho detto solo perché mi fido, mica per altro."

Si guardò attorno. Niente, non la vedeva. Si era volatilizzata all'improvviso. O forse, gli occhi di Bianca erano ovunque. Bianca, un'entità maligna immune alle parole del Dottor Jones. Bianca, che inquinava chi le stava vicina. Magari si trovava dietro di lei, in quel momento, in attesa di un passo falso. Veronica restò immobile. "Ma certo, sicuro. Si vede che non ne avresti mai parlato, se non ti avessi forzata io a farlo."

Andrea annuì. "Era necessario metterti in guardia. È una pazza squilibrata. Più di tutti quelli che sono qui, intendo." Abbozzò un sorrisetto nervoso. "Oh, non fraintendermi, sono sicura che il Dottore possa guarirla. Ma è lei che non si merita la redenzione, ecco il punto. Non si possono concedere seconde possibilità a chiunque e lei... lei meriterebbe di essere bruciata viva, come fanno con l'erbaccia."

Gli schiamazzi degli altri che giocavano in acqua, mischiata al caldo che era disceso all'improvviso, le fecero scoppiare la testa.

Il viso del Dottor Jones, la voce di Andrea, gli occhi di Bianca.

Ha picchiato un suo compagno di classe.

Poteva vederla, mentre afferrava il malcapitato che aveva avuto l'ardire di provocarla, per sbattergli la testa contro il muro, la mano premuta sulla tempia, ancora, e ancora fino a quando le pareti bianche non si macchiavano di rosso.

Oppure si era servita di una bottiglietta di Etilene: invece di scagliarla contro il tronco di un albero come le aveva visto fare il giorno del test, l'aveva usata contro di lui, con tutta la forza che aveva. I cocci di vetro schizzavano lungo l'aula, mischiati a sangue e a chissà cos'altro. E il volto del ragazzo riverso a terra, materia grigia che gli usciva dal cranio dilaniato: assomigliava a Elia.

Le risate la sovrastavano. La presenza di Andrea, un'ombra minacciosa. Continuava a parlare, da sola, su chi fossero i genitori di Bianca, dei "pezzi grossi" del governo. Per essere una che non amava parlare male degli altri, ne aveva di cose da dire. Le parole le arrivavano a pezzi, sconnesse tra loro.

Sintetici dello stesso modello di Elia si aggiravano tra la mandria di ragazzi, dei cloni dai sorrisi serafici e impassibili cristallizzati sui loro visi perfetti.

Elia. Perché lo hai fatto? Perché mi hai lasciato da sola ad affrontare tutto questo?

Si ritrovò ad ansimare, il resto del mondo la stava sovrastando. Volti, voci, suoni e odori le piombarono addosso.

Chi sei?

In cosa ti identifichi oggi?

E chi vorresti essere?

Devi capirlo. Per il tuo bene e quello dei tuoi amici.

Re-spi-ra.

Dov'è Bianca?

"Vero! Ma non mi stai ascoltando? E dire che mi hai chiesto tu di parlare di lei."

"Scusami," sussurrò alla sua compagna di stanza, prima di correre via.

***

Un suono sordo che, dalla porta, si propagò in tutta la stanza la costrinse ad aprire gli occhi. Aveva abbassato tutte le persiane, la finestra che dava sul giardino era coperta da una barriera nera che la separava dal resto del mondo. Fuori, però, poteva ancora udire gli starnazzi divertiti degli altri, echi soffusi. Si era appisolata con la schiena poggiata sulla testiera del letto ancora intonso, le lenzuola si erano leggermente raggrinzite, lasciando l'impronta della sua figura abbozzata.

Nel buio la violenza dei colori si era attenuata, i rumori acquietati. Si era chiusa in bagno, l'acqua le aveva disinfettato le tracce del contatto con Bianca. Aveva smesso di pensare.

Quel bussare convulso la riportò alla realtà. E i pensieri ripartirono, veloci.

Si alzò dal letto, dallo spioncino controllò chi fosse. Corrucciò la fronte e digitò la password di apertura, le dita che tremavano.

"Elia."

Si ritrovò addosso le iridi vitree del sintetico. "Veronica Rossi. Mi hai riconosciuto."

"È ovvio, hai..." hai lo sguardo come quello del vero Elia. Sarai pure uguale ad altri mille sintetici qui dentro, ma c'è qualcosa in te che ti contraddistingue. "Lascia perdere. Che vuoi?"

"Prima di tutto, il programma prevede che tu familiarizzi con gli altri, quindi ti consiglio di uscire dalla tua stanza."

"Non ho firmato alcun contratto in cui c'è scritto che devo fare amicizia, mi pare. Ci penserò domani, quando inizieremo le terapie di gruppo. Grazie."

Fece per chiudere la porta ma la gamba tesa del sintetico la bloccò a metà tragitto. "Veronica Rossi." La voce invase il suo spazio personale. "Non ti fa bene stare chiusa in camera."

Dilatò le narici e catturò quanta più aria possibile. Avrebbe voluto spingerlo fuori di lì, ma la sola idea di toccarlo la faceva rabbrividire. "Senti, magari il tuo sofisticato programma non ci arriva da solo, quindi mi tocca essere un po' più esplicita: fatti. I. Cazzi. Tuoi. Sto dove voglio stare. O vai in crisi e ti autodistruggi se qualcuno non segue le tue stramaledette regole?"

"Sono un sintetico, Veronica Rossi. Non provo alcuna forma di stress, eseguo le direttive di programmazione."

"Ottimo, allora non hai di meglio da fare? Tipo, che ne so... aggiornare gli algoritmi o qualsiasi cosa facciate voi robot?"

"A dire il vero, sono qui per questo." Agitò un blister racchiuso in una mano. Solo in quel momento Veronica si rese conto che, nell'altra, aveva un bicchiere colmo d'acqua. "Il Dottor Jones mi ha raccomandato di dartele almeno due volte al giorno. Ha accesso alle tue cartelle mediche: le hai prese in passato, ma hai interrotto la cura senza adeguato supporto. Male. Secondo i parametri dei test, ne avresti ancora bisogno."

La stanza prese a vorticare su sé stessa.

Dopo quello che era successo con Elia - quello vero - le avevano prescritto una marea di pillole; in casa scorrevano a fiumi, le ingurgitava come caramelle. Tutta la famiglia era stata costretta a prenderle. Per un po' era stata anche meglio ma, ben presto, i momenti di benessere divennero sempre più rari, sostituiti dalla catatonia. Sonno privo di sogni. Vita priva di stimoli. Era forse quella la serenità?

Non le aveva più prese.

I suoi genitori, invece, avevano proseguito la terapia, anche se si ostinavano a dire a tutti che andava tutto a meraviglia. Noi e Veronica stiamo una favola, è tutto come prima, ve lo assicuriamo.

Sospirò. "Dammi quella roba." Gli strappò il blister dalle mani. La pillola era un dischetto dal sapore amaro, che le stava avvelenando le fauci. Dopo un attimo di esitazione, la fece scendere verso l'esofago, senza neppure bere il bicchiere d'acqua.

L'indifferenza del robot venne sostituita da un leggero sorriso soddisfatto: missione compiuta.

"Dimmi una cosa, Elia... Tu non provi nulla? Niente di niente? Dolore, gioia, paura..."

"Sono una macchina, Veronica Rossi."

"Già, domanda stupida." Alzò gli occhi al cielo. "Sai? A volte credo di essere più simile a un sintetico che a un essere umano."

Reclinò la testa da un lato e la ragazza rabbrividì. La fronte appena corrugata e le pupille focalizzate su di lei, come se la vedessero davvero, le fecero credere che quella fosse una persona vera. Elia aprì la bocca, ma da essa non venne fuori nulla. Esitò, un po', come se avesse appreso una verità di cui non voleva essere a conoscenza. "Pensi di essere una sintetica, Veronica Rossi?"

Le luci attorno a lei divennero più sfocate, le braccia più pesanti. La pillola aveva iniziato a dare i primi segni. "Sono una sintetica difettosa. Di voi mi è rimasto solo il peggio."

"Il peggio?"

"Quelli come voi non devono preoccuparsi poi tanto. Siete privi di emozioni, ma avete uno scopo preciso e lo perseguite fino a che non diventate dei ferri vecchi. Ma non vi lamentate perché siete stati programmati così, non desiderate e non rimpiangete nulla più di quello che già avete. A modo vostro, siete felici."

"È avere libertà di scelta che ti terrorizza, Veronica Rossi?"

Trattenne una risata. "No, certo che no." Biascicò, le labbra appena schiuse. Faceva fatica perfino a rimanere con gli occhi aperti.

Che strano. La vita, a volte, è la più ironica e bizzarra forma di surrealtà. Parlare di sentimenti con qualcuno che non ne provava affatto mentre era impasticcata era la cosa più idiota che potesse capitarle. "Forse è sapere di averne così tanta, ma essere consapevole di riuscire a intraprenderne nessuna, ciò che più mi terrorizza."

"Le hai provate tutte, quindi?"

"Che?"

Le labbra di Elia erano rosa, come se il sangue, quello vero, fluisse in lui. Erano delle belle labbra. Sorridevano.

"Le scelte a tua disposizione. Le hai provate tutte, immagino. Altrimenti non potresti mai sapere se sei in grado oppure no." Fece un rapido inchino con la testa. "Con permesso, mi congedo, Veronica Rossi. Ho del lavoro da sbrigare. Ma, per tua informazione, il tuo cuore ha battuto più veloce negli ultimi minuti, i miei parametri biometrici rivelano una intensa attività nervosa. Non sei un sintetico. E neanche un sintetico difettoso."

Uno strano torpore l'avvolse. Sulla sua testa cadde un'ombra, che le fece chiudere gli occhi. Una strana musica si diffuse nella stanza, un suono tenue, di pianoforte.

La medicina stava facendo effetto.

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