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Capitolo X

ՑՑՑ


                 Sembra ancora paradossale e assurdo, ma hanno davvero parlato con un morto o, come ha preferito definirsi Janine, con un fantasma. Forse è più appropriato o, magari, loro preferiscono essere chiamati così. O almeno lei, chi lo sa.

   Il viaggio di ritorno con Robin ha portato a galla qualche ipotesi in più e, per quanto non gli sia sembrato sin dall'inizio un ragazzo particolarmente sveglio, alla fine si è rivelato invece capace di buttare giù qualche idea, alcune anche con un senso, e questo ha decisamente reso quel brainstorming un po' più divertente, allontanando per un po' i mille pensieri confusi che Joshua si porta dietro da giorni, ormai, tra cui due in particolare che,durante il colloquio con Janine, ha preferito tenere fuori dalla testa per non complicare le cose.

   Il primo è che prima o poi dovrà fare i conti con la sua immagine riflessa nello specchio e a confrontarsi con l'entità che gli ha chiesto quel favore – e lui, a pensarci bene, non ha ancora una risposta, anche se non ha ancora idea di quale possa essere la domanda, a dire il vero.

   Non è esattamente elettrizzato all'idea che, prima o poi, quando meno se lo aspetterà, verrà risucchiato di nuovo dal buio, o infilato dentro una bara, o chissà quale altro lugubre escamotage narrativo verrà in mente a quella cosa per incontrarlo, ma ancora meno non gli piace per niente il fatto di non avere le idee chiare su cosa dirgli, perché di fatto Joshua non sa nemmeno che cosa voglia da lui.

   Dall'altra parte deve fare rapporto a Maria e, se non fosse che Robin si è infilato in mezzo a quella storia senza quasi dargli il tempo di rifletterci su – non che comunque Joshua abbia avuto altra scelta che accettare, visto i due capi del filo che tirano da due parti diverse e vogliono che arrivi a da qualche parte, e lui non sa né dove, né come. E forse non sa nemmeno in che punto partire. Decide così di andare a trovare Maria, finché Robin è di certo a scuola e lui lavora di pomeriggio, dunque se da una parte vorrebbe che ci fosse anche lui a dargli una mano a spiegare alla donna come sono andate le cose, dall'altra non si sente pulito all'idea di non assecondare l'unico volere di quel ragazzo; ovvero, per ora, mantenere quel segreto tra loro, e forse a Joshua non costa nemmeno nulla, a parte energia mentale, che dovrà preservare cercando di parlare al singolare, quando racconterà il proprio punto di vista.

   Si incammina verso Kingston, prendendo i mezzi pubblici. Non si sente particolarmente contento di prendere il treno e, cercando di evitare il più possibile di riflettersi in qualunque superficie a specchio, rischia spesso di inciampare o di scontrarsi con mandrie di persone che escono e entrano dai vagoni. Ha fretta di entrare, infilarsi a metà del mezzo, dove non ci sono vetri, mette su le cuffie e isolarsi per un attimo a pensare. Stringe tra le dita la spallina del suo zaino, con addosso l'ansia immotivata che qualcuno possa strapparglielo via e rubarglielo. Fa parte di lui, aver paura di qualunque cosa, specie tra gli spazi così affollati e gli sembra paradossale il fatto che, quelle piccole cose, lo spaventino così che il suo corpo rimane sempre sulla difensiva. Persino ora che ha avuto il coraggio di parlare con un morto, continua ad aver paura della gente. Ha fatto un grosso passo avanti, deve ammetterlo e succede raramente che lo faccia – darsi un merito, riconoscere un traguardo raggiunto, ma non basta. Per Joshua, ogni vittoria, è solo una porzione di qualcosa di più grande, a cui non sa attribuire nemmeno una vera e propria forma. Sta cercando di diventare una persona normale, il che lo esclude automaticamente dal resto degli esseri umani, che hanno ambizioni ben diverse; hanno sogni, prospettive, magari trovare il lavoro che hanno sempre desiderato fare o trovare l'amore, mettere su famiglia, viaggiare per il mondo.

   Lui no. Vuole credere che esista un posto anche per lui, in quel gruppo di normali che vivono per vivere e non per cominciare a farlo.

   Reclina la testa all'indietro, stringe tra le mani il manico dello zaino, infilato tra i piedi leggermente divaricati, una canzone dei Soundgarden nelle orecchie e la voglia di capirci qualcosa, di qualunque cosa.

   Da quando ha incontrato Janine, ieri, non riesce a pensare ad altro. Ha decisamente fatto uno dei passi più coraggiosi che possa attribuirsi da solo, ma non si sente protetto e nemmeno, in qualche modo, migliore per averlo fatto. Ha bisogno che qualcuno glielo dica, che qualcuno glielo faccia presente, ma questo costante bisogno dell'approvazione del prossimo lo fa sentire ancora piccolo, un bambino che non è ancora cresciuto, che non sa ancora se ha fatto la cosa giusta o quella sbagliata. Non ha obiettivi, a parte liberarsi dalla maledizione ma, ora come ora, pensa troppo spesso al fatto che non arriverà mai nessuno a cambiare le cose, è una sua responsabilità e questo... questo lo spaventa più di qualunque altra cosa al mondo.

ՑՑՑ

   Quando arriva a casa di Maria, viene immediatamente accolto da Dolores, il  cui solito sorriso di circostanza, ha acquisito qualcosa di più, forse una sorta di simpatia nei suoi riguardi. Gli piace pensare che ormai sia uno di casa, anche se sente ancora dentro quel senso di spaesamento che forse non si toglierà mai di dosso. Ricambia con lo stesso gesto, e lei gli indica le scale, dalle quali Maria scende immediatamente, con un tailleur celeste addosso, una collana doppia con le perle e i capelli raccolti in una coda posata delicata su una spalla. Deve ammettere che, quella donna, è di una bellezza disarmante e, quel suo modo di vestirsi, elegante e raffinato, la pone su un piano decisamente rassicurante. Come se, quella divisa, fosse la sua corazza di sicurezza, in grado di espandersi e contagiarlo.

   Ha gli occhi castani, scurissimi, eppure sempre accentuati da una luce bianca che sa di purezza. Abbassa lo sguardo, per un attimo. Un po' per vergogna, un po' per non incontrare il suo riflesso in quelle sfere castane, ora molto più vicine.

   «Di ritorno dalla battaglia?», chiede lei, con dolcezza, e quella vena morbida nella voce gli fa scappare un sorriso.

   «In un certo senso. C'ho dormito sopra, mi sono svegliato con i muscoli indolenziti.»

   «Colpa della tensione, è perfettamente normale», risponde lei, poi gli fa cenno di accomodarsi nella sala col camino e il tavolo rotondo. Si siedono, uno accanto all'altra e Dolores arriva con un bicchiere d'acqua per la signora e uno di succo di frutta per lui. Sono in bicchieri di vetro, e Joshua spegne il sorriso che fino si era stampato sulla sua faccia. La ringrazia con un gesto del capo e, quando la donna se ne va, vorrebbe chiedere alla signora Soria perché non utilizzano bicchieri di carta, ma ritira subito quella stupidaggine, mordendosi la guancia dall'interno.

   «Com'è andata? Hai conosciuto Janine? Come ti è sembrata?», chiede lei, e sembra elettrizzata. joshua pensa che sia dovuto al fatto che, in primis, si è presentato lì per raccontarglielo e, secondo, pensa di non aver dato l'idea di essere rimasto scioccato da quell'incontro.

   Sospira. Prende un grosso respiro e, evitando di guardare ancora i suoi occhi e i due bicchieri appoggiati sul tavolo, alza leggermente le spalle. «A dirla tutta non avrei mai creduto di dimenticare che un morto è un morto; perché, diciamocelo, è successo questo mentre le parlavo.»

   «Penso sia normale. È una ragazza così dolce. Mi dispiace molto che non sia più tra noi e che nessun altro, a parte chi ne ha la capacità, possa vederla.»

   «È la cosa a cui ho pensato di più. Alla fine del colloquio con lei ho avvertito più un senso di ingiustizia, come se...»

   «Come se la sua morte sia stata ingiusta, in qualche modo. Non è così?» Finisce lei la frase per lui e si sente meno sporco, a non averlo detto lui. Così annuisce. Stringe le dita tra di loro sul tavolo, poi si fa avanti con la schiena, verso di lei.

   «Vede, uno dei motivi per il quale non riesco a credere in Dio, è proprio questo: l'ingiustizia. Quando dicono che dio è giusto, intendono dire che lo è in relazione con le creature che ha plasmato a sua immagine e somiglianza. E allora perché, tra tutti, una persona come Janine ha meritato la morte?»

   «Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove.»

   Joshua sbuffa una risata che lo fa sentire un po' cinico. «Troppo comodo semplificarlo in questo modo.»

   «Non lo dico io, lo dice il libro della Sapienza.» Maria sorride, e è chiaro che non sia d'accordo nemmeno lei, con quel concetto. «La sua anima era gradita al Signore, perciò si affrettò a uscire dalla malvagità

   «Dio è un assassino, se lo fa per questo.»

   «Troppo comodo semplificarlo in questo modo», gli fa eco, e Joshua sbuffa aria dal naso, infastidito. Perché, dopotutto, Maria ha ragione, ma è troppo dura ammetterlo, perché lo sa che non è così e, soprattutto, sa che si sta contraddicendo. «Non puoi dare dell'assassino a qualcuno a cui non credi. Se muore gente innocente è perché non esiste giustizia, nel corso naturale delle cose. Esiste il caso, io credo in questo. Ogni cosa che ci accade è una casualità. Allora forse, se hai bisogno di accusare qualcuno che non esiste di aver ucciso qualcun altro, forse un po' ci credi, in quella cosa.»

   «Immagino che sia colpa di uno strascico di fiducia che mi è rimasta per colpa dell'educazione cattolica che ho ricevuto.»

   «C'è chi non ne riceve affatto, eppure Dio lo trova lo stesso, anche se nessuno gliene ha mai parlato, o gli ha mostrato le sacre scritture. Al mondo siamo tutti diversi, a volte non crediamo fermamente, a volte sì. A volte abbiamo un dubbio, a volte qualcosa è talmente irrazionale che non può essere vera, eppure in fondo al cuore sentiamo che c'è. È tutta questione di fede, in ogni caso. Che questa ci sia, oppure no. O che venga rinnegata, pure se presente.»

   Joshua sa che Maria, in quel discorso – dove si è identificato, non può non ammetterlo, ha parlato anche di Robin. Il ragazzo gli ha spiegato di aver scelto un percorso da solo, di aver voluto frequentare una scuola cattolica e che, a quanto pare, come unico amico ha un prete. Non che la cosa non gli paia ridicola, ma è stata una scelta di Robin, probabilmente ponderata, indipendentemente dall'educazione che ha ricevuto. Maria sembra aver accettato quel lato di suo figlio, ma rimane il fatto che i due comunicano poco. Joshua si chiede se sia solo per questa differenza di fede, se c'entri solo l'allontanamento del padre o, per caso, se vi sia altro, tra i due, che non riesca proprio a lasciare loro un punto di incontro. Per ora, l'unica cosa che li accomuna, è possedere lo stesso dono ma... Robin non ha alcuna intenzione di dirlo a sua madre e questo è un altro muro che li divide e dove Joshua, purtroppo, ora si trova a dover scavalcare fingendosi estraneo alla cosa, almeno con lei.

   «Quello che sto cercando di dirti è che non sappiamo niente di Janine. Non sono riuscita a scoprire molto sul suo passato, e immagino nemmeno tu. Almeno per ora. So solo che non riesce ad uscire da lì, come se fosse prigioniera di quel posto. Te lo ha mostrato?»

   «Sì. È stata letteralmente respinta da una specie di... scudo invisibile. Non capisco perché e, riflettendo a mente fredda, non penso di aver mai visto nulla del genere. I morti che vedo girano per le strade, sono spettri invisibili ma non prigionieri di spazi chiusi. Mi chiedo quale sia il motivo.»

   «La domanda da porci è: cosa ha fatto Janine, quando era in vita, per rimanere prigioniera di una stanza? Non troveremo mai un modo per liberarla se non scopriamo niente su cosa e chi era da viva. Il problema è capire dove andare a cercare. Io non sono riuscita in questa impresa, ma ammetto di non aver mai avuto molti mezzi per muovermi.»

   «Perché pensa che io potrei averli, invece?», chiede Joshua, e non c'è rancore in quella domanda, o quel senso di ingiustizia che ha avvertito giorni fa, quando lei gli ha dato quell'incarico – quando pensava che non fosse per lui, che non sarebbe mai stato in grado di approcciarsi con un fantasma rinchiuso in una libreria. Le cose sono cambiate, Joshua lo sente, e sebbene vi sia implicato nel mezzo un interesse personale che mantiene gelosamente per sé, ovvero liberarsi dalla sua maledizione, lui a differenza di Dio, si sente giusto, e vuole sempre fare la cosa giusta. Ora, più che mai, riuscire ad aiutare Janine ad uscire da quella stanza, risolvere i suoi trascorsi irrisolti e lasciare che lasci questa terra con serenità.

   Perché non solo Dio l'ha uccisa troppo giovane, ma non le ha nemmeno permesso di sedere al suo fianco.

   E Janine sembra tutt'altro che una persona immeritevole, di un tale privilegio.

   E poi... non siamo forse tutti uguali, di fronte a lui?

   «La risposta è semplice e banale, ma è l'unica che posso darti: sei giovane. Hai tanti di quei mezzi di comunicazione, a disposizione. Lì sopra, per esempio», Maria indica con un colpo del mento il suo cellulare appoggiato sul tavolino, accanto al bicchiere di succo che non ha ancora toccato. «Hai una miriade di opzioni per cercare una rete di collegamenti, tra social, archivi, e chissà che altro. Voi ragazzi non avete idea del potenziale immenso che tenete tra le dita di una sola mano e io, purtroppo, non ho questa dimestichezza con gli aggeggi elettronici.»

   Sembra davvero una risposta banale, ma nemmeno così tanto Gli viene in mente sua nonna, che si lamenta in continuazione che la batteria del suo cellulare si scarica sempre troppo velocemente e lui, puntualmente e pazientemente, le dice che ha troppe applicazioni aperte o delle funzioni accese che assorbono troppa carica. E lei, come sempre, dice di capire ma non capisce mai. Sorride leggermente a quel pensiero, intenerito, ma allo stesso modo pensa che Maria potrebbe cercare con altri mezzi, o chiedendo a qualcun altro. Magari a Robin perché, dopotutto, ha un cellulare anche lui e, contando che è un tipo asociale, Joshua è convinto che sia uno di quelli perennemente appiccicati a quell'aggeggio – lo è anche lui, per questo non si sente nemmeno di giudicarlo negativamente. Alla loro età sono tutti così, specie chi non ha molto da condividere al di fuori della rete, perché non hanno amici.

   Ma Joshua lo sa che tra loro non scorre buon sangue, anche se per colpa del suo modo di vedere entrambi e di andare d'accordo sia con Maria che, a tratti, anche con Robin, tra di loro non può essere lo stesso e non può immischiarsi, dunque tace e non dice niente riguardo a quel fatto.

   «Janine ha parlato di un disegno che lei ha fatto. Dice che lo ha usato come una sorta di identikit. Posso averlo? Magari riesco a cavare qualche informazione, facendolo girare in rete.»

   Maria alza le sopracciglia, per un attimo presa alla sprovvista. «Oh, avevo completamente dimenticato quel disegno. Te lo faccio avere subito, il tempo di trovarlo. Aspettami qui», dice, alzandosi in piedi e, scuotendo la testa un po' divertita, parla tra sé e sé. «Janine si ricorda ancora di quel disegno, pazzesco.»

   Joshua la guarda andare via, superare la soglia tra la stanza dei loro incontri e il salotto. La vede sparire sopra alle scale e, rimasto solo, sblocca il cellulare, scoprendo che ha ricevuto un messaggio da Robin e uno da Fred. Apre prima quello di quest'ultimo.

   «Che fine hai fatto? Lo so che sei impegnato con le tue cose esoteriche, ma non ci vediamo da una vita. Mi devi raccontare un sacco di cose, asociale di merda!» Il solito modo gentile di Fred lo fa ridere e, pigiando le dita velocemente sulla tastiera, sorride.

   «Scusami, sono sparito. Se vuoi ci vediamo stasera per una birra da allo Slainte e ti aggiorno», risponde e, poco dopo, riceve un pollice alzato e un dito medio. Tipico di Fred, fingersi offeso perché Joshua sparisce sempre, e poi ricompare o, per meglio dire, si fa rincorrere sempre. Il suo migliore amico lo sa, che è fatto così, per questo non smette di cercarlo, ma in qualche modo glielo deve sempre far pesare e, dopotutto, Joshua sa che un po' se lo merita.

   Apre poi il messaggio di Robin, e questo è un po' meno amichevole, rispetto a quello di Fred.

   «Sei da mia madre? Non le dirai che c'ero anche io, vero?»

   Joshua sbuffa. Non gli piace dover tenere un segreto come quello e sa che prima o poi gli scapperà qualcosa ma, alla fine, non ha motivo di rompere quella promessa. Dopotutto, negli ultimi giorni, ne ha strette così tante che si sta quasi abituando, a tenere la bocca cucita su certe cose rispetto ad altre. «Sì, sono a casa tua e no, non le ho detto niente. Mi sta dando il disegno.»

   «Molto bene! Se ci sei, stasera possiamo andare a trovare padre Richard e parlargli di quella cosa.»

   «Non puoi andarci tu? Dopotutto lo conosci. Io e i preti non siamo esattamente sulla stessa linea di pensiero.»

   «Preferirei andarci con te. Ho paura di non ricordare tutto e magari insieme riusciamo a cavarne un ragno dal buco.»

   «Robin, se hai deciso di venire con me dalla bibliotecaria solo per superare la paura di vedere quelle persone, perché vuoi continuare a indagare insieme a me? Puoi lasciar perdere, e posso pensarci da solo.» Sa di essere risultato un po' duro, ma è un dubbio che lo perseguita da ieri sera, quando è tornato a casa. Può benissimo farcela senza Robin e, soprattutto, non gli piace l'idea che venga coinvolto in qualcosa che, prima di tutto, nasce da una richiesta di sua madre e, dall'altra, che vi sia implicata segretamente una terza ragione: il suo patto con l'entità.

   Joshua è partito con l'idea di fare tutto da solo, e ora si ritrova con troppa gente coinvolta. Non gli piace che sia così, perché quando tutto sarà finito, e lui avrà portato a termine quel compito, altri avranno ancora sulle spalle la responsabilità di vedere degli spiriti che vogliono e devono essere aiutati e non saprà come spiegare, poi, come è riuscito lui ad uscirne.

   «Lo abbiamo detto ieri, no? Non è stato poi così male e, sinceramente, mi sentirei in colpa a non aiutarla.»

   Semplice e conciso, come sua madre. Sincero e giusto, quasi insopportabile, a dirla tutta, perché in questo modo non può escluderlo, né tantomeno può dirgli che non ha bisogno del suo aiuto perché, in fin dei conti, sotto a tutta quella confusione che Joshua sente dentro, l'idea che qualcuno lo stia aiutando e che ci tenga tanto quanto lui, lo conforta.

   «Va bene. Ci vediamo alle sei, stacco dal lavoro alle cinque. Dove si trova la chiesa?»

   «Oh, no, nessuna chiesa. Ci vediamo alla stazione di Covent Garden. Da lì ti scorto io.»

   Joshua alza gli occhi, e cerca di immaginarsi un incontro con un prete che non sia in una chiesa, il che gli apre alla mente scenari che un po' lo confondono e un po' non lo confortano affatto. Non fa in tempo ad elaborare un pensiero che abbia un minimo di coerenza, che Maria torna con il disegno tra le mani. Guarda prima il bicchiere di succo e poi lui e, prima di porgergli il foglio, chinandosi in avanti in un gesto che sa di materno, sorride.

   «Non ne hai bevuto nemmeno un goccio. Tieni», gli consegna il ritratto e Joshua, prendendo con un gesto cieco il bicchiere tra le mani, beve in un sorso il liquido arancione. Lo poggia poi vuoto, sul tavolo, cercando di tenere gli occhi ovunque, purché non sia sulle superfici riflettenti di cui sono fatti il bicchiere e gli occhi di Maria.

   «La ringrazio, appena avrò qualche informazione in più, le farò sapere», dichiara, e annuisce per essere più convincente.

   La signora Soria, al contrario di lui, risponde con un diniego della testa. «Sono io che ringrazio te per quello che stai facendo per lei

ՑՑՑ

   C'è una cosa che Joshua, durante tutta la sua giornata lavorativa, si è effettivamente chiesto, dopo il suo colloquio con Maria e, a dirla tutta, non riesce a smettere di pensarci nemmeno ora, mentre sta per scendere le scale della metropolitana di Queensway, vicino all'Hotel dove lavora come gestore delle prenotazioni online - un lavoretto part time che gli permette di sostenere le spese universitarie così che nonna Agnes non debba sborsare nemmeno un soldo -, ovvero: come ha fatto Maria ad arrivare a Janine? Attraverso chi e cosa? Ha pensato a molte possibilità, tra cui una qualche segnalazione dalla libreria stessa, dopo tutti i fatti strani che vi accadono dentro – insomma, un'ala della biblioteca che si pulisce e sistema da sola, è abbastanza inverosimile e, pensare che sia stato un ladro a fare una cosa così, è abbastanza assurdo. Quindi, una delle ipotesi, è che attraverso una rete di conoscenze, qualcuno sia arrivato alla signora Soria e si sia rivolto a lei per chiedere disperatamente aiuto. Ma chi? La bibliotecaria dormigliona all'entrata? Gli sembra inverosimile. In più, dalle poche informazioni che ha ricevuto da parte della donna, non sa nemmeno quanto tempo fa Maria si sia effettivamente attivata per aiutare Janine. Possono essere passati giorni, come anni, e dunque le domande si sovrappongono ancora: da quanto è morta, Janine? Da che punto della storia del mondo devono cominciare a investigare, lui e Robin, per scoprire qualcosa su di lei?

   L'altra soluzione, anch'essa abbastanza verosimile, è che Maria si sia imbattuta nella piccola libreria, residenza ironicamente fissa del fantasma della ragazza e che l'abbia semplicemente vista per caso, e abbia tentato di aiutarla.

   Plausibile, ma non la risposta che cerca. Ci sono troppe domande ancora irrisolte che girano intorno a quella storia, e Joshua non ha nemmeno una risposta e, a dire la verità, non ne ha ricevuta nemmeno una. A volte – e non lo pensa con malizia, pensa che Maria gli stia dando poche informazioni perché sì, okay, da una parte forse non sa molto, ma dall'altra pare quasi che desideri vederlo arrivarci da solo.

   Non sappiamo chi fosse Janine quando era viva, pensa, mentre scende dalla metropolitana di Covent Garden e evita abilmente il proprio riflesso sulle porte dell'ascensore di metallo.

   Sale la scalinata che lo porta in superficie, verso l'uscita che dà sulla Royal Opera House e, poco più avanti, di fronte ad un bar, c'è Robin che lo aspetta. Ha addosso la sua divisa scolastica verde bottiglia, sopra di essa la solita giacca di pelle aperta sul davanti e i capelli ingelatinati all'indietro, ma che hanno iniziato a lasciargli cadere qualche ciocca davanti agli occhi. Muove il viso per spostarle, senza successo e, quando lo vede, toglie una mano dalla tasca della giacca e la alza. Joshua fa lo stesso.

   «Ciao. È tanto che aspetti?», chiede, quando lo fronteggia.

   «No, solo qualche minuto. Ne ho approfittato per comprare un pacchetto di patatine. La conversazione con padre Richard potrebbe tirare per le lunghe. Sai, i sermoni non li fa solo in chiesa.» Robin ride, ma a Joshua la cosa mette solo più ansia. Se già non regge un'intera omelia, non sa cosa potrebbe succedere incontrando un prete al di fuori di una chiesa, parlando di gente morta intrappolata in una biblioteca. Risponde con un sorriso di circostanza e l'altro sembra capire che non è esattamente entusiasta all'idea di questo incontro. Un po' Joshua ne è sollevato, che ne sia consapevole. «Andiamo?»

   «Ti seguo.» Robin non perde tempo, gli fa cenno di seguirlo lungo Shelton Street, verso una viuzza intera che, per fortuna, li libera anche dal caos cittadino di una zona così centrale come Covent Garden. Si ritrovano così su Neal Street e, poco dopo, di fronte ad un enorme negozio. No, non è un vero e proprio negozio, è una fumetteria. Un luogo che Joshua conosce molto bene e che mai, e poi mai, avrebbe pensato di utilizzarla come luogo di incontro con un prete. Alza la testa verso l'insegna e legge, a caratteri cubitali: Forbidden Planet Megastore.

   «Robin.» Lo chiama solo, senza staccare gli occhi dalla scritta. Non ha domande, è solo perplesso.

   Robin sembra capire il suo senso di spaesamento e, con una gomitata, gli fa cenno di entrare, senza dire altro. Joshua si ritrova a seguirlo, chiedendosi che cosa accidenti ci fanno lì, mentre una povera morta li aspetta per risolvere un enigma che la libererà e a cui hanno promesso di fare il possibile.

   La fumetteria è enorme, esattamente come Joshua la ricordava – non ci va spesso, solo ogni tanto con Fred e preferisce farlo nei giorni in cui è meno affollata e, per fortuna, oggi la situazione è abbastanza tranquilla. Solo che Robin non si ferma a guardare i fumetti, o le action figure o tutte quelle cose che la fumetteria offre. No, Robin sguscia tra le persone, portandoselo dietro e raggiunge una porta, coperta da una tenda in forex con stampato sopra Batman.

   Joshua è sempre più confuso.

   Appena varcano la soglia, scopre che dietro quella tenda c'è nascosto un ulteriore mondo: quattro o cinque tavoli sono disposti casualmente qua e là e, uno di essi, è occupato da cinque persone. Una di queste, è un prete.

   «Eccolo lì, magari aspettiamo che finisca.»

   «Robin.» Lo chiama di nuovo e lui, finalmente, si volta a guardarlo.

   «Lo so, è strano, pensavi ti avrei portato in una chiesa e invece...»

   «Che accidenti succede qui dentro?»

   «Nulla.» Robin alza le spalle, come se davvero non ci fosse nulla di strano nella scena che si è presentata loro davanti. «Padre Richard è il nostro master di D&D e sta semplicemente finendo una campagna one shot!», spiega Robin e Joshua ha l'impressione che, il mondo, in questo preciso istante, sia completamente capovolto.

   È tutto semplicemente assurdo e se è un sogno, vuole svegliarsi al più presto. 

Fine Capitolo X


(Questo capitolo partecipa al COWT12 (M3) indetto da Lande di Fandom con il prompt "TRE SCENE")

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