Secondo finale
Nessuno entra invano nella tua vita, o è una prova oppure è un dono.
Il monologo de Le fate ignoranti campeggia sul muro ammuffito scritto con la bomboletta nera. L'intonaco scrostato viene via a pezzi portandosi dietro parti dei caratteri sgraziati; chissà come il misterioso filosofo sia riuscito a scrivere lassù, a ridosso del tetto in una zona senza appigli. Magari una scala.
Kisame si chiede da sempre come facciano i graffittari a passare inosservati, se facesse lui cotante acrobazie finirebbero per vederlo dalla luna, senza contare che impiegherebbe un'eternità.
La frase è stata impressa nello squallore per un evento positivo, la persona che ha guidato la mano dell'autore rappresenta la parte del dono. Sì, perché quando vieni messo a dura prova non hai voglia di andarlo a sbandierare su tutti i muri.
Nello spiazzo dietro il palazzo abbandonato, le rotelle degli skater graffiano le mattonelle consunte e, a tratti, dissestate. Sebbene le gomme delle biciclette freestyler non producano suoni, Kisame sente le voci dei ragazzi che si allenano e li vede balenare tra un muro e l'altro. Le strade prive di automobilisti e pedoni sono perfette nonostante le erbacce che le divorano, una sorta di simulatore assai realistico.
La sera sta per scendere, il proprietario del materasso su cui Kisame si è buttato potrebbe rientrare da un momento all'altro. L'effetto delle birre, di cui ha perso il conto, gli impedisce di preoccuparsene. È novembre inoltrato, a quell'ora freddo e umido morderebbero le ossa di chiunque non sia impegnato nello sport, eppure Kisame ha lanciato la giacca nel bel mezzo di una partita di street basketball diversi metri più avanti. Il dolore pulsante che gli squarcia le mani tagliate non risulta per niente attutito, tuttavia non è niente se paragonato allo strazio che gli slabbra l'anima. Non è andato a medicarsi, si è solo rattoppato col primo straccio trovato in casa affinché il sangue non gocciolasse troppo. Non si è soffermato a preoccuparsi tanto della pulizia di ferite e bende, ben venga l'infezione se serve a rivedere Itachi.
Non era mai stato prima in quella zona, Kisame non sa neanche come sia arrivato fin lì, l'alcol gli ha annebbiato la memoria strada facendo tra un sorriso automatico e l'altro. L'edificio dimenticato ospitava probabilmente dei negozi al piano terra, lo testimoniano le vecchie saracinesche sbarrate e arrugginite. Forse le cime spoglie degli alberi oltre la recinzione in mattoni, una volta componevano un parco.
Kisame non è abbastanza intontito da non prevedere la fine dell'effetto anestetizzante, prima o poi il dolore si riaffaccerà e, ogni volta, sarà sempre più arduo tenerlo a bada. Nel frattempo lo sguardo gli ricade sulla scritta.
Itachi è stato un dono o una prova?
Un dono che Kisame ha ucciso con la sua vigliaccheria, lasciato andare per non aver saputo spodestare Obito dall'immeritato piedistallo. Per cambiare ciò che non piace occorre sempre una cospicua dose di palle, Itachi è dovuto morire affinché il concetto gli entrasse nella maledetta testaccia.
Forse Itachi è stato una prova, è arrivato per insegnargli finalmente qualcosa.
E Kisame non lo ha mai ringraziato. Dovrebbe chiedergli scusa per averlo costretto a dare la vita per lui, dirgli quanto siano stati adorabili i suoi complimenti e incoraggiamenti. Kisame non sa come gridare a Itachi quanto abbia bisogno di lui.
Riportami all'inizio, Itachi. Alla prima pagina, non importa quanto sarà difficile.
Non c'è birra al mondo che possa asciugare le lacrime. Kisame le sente scivolare calde sul viso, poi picchiettano il lurido materasso per farsi assorbire dalla desolazione. Chissenefrega se adesso non è proprio l'esatto modello della dignità, non gli resta che singhiozzare.
Qualcosa gli vibra in tasca, il dannato telefono. Il regalo di Itachi con tutto il backup della sua vita. L'insulsa esistenza del prima, quando ancora Itachi non era presente. Kisame era convinto di averlo gettato via con la giacca. Non ha mai scattato una foto con Itachi. Non ha un'immagine di Itachi.
Possiede solo il regalo di Itachi. Kisame estrae il cellulare dai pantaloni solo per ammirarlo controluce davanti al crepuscolo.
È Deidara. Non lo ha mai chiamato in un orario extra lavorativo sebbene si conoscano da dieci anni, strano anche che abbia i coglioni necessari per disturbarlo in un momento come quello. Durante un giorno simile, iniziato con...
Il viso di Itachi.
"Pronto?" Kisame non avrebbe risposto solo se fosse stato Obito, chiunque altro può anche sentire la sua voce rotta dalla disperazione. Obito no, per lui significherebbe vittoria.
"Kisame, non ti disturberei se non... riguardasse Itachi" Ovvio. Kisame lo immaginava. Ora che il nome di Itachi è saltato fuori possiamo andare avanti, per così dire, più tranquilli. Gli piace pensare che il peggio sia passato.
Kisame usa una pausa silenziosa come autorizzazione a continuare il discorso.
Anche il respiro di Deidara trema, ne prende uno profondo e la difficoltà a controllarsi è evidente: "Itachi aveva con sé il manoscritto di un racconto fantasy, non è firmato ed è privo di titolo."
Intervallo singhiozzi, Kisame è costretto ad allontanarsi il telefono dall'orecchio. Gli riesce difficile avere compassione degli altri quando è lui a soffrire più di tutti. Non ha tempo per essere disgustato da se stesso e per la mancanza di empatia, il suo cervello è ormai in sovraccarico di sofferenza e non sopporta neanche più di essere sfiorato. Nonostante sia disdicevole, Kisame non è certo di poter sostenere lo sforzo necessario per ammettere di essere proprio lui lo scrittore. Perciò, Deidara gli ha appena comunicato un'informazione superflua.
Che buttino pure il racconto, gli piace immaginarlo sigillato dentro lo scrigno del passato apprezzato solo da Itachi. Kisame non potrebbe mai vederlo in mano a sconosciuti, la memoria dei suoi pochi giorni felici insieme a Itachi ne risulterebbe violata.
Deidara interpreta i secondi di indecisione come beneplacito a proseguire: "Abbiamo bisogno del tuo aiuto, Kisame. Vorremmo evitare di chiederlo a Obito."
Deidara non riesce più a spiccicare parola, non districa la frase il necessario per delucidare in cosa Kisame dovrebbe dare una mano. Si distingue chiaramente una mano impadronirsi del telefono di Deidara per spiegare al posto suo: " Io, Deidara e Sasuke stiamo provando a rintracciare l'autore, ma purtroppo le nostre ricerche non stanno producendo risultati."
È Sasori. Sasuke è lì con loro, dunque. Qualcuno da comprendere, distrutto quanto e più di Kisame. Una persona da guardare negli occhi e con cui capirsi al volo, per la quale Itachi era amore, non un mero collega di lavoro.
Kisame scatta seduto sul materasso, in ascolto. Il dolore alle mani forse si fa sentire davvero solo adesso.
"Dalla posizione del corpo si evince come Itachi abbia tentato di salvare il manoscritto fino all'ultimo respiro" il tatto di Sasori si mantiene pressoché nullo, ma almeno è chiaro "deve appartenere a una persona per lui molto cara, però Sasuke non ha idea di chi possa trattarsi."
Il cuore di Kisame si ferma all'accentuarsi del dolore. Lui per Itachi è stato importante, anche se per pochi giorni.
Itachi, dono e prova. L'angelo arrivato per spiegargli che i cambiamenti non si ottengono senza impegno.
"È mio" Kisame deglutisce le fiamme che ha in gola "Ho scritto io il racconto."
Itachi non deve essere morto invano, lo grida ogni muro dell'appartamento, il manoscritto stretto sul petto di Kisame, il volto distrutto di Sasuke.
Kisame ha incontrato il fratello minore di Itachi a casa di Deidara, dove collaboravano per rintracciare l'autore del racconto ignorando che, in realtà, sono colleghi e amici da ben dieci anni. Colui che gli ha restituito la memoria del telefono solo perché richiesto dal fratello maggiore. Sasuke ha concesso il favore senza avere la più pallida idea di chi fosse Kisame, lo ha fatto per amore di Itachi. Kisame non è riuscito a proferire parola al suo cospetto, non ha saputo che pesci pigliare mentre Sasuke gli affidava il manoscritto guardandolo con gli occhi rossi e cerchiati. Sempre impeccabile, solo la camicia leggermente stropicciata e un paio di ciocche fuori posto. Sebbene Sasuke abbia lasciato andare Kisame con dignità, il suo sguardo lo ha seguito urlando una richiesta: Kisame, fa' in modo che Itachi non sia morto invano.
Kisame odia quel manoscritto, detesta se stesso per averlo scritto. Se non lo avesse partorito in preda al grigiore della vita quotidiana, se solo fosse stato fornito della maturità necessaria per accettare l'incapacità del mondo reale di elevarsi oltre un certo livello, Itachi non sarebbe morto per salvare i suoi deliri.
Resiste alla tentazione di accendere un falò proprio lì, nel bel mezzo di camera sua per buttarci dentro la maledetta risma di fogli. Il racconto vedrà la luce. Questo Itachi avrebbe voluto, nella gelateria aveva spronato Kisame a inseguire i suoi sogni. Almeno provarci. Kisame ha intravisto la stessa preghiera nello sguardo annientato di Sasuke.
Sul retro dell'ultima pagina spicca una macchiolina rossa, è microscopica e forse Sasuke non l'ha notata. Non è sfuggita dalle mani dilaniate di Kisame, era già presente prima che Sasuke raccogliesse il racconto dalla scrivania di Sasori e Deidara, gli occhi di Kisame ne sono stati immediatamente feriti. Forse Itachi ha incassato il colpo letale per proteggere il manoscritto. La sua mano non è rimasta congelata nell'atto di afferrare la borsa come la prima impressione potrebbe suggerire, in realtà Itachi ha perso secondi preziosi per lanciarla più lontano possibile dall'incidente.
È morto affinché Kisame potesse cambiare vita.
Kisame, buttato sul letto a fissare il soffitto che traballa, non ha chiaro come potrà affrontare la vita senza Itachi, ma è sicuro dei prossimi passi da compiere.
Non ha un titolo, ma arriverà. Prorompente, sconvolgente, come diceva Itachi. E avrà una dedica, più importante del racconto stesso. Non ha importanza tra quante mani finirà e se lo comprenderanno davvero.
C'è qualcosa che grida sempre più forte, malgrado Kisame gli volti le spalle. Sgomita, non accetta di essere ignorato. È una maledetta primadonna vanitosa, non desisterà.
Itachi. Non ne resta che il ricordo perché non c'è più. Da un giorno esatto.
Kisame deve aprire gli occhi e affrontare la realtà, non può certo dormire per sempre. Deve ammettere di essere stato fortunato per aver riposato qualche ora.
Non metterà più piede alla ImmerTech, le priorità sono cambiate.
Il panico sormonta il dolore nell'accorgersi che il manoscritto non è più dove lo ha lasciato poche ore fa, ovvero appoggiato al suo petto, stretto tra le mani. Non è lunghissimo, ma non ne avverte il peso, le dita non si scontrano più con la consistenza della carta. Rubato.
Kisame scatta a sedere, magari è caduto in terra durante il suo sonno tormentato. Guarda affannato sotto il letto, non c'è. Scaglia le coperte alla rinfusa senza preoccuparsi del lampadario colpito e dell'unico soprammobile -una bomboniera della comunione- andato in frantumi. Niente. Il racconto è sparito. Non appare da nessuna parte. Dannato alcol, gli ha fatto perdere l'unico oggetto fondamentale che gli resta; l'ultimo, estremo e disperato legame con Itachi.
Kisame spesso ha usato il dolore fisico per distrarsi da quello emotivo, più ingestibile e senza rimedio. Ricorreva a questo stratagemma da giovane, con l'effimera sofferenza delle delusioni adolescenziali che, allora, parevano insormontabili, non avrebbe mai pensato di dover usufruire di nuovo dell'accorgimento. Però, ora non c'è più niente a distoglierlo dalla mancanza di Itachi; che lo faccia sperare di finirla lì a causa di un'infezione.
Kisame registra dapprima il tatto, le mani non sono più strette in fasce improvvisate. Abbassa lo sguardo dove avrebbero dovuto esserci i tagli, ma scorge solo pelle intatta.
Un sogno atroce, senza nessuna possibilità di discernere la finzione e cercare un appiglio per uscirne. A Kisame non è mai capitato, nei sogni usuali a un certo punto capita qualcosa di illogico che tradisce la messinscena. Non in questo caso, tutto è sembrato dannatamente vero.
Il dolore alle mani, il corpo di Itachi scomposto nell'innaturale posizione in mezzo alla strada. La macchiolina sul manoscritto, la disperazione dignitosa di Sasuke.
E quella mancanza, quel vuoto che fa desiderare di non esistere più.
Itachi gli ha fatto un dono e lo ha messo alla prova al tempo stesso. C'è riuscito, ha insegnato a Kisame che non bisogna trascurare le persone care e acchiappare i sogni senza paura.
Mostruoso, ma comunque solo un incubo. Magari la rielaborazione delle parole di Itachi alla gelateria.
E se invece cambiasse tutto?
Itachi è vivo e ora si trova alla ImmerTech insieme a Obito e gli altri. Kisame deve incontrarlo, fargli capire quanto sia importante, molto più di Obito. Anzi, Obito non conta più niente.
Deve chiedere scusa a Itachi per averlo ignorato e messo al secondo posto, dietro l'insulsa esistenza che gli sembrava normale e fortunata. Prenderlo per mano e trascinarlo via, verso la loro vita, quella ardua ma vera. Ora. Immediatamente. Senza preoccuparsi di Obito, del suo pensiero e delle conseguenze.
Kisame ha il dovere di sfruttare quel sogno illuminante.
Cerca il telefono per avvertire del ritardo. Non lo trova, forse lo ha messo nel cassetto. Lì Kisame trova solo il manoscritto, intatto e senza l'agghiacciante macchiolina rossa. Sollievo per l'ulteriore conferma che è stato un sogno, trepidazione sempre più urgente per mostrare a Itachi quello che prova per lui. Ha voglia di gridargli che sì, inseguirà i suoi sogni, e lo faranno insieme.
Al diavolo il telefono, Kisame balza dalla stanza senza pettinarsi e radersi, con i vestiti sbilenchi, stropicciati e scombinati. Rammenta di raccattare il portafoglio giusto all'ultimo secondo.
Alla ImmerTech è tutto identico a sempre, Kisame capta il chiacchiericcio di Deidara già da metà scale. Il collega si ammutolisce all'improvviso vedendolo piombare trafelato nell'ufficio di coworking. Gli occhi di Sasori sono talmente sgranati che sembrano schizzargli dal cranio. Obito tramuta l'espressione seccata dal ritardo nello sconvolgimento di trovarsi al cospetto di un pazzo.
La borsa di Itachi è sulla solita sedia, quella accanto alla postazione di Kisame. Ma lui non c'è.
"Dov'è Itachi?" Kisame tuona gracchiante e col fiatone.
"Kisame... è in bagno" il Deidara angosciato è una novità.
L'espressione turbata di Obito si infiamma di gelosia. Che vada al diavolo, Itachi è la persona più importante per Kisame e deve iniziare a ficcarselo in testa.
Kisame si precipita davanti alla porta del bagno, il pugno già alzato per bussare. Ha intenzione di colpire la porta finché Itachi non esce e finalmente potrà portarlo via. Se non risponde la abbatterà.
Itachi lo anticipa, la calma silenziosa con cui apre la porta congela Kisame con la mano in aria. È lì, è vivo. Nessun alone sinistro incombe come era accaduto prima che il furgone scassato decretasse la fine del telefono di Kisame, come le volte in cui Itachi è sbucato fuori dal nulla. Non c'è più la forza negativa emanata da Obito nel parcheggio. Per non parlare della morte di Itachi, sembrava messa lì ad arte, quasi fosse la scena di un film troppo pacchiano. Adesso è tutto reale, la luce è normale, niente contorni distorti o tempo che scorre in modo bizzarro. Una comune mattinata lavorativa non particolarmente degna di nota.
Kisame è ancora più sollevato, quello che si è lasciato alle spalle è chiaramente un incubo e nulla più. Eppure sembra essere durato un intero giorno.
Kisame percepisce l'inconfondibile fragranza di Itachi. Vorrebbe abbracciarlo, esultare, poi fuggire via più distante possibile. Tuttavia, gli occhi di ossidiana lo frenano. Lo squadrano apprensivi, le lunghe ciglia hanno un tremito. Itachi sta registrando l'aspetto insolito e trasandato di Kisame: barba di un giorno, capelli scomposti, camicia gualcita e mezza fuori dalla cintura. Kisame spera di non emanare anche puzzo di sudore. Ma, dannazione, anche se è stato un sogno ha appena vissuto la perdita di Itachi e ora sa quanto possa fare male.
"Ti senti bene, Kisame?" la domanda non è canzonatoria, tantomento strafottente. Solo sorpresa e genuina preoccupazione.
Kisame non intende sprecare la seconda occasione concessagli dal sogno. Sebbene abbia confessato a Itachi di non credere nel destino, potrebbe essere stata una premonizione.
Un fallimento non fa male quanto il rimpianto di non aver tentato.
Kisame non ha mai udito parole più vere. Semplici, che arrivano al cuore senza scalfire la pelle. Come solo Itachi sa fare.
È il momento di impegnarsi per cambiare. Kisame afferra con veemenza le spalle di Itachi, lo guarda, ma non sa come cominciare. In fin dei conti esordire con un -Itachi, ho sognato la tua morte ed era così tangibile che sono finito per crederci- non è il massimo per uno già additato come cliente ideale del manicomio.
"Kisame, capisco che tu sia stufo di stare senza telefono" Itachi balbetta interdetto cercando di comprendere il comportamento dell'amico "Ma ancora non è pronto."
"Cosa?" Kisame grida talmente sconvolto da far affacciare gli altri in corridoio. Le facce di Deidara e Sasori sconvolte, Obito ghigna di soddisfazione. Come sempre, quando la reputazione di qualcuno sta per essere danneggiata, ancora meglio se si tratta di quella del rivale.
Rivale in cosa?
Il tempo si è riavvolto. Qualcuno ha premuto il tasto rewind di un'interfaccia falsa di cui solo Kisame conosce l'esito. Solo lui vede attraverso il velo di finzione. Forse il sogno non è ancora finito, un incubo nell'incubo. Il giorno della morte di Itachi è iniziato di nuovo; e, per ora, tutto sta procedendo identico alla prima volta. Si può impazzire per una situazione così assurda, più tremenda dei particolari inquietanti che si sono susseguiti da dopo l'arrivo di Itachi.
Forse Itachi stesso non esiste, è un'allucinazione, un personaggio partorito dalla mente di Kisame a cui ricorrere quando la realtà inizia a fare troppo schifo. Eppure Itachi è lì, Kisame lo stringe più forte, avverte il calore della sua pelle, distingue il suo volto accartocciato di dolore e incredulità. Lo sbatacchia, il corpo di Itachi ha una consistenza.
"Lasciami subito, Kisame" gli occhi di Itachi si assottigliano taglienti, la replica asciutta fa ancora più male del suo recalcitrare spaventato "Avrai il telefono in tarda serata. Sasuke, fortunatamente, ha un sacco di clienti."
Tutto sputato a ciò che Kisame rammenta. Stasera Itachi verrà da lui col telefono, andranno in gelateria e troveranno Obito a spiarli al loro rientro.
Kisame molla le spalle di Itachi per afferrargli un braccio, lo strattona verso l'uscita sotto gli sguardi attoniti degli altri: "Devi venire con me, Itachi. Subito. Domani mattina..."
Domani mattina morirai.
Sogno o no, il dolore è troppo vivo per poter essere ignorato. Forse è una seconda occasione. Un miracolo.
"Sei impazzito, Kisame? Mi stai facendo male" Itachi riesce a divincolarsi, spazientito, dalla presa. Il rimprovero è gelido "Nonostante io non comprenda questa tua dipendenza dal telefono, stasera te lo porto a casa appena pronto."
"Non si tratta del telefono, Itachi."
Domani mattina morirai.
Ma Kisame può solo bofonchiare rivolto alla schiena di Itachi che rientra in ufficio ignorandolo.
Kisame si riveste in fretta e furia, addirittura si proietta fuori dal bagno con la cintura ancora slacciata. Ha rischiato di farsela sotto per non perdere di vista Itachi, poi ha dovuto capitolare. La pausa pranzo sarà tra un quanto d'ora; visto come Itachi è ligio all'orario, Kisame calcola di potercela fare.
"Itachi?" Kisame sente una pugnalata alla bocca dello stomaco. La testa è leggera, il nome Itachi perde significato. Esiste davvero?
Si è volatilizzato, la borsa a tracolla è scomparsa dalla sedia.
"Kisame, è appena uscito" Deidara interviene circospetto, il pazzo scatenato potrebbe ripartire "Dopo aver ricevuto una chiamata del fratello, ha chiesto di staccare dieci minuti prima."
"Permesso accordato, naturalmente" Obito si intreccia le dita sotto il mento a mo' di sfida, ostenta a Kisame che non ha certo bisogno dell'opinione altrui per gestire i dipendenti.
Che Obito ingoiasse il suo astio fino a sfamarsene. Kisame è al corrente dell'epilogo del giorno attuale, deve lottare affinché l'esito cambi anche a costo di passare per squilibrato. Poltrire o farsi intimorire significherebbe uccidere Itachi.
"Itachi!" il grido di Kisame riecheggia nella tromba delle scale.
L'ascensore ha ormai superato il primo piano e si dirige verso il fine corsa.
Kisame si tuffa sui gradini. Rischia di inciampare nei propri piedi, ma non può permettersi di infortunarsi, chi salverebbe Itachi?
L'apertura delle porte dell'ascensore risuona più in basso.
"Itachi, fermati!" Kisame slitta sul pianerottolo, ma ha davanti un'altra rampa.
Troppo tardi, il portone si richiude. Itachi è in strada, proprio nel punto dove ha perso la vita.
Kisame non respira più, come si può essere così imbecilli? Si aspetta, da un momento all'altro, lo stridio delle gomme e i due impatti in rapida successione. Insieme a Itachi, morirebbe anche lui.
Itachi adesso non ha con sé il manoscritto; ancora non è neanche al corrente della sua esistenza, perciò non c'è il rischio che perda secondi decisivi per salvarlo. E poi l'incidente si verificherà domani.
L'ultima ed effimera speranza scaglia Kisame in strada.
Si scherma gli occhi, geme affranto durante il frenetico voltarsi a destra e sinistra alla ricerca di Itachi. Magari è sparito nel nulla come è solito fare, forse sta impazzendo davvero.
Eccolo, Itachi cammina tranquillo, è all'incirca nello stesso punto in cui il misterioso furgone ha ricoperto il telefono di Kisame di fango. Gli dà le spalle senza accorgersi della sua presenza.
"Itachi!" Kisame si scapicolla con i vestiti incollati nel pessimo appiccicaticcio del sudore.
Itachi si ferma, si gira. Concede uno sguardo apatico a Kisame, poi sbuffa constatando l'inconsueta sollecitudine del collega non ancora sopita.
"Itachi, volevo chiederti..." Kisame abbassa lo sguardo imbarazzato, non può esimersi dal giocherellare nervoso con le ciocche disordinate dei capelli, prive di cure da oltre un giorno "Ti andrebbe di pranzare insieme?"
"Grazie, Kisame, ma non posso" Itachi inclina distratto e ammansito la testa di lato "Ho in programma di mangiare con Sasuke, come faccio ogni giorno. Sarei felice di concordare un'altra occasione."
Sebbene Itachi non abbia rifiutato in maniera totale, si volta senza accomiatarsi ulteriormente per proseguire nel suo intento.
"Itachi, ti accompagno" Kisame lo afferra ancora con forza per un braccio, non importa mandare definitivamente a puttane la reputazione, Itachi deve fermarsi. Ne va della sua vita "Mi farebbe piacere conoscere Sasuke. In fondo è una sorta di benefattore per me, vorrei cogliere l'occasione per ringraziarlo."
"D'accordo" Itachi si rassegna sbuffando dal naso, scocca un'ultima occhiata aspra a Kisame prima di completare la risposta senza più neanche guardarlo "Oggi non ti senti bene, non è il caso di lasciarti solo."
È mezzanotte passata, come la prima volta. Le mani di Kisame tremano senza pace. Passano sul visto, lo sfregano rudi tant'è che la pelle si fa livida. L'irritazione deriva anche dalla rasatura fatta in serata, prendersi cura di sé ha aiutato Kisame a distrarsi.
Magra consolazione, comunque. Il febbrile avanti e indietro attraverso l'appartamento perdura senza sosta. Stavolta le luci sono tutte accese, la penombra scatenerebbe funesti ricordi.
Separarsi da Itachi a fine giornata è stato tremendo, un violento strappo da cui l'anima ne è uscita a brandelli. Kisame ora si fustiga per non aver saputo elaborare una scusa al fine di restargli attaccato come una cozza.
Itachi e Sasuke hanno pranzato in un ottimo ristorante di sushi, loro meta quotidiana a sentire il minore. Sasuke è stato il più loquace, nonostante anche lui non spicchi in espansività. Comunque tutto l'opposto dall'immagine devastata dal dolore impressa nella fallace memoria di Kisame. Sasuke ha promesso il cellulare entro fine giornata e Kisame sa che sarà così. Il giovane lo ha affermato sfoderando un accenno di sorriso, Kisame ha fatto una buona impressione sul fratello più piccolo nonostante l'aspetto trascurato e il viso segnato dalla stanchezza.
Il silenzio di Itachi è stato pesante, ha parlato poco col fratello e per niente con Kisame. Non ha fatto altro che sommergere Kisame di occhiate critiche e furtive con l'unico scopo di sincerarsi della sua salute. Per la prima volta Kisame ha visto Itachi mangiare, muove le dita con grazia e lentezza in ogni occasione. Kisame si incanterebbe persino guardandolo lavare un pavimento. Nonostante il ritorno verso la ImmerTech sia stato costellato di soli monosillabi e grugniti, Itachi è apparso tranquillizzato.
Il giorno vissuto due volte per ora si sta ripetendo senza variazioni di sorta, Kisame non è ancora riuscito a imprimere il mutamento necessario per salvare Itachi. Lo deve riconquistate, Kisame rivuole l'Itachi gentile del primo giorno.
Aguzza l'udito per captare ogni suono proveniente dal parcheggio. Le tende sono tutte tirate, ma Obito potrebbe essere già appostato.
Kisame sobbalza daccapo al trillo del campanello, ma stavolta accorre senza esitare. Itachi è ridiventato indulgente, entusiasta di donare compagnia a Kisame.
Kisame si affretta ad aprire la porta, Itachi potrebbe giungere inspiegabilmente in pochi attimi. Invece no. Stavolta Kisame coglie il leggero rimbombare dei suoi passi per le scale. Frena la tentazione di andargli incontro, non vuole farsi vedere ancora alterato da Itachi. Non si rende conto di restare affacciato, col capo fuori e il corpo dentro come un ebete.
Ecco sbucare Itachi dall'ultima rampa; ha impiegato un tempo normale, il petto gli fa su e giù come un mantice. Sorride. Preleva il cellulare nuovo dalla borsa per mostrarlo a Kisame ancora prima di entrare, gli occhi neri sono accesi di decoroso trionfo.
Dal momento che Itachi gli mette il telefono praticamente in mano, Kisame è costretto ad afferrarlo, poi lo poggia subito sul tavolo del salotto senza accenderlo: "Grazie, Itachi."
"Non verifichi se c'è tutto?" Itachi, ancora scosso da un leggero ansimare, è stupito dall'imprevista reazione dell'amico "Mi fa piacere ritrovarti in forma."
"Sono certo che sia tutto salvo" Kisame è imbambolato, non riesce a staccare gli occhi da Itachi. È reale, non può essere un sogno.
"Itachi, posso offrirti qualcosa per ringraziarti?" Kisame si sbriga a scortare Itachi verso l'angolo bar, prima che l'idea di uscire possa balenargli in testa "Non importa se non reggi l'alcol, ti preparo un cocktail di sola frutta. Ho anche dei pasticcini."
Tra poco all'esterno ci sarà Obito in agguato. Se Kisame riesce a tenergli nascosta la presenza di Itachi, domani non lo licenzierà e lui non morirà.
Itachi, già posizionato sul soffice pouf dinanzi al basso tavolo di legno, indirizza a Kisame un'occhiata sospettosa: "Quando ti avrei riferito la mia scarsa sopportazione dell'alcol?"
Kisame avvampa di impaccio e terrore. Allora è vero. In gelateria ci sono stati, Obito li ha visti e Itachi è morto poche ore più tardi. Attualmente Itachi sta andando ancora dritto incontro alla fine, Kisame deve impegnarsi al massimo per modificare l'andamento del tempo. È atroce non potergli confessare tutti gli avvenimenti di cui è ignaro; buttarsi tra le sue braccia, piangere implorandolo di aiutarlo.
"Un tè verde andrà benissimo" la voce di Itachi, già placata, accarezza Kisame strappandolo agli orrendi ricordi. Il suo viso è sereno. "Si abbina meglio con i pasticcini."
Itachi allunga lento e furtivo le dita verso il vassoio di dolcetti che Kisame gli ha posato davanti. Tra tutte le squisitezze offertegli, sceglie la semplicità: uno spiedino di dango. Avvicina elegante la prima pallina alla bocca, le labbra si schiudono appena, gli occhi divagano distratti sul drago verde disegnato sul muro. Dopo aver giudicato la pallina troppo grande per essere mangiata intera, ne stacca un morso che poi va a masticare lemme gonfiando leggermente una guancia.
Mentre prepara i tè, Kisame scruta Itachi di nascosto. Ne cerca sul corpo e nei gesti i segni dell'infausto destino ancora in ballo, un particolare risolutivo per cambiarlo. Non trova niente e il gelo ricomincia a insinuarglisi nel petto.
L'ebollizione dell'acqua lo scolla dai binari d'inquietudine per riportarlo alla realtà, dove tutto ora è consueto.
Itachi sorride scorgendolo arrivare con il tè; posa il dango mangiucchiato e si alza per aiutare Kisame. Afferra la tazza destinata a lui e qualcosa colpisce il piccolo tavolo. È sfuggito da sotto il suo maglioncino viola e, addirittura, ha scheggiato il piatto dei dolcetti con un colpo secco.
"Si è rotta la chiusura" Itachi maneggia la collana con il grosso ciondolo prima di infilarsela in tasca e rimettersi seduto.
Gli occhi di Kisame si sgranato, alza leggermente la voce: "Domani corri subito dall'orefice; sistemalo, non rischiare di perderlo. È raro, oggigiorno, incontrare una persona che conserva la foto del proprio fratello appesa al collo piuttosto che nel cellulare."
Itachi smette, sospettoso, di gustarsi il tè: "Come fai a sapere che lì dentro conservo una foto di Sasuke?"
"Beh" Kisame si siede impacciato, smorza la difficoltà bevendo a sua volta "Quel genere di ciondoli, di solito, custodiscono ricordi speciali."
Itachi placa le diffidenze, ripesca il ciondolo per porgerlo all'amico.
Kisame lo rigira, finge di aprirlo per la prima volta, apprezza anche se i suoi occhi terrorizzati non registrano niente. La morte di Itachi acquista consistenza a ogni conferma che quel giorno è già esistito.
La sera era arrivata e l'Acqua non aveva ancora trovato il qualcuno speciale a cui donare un fiore. Pazienza.
Non aveva mai ammirato con calma il cielo della notte, finalmente poteva starsene ferma e sdraiata a osservare luna e stelle quanto voleva.
Il tempo, però, era cambiato all'improvviso, il vento increspava la pelle dell'Acqua e ammucchiava nuvole in cielo. Luna e stelle non si vedevano più, ma erano incantevoli anche quelle forme che mutavano di continuo.
I fulmini erano celesti, non gialli come li descrivevano tutti. L'Acqua non era spaventata, l'elettricità le sarebbe solo passata attraverso, così come quelle gocce che non avevano avuto il beneficio di un'anima.
Ma perché a lei era stato concesso questo dono? Appena scoperto, l'Acqua non ne avrebbe sprecato neanche un secondo.
Un fulmine più vicino degli altri, il tuono era stato contemporaneo e subito dopo il fragore di un albero che si abbatteva al suolo. Era straordinario poter assistere alla furia della natura senza subire danni.
Ma c'era qualcosa alla base dell'albero abbattuto, tremante, rosso, bellissimo. L'Acqua si era avvicinata curiosa e sbalordita.
"No!" aveva gridato la creatura di fuoco. Si rintanava sotto il tronco appena crollato, se era colpita dalla pioggia si alzavano nuvolette bianche.
Siccome emanava luce e calore, non avrebbe mai potuto nascondersi, soprattutto la notte.
"Vieni con me, hai bisogno di ripararti" il Fuoco sarebbe vissuto poco in una situazione come quella, una bellezza che non poteva andare perduta.
"Vattene, mi ucciderai" la voce del Fuoco risuonava di orgoglio ferito di fronte all'elemento più forte di lui.
"No, voglio salvarti" l'Acqua gli aveva afferrato una mano per conviverlo a uscire, ma uno sbuffo rumoroso e violento si era alzato. Non potevano toccarsi.
"Perché?"
"Non lo so, capisco che sei speciale. Bello, forte e distruttivo, ma a me piaci per la tua debolezza. Potrei schiacciarti, ma voglio proteggerti."
Il Fuoco aveva fissato l'Acqua esterrefatto, la sua pelle tremava di spire rosse e arancioni. Poi l'aveva seguita, di corsa, al riparo in una vicina gotta; a ogni passo, il Fuoco sollevava soffici nuvole dal terreno bagnato.
"Aspetta qui, torno subito."
L'Acqua aveva sorriso, poi era tornata dopo aver raccolto dal terreno un minuscolo fiore selvatico piegato dalla pioggia battente. Era quello il momento del dono speciale.
"Che cos'è?" il Fuoco aveva allungato le sue dita splendenti.
"Uno dono che sento di farti."
Una nuvoletta si era alzata allo sfiorarsi delle loro mani, il fiorellino celeste si raddrizzava asciugandosi tra le dita calde del Fuoco.
"Grazie, è meraviglioso."
Kisame esala un sospiro a lettura ultimata. La priorità, adesso, non è l'opinione di Itachi a proposito del racconto; Kisame è già al corrente del suo gradimento, altrimenti non sarebbe morto per conservarlo.
L'urgenza di Kisame è tenere Itachi con sé il più possibile affinché Obito non ne intuisca la presenza.
Sono stesi sul letto fianco a fianco, non si sfiorano e si sono tolti solo le scarpe. Kisame si è anche allentato la cintura, tuttavia non si spinge oltre.
Dopo il tè, Itachi ha espresso il desiderio di tornare a casa in seguito a un grosso sbadiglio. Quello l'istante in cui Kisame gli ha parlato del racconto sperando di irretire Itachi con la curiosità.
"Sono esausto, Kisame."
"Non preoccuparti, leggerò io fin dove vorrai."
E così eccoli là.
"Kisame" la voce di Itachi giunge estatica, ha gli occhi addolciti dal sonno "Questa storia ha il potere di sollevarmi dal mondo, di farmelo dimenticare. Spero di sognarla stanotte."
Il complimento di Itachi è lento, scollegato. La sua testa crolla sulla spalla di Kisame, le ciglia gli sfiorano gli zigomi senza più l'intenzione di sollevarsi, il respiro gli si fa subito profondo.
Kisame avverte prepotente l'alchimia tra i corpi come non gli era mai successo. Ha atteso quel violento fremito per l'intera vita cercandolo invano nelle persone sbagliate.
Nonostante si sfiorino appena, Kisame è risucchiato in un vortice senza scampo e possibilità di ritorno. Avvicina il viso a quello di Itachi, ne assapora respiro e profumo della pelle. Lo bacia sulla testa mentre la mano con la quale gli libera i capelli dall'elastico rosso trema di commozione. Itachi emette solo un lieve gemito.
Kisame vorrebbe restare lì per sempre, crogiolarsi nel calore emanato dalla pelle di Itachi. È costretto a frenare le mani che si fanno strada per stringere e le labbra che scalpitano per baciare. I tempi non sono maturi, Itachi è prezioso e prima va salvato. Kisame devia la traiettoria posando la testa sul petto di Itachi. È vivo, il cuore gli batte tranquillo e ignaro di tutto.
"Non puoi morire domani mattina, Itachi" Kisame sussurra, non vuole svegliare Itachi, però spera che la preghiera lo raggiunga in sogno. Si perde nell'intreccio del maglioncino di Itachi "Non ti azzardare a lasciarmi, io senza di te non esisto."
Itachi esala un sospiro, forse sogna davvero le avventure dell'Acqua e del Fuoco. È rimasto lì, Obito non può assicurarsi della sua presenza da Kisame. Dormirà lì, perciò il secondo giorno è già diverso rispetto al primo.
Meglio evitare, però, lo scomodo risveglio nello stesso letto. Non si sa mai quali involontarie posizioni possono assumere i corpi durante il sonno. Kisame avvolge delicatamente Itachi nelle coperte e se ne accomiata, suo malgrado.
Non saranno lontani, Kisame si posiziona sul divano e punta la sveglia cinque minuti prima del solito. Andranno al lavoro insieme. Che Obito licenzi pure Itachi, stavolta sarà un onore portarselo via e non tornare più.
L'incomprensibile fallimento della sveglia fa accumulare a Kisame lo stesso ritardo della volta precedente. Pazienza, Itachi è salvo, tutto il resto sono quisquilie.
Al diavolo Obito e i suoi rimproveri, Kisame non sa se andare a svegliare subito Itachi o fargli la sorpresa di preparargli prima tè e dolcetti. Opta per un compromesso, assorbirà l'immagine di Itachi ancora addormentato per poi procedere con i preparativi. Sorride ancora in pigiama mentre si avvicina alla camera.
Il repentino rilassamento dei muscoli facciali a causa della morte del sorriso, precede la stilettata allo stomaco. Itachi non c'è, il letto è intatto come se nessuno lo avesse toccato.
Kisame si porta le mani in testa, preme fino a farsi male. Non capisce più se sta sognando, se è preda di un'allucinazione, oppure sta vivendo la realtà.
Chi è Itachi? Un personaggio partorito dalla sua mente? Forse la trasposizione del Fuoco di cui ha scritto tanti anni fa.
Tuttavia, Kisame nota qualcosa di diverso, un particolare. Sul comodino, nel punto in cui aveva posato -creduto di posare- l'esastico di Itachi dopo aver liberato i suoi capelli, spicca una macchia bianca. Malgrado la stanza sia in penombra e con le tende tirate, sembra che un raggio di sole voglia rimbalzarci apposta pur non scaturendo da una fonte plausibile. Kisame accorre senza fiato, deve vederci chiaro in ogni minuzia.
Sempre se non è già troppo tardi.
Le gambe gli tremano simili a gelatina mentre raccoglie quello che si rivela essere un biglietto. Il ricordo della disperazione buttato su un lurido materasso mentre rimirava la scritta sul palazzo abbandonato è ancora vivido. Troppo intenso.
Buongiorno, Kisame. Come già sai il tuo racconto mi sta piacendo, spero non ti dispiaccia se lo prendo in prestito. Merita di essere esaminato con maggiore attenzione.
Grazie per l'ospitalità, una serata da rifare.
Ci vediamo tra poco al lavoro.
Itachi esiste, non è un'invenzione e ancora non è al sicuro.
Kisame ha sperimentato altri cali di zuccheri, corredati di vista annebbiata, vertigini e tremori. Ma ora le mani gli scompaiono in un fastidioso formicolio. Lo svenimento è prossimo.
Itachi è andato via portandosi appresso la condanna a morte. Il maledetto manoscritto per cui darà la vita tra meno di un'ora.
Quando è uscito? Magari in piena notte finendo dritto tra le braccia di Obito. Tutto per la stupida remora di non dormire nello stesso letto.
Kisame ha ammazzato Itachi per la seconda volta.
Non è cambiato niente. Il destino esiste eccome.
Kisame lo realizza mentre infila il primo paio di jeans agguantati a caso e la giacca sul pigiama. Non recupera telefono e documenti, non ha importanza il portone rimasto aperto. Si affanna giù per le scale in pantofole.
Dalla prima sgommata con cui abbandona il parcheggio, l'incidente rischia di farlo lui. Trasforma i marciapiedi in corsie per superare gli ostacoli, lampioni divelti e biciclette schiacciate si sprecano. I motorini non sono risparmiati, Kisame non vede i pedoni che gli si dileguano davanti. La macchina sbanda e lui fa strike di tavoli davanti a un bar; quando riesce a riconquistare la carreggiata, nota distratto una grossa chiazza di cappuccino sul parabrezza.
"Itachi, aspettami!"
Una coda, ostacolo inespugnabile. Le quattro frecce dell'ultima vettura risuonano come le campane di un funerale. Quello di Itachi.
Kisame non riesce a visualizzare Itachi dentro la bara, la prima volta non ha fatto in tempo e non intende formulare il pensiero adesso.
Tre isolati separano ancora Kisame dalla ImmerTech. Non è detto che abbandonando la macchina e tagliando a piedi faccia davvero prima, ma Kisame esploderebbe restando ingabbiato e impossibilitato ad agire.
"Ehi, idiota, hai intenzione di lasciarlo lì quel catorcio?"
In quali problemi insulsi si perde la gente. Considerano catastrofi le bazzecole, sarebbe inutile soffermarsi a spiegare l'autentica sofferenza a chi non l'ha mai sperimentata. Persino per chi ha tutto e potrebbe essere felice, il bisogno di lagnarsi sembra intrinseco.
Nonostante sia allenato, a Kisame brucia il petto, il suo respiro sibila.
Salta in mezzo alla prima strada da attraversare. Imprecazioni e clacson lo investono, un automobilista si incastra nella banchina per evitarlo. Spintona chiunque si trovi sul marciapiede, non guarda neanche in faccia gli sventurati che capitano sulla sua traiettoria.
La via è quella, l'angoscia la allunga di chilometri. Un'immagine dilatata che non finisce mai intrappolata in un loop di se stessa. Il portone della ImmerTech è solo un puntino, Kisame mette a fuoco attraverso le ciocche blu che gli sono crollate in faccia sfatte dal sudore.
Davanti al palazzo non c'è nessuno, il traffico scorre tranquillo. Itachi non è sceso.
Un grosso mezzo si stacca troppo rapido dal marciapiede, era parcheggiato nascosto tra altre vetture. Il pick up, Kisame lo riconoscerebbe tra mille pick up verde scuro dello spesso modello, ha la morte di Itachi impressa nei fari a cui sono state date le sembianze di un'espressione aggressiva. Sbanda, a quanto pare il conducente non è in sé.
A far precipitare del tutto la situazione è la macchina che supera Kisame arrivandogli alle spalle e che si dirige nel senso opposto: il maggiolino bianco. Il portone della ImmerTech si apre lentamente, esibisce l'eleganza della sconfitta incassata con dignità. Kisame lo riconosce senza che abbia bisogno di palesarsi nella sua interezza.
"Itachi!" il grido disperato si perde nella distanza ancora troppo vasta.
Kisame accelera la corsa, ancora mezzo isolato e l'ultimo incrocio da attraversare.
A Kisame serve una forza sovrumana per incamerare ancora aria: "Itachi, fermati lì!"
Le parole rimbombano tra i muri, Itachi sembra captarle. Si gira nella sua direzione, ma probabilmente, non lo distingue. Già, per leggere e lavorare usa gli occhiali.
La testa nera che fa capolino dalla finestra, invece, lo scopre eccome. Obito. Ci vede come un falco, lui. A Kisame sembra di individuare il suo consueto e maligno assottigliamento dello sguardo.
Obito si ritira all'istante. Itachi ricomincia a camminare.
"Itachi, no!"
Lo sferragliare del tram soffoca l'ultimo urlo di Kisame. Il conducente del maggiolino fa appena in tempo ad accaparrasi l'incrocio grazie a un'ultima accelerata; Kisame, invece, si trova la strada sbarrata dal mezzo pubblico.
Obito approda in strada, Kisame vede guizzare la sua immagine tra un finestrino e l'altro del tram, intuisce che lo sta guardando. Itachi scende dal marciapiede, ma Obito non è interessato al cugino appena licenziato, non lo degna di uno sguardo. Il suo obiettivo è Kisame.
Kisame delira, saltella, il tram sembra non finire mai. I fari del pick up si appropinquano rapidamente, procede a zig zag, si avvicina a Itachi. Troppo.
Un violento risucchio d'aria e il tram, finalmente, lascia intravedere la coda.
Kisame riprende il caracollare disperato, non ha più tempo per provare a farsi sentire, meglio risparmiare il fiato. Nonostante sia novembre, l'aria gli sembra afosa e pesante come un agosto umido e torchiato di smog.
Il maggiolino è distante, tuttavia non abbastanza per impedire a Kisame di intravedere il display di un cellulare illuminarsi: ecco qual è stata la fatidica distrazione.
Le ruote del pick up stridono, si alza una nuvola di fumo nero, l'ennesima sgraziata sterzata non arriva in tempo. Il corpo di Itachi si mostra fragile come un fuscello riscuotendo la prima collisione; la manica della giacca si straccia, la borsa col manoscritto gli viene strappata con violenza. Kisame indovina il suo viso accartocciato nel dolore mentre stramazza sull'asfalto. Obito è lì, non muove un dito e continua a scrutare bieco Kisame.
"Obito, ti prego!" Kisame spreme i polmoni per l'ultima volta, le lacrime gli rigano la faccia, l'impeto della corsa le direziona all'indietro. A Obito basterebbero pochi passi per strappare Itachi al crudele destino.
Tutto ciò che Kisame ottiene è un incrociare le braccia di Obito. L'astio nei confronti del cugino è così incommensurabile che preferisce liberarsene per sempre.
Kisame singhiozza, capisce che non riuscirà mai a raggiungere Itachi prima del maggiolino. Quello che non si aspetta è che il conducente senta gli strepiti. Frena, rallenta e volta la testa, tuttavia non si ferma. Non può mica rischiare di farsi raggiungere dal pazzo scatenato in pantofole. Però, la distrazione aggiuntiva gli fa riporre il telefono; quando riprende visione della strada individua l'uomo ferito a terra.
Il maggiolino inchioda; il pick up non concede lo stesso onore e prosegue imperterrito, il guidatore non si è accorto di aver urtato una persona e che qualcun altro sta sopraggiungendo a piedi e affranto. Ma chi accidenti può essere già così ubriaco di prima mattina?
Obito scende dal marciapiede, si muove a grandi falcate verso Kisame. Lo affetta con gli occhi, vede il suo desiderio di soccorrere Itachi come un affronto personale e segno di scarsa considerazione. Si fronteggiano. Itachi si contorce flebilmente, le dita tremanti e inzaccherate di sangue cercano a tentoni la borsa. L'angoscia di perdere il manoscritto, un pezzo di Kisame, il suo sogno, è più forte dello strazio fisico.
Senza distogliersi da Obito, Kisame si china per raccogliere la tracolla e vede subito le ciglia di Itachi rilassarsi. Le speranze di Kisame sono già più importanti della sua stessa vita.
Il coraggio prorompe, suggerisce a Kisame le prossime azioni. Obito non vale niente di fronte all'amore di Itachi, così immenso.
Il viso di Kisame si indurisce mentre indossa la borsa di Itachi, la guerra a Obito è dichiarata, gli occhi fiammeggiano manifestando che non si arresterà per nessun motivo. Il motore del pick up ruggisce a pochi metri. Kisame si abbassa una seconda volta, raccoglie Itachi e se lo issa in braccio cercando di non infierire sulla pelle lacerata. Kisame riparte con l'unico scopo di allontanarsi dal pick up. Non aveva calcolato il corpo che ora gli pesa tra le braccia e il conseguente rallentamento. E così, Kisame si ritrova proprio davanti al paraurti del pick up. Chiude gli occhi, stringe Itachi, vorrà dire che se ne andranno insieme. Abbracciati per sempre.
La vettura cambia angolazione, incredibile: l'ubriacone si accorge di loro. Non ha, però, il controllo necessario per evitare lo schianto contro il muro. Con la coda dell'occhio, Kisame capta Obito cancellato dal mondo.
Facendo appello alle ultime forze, Kisame si affretta verso il marciapiede come meglio può, la testa di Itachi gli sobbalza sulla spalla, il suo sangue gli incolla le dita. Raggiunto l'edificio, si puntella con la schiena al muro, scivola in basso fino a sedersi con Itachi in grembo.
Kisame coglie l'esatto momento in cui lo sguardo di Obito si spegne, non ha mai smesso di osservarlo. Un rivolo di sangue gli sgorga dall'angolo della bocca, è troppo sottile per appartenere a un corpo liquefatto tra un palazzo e un paraurti. È tremendo andarsene così avvelenati dall'odio.
"Niente di rotto?" Kisame raddrizza il busto di Itachi.
"Hai capito, Kisame" Itachi esala un sospiro esausto, apre gli occhi, un lieve sorriso gli aleggia sulle labbra "Devi sempre concedere una possibilità ai sogni. Nessuno dice che sia facile, ma potrebbero cambiarti la vita."
Kisame bacia quella testa posata sulla sua spalla: "Come hai trovato la giusta chiave del mio cuore? Sei un angelo?"
"Se anche fosse?" Itachi gli sussurra sulle labbra "Cosa è un angelo privo di ali se non un semplice essere umano?"
Lo sguardo di Kisame si fa intenso, sorride senza prenderlo troppo sul serio. Però, in effetti, sono accaduti un sacco di strani fenomeni dall'ingresso di Itachi nella sua vita. "Eppure, qualche potere devi averlo."
Itachi distoglie lo sguardo e gli si accoccola sul petto, la pressione della testa si fa più marcata: "Non persuaderti di avermi defraudato delle mie ali, accanto a te posso volare."
Kisame guarda euforico davanti a sé, lascia che il sole gli riempia gli occhi. Trae linfa vitale dal dolce fremito trasmessogli dal corpo caldo rannicchiato sul suo. Il brulichio di poliziotti e soccorritori non conta più niente.
Ecco le parole. Ecco il fulmine che colpisce e non perdona.
Si gira per abbeverarsi delle labbra di Itachi, sono vellutate come le aveva immaginate. Cinge la sua vita sottile; Itachi lo stringe, Kisame decifra le sue dita mentre gli si aggrappano alle spalle.
Kisame non ha mai goduto tanto di due respiri che si fondono, dei corpi premuti inseme, non per forza c'è bisogno di gesti e parole eclatanti. In pochi e fortunati casi, non servono chissà quali trucchi di seduzione. L'attrazione si spinge ben oltre, dritta alla sostanza.
Il bacio non si interrompe neanche sotto l'irruento abbraccio di Deidara, non è disturbato da Sasori che tenta di sollevare la faccia di Itachi per sincerarsi delle sue condizioni.
L'Acqua osservava il Fuoco rimasto immobile nella contemplazione del suo dono, non avrebbe mai staccato lo sguardo da tanta bellezza. Il Fuoco aveva inclinato la testa, sì gli piaceva.
Ecco il qualcuno speciale che meritava un fiore.
L'Acqua si era avvicinata, le sue mani si erano tese piano per posarsi sulle spalle del Fuoco nel gesto di protezione che desiderava capisse. Nonostante la sua pelle si trasformasse in vapore, restava lì.
"Lasciami. Io mi spegnerò e tu tornerai senza forma" malinconia, ma il Fuoco era condannato a non poter piangere.
Come si può resistere senza esprimere il dolore?
"E se noi fossimo speciali?" l'Acqua si era avvicinata di più "Magari la trasformazione sarà una somma, non una perdita."
Non si poteva vivere senza esprimere emozioni. Non era fattibile calcolare sempre le loro conseguenze.
Il Fuoco aveva ceduto all'abbraccio, nuvole bianche si alzavano anche dalla sua guancia posata sulla spalla dell'Acqua. La grotta si riempiva di nebbia mentre loro roteavano cullandosi a vicenda.
La luce e il calore del Fuoco si affievolivano; le pelle dell'Acqua perdeva la trasparenza per farsi opaca, gommosa e spessa, le membra acquisivano consistenza. La pelle del Fuoco, tra le sue braccia, ora era gradevolmente tiepida e candida. Le fiamme erano ricadute in basso in morbidi capelli di seta nera. Solo gli occhi erano rimasti rossi, accarezzava la pelle blu e levigata del compagno senza più temere niente.
Si erano baciati, felici di completarsi con le loro diversità
Si erano rotolati nudi sull'erba inzuppata dal temporale, liberi di ridere, piangere e bagnarsi.
Liberi di amarsi senza chiedersi perché e per quanto tempo.
"Come l'acqua imparò a volare" di Kisame Hoshigaki.
Note:
In questo racconto fantasy AU, Itachi è davvero un angelo che rinuncia ai poteri per diventare umano e restare con Kisame. Tuttavia, decide di usarli per l'ultima volta per far capire a Kisame l'importanza dell'inseguire e realizzare i propri sogni.
Nonostante sia tutto frutto della mia fantasia, spero vi sia comunque piaciuta.
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