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XIII. AJAR

«When is a door not a door?»
«When it's ajar»

27 Giugno 2022, Paul Richard Circuit, Francia 🇫🇷

<Andiamo?> domanda Emilian mentre le passa il casco. Lui è già pronto, vuole solo salire in auto e partire, più velocemente possibile, facendo l'unica cosa che davvero sa fare, l'unica che Jos gli abbia mai insegnato.

Clarice si guarda attorno, l'auto da Rally parcheggiata sul traguardo di quell'immenso circuito che è il Paul Richard, la tuta che le calza a pennello ed infine la mano tesa del ragazzo con quel casco che nemmeno la protegge tutta.

Riesce, infatti, a vedere il sorriso di Emilian oltre ai suoi occhi azzurri, e devono essere proprio quelli che la spingono ad afferrare il casco infilandoselo goffamente. Ormai non chiede nemmeno più l'aiuto dell'olandese che, in automatico, si avvicina per allacciarlo.

<Stai tremando> le fa notare, accarezzando dolcemente la sua spalla. Non è un tono accusatorio, vuole solo sapere cosa prova, ma lei si sente lo stesso in difetto.

<Ma davvero? Come hai fatto ad accorgertene?> domanda ironicamente, falsando un sorriso che risulta comunque tenue.

Il cuore le batte forte nel petto, soprattutto quando il pilota stringe la sua mano e la invita ad entrare in quell'abitacolo. Una volta seduta l'aria inizia a mancarle, si sente intrappolata lì dentro, senza via d'uscita e ancora non sono partiti.

Non si accorge nemmeno che Emilian ha già allacciato le sue cinture di sicurezza e si è seduto di fianco a lei. Solo quando il ragazzo le stringe la mano Clarice sposta lo sguardo su di lui.

<Non avere paura> mormora, avvicinando di poco il capo a quello della ragazza <Mi prenderò cura io di te>.

Con il pollice accarezza il dorso della mano di Clarice, cercando di infonderle più tranquillità possibile. Vorrebbe davvero prendere ogni sua paura e trasformarla in coraggio, ma non sa da che punto partire.

<Sono terrorizzata Lian> confessa, lasciando uscire ogni sua singola emozione. Si sente libera di esprimerle, ogni volta che è con lui è finalmente se stessa, il che è un controsenso visto che continua a nascondere la sua identità.

Il ragazzo le sorride alzando le spalle <Pensi che io non abbia paura?> domanda, stringendo più forte la sua mano.

<Non vedi l'ora di mettere in moto questo strumento di morte> esclama, rimarcando il fatto che lui ama la velocità e non vede l'ora di spaventarla. Si domanda per quale motivo ha accettato, ora potrebbe essere a casa a prepararsi per la partita di tennis di Arthur.

<Certo, ma so perfettamente quanto è pericoloso, solo che non ci penso> confessa, allontanando la sua mano da quella della ragazza <Penso solo all'adrenalina, libero la mente, mi godo il momento> continua, mettendo in moto l'auto con lentezza.

<Mi stai suggerendo di pensare ad altro?> domanda Clarice, senza nemmeno accorgersi che, in realtà, ha già iniziato a muoversi.

<Si, raccontami la tua giornata oppure perditi nei tuoi pensieri> esclama il ragazzo, prima di schiacciare il piede sull'acceleratore e partire in maniera decisa, accelerando gradualmente.

Clarice sente lo stesso il cambio di velocità e, senza riuscire a connettere ogni suo pensiero, non risponde alle parole del ragazzo. Semplicemente chiude gli occhi, aggrappandosi ad ogni appiglio che trova, mentre cerca di non urlare fino alla fine di quei tre giri che ha promesso di fare.

E lei le promesse le mantiene, sempre.

La sensazione di vuoto, proprio lì alla bocca dello stomaco, si fa sempre più forte ad ogni curva. Nella sua mente iniziano a prendere forma le immagini dell'incidente, tanto che il suo corpo inizia a tremare e non perché è sballottata letteralmente da una parte all'altra.

<Lily, apri gli occhi, guardami> ordina Emilian, il tono pacato le ricorda quello di suo padre <Concentrati su di me>.

E lei lo fa, apre i suoi occhi smeraldo puntandoli verso il ragazzo seduto di fianci a lei. Non guarda la strada, tanto meno il conta kilometri, ma solo lui.

Si lascia invadere dalla sua immagine. I suoi occhi azzurri sono concentrati ad osservare la pista, lo sguardo è serio, quasi corrucciato. Le sua mani stringono il volante, lo manovrano con una tale abilità che le sembra incredibile non vederlo in una griglia di Formula 1.

Ciò che la lascia più sorpresa, però, è il sorriso lieve dipinto sul volto del ragazzo. Le sue labbra sono distese, rilassate e soprattutto non riescono a nascondere la felicità che prova nel guidare. A guardarlo bene sembra un bambino a cui hanno appena regalato il suo giocattolo preferito.

E lei si perde in quel sorriso, nel mare dei suoi occhi, nei suoi movimenti. Ci si perde così tanto che si dimentica persino di essere seduta su una macchina che sta andando ad una velocità più elevata del suo massimo.

Si dimentica di avere paura, dell'incidente, di tutto il dolore. Vede solo Emilian, sente solo Emilian e forse in quel momento si accorge di provare qualcosa di nuovo, qualcosa che non ha mai provato prima e che non riesce a definire.

Non ha altra scelta se non quella di rimanere a guardarlo, anche quando l'auto si è fermata e i suoi bellissimi occhi finalmente ricambiano il suo sguardo.

In quel momento vorrebbe dire la verità, rivelare chi è, non dover più mentire, ma tutte le emozioni che sente non le consentono di pensare razionalmente.

Vorrebbe baciarlo, ma non lo fa, rimane ferma e aspetta che sia lui a parlare. Emilian le sorride sfilandosi il casco <Allora? Com'è andata?> domanda, liberandosi anche dalle cinture di sicurezza.

<Ho seguito il tuo consiglio, mi sono concentrata su altro> mormora, imitandolo. Ora che il suo punto fisso è venuto a mancare si sente nuovamente in trappola e, per questo, esce il più velocemente possibile da quell'auto.

Inspira a pieni polmoni l'aria pulita, levandosi con fatica il casco e tornando, finalmente, a respirare normalmente. Mentirebbe nel dire che ha finalmente superato la sua paura, ma per lo meno è riuscita ad avere il coraggio di provarci.

<Com'è stato?> domanda Emilian, avvicinandosi a lei. Clarice si volta a guardarlo notando il cipiglio curioso sul suo volto.

<Orribile, lo stomaco mi è salito in gola> confessa, omettendo di aver provato piacere a vederlo guidare, ad ammirarlo mentre si destreggiava nel suo spazio. Chissà se le persone provano la stessa cosa quando vengono a vederla correre.

Emilian scoppia a ridere allungando un braccio sulle sue spalle <Guarda che andavamo a 150 km/h, massimo 170 km/h> afferma, facendo aderire il capo della ragazza al suo petto.

<La mia velocità limite è 100 km/h, in autostrada, quindi è tantissimo> dichiara, imbronciandosi. Vorrebbe aggiungere altro, ma il ragazzo continua a ridere incamminandosi verso la pit lane.

<Vai a cambiarti Lily, io finisco qui, poi aspettami in macchina> spiega, indicandole con io capo il box. Lei annuisce e, senza aggiungere altro, fa come detto dal ragazzo.

Il tempo d'attesa nell'auto di Emilian, in realtà, è più breve del previsto. La raggiunge quasi subito e, senza proferire parola, parte verso Montecarlo. Clarice si sente quasi appagata da quel silenzio tra di loro, le permette di osservarlo con più attenzione e più calma.

Le mani stringono il volante con una delicatezza che non sembra appartenere al ragazzo, che traccia linee fin troppo aggressive anche in strada. Nonostante la guida fluida e, ovviamente, più lenta di prima, il suo volto è concentrato, persino corrucciato. A Clarice, la sua espressione, fa ridere.

In modo in cui increspa le labbra, la sua mano destra che viaggia tra il cambio e il volante, accarezzandole la sua gamba nuda di tanto in tanto. Tutto racchiuso in quel silenzio, la loro bolla d'aria, dove il mondo non produce nessun rumore se non quello dei loro respiri che si intrecciano creandone uno solo.

E resterebbe così per sempre, a guardarlo guidare, beandosi solo della sua presenza. Il suo cuore batte forte nel petto, creando sensazioni mai provate.

Gli occhi azzurri di Emilian si voltano a guardarla, perdendosi per qualche secondo nel suo volto, in quelle fossette appena visibili sulle sue guance.

<Ti va se ci fermiamo a prendere qualcosa da mangiare?> le domanda, indicando con il capo l'autogrill poco distante.

<Si, ho un po' di fame> mormora, dimenticandosi di controllare l'orario <Scendo io a prendere un panino per entrambe?> domanda, mentre il ragazzo ferma l'auto davanti all'entrata.

<Si, cerco parcheggio nel frattempo> acconsente lui, dandole il tempo di scendere prima di scomparire nel retro dell'edificio.

Clarice, infatti, dopo aver comprato due panini e due bottigliette d'acqua, ci impiega qualche minuto a trovarlo. Emilian ha parcheggiato in un angolo decisamente appartato, lontano da sguardi indiscreti.

<Non so, prossima volta magari fermati nel bosco> lo prende in giro lei entrando in macchina con il sacchetto del cibo stretto tra le dita.

<Non c'era posto> spiega, aiutandola a tirare fuori i panini <Spero sia al salame> esclama, prendendone uno tra le mani.

<Il tuo si, ma quello è il mio con il cotto> mormora Clarice, allungando il capo verso il panino stretto tra le mani dell'olandese. I due si scambiano un rapido sguardo prima di scoppiare a ridere e scambiarsi il panino.

Mangiano in compagnia della radio, accesa su una stazione casuale. Nel frattempo parlano, del più e del meno. Raccontano quei momenti che si ricordano con il sorriso dipinto sulle labbra; di quando erano piccoli e pieni di sogni, di adesso che sono troppo grandi per sognare ancora, ma nonostante ciò continuano a farlo.

Di quanto lei sia felice per essere riuscita, finalmente, a trovare il coraggio di andare oltre le sua paure. Di quanto sia fiero lui di essere stato di aiuto, ma soprattutto di averla vista combattere in maniera così prepotente per prendersi ciò che voleva.

Si aprono, buttando giù ogni muro, o quasi. La loro identità rimane nascosta, ma il loro cuore è scoperto come non lo è mai stato.
Il tempo passa, ma loro non se ne accorgono, troppo intenti a guardarsi negli occhi spiegando ciò che hanno nel cuore.

Di tutti i loro momenti, questo è il più intimo. Più di loro due nudi su un letto o sul terriccio di una scogliera che si affaccia sul mare.
Più di loro due intrecciati e racchiusi nel piccolo spazio di quell'abitacolo, che a lei non è mai piaciuto.

Nonostante ciò, la monegasca non può altro di fronte a quelle labbra rosee che continuano a parlare, se non desiderare il silenzio spezzato solo da qualche gemito di piacere. Forse per questo lo bacia, interrompendo il suo discorso a metà, lasciandolo sorpreso da quell'azione. Senza perdere tempo, trascinata dall'eccitazione del momento, cerca spazio nell'abitacolo dell'auto spingendosi verso il sedile del ragazzo.

<Cosa vuoi fare?> domanda lui, tra un bacio e l'altro, mentre lei infila le mani tra i suoi pantaloncini sbottonando il bottone e lasciandoli scivolare, lentamente.

Senza dare nessuna spiegazione su ciò che sta davvero vuole fare, sfila anche i suoi jeans e le sue mutande non curante di dove finiscono e nemmeno di dove si infla il suo cellulare, in modalità silenziosa, racchiuso nella tasca.

L'unica cosa di cui davvero le importa è incastrarsi perfettamente sopra il corpo del ragazzo di fronte a lei, nonostante l'abitacolo di quell'auto sia troppo piccolo per contenere due persone una sopra l'altra.

A lei non sembra importare, nemmeno quando la sua schiena finisce contro il volante e si ritrova in una posizione fin troppo scomoda. Vorrebbe davvero concludere quello che ha iniziato nel bagno dell'autogrill, sicuramente in maniera più comoda, ma ormai le mani di Emilian sono sotto la sua maglia.

<Sesso in macchina, davvero?> domanda, retorico, prima di baciarle il collo mordendolo leggermente, lasciandole un segno rosso.

<Si, anche se siamo troppo stretti qui in due, quindi dovremmo muoverci> gli fa notare, passando una mano tra i suoi capelli <Saltiamo i preliminari e andiamo dritti al punto, ti prego> quasi supplica, mentre la sua mano cerca di abbassare i boxer del ragazzo.

Emilian le sorride, aiutandola a puntare le ginocchia sul suo sedile per abbassare quel che resta delle sue protezioni <Lascia fare a me, tu pensa solo a non cadere> afferma, portando la mano della ragazza sul suo petto.

<Non posso cadere, sono letteralmente incastrata Lian> sottolinea, con una leggera smorfia, prima di appoggiare la sua fronte su quella del ragazzo <Ora ti prego, scopami, prima che il tuo volante mi inglobi nella tua auto>.

L'olandese cerca di trattenere una risata, ma con scarso successo. Lo sguardo infastidito della monegasca, però, lo costringe a muoversi riuscendo finalmente ad abbassarsi quei dannati boxer infilandosi il preservativo.

Poi si lascia andare, mentre la ragazza lo accoglie dentro di lei, muovendosi il necessario per non farsi male. Le mani di Emilian toccano il suo corpo beandosi di quelle curve quasi perfette. Dai fianchi al seno, dai capelli alle labbra che continuano a baciarlo di tanto in tanto, mentre le loro fronti si sfiorano e i loro corpi continuano a desiderarsi.

Anche quando, sfiniti, si dividono crollando sui rispettivi sedili, sentono la necessità di rimanere uniti. Le loro mani si stringono, i loro occhi si cercano mentre le loro menti pensano a quanto vorrebbero rifarlo, nonostante l'auto sia davvero troppo piccola per lasciare loro ogni libertà di movimento e loro hanno già iniziato a rivestirsi.

Eppure, vorrebbero rimanerci incastrati, insieme, baciandosi dolcemente ed unendosi ancora e ancora. Ora che sanno quasi tutto, ora che sono quasi veri, ora che...

<Merde> esclama Clarice, allontanando la sua mano da quella del ragazzo. Grazie alla luce che lo schermo del suo cellulare produce si accorge che è caduto tra il suo sedile e il freno a mano, probabilmente mentre si sfilava i pantaloncini.

Rimane qualche secondo a fissarlo, il tempo di capire se il suo polso ci passa in quella fessura, poi ci prova riuscendo a recuperarlo con i polpastrelli. Il vero problema, però, è ciò che vede quando guarda lo schermo.

25 chiamate parse da Charles Bibou🏎❤️

12 chiamate perse da Lolo ChouChou💚

8 chiamate perse da Maman💖

E non osa nemmeno aprire i numerosi messaggi, perché i suoi occhi sgranati riescono solo a guardare l'orario impresso sul suo cellulare, in risalto rispetto alla foto che utilizza come blocco schermo.

<Merde> ripete, alzando lo sguardo sul ragazzo di fronte a lei, confuso dalla sua espressione preoccupata <Merde, la partita di tennis di mio fratello> spiega, intimando il ragazzo a partire immediatamente.

<Siamo in ritardo?> le domanda, mettendo in moto l'auto, partendo così velocemente da far spaventare la ragazza che, ancora senza cintura, si aggrappa al cruscotto davanti a lei.

<Siamo parecchio in ritardo, ma non così tanto da ammazzarci> sottolinea, prendendo un respiro profondo prima di allacciarsi la cintura e sbarazzarsi della pattumiera raccolta infilandola sotto il suo sedile.

Il ragazzo di fianco a lei annuisce, scusandosi per quella partenza, ma senza rallentare. Clarice non lo riprende, consapevole che questo ritardo le costerà una discussione con tutti i suoi fratelli. Semplicemente chiude gli occhi e spera che la strada sia il più breve possibile.

<Lily, non sto andando poi così veloce, ma se vuoi rallento> la rassicura Emilian, accarezzandole la gamba di sfuggita prima di cambiare la marcia. La monegasca scuote la testa, decisa, lasciandosi scivolare sul sedile.

<Ho promesso di esserci, se non arrivo almeno per vedere un match, mio fratello mi uccide> spiega, passandosi una mano sul volto <A giudicare dal ritardo, faccio prima a schiantarmi contro un muro, se non muoio per lo meno ho una scusate>

<Te l'ho già detto che sei melodrammatica vero?> domanda, nascondendo un sorriso, accelerando gradualmente con la speranza di farla distrarre con le sue chiacchere.

<Si, è una cosa di famiglia> ribatte, prontamente, scrivendo un messaggio veloce sul gruppo famiglia avvisandoli che sta arrivando e farà il prima possibile, anche se sa perfettamente che sarà difficilissimo arrivare per tempo.

Il tempo trascorre lentamente, ma questa volta non per via della paura che di solito l'assale quando è in auto con qualcuno. Questa volta i suoi pensieri sono così lontani che l'idea di controllare il conta kilometri non la sfiora nemmeno. L'olandese sembra accorgersene perché aumenta e diminuisce la velocità a suo piacimento, andando anche oltre i limiti consentiti, arrivando a Montecarlo prima del previsto.

Clarice è intenta a guardare il suo cellulare, forse in attesa di una risposta da parte di almeno uno dei suoi famigliari, ma non ottiene niente se non un semplice visualizzato che la porta a pensare di averla combinata più grossa del solito.

Non si accorge nemmeno di essere finalmente arrivata al Country Club, è Emilian ad allungare una mano verso la sua spalla scuotendola leggermente <Siamo arrivati> l'avvisa, senza però aggiungere altro.

Clarice sorride, voltandosi verso l'entrata, accorgendosi solo in quel momento che è troppo tardi perché il Country Club è chiuso e la partita è sicuramente finita.

<Aspettami qui> esclama, scendendo dall'auto senza dare nessuna spiegazione. Ha il cellulare stretto tra le dita mentre le sue gambe si muovono avanti e indietro, disegnando un percorso immaginario.

Dopo aver fatto partire una chiamata cerca la macchina di Charles, senza trovarla. In cuor suo spera siano ancora lì, ma sa perfettamente che sono le dieci di sera, il Country Club ha chiuso da un'ora e probabilmente la sua famiglia avrà già finito di mangiare.

Era in ritardo ancor prima di partire, quel viaggio è stato inutile, nonostante Emilian si sia davvero impegnato per farla arrivare in tempo. La colpa, però, è sua perché non ha controllato l'orario, ma soprattutto è venuta meno ad una promessa e lei non l'ha mai fatto, prima di oggi.

<Clarice>

La voce di Charles, dall'altro capo del telefono, la risveglia costringendola a tornare alla realtà. Sospira, portandosi una mano sul petto, mentre le luci spente del Country Club la fanno sentire più in colpa del dovuto.

<Io sono qui, sono arrivata Charles> l'avvisa, parlando così velocemente da non riuscire nemmeno a prendere fiato <Sono in ritardo, mi dispiace> aggiunge, in un sussurro.

<Non è a me che devi chiedere scusa> risponde il maggiore, con un tono così freddo da farla rabbrividire <Arthur ha ritardato di quasi un'ora pur di aspettarti, ma poi ha dovuto iniziare la partita e ti ha cercato tra gli spalti ogni volta che poteva, ma tu non c'eri Clarice>.

Il suo nome, pronunciato per intero una seconda volta, le fa comprendere che la situazione è più grave del previsto. Nonostante questo, scuote la testa, anche se Charles non può vederla, sentendosi attaccata nel profondo.

<Stai cercando di farmi sentire in colpa? Lo sai che per Tutur non era così importante> domanda, non credendo ad una sola delle sue parole, perché Arthur non è il tipo di persona che non gareggia senza di lei. Sicuramente sarà arrabbiato per via della promessa, ma non ne farà una questione di stato come sta facendo il pilota Ferrari.

Charles sospira cercando di tranquillizzarsi <Non sarei così arrabbiato con te se non l'avessi visto così ferito> confessa, abbassando il tono di voce probabilmente per non farsi sentire dal diretto interessato <Ci spiegherai dove diavolo eri una volta tornata a casa, cosa che ti conviene fare immediatamente>.

Gli occhi di Clarice iniziano a pizzicare, non tanto per quello che ha Charles ha detto, ma per il modo in cui l'ha fatto. Non riconosce il tono affettuoso di sempre, la sua dolcezza è venuta meno rispetto all'autorità che raramente esce allo scoperto.

<Sto arrivando> mormora, chiudendo la chiamata. Gli occhi di Emilian sono fissi su di lei, può vederli dal finestrino. Non si dicono nulla, lei semplicemente sale e lui riparte, portandola fin sotto casa.

Anche il loro saluto è più breve del solito, un semplice bacio prima che la monegasca scenda dall'auto per scomparire dietro al portone. Lei non lo sa, ma il ragazzo aspetta qualche minuto prima di ripartire, il tempo di ricevere un suo messaggio che lo rassicura sia "tutto ok".

Invece niente va bene, perchè quando Clarice entra in soggiorno lo sguardo di tutti è puntato su di lei, tranne quello di Arthur che, dopo averla guardata per qualche secondo, decide di ignorarla in attesa di una sua mossa.

La monegasca studia attentamente la situazione. Sua madre è seduta sul divano, tra Charles e Lorenzo, mentre Arthur ha preferito la poltrona. Il maggiore ha uno sguardo severo, le braccia incrociate al petto e la gamba che picchietta nervosamente il pavimento.
Anche il pilota Ferrari sembra nervoso, ma nessuno dei due sembra volerle domandare dov'è stata.

Sua madre, invece, è tranquilla. Ha ripreso quasi subito a leggere la sua rivista di moda, consapevole che i suoi figli maschi sono già abbastanza arrabbiati e lei dovrà essere pronta a mettere la pace.

<Mi dispiace ragazzi, ho perso la cognizione del tempo e sono arrivata in ritardo> mormora, rompendo finalmente quel silenzio, mentre le sue mani si appoggiano sullo schienale del divano e il suo sguardo rimbalza da Charles a Lorenzo.

<Non è a noi che devi chiedere scusa, ma a lui> sottolinea il maggiore, indicando Arthur con il dito <A noi devi solo spiegare dov'eri e perché non rispondi mai a quel dannato cellulare>.

Il tono della sua voce, troppo alto e troppo autoritario, la fa rabbrividire. Sospira pesantemente, già stanca di quella situazione <Tutur, se smetti di ignorarmi, posso chiederti scusa per il ritardo> afferma, voltandosi verso di lui.

Arthur, decisamente scocciato, blocca il cellulare infilandoselo nei pantaloni della tuta. Non risponde, ma la guarda aspettando il continuo di quel discorso, notando in quel momento un segno rosso e vivido sul collo della sorella.

<Ascolta, mi dispiace davvero tanto di aver ritardato, so che te l'avevo promesso, ma...>

<Ma scopare con Emilian o chissà chi è più importante di me> la interrompe, nonostante il nodo che sente alla gola <Infondo sono tutti più importanti di me, no?> domanda, inclinando la voce verso la fine.

Clarice rimane in silenzio per qualche secondo, tralasciando persino la provocazione su Emilian. La voce spezzata di Arthur e le sue parole senza senso la colpiscono, offuscandole i sentimenti.

<Cosa stai dicendo Arthur? Ovvio che sei importante> ribatte, forse troppo tardi, perché il fratello scuote la testa e si alza in piedi, con un sovraccarico di emozioni non indifferente.

<Non è la prima volta che "arrivi in ritardo", ma guarda caso succede solo quando si tratta di me> le fa notare, virgolettando con le dita le parole per farle capire che lei semplicemente non dà importanza ai loro impegni <Perché tutti sono più importanti di me, speravo però di valere di più di una scopata>.

<Cosa ti fa pensare che io sia arrivata in ritardo per questo?> domanda, cercando di ignorare le sue parole perché sono così dirette da ferirla.

<Hai un succhiotto sul collo Clarice> urla, esasperato, forse persino stanco di tutte quelle scuse <Non hai perso la cognizione dell'orario, a te non importava perché volevi stare con lui e quindi, anche un tizio che ti scopi e basta, è più importante di me, come semp...>.

<Forse non me lo scopo e basta, forse provo qualcosa Arthur> lo interrompe, alzando la voce per sovrastare quella del fratello, senza nemmeno accorgersi delle sue parole <E non stavo solo facendo sesso, ma stavo provando a superare la mia paura della velocità in pista> confessa, nel modo in cui sicuramente non voleva dirlo, non riuscendo a controllarsi.

Che senso avrebbe mentire a se stessa? Ormai è ovvio che Emilian non è il ragazzo da una notte e basta. Tutte le emozioni che prova sono vere ed è per questo che è riuscita a scendere in pista.

Lo sguardo di tutti, persino quello di sua madre, si posa su di lei. Increduli di fronte a quelle parole, restano in silenzio aspettando che sia lei a continuare.

<E lo sto facendo per venire a vedere voi correre> aggiunge, infatti, prima di stringere forte il tessuto morbido del divano.

Arthur scoppia a ridere nervosamente <Non sono l'unico fratello messo da parte, a quanto pare> afferma, chiudendo le mani in due pugni, senza preoccuparsi di nascondere ciò che prova.

<Io non metto da parte nessuno Arthur, mi sono solo accorta tardi dell'orario e...>

<Tanto lo fai per andare a vedere Charles e, comunque, c'erano altri giorni per andare in pista> afferma, voltandosi verso di lei solo per pochi secondi <Non mi interessano le tue scuse, a te non frega un cazzo di me e quindi da oggi vale lo stesso per me>.

Le sue parole la colpiscono così forte da non farle capire più nulla. Il fratello non le sembra nemmeno arrabbiato, come dovrebbe essere, ma semplicemente deluso. Questa sensazione, questo sguardo su di lei la fanno sentire in colpa.

<Non è vero che non mi importa, perché pensi sia così?> domanda, questa volta è lei quella con il nodo alla gola. Lentamente si avvicina a lui, cerca di allungare una mano verso la sua spalla, ma Arthur si allontana.

<Perché me l'avevi promesso Clarice e io ci tenevo> confessa, guardandola dritta negli occhi, lasciando scorrere tutta la sua sofferenza <E tu non c'eri, come sempre, perché tu non ci sei mai per me> conclude, facendo un passo indietro, allontanandosi da lei.

Non le dà nemmeno il tempo di riordinare i pensieri, di pensare ad una risposta giusta, di trovare il modo di chiedergli nuovamente scusa. Quando lei pronuncia <Doudou> a voce bassa, sperando di addolcirlo con quel soprannome, il ragazzo le volta le spalle.

<Non c'è più nessun Duodou, per te solo Arthur> chiarisce, trovando il coraggio di dirlo, ma non di guardarla.

Clarice sospira e allunga una mano verso il suo braccio, ma lui ha già iniziato a camminare. Le sue dita sfiorano la pelle del ragazzo che, silenziosamente, lascia il salotto senza voltarsi mai indietro.

La monegasca rimane al centro della stanza, incapace di muovere un muscolo e piuttosto incredula davanti a quel comportamento. Non sa cosa fare e nemmeno come reagire, si ripete che sarà la rabbia passeggera o un tentativo per cercare di farle male.

<Te l'ho detto, l'hai ferito davvero> mormora Charles, interrompendo il silenzio. L'ha capito subito, dal modo in cui il più piccolo continuava a cercarla in mezzo al pubblico, dai suoi occhi delusi ogni volta che non la trovava.

<Lo lascio sbollire, poi preparo un tè e risolvo le cose> afferma la sorella, prendendo posto sulla poltrona. Ci crede davvero in quello che dice, ci si appiglia perché non può essere diversamente.

Lorenzo, però, non è della stessa opinione <Non è per oggi petit, lui pensa di non essere importante per te> spiega, cercando di farle capire cosa prova, per aiutarli a fare pace.

<Mon amour, tuo fratello è più sensibile di ciò che credi e ci teneva davvero ad averti lì oggi> le confida sua madre, chiudendo definitivamente la rivista che già da tempo ha smesso di leggere <Voleva solo sentirsi importante per te, per una volta soltanto>.

<Vede noi uscire tutti i mesi a cena fuori, lo fai anche con Lolo> aggiunge Charles, aggregandosi al discorso <Si sente messo a confronto con Luca e Mattia, si sente inferiore e pensa che lo sostituiresti volentieri con uno di loro>.

<E crede che l'unico che ti importa vedere in pista sia Charles> conclude Lorenzo, anche se quello ha tutta l'aria di essere solo l'inizio.

Clarice scuote la testa, davvero incredula da ciò che ha appena sentito. Non si è mai accorta di questi pensieri, ha sempre creduto di avere un rapporto solido con Arthur.

<Non ci andrò a cena una volta al mese, ma passiamo tanto tempo insieme, viviamo insieme> puntualizza, cercando un'argomentazione valida per spiegare il suo comportamento <È mio fratello e anche se litighiamo ovviamente è importante per me, è ridicolo che io debba anche dirlo>.

Non dovrebbe nemmeno spiegarlo, non ha nemmeno senso parlarne. Forse è vero che a volte trascura i loro impegni, ma hanno amici in comune, escono in compagnia e, a differenza di Charles o Lorenzo, c'è l'ha in mezzo ai piedi più spesso, complice anche l'età.

<Clarice, tu pensaci a ciò che ti abbiamo detto> mormora Lorenzo, incoraggiandola a non sorvolare le loro parole.

Sua madre, però, cambia argomento senza darle la possibilità di ribattere <Ora vogliamo sapere di questo Emilan per cui provi qualcosa, perché non me l'hai raccontato questo> afferma, allungando il collo verso di lei.

<Ma soprattutto come ha fatto a portarti in pista? Sei salita in macchina?> domanda, a raffica, Charles decisamente interessato e forse persino meno arrabbiato rispetto a prima.

<Non lo so cosa provo e si, ho fatto un paio di giri in pista senza morire d'infarto, ma ho bisogno di tempo per una gara di formula uno> taglia corto, alzandosi dalla poltrona. I suoi pensieri sono lontani persino da Emilian. Vuole solo aggiustare la discussione che ha avuto con Arthur.

<Si, ma noi vogliamo sapere com...>

<Charles, voglio solo portare un tè a Tutur e provare a parlarci, poi magari dormire> afferma, allontanandosi dal salotto per entrare in cucina. Non aspetta nemmeno una risposta, volendo davvero evitare l'argomento.

I suoi fratelli sembrano capirlo e la casa torna ad essere silenziosa, così come quando è entrata. Sospirando appena, con un peso nel cuore, pensa alle parole giuste da usare mentre fissa l'acqua nella pentola.

Arthur si sarà chiuso in camera, ma la porta che passa dal bagno è sicuramente aperta. Se non sarà lui a farla entrare, lo farà lei. Vuole mettere apposto subito la questione, ma soprattutto vuole sapere se quello che ha detto lo pensa davvero.

Mentre le bolle iniziano a farsi vedere all'interno della pentola prova a fare mente locale, tornando indietro, rispolverando i ricordi. Uno in particolare la fa sorridere...

<Doudou, non mi piace dormire da sola, questa stanza è troppo grande> mormora, bussando alla porta della camera di Arthur.

Il bambino la apre subito facendola entrare. La osserva abbracciare il suo peluche, terrorizzata da ciò che fa paura anche a lui.

<Puce, nemmeno io mi sono abituato a queste stanze> confessa, senza riuscire ad essere abbastanza coraggioso da mentirle.

Clarice si siede suo letto guardando il fratello prendere posto affianco a lei <Dobbiamo chiamare mamma e papà?> domanda, appoggiando la testa sulla sua spalla.

<Non possiamo svegliare tutti ogni notte ma puce, dobbiamo essere coraggiosi> le fa notare Arthur, accarezzando dolcemente la sua guancia.

<Quindi posso dormire con te?>

<No ma puce, non possiamo nemmeno continuare a dormire insieme per sempre> mormora, senza crederci davvero.

La sorellina, in quella nuova casa fin troppo grossa, non riesce a dormire per paura di essere risucchiata da tutto quello spazio. Non è nemmeno il buio il problema, ma la consapevolezza di essere sola, lei che ha sempre dormito con almeno uno dei suoi fratelli.

<E se teniamo le porte del bagno aperte?> propone, allontanandosi dalla sua spalla per poterlo guardare meglio.

Arthur sembra pensarci, poi si alza dal letto e prova ad aprire entrambe le porte <Così ti vedo> la rassicura, mentre si posiziona vicino al letto della sorella <Tu?>

<Ti vedo> risponde, sdraiandosi comodamente sul letto di Arthur <Però non devi chiudere mai la porta>.

<Nemmeno tu> ribatte il fratello, attraversando il bagno per avvicinarsi a lei.

<Quando saremo grandi sicuramente la chiuderai> sussurra, mentre Arthur si sdraia vicino a lei accarezzandole dolcemente i capelli.

<Quando una porta non è una porta?> le chiede, mettendola di fronte all'ennesimo indovinello a cui la sorellina non sa risponde.

Rimane in silenzio per un tempo indefinito, lo stesso che serve ad Arthur per rispondere al posto suo <Quando è socchiusa> borbotta, alzando gli occhi al cielo <E noi non la chiuderemo mai a chiave, va bene?> conclude cercando di rassicurarla il più possibile.

<Va bene> acconsente Clarice, allungando il mignolo verso di lui <Promesso Duodou?> domanda, con il dito a mezz'aria.

Arthur stringe il suo mignolo con quello della sorella <Promesso ma puce> e le promesse, nella loro famiglia, si mantengono sempre.

<Questa notte posso dormire con te? Solo una notte, ti prego Doudou...>

Arthur, senza riuscire a dirle di no, annuisce coprendo entrambe con la coperta ai loro piedi. Clarice sorride, abbracciando più forte il suo peluche con il braccio sinistro mentre con il destro cerca la mano di Arthur.

Ora che quella promessa è stata fatta sa per certo che una porta non è davvero una porta, quando è socchiusa, e la loro lo sarà sempre.

Clarice sa di aver infranto una promessa e sa anche di dover guadagnarsi il perdono di Arthur, ma è pronta a deporre le armi e ammettere la sconfitta.

Il piattino con tè e biscotti è pronto, stretto tra le sue mani. È il suo pegno, il suo modo per chiedere scusa, per farsi in qualche modo perdonare.

Sicura che le parole pronunciate prima da Arthur, per quanto dure, siano state dette in un momento di rabbia, bussa alla porta principale della sua stanza. Sa che è chiusa e, se lo conosce, sa anche che non aprirà.

Il ragazzo, disteso sul letto, ha lo sguardo perso sul soffitto. Sente le lacrime pizzicare le sue guance e cerca di trattenerle anche quando sente la sorella bussare. Sa che è lei, per questo non risponde quando lo richiama.

<Ho portato il tè e i biscotti> lo avvisa, cercando di addolcirlo, ma lui chiude gli occhi e prova a scacciare il pensiero.

<Vattene> le urla, cercando di essere convincente, ma sa che non demorderà.

Clarice, infatti, decide di provare la loro porta. La stessa che ha visto sbattere molto spesso, anche se consapevole di non trovarla mai davvero chiusa, nonostante litigate profonde e pesanti.

L'ha sempre aperta, nel cuore della notte, infilandosi nel suo letto per parlare oppure per trovare un posto sicuro in quel silenzio assordante. Ha sempre funzionato così tra di loro.

Quella porta socchiusa è sempre stata la sua unica certezza in un mondo di variabili, l'unica promessa che non avrebbe mai davvero infranto. L'unica che suo fratello avrebbe sempre mantenuto.

Quando arriva davanti a quella porta, tenendo in equilibrio con la mando il tè e i biscotti esclama <Tutur, sto entrando> per avvisarlo e prepararlo alla sua presenza.

In quel momento il cuore di Arthur si stringe in una morsa e una lacrima solitaria abbandona il suo viso. Ha solo qualche secondo per cambiare idea, ma il suo corpo è immobilizzato nel letto, incapace di muoversi.

Nel frattempo Clarice abbassa la maniglia realizzando solo qualche secondo dopo che la porta è chiusa a chiave e, per la prima volta, non può aprirla.

Sente il cuore spezzarsi in mille pezzi o forse è sola la tazza contente il te che cade a terra insieme ai biscotti. La ragazza, però, non muove un passo stringendo più forte quella maniglia provando più volte ad aprire la porta, invano.

Arthur si alza dal letto per fermare quel movimento continuo, afferra la maniglia con decisione, nonostante il peso che sente nelmpeyto. Con il dorso della mano libera si asciuga le lacrime sul viso, anche se non riescono a smettere di scendere. Sa di aver ferito una delle persone più importanti della sua vita, ma è l'unico modo per farle capire quello che prova.

<Doudou> sussurra Clarice, notando che la maniglia è bloccata e non riesce più a muoverla
<Ti prego aprimi> supplica, mentre crede davvero che lui non la lascerà fuori.

Perché non può davvero lasciarla fuori, no?

Arthur, però, non apre e lei lo realizza solo quando lo sente allontanarsi senza aver fatto scattare la serratura.
Non prova nemmeno più ad abbassare la maniglia, ma continua a stringerla non trovando la forza di allontanarsi.

Tutto ciò che i suoi fratelli e sua madre le hanno detto è vero, ma soprattutto le parole di Arthur non sono dettate dalla rabbia, ma dalla delusione e dal dolore.

Ora che lo prova anche lei, ora che sa di averlo ferito nel profondo, vede chiaramente di essere venuta meno alla sua promessa, di aver chiuso quella porta per prima senza accorgersene, di averlo lasciato fuori innumerevoli volte.

Abbassa il viso scontrandosi con i cocci a terra sentendosi rotta nello stesso modo. Con lentezza abbandona la maniglia per raccoglierli, uno alla volta, facendo attenzione a non tagliarsi.

Cerca di non piangere, di trattenere le lacrime dentro di lei, perché quel dolore che sente è colpa sua. Ha sempre cercato di proteggere Arthur, ma a ferirlo è stata proprio lei e questo non riesce a perdonarselo.

Con i cocci tra le dita torna in cucina così scossa che persino Charles, intento a bere l'ennesima bottiglietta d'acqua prima di tornare a casa, si ferma a guardarla.

<Tutur tu ha tirato addosso la tazza?> domanda, confuso da quella espressione <Eppure non ho sentito urla> pensa, a voce alta.

Clarice scuote la testa buttando in pattumiera i resti della tazza, ormai distrutta <Non l'ha nemmeno aperta la porta> sussurra, voltandosi verso di lui con le lacrime agli occhi.

<Che è successo mon bijou?> domanda il maggiore, avvicinandosi per abbracciarla. La rabbia iniziale e il broncio scompaiono, non può fare a meno di perdonarla ancor prima di arrabbiarsi davvero. Clarice si lascia stringere, lasciandosi andare in in un pianto silenzioso.

<Non pensavo di averlo ferito così tanto, non volevo Charles, non volevo> confessa, continuando a ripetere al fratello quanto involontario fosse il suo gesto, anche se questo lo rende più grave perché avrebbe dovuto accorgersene.

Charles si allontana prendendo il suo volto tra le mani <Lui ti vuole bene, per questo sono sicuro che è in camera sua distrutto esattamente come te> la rassicura asciugando le sue lacrime <E tu devi solo trovare il modo per farlo sentire speciale facendo qualcosa che non hai mai fatto per nessuno di noi>.

<Voglio solo abbracciarlo> confessa, stringendo le mani del fratello per accarezzarle dolcemente <Magari Lolo può andare da lui>.

<Adesso vediamo, io però resto con te tanto Charlotte non è a casa> suggerisce, lasciando un tenero bacio sulla sua fronte <Anche se sono arrabbiato perché sei andata in auto con quello>

<Ti prego Bibou, un fratello alla volta> ribatte, asciugandosi da sola le ultime lacrime prima di dirigersi verso la sua stanza, passando per il salotto.

Sua madre non c'è, probabilmente ha deciso di andare a dormire mentre Lorenzo, invece, sta riordinando i cuscini sul divano. Quando la vede passare comprende subito, dal suo viso, che deve aver capito che il vero problema non è la partita di tennis.

Clarice si ferma al centro della stanza osservandolo mentre sospira e si ferma in attesa di sentire cos'ha da dire.

<Chouchou, puoi andare tu da Arthur?> quasi lo prega, distrutta da quella situazione, mentre si asciuga le lacrime cadute sulle sue guance.

Il maggiore annuisce <Si, vado io non preoccuparti> la rassicura avvicinandosi per abbracciarla mentre Charles, alle loro spalle, si toglie le scarpe riponendole all'entrata, poi si aggiunge a loro stringendola da dietro.

Per la prima volta Clarice, avvolta in quelle braccia, non si sente al sicuro. Il vuoto l'assale insieme alla consapevolezza che quella porta, questa volta, lo è davvero una porta, perché non è accostata.

È chiusa.



BUON POMERIGGIO BELLA GENTE
Lasciate una stellina se questa roba qua vi è piaciuta 💫
Si ho deciso di pubblicare a caso, totalmente a caso, ma eccoci qua!
Siete pronti?
Perché il prossimo capitolo ... vabbè non posso ditevelo, mi sa che vi tocca aspettare qua!
Chissà cosa si inventerà Clarice per farsi perdonare... chissà chissà!
Sarà mica l'effetto domino questa litigata? Chi lo sa...!
Comunque, vi lascio qua il mio nome instagram e smetto di fare spoiler giuro!

unalacrimanelmare_wattpad

Vi auguro un buon weekend, un buon gp canadese che non vedrò, ma soprattutto una buona settimana.
R🤎

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