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VI. IGEA

13 Aprile 2022, Principato di Monaco 🇲🇨

10.33 A.M.

Pace, uno stato mentale quasi assurdo per Clarice. Non lo raggiunge mai se non durante la corsa, quando il mondo le appare quasi unito in un solo colore.

Eppure ora, immersa fino al collo nell'acqua calda e nella schiuma del suo nuovo bagnoschiuma all'albicocca, sente i muscoli rilassarsi. Chiude gli occhi beandosi del profumo di vaniglia proveniente dalla candela accesa sul ripiano del bagno.

La casa è immersa in uno stato di tranquillità inusuale. La dolce melodia suonata da suo fratello si mischia al battito del suo cuore, sempre più veloce. Su quelle note ripercorre i passi fatti oggi con Emilian e quasi le manca il fiato quando pensa che ha accettato la sua proposta senza nemmeno sapere di cosa si tratta.

I suoi pensieri sono interrotti dal suono del suo telefono. Clarice apre gli occhi allungando una mano verso l'asciugamano prima di vedere chi la sta disturbando. Quando scorge il nome di Emilian sullo schermo sorride <Una doccia mi serviva, mi hai fatto sudare più del solito> legge, a voce alta, poggiando il mento sulla vasca.

Con la mano asciutta digita la risposta, un semplice avvertimento sul fatto che con lei non si scherza, non sulla corsa. Il suo allenamento è una cosa seria ed è già stupefacente che Emilian abbia tenuto il passo.

Vorrebbe aggiungere altro al suo messaggio, ma ha le mani ancora troppo bagnate così decide semplicemente di inviare un audio.

<Ti ringrazio per essere venuto con me a prendere Igea, so che l'hai fatto per me e te ne sono molto grata> mormora con il dito premuto sullo schermo del telefono <Spero che la mia voce si senta nonostante il pianoforte> aggiunge, alzando gli occhi al cielo quando l'ennesima nota sbagliata giunge alle sue orecchie.

Invia l'audio e, con la pace ormai rovinata, prova a convincere il pianista improvvisato a smetterla di torturare quel povero piano.
<Lorenzo, per l'amor del cielo, fa suonare Arthur> urla, consapevole di poter essere sentita.

Una risata cristallina, proveniente dalla stanza del fratello, le fa comprendere che Carla è in casa. La bionda, dall'aria quasi angelica, si avvicina alla porta prima di risponderle <È Arthur che fa lo stupido> senza trattenere l'ennesima risata.

Rassegnata al fatto che il suo bagno rilassante è giunto alla conclusione Clarice esce dalla vasca poggiando i piedi sul tappeto. Cercando di non bagnare il pavimento tenta la presa del suo accappatoio infilandoselo lentamente. Prima di attorcigliare i capelli nell'asciugamano li tampona per eliminare l'acqua in eccesso. Poi si infila le ciabatte e, senza nemmeno chiedere il permesso, interrompe quel baccano entrando nella stanza del fratello.

<Ti è dato di volta il cervello?> domanda, acida, voltandosi a guardarlo mentre schiaccia palesemente a caso i tasti del pianoforte.

Arthur si volta verso di lei per niente sorpreso di vederla lì <Il tuo senso dell'umorismo è più basso dei nani di Biancaneve> ribatte continuando la sua serenata stridula.

Tentata di porre fine a quel baccano distruggendo la tastiera Clarice si trattiene quasi per miracolo. Quel suono le provoca un fastidio dovuto al bisogno maniacale di ordine. Le note sono definite, scritte su uno spartito in ordine, ognuna ha il suo posto ed il suo ruolo. Come la fisica, un insieme di leggi scritte, di numeri, un tentativo di porre un'ordine cosmico nel il caos dell'universo.

<Se non la finisci questa notte ti infilo Igea nel letto> lo minaccia, puntando un dito sul petto del fratello <Non mi interessa nemmeno se c'è Carla con te>.

Arthur, ancora non a conoscenza del nuovo acquisto della sorella, si limita a chiedere <Igea sarebbe?> aspettandosi la qualunque.

<Il mio nuovo animale domestico>

Di domestico Igea, in realtà, non ha proprio nulla, ma questo Arthur ancora non lo sa. Per questo Clarice, con il volto dipinto da un sorriso furbo, lo guarda vittoriosa consapevole di avere la vittoria in pugno.

Carla, sdraiata a pancia in giù sul letto, afferra il peluche di Arthur striandoselo forte al petto respirando l'odore del ragazzo. L'azione provoca in Clarice una sensazione di fastidio poco chiara, probabilmente dovuta alla storia di quel pupazzo.

<E di cosa si tratta Clari?> domanda la ragazza con il sul solito sorriso e quell'aria da angelo sceso in terra.

I capelli lunghi e biondi le ricadono sulle spalle, gli occhi di un marrone tenue che a tratti si colora di verde la guardano curiosi. Con Arthur formano una bella coppia, di questo Clarice non ha mai dubitato, solo che a volte si domanda se siano davvero fatti l'uno per l'altra.

<Ti prego, dimmi che non hai comprato un altro ragno> la riprende Arthur interrompendo i suoi pensieri. Clarice si volta a guardarlo, il volto leggermente preoccupato e l'ansia di dover dividere la casa con un essere a otto zampe.

L'ultima volta la sua amata tarantola, Circe, aveva provocato non poco terrore soprattutto perché Clarice si divertiva a fare scherzi. Alla sua morte solo suo padre sembrava dispiaciuto, più per lei che per il ragno a dire la verità.

<Igea è un serpente> spiega allontanandosi di qualche passo per ammirare la reazione di entrambe.

Carla lascia andare il pupazzo e assume la posizione retta mettendosi seduta a gambe incrociate. Il suo sorriso si è spento e, l'unica cosa che riesce a dire, è <Io sta sera vado a dormire a casa> facendo ridere Clarice.

<Un serpente Clarice? Ti è dato di volta il cervello?> urla Arthur facendo spaventare la sorella che, intenta a guardare Carla, si volta di scatto verso di lui <Mamma ti ha dato il permesso per una cosa simile?> domanda, agitato.

<Si, finché resta in camera mia> spiega, avvicinandosi a lui di qualche centimetro <Ma se non la smetti con questo baccano finirai per essere la sua cena>.
Alquanto improbabile visto che Igea è un serpente del grano ancora troppo piccolo per mangiare umani.

Arthur, però, non sa nemmeno questo e la sua faccia spaventata diverte Clarice più di quando ha chiesto ad Emilian di accompagnarla a prenderla. O di quando è salita sulla sua auto con Igea attorcigliata alla mano.

<Clarice dimmi che scherzi o ti giuro che io...>

<Cosa fai Tutur eh? Chiami mammina a proteggerti?> lo interrompe facendolo arrabbiare ancora di più.

Il fratello, tra l'agitato e il preoccupato, prende un bel respiro cercando di non ucciderla. Semplicemente cerca la soluzione migliore, per lui.

<Io smetto di fare baccano, ma tu tieni lontano quel serpente o ti giuro che lo decapito> acconsente, ammettendo la sua sconfitta.

La vittoria ha un sapore dolce soprattutto se a perdere è Arthur. Per loro è tutto una sfida, da quando sono piccoli non fanno altro che collezionare vittorie e sconfitte senza mai giungere ad una conclusione.

<Ma possiamo vederla questa Igea?> domanda Carla facendo trasformando la felicità della vittoria in elettricità pura.

Qualcuno ha mostrato interesse per la sua Igea e di questo Clarice non può che esserne contenta. Annuisce energicamente mentre si precipita nella sua stanza lasciando le porte del bagno aperte.

Una volta che la piccola Igea è tra le sue mani torna nella stanza del fratello sedendosi sul letto affianco a Carla. Il bianco delle lenzuola fa risaltare di più l'arancione di Igea e le sue macchie quasi rosse, accerchiate da un sottile strato di nero. È bellissima oltre che dolcissima, infatti sembra non voler lasciare andare Clarice, avvicinandosi sempre a lei.

Carla la guarda quasi incantata <Ma è piccolissima, posso toccarla o mi morde?> domanda incastrando i suoi occhi in quelli di Clarice. La ragazza, semplicemente, prende Igea tra le mani facendola scivolare tra quelle di Carla <Non ti fa nulla, è totalmente innocua> mormora, sorridendo.

Titubante, ma decisamente curioso anche il fratello si avvicina per ammirare il piccolo serpente. Clarice lo osserva compiere ogni sua mossa con estrema calma, fino a quando non si siede sul letto e allunga una mano verso la coda di Igea per accarezzarla.

<Charles non sarà per niente contento> afferma mentre la sua fidanzata prova a lasciare che il serpente vada effettivamente tra le sue mani. Arthur trema leggermente, ma poi si lascia conquistare da Igea pur tenendola a distanza di sicurezza dal suo volto.

<Charles non vive qui>

<E non credo ci metterà più piede non appena scoprirà di Igea> ribatte Carla, divertita da quella situazione.

Effettivamente Charles ha una paura folle per i serpenti, motivo per il quale Clarice ha evitato di comprarne uno convincendo suo padre a prendere una tarantola. Ha aspettato pazientemente anni che il fratello sloggiasse da casa per potersi, finalmente, permettere il lusso di averne uno.

<Igea starà in camera mia, lontana da tutti voi, promesso> mormora cercando di riprendersela dalle mani di Arthur.

Il fratello, contrariato, la guarda dolcemente <Ci giochiamo un po' mentre ti asciughi i capelli e poi la rimettiamo nella teca> spiega, sorridendo come un bambino.

Carla annuisce <Sii, è così carina, per favore Clari> la supplica, avvicinando una mano ad Igea per accarezzarla.

Clarice sospira arrendendosi subito alle loro richieste <Va bene, ma fateci attenzione> esclama, alzandosi dal letto del fratello <Tutur, la rivoglio nella sua teca, prima che Charles muoia d'infarto trovandosela sul divano>.

La scena, in realtà, sarebbe così divertente che l'idea di renderla realtà attraversa sia la mente di Clarice sia quella di Arthur. I due si scambiano uno sguardo veloce sotto gli occhi attenti di Carla, ma nessuno osa dire nemmeno una parola.

Non è il momento e sicuramente nemmeno lo scherzo adatto, ma i due se lo infilano nella manica convinti che, prima o poi, tornerà utile.

Con questo pensiero che le frulla in testa entra in bagno chiudendo la porta della stanza di Arthur ed aprendo quella di camera sua. Indossati i vestiti, precedentemente poggiati sul letto, sfila l'asciugamano dai suoi capelli che, ancora bagnati, le ricadono sulle spalle.

Dopo aver applicato la sua crema preferita ed averli pettinati inizia ad asciugarli con cura. Le dita riescono ad attraversali con semplicità, mentre lei pensa se lasciarli lisci oppure farli mossi. Sicuramente finirà per legarli così da non averli in mezzo durante il pranzo con le sue amiche o la fisioterapia che dovrà fare dopo.

Con la coda dell'occhio controlla l'orario sul cellulare e anche se Emilian ha risposto al suo audio.

11.03
Un messaggio da visualizzare.

Lo apre destreggiandosi con il phon. Avvicinando il microfono all'orecchio fa partire la nota d'audio beandosi di quella voce.

<Hai un pessimo gusto in fatto di animali, ma non siamo tutti perfetti come me no?>

Con il sorriso dipinto sul volto cerca le parole adatte per rispondere, ma si ritrova ad inviare uno sticker per mandarlo elegantemente a quel paese.

La conversazione prosegue attraverso botta e risposta di stickers e gifs animale. Clarice lascia il cellulare poggiato sul lavandino, pronta a vedere cosa le invierà Emilian. Il ragazzo le invia ben tre note vocali, lunghe solo qualche secondo. Con ancora il phon in mano le fa partire, avvicinandosi un po' di più allo smartphone.

<Ammettilo, solo a te possono piacere i serpenti>

<Comunque mi ha fatto piacere approfondire con te quella questione, ma penso di essere stato troppo invadente e ti chiedo scusa per questo>

<Però hai accettato la mia proposta, non vedo letteralmente l'ora di vedere la tua faccia>

Clarice non risponde subito. Si prende il suo tempo per guardare il suo riflesso nello specchio mentre la chat con Emilian scompare facendo spazio al suo blocco schermo. Una foto che raffigura solo le sue gambe, a Tokio, mentre è intenta a correre verso la sua medaglia d'oro. In quel momento le sembra buffo perché più la guarda e più pensa a quanto raffiguri perfettamente la velocità.

La stessa di cui è terrorizzata.

Scaccia via il pensiero tornando sulla chat del ragazzo mentre, velocemente, registra il messaggio di risposta.

<Spero di non pentirmene>

E lo spera davvero, anche se ora volta il telefono ignorandolo completamente per concentrarsi sui suoi capelli. Cerca, quasi inutilmente, di mandare via quel pensiero costante.

Quel ricordo impresso nella sua mente scorre come la pellicola di un film. È costretta a chiudere gli occhi ed appoggiarsi al lavandino per la violenza con cui l'assale. I rumori, le sensazioni, le emozioni sono ancora dentro di lei. Sono rimaste lì per anni e non sembrano volersene andare.

La sequenza di immagini viene interrotta solo da un grido acuto, forte, spaventato. La porta del bagno si spalanca rivelando la figura di Charles. Ha gli occhi spalancati, è sconvolto e sembra volersi rannicchiare su ste stesso stringendo le braccia unite sul suo petto. Poco lontano ci sono Arthur e Carla, con Igea ancora tra le mani, che lo guardano divertiti.

<Charles, potevo essere nuda, nessuno ti ha insegnato a bussare?> domanda Clarice, ancora scossa dai suoi pensieri precedenti e da quell'intrusione decisamente non richiesta.

Il fratello, ancora sconvolto, si volta verso di lei <Potevi chiudere la porta a chiave e poi...> si ferma voltandosi verso Carla. Con la mano lo indica tremolante <C'è un cazzo di serpente> dice quasi urlando.

<Igea, il suo nome è Igea>

Clarice appoggia il phon, ormai spento, sul mobile del bagno avvicinandosi un po' di più a a Carla e Arthur, ora in piedi di fianco alla ragazza.

<Si chiama Igea ed è il mio serpente> specifica, nuovamente, voltandosi verso Charles solo per qualche secondo. Il suo volto terrorizzato per una volta non le fa effetto, è ancora distante, è ancora a quel giorno.

<Carla, per favore, puoi metterla nella teca?> domanda gentilmente, in contrasto con il tono usato prima, voltandosi verso di lei. La ragazza annuisce dirigendosi, a passo svelto, verso la sua stanza.

Quando passa di fianco a Charles il ragazzo si tira in dietro guardando male la sorella <Sei completamente impazzita Clarice?> domanda, finalmente, alzando persino il tono della voce.

Lei sta per ribattere che l'unico a dare di matto è lui, ma Arthur l'anticipa rispondendo al posto suo, difendendola come capita raramente.
<Sei tu che esageri Charles, lei ha solo comprato un piccolo serpente>.

Persino Clarice si volta a guardarlo meravigliata, ma il suo motivo è decisamente diverso da quello del fratello maggiore.

<Un piccolo serpente di cui sono terrorizzato e che adesso vive a casa nostra> urla Charles, gesticolando senza sosta, in preda alla paura.

Paura che Clarice conosce bene. Il respiro pesante, gli occhi tremolanti, la gola secca. Sensazioni che prova frequentemente e con cui convive.

Arthur si volta a guardarla, ma lei sembra spenta, lontana e per questo si prende la briga di specificare <Tu non vivi qui> facendo un passa avanti verso il fratello maggiore, quasi come a voler proteggere la sorella attraverso uno scudo invisibile.

<Ma quel serpente si e io ho paura> ribatte, con la voce più alta di qualche ottava e il volto più vicino a quello di Arthur.

<Igea starà in camera di Clarice, chiusa nella teca, non è un cane che gira per casa>

<Non mi importa Arthur, c'è un cazzo di serpente in casa e, se ancora non l'hai capito, ne sono completamente terrorizzato> spiega Charles, incrociando le braccia al petto.

Arthur avanza di qualche passo, pronto a rispondere, ma Clarice appoggia la mano sulla sua spalla costringendolo a voltarsi verso di lei. Durante quella discussione si è isolata, sentendosi attaccata nel profondo. La sua mente si è focalizzata sui weekend di gara, sui kilometri che percorre ogni volta che uno di loro è in pista.

Negli occhi di Charles rivede i suoi e questo non fa altro che far crescere dentro di lei un sentimento di rabbia per il silenzio in cui soffre da sempre. È consapevole che loro sanno, percepiscono, ma lei ha sempre mascherato senza smettere mai di sostenerli.

Nonostante sia terrorizzata.

Forse per questo, superando Arthur, inchioda i suoi occhi su Charles esclamando <Ho paura della velocità, ho paura ogni cazzo di volta che sali su quella fottuta macchina> sillabando ogni parola con un tono calmo e pacato.

Charles, al suono di quelle parole, trema rimanendo semplicemente in silenzio. Con gli occhi cerca Arthur non riuscendo a reggere lo sguardo della sorella, ma il minore è voltato verso di lei.

<Sono terrorizzata dall'idea che voi due possiate...>

Clarice si ferma, indietreggia, stringe forte le mani in due pugni cercando di lottare contro le lacrime che minacciano di uscire.

Ha il terrore di poterli perdere come ha perso Jules, come ha perso Lei, come ha perso se stessa con l'unica differenza che questa volta non c'è la farebbe. Non riuscirebbe ad andare avanti.

<... non riesco nemmeno a dirlo> mormora, abbassando lo sguardo.

Non riesce nemmeno a pensarlo, a delineare la parola morte sui suoi fratelli. Ha perso troppe persone, la morte si è presa la parte migliore di lei consapevole che non tornerà mai indietro.
Qualcosa si è rotto, per sempre.

Arthur si avvicina cercando il suo sguardo mentre cerca di dire qualcosa, qualsiasi cosa, per smuoverla da quella situazione. Non trova, però, le parole giuste rimanendo in silenzio esattamente come Charles. Si domanda dov'è Carla anche se, probabilmente, vista la situazione avrà preferito non tornare indietro rimanendo a giocare con Igea. Nonostante questo, averla accanto, le servirebbe.

Clarice arriccia il naso sollevando il volto verso l'alto, poi torno a guardare uno Charles diverso da quello di prima. Forse ha paura, ma non di Igea.

<Se io riesco a sopportare il fatto che tu corra in F1, allora tu Charles puoi sopravvivere ad un serpente chiuso nella sua teca> esclama con voce ferma, dura, piena di rabbia.

Charles indietreggia trovandosi con le spalle al muro, incapace di fare qualcosa di concreto <È diverso> mormora, cercando l'appoggio di Arthur, ma il fratello è sconvolto quanto lui.

<Diverso? Io vivo con il terrore tutti i cazzo di weekend Charles> urla lei, avanzando di un passo verso di lui <Sono letteralmente terrorizzata dalla velocità e lo sai, ma vi ho sempre sostenuti nonostante voi due corriate in F1 e in F3, con le auto più veloci al mondo>.

<Ma puce...> sussurra Arthur, poggiando la mano sulla sua spalla per costringerla a voltarsi.

Clarice, questa volta, non si lascia intenerire da quel nomignolo stupido continuando a tenere il suo sguardo puntato su Charles.

<Se vi dovesse succedere qualcosa non so cosa farei> confessa, a bassa voce, lasciando scivolare addosso la sua rabbia <Ma sarebbe così devastante che non lo supererei, non questa volta>.

Come potrebbe sopravvivere, come potrebbe andare avanti senza i suoi punti fermi? Non riuscirebbe, non può perderli.

È la prima volta che riesce a dirlo a voce alta, che lo spiega a loro. L'ha sempre tenuto nascosto, anche se era lì nell'aria. Eppure è bastato tirare fuori il discorso con Emilian per entrare in difficoltà, per ripensarci più fortemente, per cercare di fare un passo avanti.

Ha ammesso le sue paure e si sente più leggera, ma non sa di aver dato quel peso a Charles e Arthur. Loro che l'hanno sempre saputo, ma che ora hanno la conferma. Tutto quel dolore nei suoi occhi non sanno come accoglierlo, trattarlo, accarezzarlo.

Charles, con gli iridi lucide, abbassa lo sguardo incapace di reggerlo <Vuoi che smettiamo di correre?> domanda, quasi in un sussurro.

Clarice scuote la testa <No, se vi rende felici va bene> mormora, sincera. A lei importa solo di sapere che loro stanno bene, sono davvero appagati, vivono il loro sogno. Alla sua paura può mettere un freno, può conviverci.

<Igea ti rende felice?>

<Si, Charles, mi rende felice> risponde, allontanandosi da lui per tornare davanti allo specchio. Il suo cellulare, illuminato, mostra l'ennesima notifica di Emilian e lei quasi si sente meglio a leggere quel nome.

Charles sospira <Va bene mon bijou, ho capito> mormora ancora scosso da quelle rivelazioni <Ma tienila nella teca quando sono in giro, ti prego> aggiunge, ancora spaventato all'idea di trovarsela sul divano.

La sorella sorride leggermente voltandosi per annuire <Promesso, ora uscite da qui per favore>.

I due ragazzi si scambiano uno sguardo d'intesa poi, quasi imbarazzati, si voltano verso l'uscita per andare via da quella stanza piena di pressione. Arthur, però, si ferma sull'uscio della porta voltandosi verso la sorella. I loro occhi si incrociano, lo sguardo confuso di Clarice e quello dispiaciuto del fratello si mischiano.

<Puce, sto sempre attento ad assicurarti la mia presenza insistente nella tua vita> sussurra, increspando le labbra in un sorriso tenue, quasi impercettibile.

Clarice maschera una risata in un sospiro <Forse potrei fare anche a meno di un rompipalle come te> esclama, senza però riuscire a mascherare il suo tono divertito.

Arthur scuote la testa e chiude la porta, trovandosi davanti gli occhi ancora terrorizzati di Charles. Il rumore del phon riprende, anche la voce di Clarice che risponde a qualche messaggio si sente, seppur non si comprenda una parola.

<Ancora paura di quel povero serpente?> domanda Arthur, sedendosi sul suo letto. Vuole solo tornare a godersi la mattinata insieme alla sua fidanzata lontano dal peso delle parole di Clarice.

Charles scuote la testa <Hai sentito che ci ha detto?> domanda, con enfasi, accomodandosi di fianco a lui. Lo sguardo perso e il viso pallido, concentrato su un disegno appeso alla parete.

<Ogni volta che sono a casa e tu in circuito, lei inizia a cucinare di tutto oppure va a correre per tenersi occupata e non pensarci> spiega il minore, avendo notato ogni suo comportamento nel corso degli anni.

Charles annuisce <Lo so, quando ti giocavi l'Asian regional championship aveva il gesso e non poteva farlo, quindi ha letto tutti i libri presenti in casa> mormora, voltandosi verso di lui <Ma deve superarlo, non possiamo andare avanti così>.

<Lo dici solo perché la vuoi sotto il podio, tutta per te> afferma, portandosi le gambe al petto <Lasciale il suo tempo, il suo spazio>.

<Come se a te non facesse piacere averla in giro per il paddock> ribatte, scombinando i capelli del fratello <Dobbiamo fare qualcosa, siamo i più grandi> aggiunge, con il senso di maturità che lo differenzia.

Arthur, però, non risponde abbassando lo sguardo verso i suoi piedi scalzi. Non vuole ammetterlo, ma non ha la minima idea di come fare ed è convinto che il problema non sia lui, ma il maggiore che corre letteralmente con la macchina più veloce al mondo.

Clarice ha paura di perdere Charles, non lui. Infondo è il fratello che preferisce, quello con cui va a cena fuori almeno una volta al mese, a cui cucina i piatti più buoni, di cui si occupa maggiormente. Non che con Lorenzo faccia diversamente, è solo il loro rapporto a basarsi su una sfida continua che sfocia in battibecchi e litigate da sempre, quasi fosse una routine.

<Tanto è per te che è preoccupata> sussurra, alzando leggermente lo sguardo.

Charles lo guarda male, forse persino stupefatto dalla sua affermazione <Ti posso assicurare che non è così> afferma, sicuro di sé anche perché ha visto come si preoccupa quando corre e com'è felice quando vince. <Quando le ho detto che avevi vinto il titolo di campione aveva gli occhi che le brillavano e un sorriso così luminoso che le vedo raramente> confida, scombinando ancora i suoi capelli.

Arthur vorrebbe seriamente tagliare la mano del fratello maggiore per evitare di ritrovarsi un cespuglio in testa per colpa sua, ma rimane in silenzio concentrandosi sulle sue parole. Non sa cosa rispondere. Vero o meno che sia, lui non sa cosa fare.

<Le sue parole mi hanno spezzato il cuore> sussurra Charles, avvicinando la sua fronte a quella del fratello come a chiedere spazio nelle sue ginocchia o, forse, un semplice abbraccio.

Non voleva sentirselo dire, era già abbastanza doloroso saperlo.
<Vorrei raccogliere ogni sua paura, ogni suo dolore>

Arthur scuote la testa <Non è compito tuo, arriverà qualcuno a cui aprirà il suo cuore> afferma, sicuro che a Clarice serva amore.

Non il loro, è immersa nell'affetto della sua famiglia, serve qualcuno in grado di cambiare i suoi schemi. Forse non supererà la sua paura, ma per lo meno aprirebbe il suo cuore e loro potrebbero chiedere aiuto a chiunque sia questa persona.

<E non può essere uno di noi?> domanda Charles, allontanandosi leggermente da lui. I suoi occhi sembrano contenere la rugiada e quasi risplendono alla luce del sole che, timidamente, entra dalla finestra.

Arthur scuote la testa <Deve innamorarsi e non credo che l'incesto sia legale a Montecarlo> risponde, facendo sorridere il fratello

Charles scuote la testa <Idiota, vorrei solo conoscere meglio i suoi pensieri, per poterla aiutare> esclama, poggiando la schiena alla spalliera del letto.

Un sospiro. Un lunghissimo sospiro, un pensiero che ferisce, le parole che si increspano tra le sue labbra mentre una lacrima si fa spazio tra le sue ciglia rimanendo intrappolata.

<Con papà l'avrebbe fatto>

Nonostante il tono sommesso Arthur riesce a sentire lo stesso. Qualcosa si rompe in lui, ancora una volta. Si sente impotente di fronte a quel flusso indefinito di eventi.

Se ci fosse papà, pensa con il nodo alla gola, se ci fosse papà saremmo tutti più felici.
Ma lui non c'è e, per quanto dura sia la realtà da accettare, ad Arthur piace essere realistico, per quanto possibile.
A lui non piace pensare a come sarebbe stato perché il dolore è così forte che quasi non riesce a respirare.

<Tutur, tutto bene?>

La mano di Charles si poggia sulla sua spalla, mentre il minore alza gli occhi lucidi verso il fratello.
Si guardano per un tempo indefinito prima di dividersi quel peso stringendosi in un abbraccio.

Arthur poggia il mento sulla spalla di Charles, si stringono forte mentre qualche lacrima trattenuta trova spazio sul loro volto. Se l'asciugano in fretta, senza lasciare il tempo di farla scivolare in basso.

<Papà non c'è, però ci siamo noi tre> mormora Arthur, al suo orecchio.

Ci sono loro tre.

05.57 A.M.

Le prime luci del sole si scontrano con il volto di Clarice e Max, intenti a percorrere l'ultimo tratto di strada prima di arrivare al mare.

Si sono incontrati quasi un'ora prima al loro posto e, dopo un breve saluto, Clarice aveva preteso di iniziare immediatamente a correre. Max, ancora assonnato, non aveva osato replicare. Del sole non c'era traccia, ma alle loro gambe non sembrava importare.

Liliane ancora non ha fermato il suo passo, sempre regolare come se misurasse ogni falcata con il metro. Max, invece, ha il fiato corto e fatica a starle dietro nonostante la ragazza stia andando piano.

Beh, almeno per i suoi standard.

Ma questo Max non lo sa, anzi si domanda come riesca ad essere così veloce e costante pur avendo un ginocchio fuori uso.
Ero veloce quanto lei nonostante la nausea, pensa mentre la pista di Jeddah si delinea davanti ai suoi occhi e la voglia di battere Hamilton riaffiora.

Era stato male, più di quanto volesse ammettere. Ad ogni curva il suo stomaco si attorcigliava e lui doveva lottare contro l'istinto di vomitare nel casco o di svenire nell'abitacolo. Pallido, ma furente bramava quella vittoria più di qualsiasi altra cosa. Nulla avrebbe potuto fermarlo dall'intralciare il suo rivale. Nemmeno la nausea.

<Lily, per favore, possiamo fermarci?> domanda, poggiando la sua mano sul tronco di un albero. Poco distante c'è una panchina e ha voglia di buttarsi su di essa senza pensare più a nulla.

Clarice si volta arrestando il suo passo e perdendo, così, il ritmo. Il ginocchio le fa meno male anche se, il vero motivo, è che corre molto meno rispetto a prima.

<Se non c'è la fai> lo punzecchia, facendo un passo verso di lui. Il ragazzo ha le guance e la gote arrossate, un rosa porpora che si sposa perfettamente con i suoi occhi azzurri.

Max la guarda indeciso sul da farsi. Non vuole fare la figura di colui che si stanca subito, ma non ha le forze necessarie per continuare. È stanco, ha sonno e tanta sete. Vuole solo sedersi su quella maledetta panchina.

<Io non so quale incantesimo tu abbia fatto, ma a malapena hai il fiatone> le fa notare mentre, finalmente, poggia il suo sedere su qualcosa di solido e afferra la sua borraccia per bere quasi tutta l'acqua al suo interno.

Clarice sorride scrollando le spalle <Il respiro è importante nella corsa> spiega, prendendo posto affianco a lui <Usa anche il diaframma, crea il tuo ritmo, respira con il naso ed espira con la bocca>.

Max si volta a guardarla, il volto non nasconde traccia di stanchezza, seppur i suoi respiri sono ora più pesanti visto lo sforzo.
Potrebbe correre per altre tre ore allo stesso ritmo, forse anche di più.

<Questo se devo vincere una maratona, per una sprint?> domanda, avvicinando la sua spalla a quella della ragazza per darle una leggere spinta. Quel contatto, il primo dopo il loro saluto questa mattina, provoca una scossa elettrica impercettibile, una scintilla dorata.

<Allentamento, tanto allenamento e poi...> si ferma, indecisa, con lo sguardo puntato verso la sua Montecarlo <Corri più veloce che puoi fino a non sentire più le gambe>.

Si sente così mentre taglia il traguardo, qualsiasi gara sia. Le gambe sono quasi sul punto di cedere, solo un passo in più si ripete nella mente.

Solo un passo in più.

I ricordi delle notti in cui si sveglia per colpa dei crampi, così forti da farla piangere in silenzio per non disturbare nessuno, si intrufolano nei suoi pensieri. Gli allenamenti sfiancanti, i sacrifici, il tempo lontano dalla propria famiglia.

Non esserci mentre suo padre volava in cielo.

Per vincere le Olimpiadi ha dovuto sacrificare molto più di quanto si aspettava, ma infondo quello era il loro sogno e lei non avrebbe mai potuto deludere suo padre.

<Più veloce che puoi> ripete mentre le sue labbra si increspano in un sorriso malizioso <Strane parole per una che odia la velocità> la punzecchia, facendo scontrare nuovamente le loro spalle.

<Io posso fermarmi quando voglio, con una macchina è diverso> ribatte voltandosi verso di lui <Se non riesci a fermarla ti ritrovi contro un muro>.

Tutto quell'azzurro nei suoi occhi la fa vacillare. Le sembra di sentire il rumore dello schianto, lo stridio dei freni, il cielo grigio, la pioggia che si abbatte su di loro.

<Dici questo perché non hai mai sentito l'adrenalina scorrerti nelle vene mentre...>

<L'ho sentita Emilian, è come quando vai sulle montagne russe ed il cuore batte veloce> lo interrompe chiudendo lentamente gli occhi <Ma so anche cosa significa scontrarsi con il muro>.

È la prima volta che lo dice ad alta voce, la prima volta che lo confessa a qualcuno. Tutti sanno cos'è successo quel giorno, ma nessuno ha mai osato domandarle niente.

Max rimane in silenzio. Lui che contro il muro ci è finito così tante volta da aver perso il conto è forse l'unica persona al mondo in grado di comprenderla, o almeno così crede. Quando ha toccato il muro a Silverstone lo scorso anno ha pensato di morire e, nonostante la paura iniziale, ha capito che quella sensazione di scappare alla morte gli piace.

Il pensiero di essere più veloce di lei, di arrivare a sfiorarla, di sfidarla, lo eccita.

<E non pensi che quell'adrenalina valga la pena di rischiare?> domanda il ragazzo, ammirandone il profilo e le palpebre chiuse. I capelli ribelli sul suo volto, il vento che l'accarezza come fosse una creatura delicata.

<Non lo so> risponde, con un suono delicato e dolce <L'idea mi terrorizza così tanto che non riesco nemmeno a pensare> confessa, ad alta voce, sotto lo sguardo attendo di due occhi quasi sconosciuti.

Lo sta raccontando ad Emilian e non alla sua famiglia. È così ovvio agli occhi di tutti che non ha mai nemmeno preso in considerazione l'idea di parlarne. Non ha mai trovato il coraggio di farlo, nemmeno con la psicologa.

Lo sanno, non c'è nulla da dire.

Ed invece ora, dopo averlo rivelato a voce alta, si sente libera nonostante il ragazzo non comprenda. Come potrebbe, infondo lui è l'unico a non sapere, ma va bene così.

<Eppure la velocità fa parte di te più di quanto tu creda, Lily> mormora, mentre la sua mano cerca quella della ragazza.

Clarice apre gli occhi di scatto non appena il corpo caldo del ragazzo si avvicina a lei. Le loro mani, poggiate una sopra l'altra, sembrano cerare la combinazione perfetta per incastrarsi.

<Cos'hai detto?> domanda, voltandosi verso di lui.

<La velocità ti appartiene più di quanto tu creda> ripete inclinando la testa di lato.

Max si perde a guardare quella lacrima incastrata nella sua iride, pronta a scivolare nella sua guancia perfettamente delineata e così morbida all'apparenza. Rimangono così, in silenzio, per un tempo indefinito. Solo quando Clarice chiude gli occhi, liberando la sua lacrima, Max può di nuovo sentire la sua voce.

<Jules Bianchi> sussurra, lasciando scivolare un'altra lacrima sotto lo sguardo confuso del ragazzo <Tifavo per lui quando ancora non avevo paura e guardavo le gare di Formula Uno> spiega, asciugandosi le guance.

Quella frase, quelle esatte parole, Jules le ripeteva ogni volta che andava a guardarla correre. Questo, però, lo tiene per lei costudendo il ricordo come un cimelio di famiglia.

<E ti piacerebbe tornare a vederla?>

Clarice annuisce in modo impercettibile, ma Max riesce a vederlo lo stesso e sorride perché quella ragazza così terrorizzata ha la velocità nel sangue e nemmeno lo sa.

<Senti, mi accompagni in un posto?> domanda, alzandosi in piedi, senza rispondere alla sua domanda <Non dista molto, così poi ci salutiamo>

Max la osserva sistemarsi i capelli. I suoi occhi sono leggermente rossi, ma non hanno perso il loro colore. Le guance sono rosate, la fanno sembrare ancora più bella se possibile.

Sorride, perché non sa cosa succede dentro di lui, ma ha un'idea per aiutare la sua Lily.

<Si, ma tu questo sabato mi accompagni in un posto> ribatte, alzandosi in piedi.

<Dove?> domanda lei, iniziando a camminare, con il ragazzo al suo fianco.

Le dita delle loro mani si sfiorano, si cercano come due calamite, ma nessuno dei due osa unirle consapevoli forse che dividerle sarebbe difficile.

<Non posso dirtelo, ma voglio mostrarti la velocità dentro di te> mormora, come risposta, con un sorriso dipinto sul volto.

Lei si allontana, fermandosi in mezzo alla strada <Se vuoi portarmi in macchina Lian sappi che non funz->

<No, è troppo presto per quello> la interrompe, continuando a camminare <Tu fidati e basta, nulla di spaventoso promesso>.

Lei non risponde, ma ha già accettato.

06.42 A.M.

L'urlo strozzato di Max e la sua faccia spaventata fanno scoppiare Clarice a ridere. Senza curarsi di lui sale in auto, Igea intrecciata tra le dita della mano sinistra, la sua teca e il necessario infilati nel sacchetto che infila in mezzo alle gambe.

<Lily, hai un serpente in mano> urla, non appena la sua mente gli permette di formulare un suono diverso da un urlo.

Clarice si volta a guardarlo incastrando i suoi occhi in quelli del ragazzo, pieni di terrore <Non avrai paura di un piccolo serpente> lo riprende, accarezzando la testolina di Igea.

<Paura? Quale paura?> domanda Max respirando a fatica, non per la corsa questa volta <Sono terrorizzato> urla spalmandosi sulla portiera della sua auto.

<Va bene, lo infilo nella teca, così puoi riportarmi a casa guidando lentamente> acconsente, districando Igea dalle sue dita. Si è fidata di lui solo perché ha promesso di non andare troppo veloce e perché il tragitto è piuttosto breve, per fortuna. Nonostante questo non perde occasione per ribadirlo.

Max la osserva per tutto il tempo, lo sguardo terrorizzato e attento, mentre lei chiude la teca contenente quell'essere malefico. Solo una volta che il serpente finisce ai piedi della ragazza, impossibile da vedere per colpa del sacchetto, Max riprende a respirare normalmente accendendo l'auto.

Clarice lo osserva mentre, con una lentezza che non sembra appartenergli, percorre le strade deserte di Monaco. Lo sforzo nel suo volto è evidente, le sembra di vedere Charles o Arthur. Non sono abituati ad andare piano, a fare attenzione a quanto forte frenare, a guardare il conta kilometri per non superare di troppo la sua velocità limite, loro che guidano anche in strada con disinvoltura. Emilian si comporta nella stessa maniera, rallentando quando i suoi pensieri lo distraggono, anche se lei non ha detto nulla. Sembra capirla, seppur con difficoltà.

<La mia paura della velocità è simile alla tua per i serpenti> mormora, cercando di aiutarlo. Vuole che capisca, che comprenda appieno quello che sente.

Max, però, scuote la testa <Tu sei destinata alla velocità Lily> esclama, stringendo più forte il volante <Io non sono destinato a comprare un serpente come animale domestico>.

<Questo lo vedremo, Lian>

BuongiorNO.
Perché si, è una giornata un po' NO e per questo è tempo di pubblicare. Anche perché hanno pubblicato tutti, mancavo io.
Che dire, a quanto pare anche la nostra allegra famiglia Leclerc ha avuto una giornata no (specialmente Charles) e nemmeno a Max è andata poi così bene, ma almeno può ritenersi contento lui.
Che dire, ci sentiamo su Instagram.
Un bacio grande e grazie.

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