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24. "Con quanti altri ragazzi avrò a che fare?"

🌜Non aver paura di sognare🌛

“My high hopes are getting low
But I know I'll never be alone
It's alright, we'll survive”
-YUNGBLUD

Una delle cose più belle per me, è svegliarmi riposata, accanto a qualcuno, al caldo, e aprire gli occhi per vedere un mio dipinto appeso al muro.
Vedere qualcuno che apprezza e ci tiene ai miei lavori, mi fa sentire accettata e apprezzata.

Ho il sorriso sulle labbra da quando mi sono svegliata.
«Farò finta di non aver capito che ami davvero così tanto il mio letto», mi dice Aaron sorridendo dietro la tazza di caffè.

Mi stringo nelle spalle. «Che ci posso fare? È il letto più bello e confortevole su cui io abbia mai dormito nella mia vita».

«In realtà, la volta in cui ho dormito nel tuo letto, non è stato così male. Certo, io mi sono comprato il materasso uguale a quello che ho a casa», ammette, ridendo.

Mi sento un po' a disagio e la sua sembra quasi una frecciatina. Sono stata così impegnata a inventare bugie per sfuggire ai suoi interrogatori, che mi sono perfino dimenticata di chiedergli una cosa importante. «Da dove vieni?»

Lui sorride tanto, come se avesse capito che in seguito alla sua affermazione gliel'avrei chiesto.

«Vengo dall'Australia», dice senza togliersi dal viso quel suo sorriso meraviglioso. «Mi sono trasferito qui con la mia famiglia, da piccolo. Prima vivevo a Boston, poi ci siamo trasferiti definitivamente a New Orleans», appena lo dice spalanco gli occhi. Faccio parte di quella categoria di persone che quando sento parlare di New Orleans, in realtà penso subito a The Originals e Klaus Mikaelson.

«Tu, invece?», chiede, sorreggendosi il viso con le mani. Avrei dovuto capirlo prima che il suo aspetto fisico ricorda quello degli australiani; sembra anche un amante del surf.

«Indianapolis», rispondo, distogliendo lo sguardo.

«Da quanto tempo non torni a casa?», chiede, come se in realtà sapesse già la risposta.

«Da un po'», rispondo facendo la vaga.

«Io ci vado ogni volta che sono più libero. Penso che tra qualche settimana tornerò a casa, sai per le feste di Natale», assottiglia le labbra.

Non chiederlo. Non chiederlo.

«E tu? Scommetto che i tuoi non vedono l'ora di vederti. Per loro è difficile stare lontani dai figli», alza gli occhi al cielo, trattenendo una risata.

Per fortuna, o sfortuna, il mio cellulare inizia a squillare incessantemente. Aaron mi guarda, probabilmente non vede l'ora che io risponda o metta il silenzioso. Però non appena vedo il numero sullo schermo penso direttamente a mio fratello. Non so se sia davvero lui, ma nel caso fosse Jace, non posso ignorarlo e non posso nemmeno chiamarlo più tardi, perché sarebbe capace di cercarmi per tutta la città fino a trovarmi e spedirmi a casa a calci nel sedere.

Premo sul tasto verde, abbozzo un sorriso e dico: «Sei tu?».

«Va bene, so che nostra madre ha partorito due cretini, però porca puttana, sorella! Dove cazzo sei finita? A casa non sei tornata e a quella nullità del tuo ragazzo non frega un cazzo di dove tu sia, perché tanto "Va e torna, ama stare fuori», lo scimmiotta, fuori di sé. «Ma che cazzo vuol dire?», continua a gridare.

Aaron si acciglia, perché mio fratello si sta sgolando e lui probabilmente sta cercando di capire cosa sta succedendo, senza successo.
Scendo dallo sgabello e, con il cellulare appoggiato all'orecchio, mi allontano di poco, dicendo: «Sto bene».

«Ma dài, non l'avrei mai detto! Non ti ho chiesto come stai, ma dove sei. Dunque?», sta fumando di rabbia.

«Jace, smettila di preoccuparti così tanto, sto bene ti ho detto. Ci vediamo per l'ora di pranzo», sospiro, al limite della pazienza.

«Un indirizzo mi serve, altrimenti ti cercherò io e sai che ti troverò. E comunque, il tuo ragazzo potrebbe togliersi il palo che si è ficcato nel culo, perché sta diventando davvero insopportabile», borbotta.

Decido di non farlo stare più in ansia e gli do l'indirizzo di Aaron. So che Jace sa essere parecchio protettivo e quando dice che mi cercherebbe fino a trovarmi, so lo farebbe davvero.

«Bene, sto arrivando. Ah, per la cronaca, ho usato come strofinaccio la camicia del tuo ragazzo, che peccato», e riattacca.

Mi sfugge un mugolio e batto piano la fronte contro la parete. Mi ero quasi dimenticata cosa si prova a vivere in compagnia di mio fratello.

«Chi era?», chiede Aaron, con circospezione.

«Jace», dico, andando a prendere subito la mia roba.

«Jace chi? Aspetta, dove stai andando?», grida alle mie spalle.

«Scusa, ma devo uscire in strada, quello lì sarebbe capace di sfondarti la porta. È particolarmente dissennato», smorzo la tensione con una risata forzata.

«No, scusami, ma che stai dicendo, Ariel?», Aaron sembra sconvolto.

«Tra poco ti spiego, va bene?», gli do un bacio sulla guancia ed esco subito fuori, cercando di chiudere la cerniera del giubbotto nel frattempo.

Mi dispiace un sacco, ma mio fratello potrebbe spaccargli la faccia, o potrebbe sotterrare me se sapesse che frequento un altro ragazzo mentre continuo a stare insieme al ragazzo che più odia al mondo.

Aspetto sul marciapiedi, a braccia incrociate, finché non vedo un taxi fermarsi davanti a me e mio fratello che scende.

Appena il taxi va via, Jace rimane a fissarmi come se volesse staccarmi la testa e giocare a hockey con essa.

«Donna indipendente, va bene, ma puoi avvisarmi quando decidi di passare la notte fuori? Insomma, per evitare che questo tuo fratello figo si preoccupi ancora di più?», mi redarguisce.

Sì, avrei potuto avvisare, ma non ho nemmeno il suo numero di cellulare, e avrei dovuto chiamare Jamie, e chiamare il mio ragazzo per avvisarlo che avrei passato la notte fuori avrebbe comportato altri problemi.

«Ho perfino dovuto chiedere il tuo numero a quel cretino con la testa che assomiglia ad una balla di fieno bruciato, ti rendi conto?», apre le braccia, sconvolto.

«È stato un attentato al tuo orgoglio?», gli chiedo, inarcando un sopracciglio.

«Un attentato al mio orgoglio, alla mia vitalità, alla mia posizione e alla mia stabilità mentale», nel momento in cui lo dice, vedo Aaron uscire fuori e gridare: «Ehi, tu! Cosa cazzo le gridi contro?»

Oh, Gesù, dammi pazienza.

Mi nascondo la faccia tra le mani e sbircio tra le dita, osservando mio fratello. Jace mette su nuovamente quel suo sorriso strafottente e birichino e incrocia le braccia al petto. «E tu chi saresti? Il suo cavaliere dall'armatura arrugginita?», lo provoca.

«Jace», dico stringendo i denti.

«No, ma sei pregato di stare lontano da lei, dato che le stai urlando contro come uno psicopatico», Aaron cerca di frapporsi tra noi due. Se solo sapesse che è mio fratello e che questo ha le rotelle fuori posto da quando scalciava nella pancia di nostra madre.

«Ma tu chi diavolo sei?», indaga Jace, squadrandolo dalla testa ai piedi.

«Il suo ragazzo. Tu invece chi diavolo sei?», ribatte Aaron con aria superiore, affrontando mio fratello.

Jace rimane muto come un pesce. Penso anche che sia sbiancato leggermente in volto. Fa vacillare lo sguardo tra me e Aaron, poi le sue sopracciglia si inarcano leggermente e poi fa una smorfia strana. «Con quanti altri ragazzi avrò a che fare?», mi chiede, sbalordito.

«Non è come pensi», cerco di difendermi.

«No, ovviamente. Te la fai con due ragazzi contemporaneamente, cazzo hai superato anche me», apre le braccia, mostrandosi offeso.

«Ricordami chi sei, per piacere», interviene Aaron, spazientito, ma cercando di parlargli con tono pacato.

«Non posso ricordartelo, se non te l'ho mai detto», risponde mio fratello ironicamente.

«Jace», lo rimprovero.

Lui fa spallucce. «Non so nemmeno come dirtelo in modo gentile senza che urti la sensibilità dell'anima pura, ma non così pura a questo punto, di mia sorella, ma se le fai del male, ti faccio impiccare con una delle sue sciarpe, che oltre ad essere incredibilmente orrende, sono parecchio resistenti», gli dice mio fratello con un sorriso.

«Come lo sai? Hai provato a farlo tu?», ribatte Aaron con un sorrisetto divertito.

«Ma chi è questo qui?», chiede ancora, rivolto a me.

A questo punto, sospiro e indico Aaron. «Questo è Jace, mio fratello. Jace, lui è Aaron, il mio... Amico, ma non così amico, e prima che tu lo chieda non siamo scopamici».

«Ma un orgasmo gliel'ho già dato», aggiunge Aaron beffardo.

Cala il silenzio.

Poi Jace gli tira un pugno in faccia. Sì, proprio così. E rimane anche con l'espressione impassibile sul viso.

«C'è un codice segreto tra il fidanzato o scopamico della sorella e il fratello di lei. Mai. Dire. Che. Ti. Scopi. O fai. Godere. La. Sorella», scandisce ogni parola, puntandogli il dito contro minacciosamente.

Aaron si massaggia la guancia e lo fulmina con lo sguardo. «Hai ragione, avrei dovuto stare zitto».

Jace, notando la sincerità nelle sue parole, si ricompone e allunga la mano verso di lui, dicendo: «Allora siamo a posto».

Mentre Aaron stringe la mano di mio fratello, si gira verso di me dicendo: «Non sapevo avessi un fratello».

«Allora non gliel'hai mai chiesto», risponde Jace al posto mio.

«E perché sei venuto qui all'improvviso?», chiede Aaron.

«Perché sono uscito dal carcere e sono venuto a trovare la mia sorellina», risponde Jace con nonchalance. Probabilmente dovrei dirgli che non è un modo bellissimo per fare amicizia e introdursi agli altri, nominando il carcere, visto il silenzio che segue.

«Carcere», ripete Aaron, guardando di sottecchi me.

«Sì, quindi attento a come ti comporti con mia sorella, altrimenti-», gli fa cenno di tagliargli la gola. E Aaron ci crede pure.

«Jace, la pianti?», dico in tono annoiato.

«Senti, almeno lasciami usare questo evento spiacevole della mia vita come scusa per intimidire i tuoi fidanzatini», si lamenta lui.

«Perché sei stato in carcere?», gli chiede Aaron.

Jace fa la faccia da sbruffone, si passa la mano tra i capelli e dice: «Guarda, te lo direi pure, ma ho le chiappe congelate e i neuroni pure, non ti darei una risposta abbastanza soddisfacente».

Oh no, so dove vuole andare a parare.

«Che ne dici di entrare? Una tazza di tè caldo?», suggerisce Aaron.

Gli occhi di mio fratello si illuminano, probabilmente perché è riuscito nel suo intento. Peccato Aaron non sappia che Jace ottiene sempre quello che vuole, e in questo caso vuole vedere il posto in cui abita. Più che altro vuole ispezionare la sua casa. Secondo lui, se una persona è ordinata, allora ha anche la testa in ordine e sa quello che vuole. Ho smesso di chiedermi il perché di questi suoi ragionamenti, quindi lo assecondo e basta.

Vengo trascinata con lui verso l'abitazione di Aaron, che cammina davanti a noi.

«Questo sembra più simpatico dell'altro. Se Jamie, testa di paglia bruciata, l'hai trovato da Walmart, questo sembra tu l'abbia trovato da Gucci», sussurra mio fratello al mio orecchio.

«E te al mercatino dell'usato», gli dico, dandogli una gomitata.

«Ahìa, stronza», ricambia la gomitata.

Una volta dentro, Jace si va a sedere sul divano, ma con gli occhi analizza ogni angolo di questa stanza.
«Secondo te pulisce lui?», bisbiglia Jace verso di me.

«Coglione, sono a casa», grida all'entrata Seth.

«Oh, è bisessuale per caso? Lo condividi?», chiede Jace con gli occhi strabuzzati.

Seth entra nel salotto con un'espressione felice sul volto, che sparisce subito dopo aver visto mio fratello.

«E tu chi sei?», gli chiede scettico.

«No, chi sei tu?», ribatte Jace.

«Rieccoci», borbotto io.

«Non mi dire che sei il ragazzo segreto del mio migliore amico», Seth spalanca la bocca, come se non vedesse l'ora di prendere parte ad una lunga ora di gossip.

«Il fatto che abbiate avuto lo stesso pensiero l'uno dell'altro, rende le cose inquietanti», dico, guardando entrambi. «Lui è mio fratello», aggiungo.

«Ed è venuto qui a uccidere Aaron perché ha scoperto che tradisci il tuo ragazzo?», la perplessità di Seth lascia Jace ancora più perplesso e io vorrei scavarmi una fossa in questo momento.

«No, sono venuto a dargli il cinque, perché a costo che quel verme rimanga da solo, mia sorella se la potrebbe fare con tutta la città se volesse», mi scompiglia i capelli come se fossi una bambina.

Seth lo guarda dubbioso. «Tu sei strano, ma benvenuto nel club. Qui tutti odiamo O'Brien».

«No, dovrei essere io a darvi il benvenuto nel mio club, dato che sua sorella mi ha reso la vita un inferno e nutro un odio grande quanto l'America verso loro due», Jace sorride, ma sembra abbia assunto l'espressione di uno che non vede l'ora di buttarsi da un dirupo.

«Ah, davvero? E cosa ha fatto di così terribile?», Aaron irrompe nella stanza, con un vassoio con sopra le tazze di tè.

«Hai dimenticato i biscotti, quelli che hai fatto ieri», bisbiglia Seth verso l'amico.

«Cazzo, sa pure fare i biscotti, questo», esclama mio fratello, entusiasta.

«Dicevi?», Aaron riprende l'argomento.

«Mi ha sbattuto in carcere quella vipera, stronza, manipolatrice del cazzo», sbotta Jace, perdendo la pazienza.

«Sei evaso?», chiede Seth, allungandosi verso di lui, come se fosse un segreto che mio fratello dovrebbe confessare solo a lui.

«No, mia madre non ha mai mollato, quindi hanno riaperto il caso. Quella stronza aveva detto che io ho abusato di lei, che l'ho colpita e l'ho minacciata. Non è vero niente! Me la sono scopata un paio di volte, era una... Be', l'ho fatto per divertimento. Entrambi. Lei si è innamorata, mi voleva solo per sé, io l'ho rifiutata, lei ha fatto la pazza, si è procurata un paio di lividi e mi ha denunciato, il giorno dopo aver fatto sesso con me per l'ultima volta», spiega mio fratello. «Ora preferisco farmi le seghe finché non mi vengono i capelli bianchi, piuttosto che avere a che fare con pazze del genere».

«Deduco che abbiano dimostrato che sei innocente, se sei fuori, no?», chiede Seth.

«Sì. La stronza l'ha rifatto con un altro ragazzo», spiega, afferrando la tazza di tè. «Ma lui è stato più intelligente di me, a quanto pare. O forse è stata lei troppo stupida e se l'è lasciato sfuggire», ride. «La stronza ha mandato un messaggio ad una sua amica, dicendo che avrebbe fatto la stessa cosa a lui come l'ha fatto a quel cretino di McAvoy», si indica.

Rimaniamo tutti in silenzio. Forse mi fa un pochino male scoprirlo in questo modo, con altre due persone ad ascoltare la nostra conversazione. Avrei preferito saperlo per prima, ma mi rendo conto che sono stata così egoista da non fargli nemmeno una domanda.

«E ora sei venuto qui a prenderti cura di questa povera anima?», chiede Seth indicandomi con un cenno del mento.

«Eh?», chiede Jace.

«Non lo sai? Ieri si è sentita male, l'hanno portata in infermeria».

Jace si gira a rallentatore verso di me. «No, non lo sapevo».

«E ieri sera l'ho trovata seduta su una panchina, con del vomito ai piedi», interviene Aaron, per peggiorare ancora di più la situazione.

«Perché non me l'hai detto? Avevi detto che stavi bene», mi aggredisce senza troppe cerimonie.

Provo a trovare le parole giuste, ma lui aggiunge: «Perché hai vomitato?».

«Forse aveva mangiato dei bagel dog scadenti», suggerisce Aaron. Lo fulmino con lo sguardo.

«Bagel dog», ripete piano Jace, guardandomi con dispiacere. «Sì, sarà stato per questo», dice guardando Aaron. Ma io e lui sappiamo la verità.
Il mio cellulare inizia a squillare e mi affretto a rispondere.

«Ariel, non so come dirtelo senza che io inveisca contro ogni essere celestiale, ma dovremmo finire quel benedetto progetto», dice Niall con un tono di voce parecchio serio ma anche un po' nervoso.

Gli altri mi guardano, quindi dico: «È Niall».

Mio fratello mi stacca il cellulare dalle mani e risponde al posto mio: «Ciao, Niall. Sei un altro dei fidanzati di mia sorella, vero? Be', sappi che prima dovrai fare i conti con me e poi-»

Segue una pausa. Mio fratello fa una smorfia di disgusto e dopo un po' riattacca.
«No, non è il tuo fidanzato. Questo parla come se avesse mangiato le opere di Shakespeare e le avesse vomitato fuori con stile».

«Ok, io devo andare. Ho lezione», dico, alzandomi in piedi.

«Ariel, mi spieghi perché non lasci Jamie, se ti piace questo qui?» indica Aaron.

«Ho un nome», risponde lui.

Dato che non rispondo, tutti e tre esclamano: «Allora?».

«Devo andare», dico, salutando tutti e uscendo fuori. Ora non solo mi sento minacciata da Jamie, ma se mio fratello e Aaron scoprissero la verità dubito che avrebbero una reazione pacata e io ho paura che mio fratello possa finire nuovamente nei guai. Devo fare in modo di lasciarlo senza che le persone a cui ci tengo ci vadano di mezzo.

Quando arrivo al college, scendo dalla bici e qualcuno fa il mio nome in lontananza. Mi giro per guardare e vedo Tyler, il compagno di squadra di Jamie.

«Ehi, come stai?», chiede, sorridendomi.

«Tutto bene. Tu?», rispondo.

Lui fa spallucce e infila le mani nelle tasche del giubbotto, dicendo: «È da un po' che non ci vediamo. A quanto pare Jamie non vuole più che noi ragazzi veniamo a casa vostra. Evita sempre l'argomento, quindi non ci siamo più beccati in giro. Volevo chiederti se stai davvero bene, sai, con lui», mi guarda con la coda dell'occhio.

«Arriva dritto al punto, Tyler».

«Okay, lo sa tutto il campus che Jamie si prende gioco di te, Ariel. Seriamente, se la fa quasi con ogni cheerleader, perfino con Aurora», spalanca le braccia, sconvolto.

«Aurora? Non era quella brava?»

«Non so molto su di lei, ma so solo che se l'è fatta con Jamie tipo una settimana fa. Tu mi sembri una in gamba, Ariel. Non lasciare che ti tratti come se fossi il suo zimbello. Sei una ragazza intelligente, fai la scelta giusta», mi dà una pacca sulla spalla.

«Tyler», gli dico, fermandomi. «Tu cosa faresti se qualcuno ti minacciase?», gli chiedo.

Lui si acciglia, so che ha capito cosa intendo, ma non fa domande, anzi mi regge il gioco e resta normale. «Farei molta attenzione e agirei con prudenza. E chiederei aiuto a qualcuno di cui mi fido, in modo che mi possa aiutare», si piega di più verso di me, dicendomi all'orecchio: «Conta su di me. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiedi. Ho lo zio poliziotto, potrebbe darti una mano», poi si guarda intorno, mi sorride e va via.

«Ti avevo dato per dispersa, accidenti!», grida Niall alle mie spalle. Chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo, poi mi giro verso di lui.

«Puoi dire a quel, ehm, buzzurro che ha risposto al posto tuo, che dovrebbe aggiornare il suo lessico? E gli servirebbe anche un corso d'aggiornamento per le buone maniere», mi guarda come se volesse rimproverare me.

«Sei per caso andato avanti con il progetto?», gli chiedo, cambiando discorso.

«Sì, ma mi manca l'ultima parte. Come descriveresti la solitudine mischiata al dispiacere, alla malinconia?», mi chiede, prendendo dallo zaino il quaderno e sfogliandolo.

Andiamo a sederci su una panchina nel cortile, prima della lezione, e prendo dallo zaino la mia agenda, dove scrivo i miei pensieri.

Gli faccio leggere l'ultimo pezzo e lui batte piano le ciglia, leggendo con attenzione. «Wow, potrebbe andare. Ma è personale?», domanda.

«Forse», dico guardando altrove. «Non ho voglia e né tempo di andare a chiedere in giro alle persone come si sentono. Prendi questo pezzo e finiamola qui».

«Se ne sei proprio certa».

Prende una penna e inizia a trascrivere il pezzo sul quaderno, leggendolo a voce alta: «Nei momenti di solitudine, quando il mondo tace e le mie orecchie sono ben aperte, intente ad ascoltare il silenzio, mi sento come se fossi una stella che brilla nel cielo, ma nella costellazione sbagliata, della persona sbagliata. In un universo così grande, rimango una stella solitaria, persa nel nulla o intrappolata negli occhi di chi non dovrebbe guardarmi». Si ferma e mi guarda con compassione. «Sai, se vuoi puoi sfogarti con me. Parlare fa bene. Le tue parole sono dolorose, Ariel. E se dovessi spiegare cosa sia la solitudine, direi che sono queste parole che in realtà sono piene di significato ma allo stesso tempo sono così vuote».

«Starò bene», dico, guardando per terra.

«No, non fermare il tuo presente usando il futuro. Tu devi stare bene, adesso, in questo momento», mi dà un piccolo ceffone.

Mi giro e lo guardo male. «Ma ehi!», ci guardiamo in faccia e poi scoppiamo a ridere entrambi.

«Vedi, il presente è nella tua risata adesso. Goditelo», mi dà un pizzicotto sulla guancia.

«Non sei male, sai?», gli dico, spingendo la spalla contro la sua.

«Lo so. La ma parte migliore di me non la mostro a chiunque», fa finta di spostarsi i capelli sulla spalla con aria teatrale e si alza in piedi. «Vuole muoversi, signorina McAvoy?»

«Arrivo, prof», rido seguendolo verso l'aula.

E Jace ha conosciuto finalmente Aaron! 😂
Nei prossimi capitoli succederà una cosa bruttina.

Penso non ci sia cosa più brutta dello stare insieme a qualcuno che ti tarpa le ali e ti incatena al suolo. Mi hanno insegnato che nel momento in cui una persona ti incatena a sé e ti proibisce di parlare con altre persone, sia di sesso femminile e sia di sesso maschile, in realtà non ti ama e non ti vuole bene, ma ti vuole isolare da chi magari ti strappa un sorriso. La gelosia malata, quella eccessiva che spesso porta alla violenza, dovrebbe essere il primo segnale che dovrebbe spingerti ad allontanarti da una persona così. Le persone tossiche sono difficili da mandare via e serve anche molto coraggio e forza, ma si può fare. Io stessa in passato ho avuto ragazzi che mi hanno proibito di parlare con amici d'infanzia, soltanto perché maschi. Perfino con amiche che a loro non andavano bene. Purtroppo ero ingenua anche io, ma crescendo ho capito che bisogna scegliere bene le persone. Fate attenzione ai particolari, la gelosia è bella solo quando c'è motivo di essere gelosi, ma senza esagerare. Ci sono troppi casi di femminicidi, che nascono molte volte per colpa della gelosia e gli uomini si giustificano con "ho compiuto questo gesto per colpa del mio folle amore che provo per lei". Ma ricordatevi che chi vi ama vuole vedervi felici, indipendenti e che stiate bene con voi stessi in primis. E questo vale per tutti. Faccio questo discorso perché la protagonista vive una vita analoga a quella di molte altre donne nel mondo, quindi non bisogna sempre incolpare le donne perché deboli; bisogna capirle e aiutarle. Molto spesso i giornali descrivono l'accaduto in una maniera talmente brutta, che fanno sembrare la vittima in realtà il colpevole. Ma questo è un tema delicato da trattare, a che se mi piacerebbe sapere come la pensate.

Un bacio, alla prossima❤️

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