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20. "Sono io il suo ragazzo"

🌜 Non aver paura di sognare 🌛

“Shot guns and roses
Make a deadly potion
Heartbreak explosions”
-Avril Lavigne

Forse seguire Aaron qui dentro è stata una pessima idea. Ma ormai penso sia troppo tardi per tornare indietro. Nonostante l'aria intorno a noi impregnata di cannella e vaniglia, l'atmosfera è tutto tranne che dolce.
Aaron è nervoso, lo deduco dai suoi movimenti. Sembra irrequieto, a disagio, e continua a serbare quell'espressione seria.

Sospiro e mi metto l'anima in pace. Immagino che per qualcuno qui non sia la benvenuta.

Seduta al tavolo c'è anche Kylie, la ragazza che una volta incontrai da Seth. La stessa ragazza con cui Aaron doveva passare la notte. Nonostante si sia comportata bene e non mi abbia fatto sentire come se fossi una sua rivale, percepisco il suo desiderio di sapermi il più lontana possibile da loro due.

Poi c'è Jasmine che mi sorride dolcemente e solleva una mano per salutarmi. Jay spalanca la bocca, contento come un bambino, sventola una mano in aria, rischiando di colpire Seth in faccia. Quest'ultimo beve con la cannuccia una bevanda e mi guarda intensamente, come se desiderasse addirittura che non fossi qui.

Mi mordo il labbro e mi avvicino, dopo che Aaron ha già preso posto. Rimango in piedi, perché, be', non c'è posto per me in realtà.

«Ah, caspita, che sfiga!», esclama Kylie, portandosi una mano sulla guancia, con aria dispiaciuta.

«Ehm, ora rimediamo», dice Jay, guardandosi intorno. «Stringiamoci un po', suvvia ragazzi», ma Jay è seduto già accanto a Jasmine e Seth, e io dovrei sedermi accanto a... Kylie. Fantastico!

«Non c'è problema, posso ordinare qualcosa da portare via», dichiaro sfoggiando un sorriso finto.

Kylie posa la borsa dove io dovrei sedermi e assottiglia le labbra. «Be', non c'è tanta scelta, sai... Non possiamo mica farti sedere sotto il tavolo», ridacchia, pensando di essere stata divertente.

«Sì, infatti. Guardate, non c'è nessun problema. Non lo è mai stato», il mio tono è più sincero di quanto mi aspettassi. Forse ci sono rimasta un po' male, ma in fondo sono abituata a cose ben peggiori, quindi è soltanto una cosa di poca rilevanza.

Mi vado a sedere ad un tavolo di due persone e ordino una cioccolata calda e un muffin ai mirtilli.
Noto gli sguardi di alcune persone che mi scrutano giudicanti, probabilmente per il mio aspetto.

Avrei davvero potuto evitare tutto questo. Ho un magone dentro di me.
Sollevo lo sguardo verso il loro tavolo e vedo Aaron girare la testa verso di me nello stesso momento. Il colletto della giacca di pelle gli sfiora la guancia e i capelli sono spettinati, come se si fosse appena svegliato. I suoi occhi mi cercano, così come fanno i miei, impudenti e audaci.

Ripongo la mia attenzione sul muffin e sorrido mesta, poi lo addento e guardo fuori dalla finestra.
Non mi ero immaginata così la mia vita. Forse i miei sogni erano troppo grandi per un essere così piccolo come me. Perché in un mondo così grande, io mi ritengo minuscola. E forse non sono nemmeno all'altezza di quello che desidero realizzare. Quanto mi piacerebbe finire in una strana dimensione in questo momento e vivere la mia vita felice, proprio come un nababbo. Ma mi tocca vivere qui, intrappolato in questa realtà che tanto detesto. E non è di nessuno la colpa, se non la mia. Fidarsi pedissequamente di qualcuno reca danni irreparabili all'anima. A volte lo capiamo semplicemente troppo tardi.

Qualcuno colpisce con le nocche il mio tavolo. I miei occhi sono puntati sulla bellissima ragazza davanti a me. I suoi capelli castani ricadono in onde morbide e lucenti sulle sue spalle e i suoi occhi da gatta mi osservano con una certa avvedutezza.

«Puoi venire a stare con noi. È brutto da parte nostra emarginarti così», mormora Kylie, guardando le sue unghie e leccandosi le labbra.

«Non dovete per forza farmi spazio. E non è assolutamente un problema per me», faccio spallucce. Per alcuni questo mio comportamento potrebbe sembrare un misero tentativo di non mostrare la mia costernazione e prostrazione, ma in realtà mi comporterei analogamente con tutti gli altri. Probabilmente dovrei lavorare ancora sul mio modo di farmi degli amici, ma non perdo le speranze.

«Abbiamo capito benissimo che per te non è un problema, ma per gli altri lo è, quindi vuoi o no sederti con noi?», dice quasi adirata.

Il suo temperamento non è esattamente uno dei migliori, quindi per non peggiorare la situazione, prendo le mie cose e mi sposto al loro tavolo.
Siedo accanto a lei più rigida di un sasso. Aaron si è tolto la giacca e noto che indossa una felpa bianca con il logo della NASA.

«Allora... Come sta la ruota del tuo amico?», chiede Jay giusto per fare conversazione.

«Quella che tu avresti dovuto cambiare?», gli chiedo, alzando un sopracciglio.

«Tecnicamente...», appare confuso. «Ma praticamente non lo so fare, quindi ho mandato rinforzi», guarda Aaron, sfoggiando un bellissimo sorriso.

«Sei un tuttofare», miagola Kylie, stringendogli il braccio.

«Allora, vedo che sei tutta sporca di, ehm, colori. Hai dipinto?», chiede Jasmine, curiosa. Gioca con una ciocca di capelli color cioccolato e appoggia l'altro braccio sul tavolo, in modo che possa sorreggersi la testa.

Annuisco.

«Ce lo fai vedere?», domanda Seth.

«È in macchina», interviene Aaron con lo sguardo puntato verso basso. Il suo tono è piuttosto algido, sembra quasi che voglia dirottare la conversazione verso un'altra direzione.

«E vai a prenderlo allora, sono curiosa di vederlo», Jasmine incrocia le braccia al petto e lo guarda in modo bieco.

«No, Jasmine, non vado a prenderlo. Ora vuoi piantarla di fare la bambina anche tu?», abbaia Aaron.
«Ti vuoi calmare, amico?», Seth cerca di intromettersi, dopotutto si tratta della sua ragazza.

La situazione sta diventando davvero irritante. Mi sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guardo con la coda dell'occhio Aaron. Sembra quasi in conflitto con se stesso. E forse è tutta colpa mia.

«Senti un po', testa vuota, se ti incazzi così per un cazzo di disegno, allora sei davvero un bambino», lo stuzzica Jasmine.

«Ragazzi», cerco di frappormi tra di loro.

«O forse è un disegno che non voglio che voi vediate. No?», ribatte mordace lui.

Jasmine lo guarda quasi intontita. «Cos'ha di speciale? Cristo, è solo un dipinto! Diglielo, Ariel», Jasmine non demorde. Mi sento come se mi trovassi tra l'incudine e il martello.

«Ha tutto di speciale, ora la smetti di rompere le palle? Seth, fai tacere la tua fottuta ragazza», grida Aaron irato, attirando gli sguardi di alcuni presenti.

«La mia ragazza non è un cane, non è che posso metterla a tacere perché me lo chiedi tu», Seth è talmente tranquillo che sembra la situazione non lo tocchi minimamente.

Non riesco a crederci. Tutto questo astio tra di loro soltanto per un mio dipinto?

«Testa di cazzo», sibila Jasmine.

«Ragazzi, diamoci un taglio, dai», sospira Jay, con aria affranta.

Mi stropiccio gli occhi cercando di alleviare il dolore alle palpebre e finisco di bere la mia cioccolata calda, ignorando i loro battibecchi.

«Vuoi finire il mio caffè?», chiede Jay. «L'ho ordinato, ma non so perché. Non lo volevo nemmeno», spinge il bicchiere verso di me e annuisco, sorridendo.
Seth mi guarda con circospezione, come se mi stesse analizzando. Ignoro il suo sguardo e bevo il caffè, ma quando poso il bicchiere vuoto sul tavolo, tutti gli occhi sono puntati su di me.

«Tu bevi il caffè come se fosse acqua?», chiede Jasmine battendo piano le palpebre.

«Allora è vero che 'sta qui è stramba come dicono», dichiara Kylie, scoppiando a ridere.

«Come?», chiede Jasmine.

«Cosa? Volete dirmi che non avete sentito quello che si dice su di lei? Perfino Aurora, la cheerleader, le ha detto che deve smetterla di passare da un letto all'altro», fa un cenno del capo verso di me e io mi sento morire dalla vergogna.

«Ma cosa...», Jay appare più confuso del solito.

«Cosa cazzo stai dicendo, Kylie?», Aaron batte il pugno sul tavolo, ma lei ridacchia.

«A quanto pare ama divertirsi ma senza che gli altri lo notino. Sei stata sgamata, oopsy», sussurra lei verso di me.

Ho un nodo che mi stringe la gola. Mi sembra di essere tornata indietro a qualche anno fa.
Non so chi sia stato a strombazzare queste cose su di me, ma non riesco a tollerare ancora gli sguardi degli altri che bruciano sulla mia pelle, quindi mi alzo da tavola, prendo il mio zaino e corro via.

«Ariel, aspetta!», grida Aaron, cercando di raggiungermi, ma Kylie lo trattiene.
Sento le scarpe battere sul marciapiede vuoto mentre tengo lo zaino fermo sulle spalle, in modo che possa correre meglio. Le situazioni si affrontano, lo so, ma quando pensi di poter ripartire da zero, in effetti, ti riportano al punto d'inizio, lo stesso zero da cui stavi scappando. Se per ogni buon'inizio devo pagare un prezzo simile, tanto vale non provarci nemmeno più a fare funzionare le cose.
Mentre corro con lo sguardo basso e seguo il mio respiro grigio che colora l'aria, all'improvviso mi sento strattonare per il braccio e subito dopo una mano si posa con veemenza sulla mia bocca, impedendomi di urlare.

«Shh, non gridare altrimenti ti ammazzo», è una voce roca a me irriconoscibile. Mi dimeno, cercando di colpirlo, ma la sua stretta ferrea non mi permette di muovermi.

Gli mordo la mano e grido: «Aiuto!», lo mordo ancora e lo sento imprecare in un'altra lingua, dopodiché provo a scappare via, ma lui mi afferra nuovamente e io continuo a gridare, finché non vedo una macchina parcheggiare lungo il marciapiede e Jamie  che scende, con gli occhiali da sole sul naso.

«Jamie!», grido, ma l'uomo mi tappa nuovamente la bocca.

«Ariel?», grida a sua volta, correndo verso di me. L'uomo dietro di me tira fuori un coltello e me lo punta alla gola.

«Non ti avvicinare o la uccido», minaccia.

Jamie si toglie gli occhiali e li incastra sulla testa, poi mette le mani davanti, come se volesse proteggersi. «Amico, butta via il coltello. Non vuoi ucciderla davvero, andiamo», avanza lemme lemme.

«Vuoi scommetterci? Datemi i vostri soldi, andiamo!», ordina, allungando la mano verso Jamie. Lui prende il suo portafoglio da dentro la tasca del cappotto e prosegue avanti ancora di più, allungandolo verso di lui. Nel momento in cui l'afferra, Jamie lo attira verso di sé e poi gli dà una ginocchiata nello stomaco, mettendolo a terra.

«Ariel, vai in macchina», ordina e faccio come dice.
Guardo fuori dal finestrino mentre Jamie continua a tirargli calci, poi si piega sul suo corpo steso a terra e rimane così per un po'. Forse lo sta minacciando. Si riprende il portafoglio da terra e sputa addosso all'aggressore.

Sale in macchina e prende un fazzoletto, pulendosi il sangue che gli cola dal naso.

«Dobbiamo chiamare la polizia», dico con le lacrime agli occhi.«È ancora giorno e mi ha aggredito! Ti rendi conto? È pericoloso, dobbiamo avvisare le forze dell'ordine», prendo il cellulare dallo ziano con il corpo ancora scosso, ma Jamie me lo strappa via dalle mani.

«Non c'è bisogno, ha imparato la sua lezione», mi dice, cercando di rassicurarmi. «Se chiamassimo la polizia farebbero domande anche a noi e potremmo finire nei guai».

«Ma è stata autodifesa! È stato lui ad attaccarci», insisto.

«No, piccola, non funziona così. Credimi, meglio evitare la polizia...», si sofferma con lo sguardo su di me. «Tu non vuoi avere a che fare con la polizia, no?», mi accarezza la guancia con le nocche. Smetto di respirare per un paio di secondi.

«Stai bene? Ti ha fatto del male?», mi prende il viso tra le mani per controllare eventuali ferite e poi mi dà un bacio sulla fronte. «Andiamo a casa».

Per tutto il tragitto non faccio altro che pensare a quanto accaduto. Forse ha ragione lui. Meglio evitare la polizia. Già girano voci su di me a scuola, non voglio che la mia reputazione venga rovinata ancora di più. Mi sento meglio quando passo inosservata.

Entriamo in casa e vado a sedermi sul divano. Lui in seguito mi porta un tè caldo e un plaid e si siede accanto a me, abbracciandomi.

«Per fortuna ero nei paraggi», dice baciandomi la testa. «Ma tu cosa ci facevi da quelle parti?»

«Starbucks», mi limito a dire.

«Stasera ordiniamo una pizza... Forse è meglio se riposi un po', sembri ancora scossa», mi stringe a sé, facendo appoggiare la mia testa sul suo petto. «E, oh, una bella notizia... Ho aggiustato la tua bici!»

«Non sono scossa», dico in tono neutro, ignorando la sua bella notizia. «Mi sento soltanto...», mi scappa un singhiozzo. «Vuota e sbagliata».

«No, no, no Ariel», si sposta e mi prende il viso tra le mani. «Non osare dirlo mai più. Tu sei fantastica così, piccola. Lo sei sempre stata», mi accarezza gli zigomi, ma io mi alzo, prendendomi la testa tra le mani.

«No», inizio a dire. «Tutti pensano che io sia una puttana! Qualcuno ha messo in giro queste voci su di me, tra l'altro non vere. Tutti pensano che io sia stramba. Nessuno mi capisce mai! Nessuno prova a capirmi», crollo in ginocchio, con la faccia nascosta tra le mani.

«Amore», Jamie viene verso di me e si inginocchia per essere alla mia altezza. «Troverò chi ha messo in giro quelle voci e ti prometto che si pentirà di essere nato».

Scoppio a piangere tra le sue braccia; quelle che molte volte ho odiato, ma adesso sono le uniche a darmi conforto. «Grazie», tiro su con il naso.

Qualcuno suona alla porta. Jamie sbuffa, ma si alza. «Torno subito».

Sento una voce alterata all'entrata, Jamie torna da me con un'espressione incazzata. Sta davvero facendo di tutto per non scoppiare, poi si sposta di lato e contrae la mascella.

«Ariel?», mi chiama Aaron. Spalanco gli occhi e poi lo vedo entrare nel salotto. «Stai bene? Sei scappata in quel modo e mi sono preoccupato», nel momento in cui lo dice, Jamie alza un sopracciglio e poi assottiglia lo sguardo. Cazzo.

«Puoi risparmiarti queste sceneggiate da quattro soldi? Sono io il suo ragazzo, coglione», lo aggredisce Jamie.

Aaron si avvicina minacciosamente a lui. «E io sono il suo amico. Problemi?»

Mi alzo da terra e dico: «Sto bene, grazie per l'interessamento».

«Non sembra», constata, soffermandosi a lungo sul mio volto.

«Non ha bisogno di te. Vattene», dichiara imperativo il mio ragazzo.

«È la mia amica», ribadisce Aaron, poi viene da me e mi guarda con la mascella serrata. Il suo sguardo si addolcisce quando vede i miei occhi. Si avvicina di più e sussurra al mio orecchio: «Ti aspetto in palestra, domani alle tre del pomeriggio».

«Sono ancora qui, coglione», borbotta Jamie.

«Continua a non fregarmi un cazzo», gli sorride Aaron.

«Vattene, è meglio», bisbiglio.

«Ma non stai bene. Perché hai pianto?», fa per toccarmi la guancia, ma abbassa subito la mano per non peggiorare la situazione.

Jamie lo fa indietreggiare e lo spinge verso l'uscita.
«La mia ragazza non ha bisogno di visite in questo momento. Vattene e preoccupatene di meno».

Distolgo lo sguardo dal suo e lo sento dire: «Ci sentiamo, Ariel».

Quando va via, Jamie torna da me e irosamente lancia una tazza vuota contro il muro, facendomi spaventare.

«Lo odio! Non lo sopporto, Ariel. Dovrai stare lontana da lui, hai capito? Quello porta soltanto danni nella tua vita. Tu devi stare serena», viene da me e cerca i miei occhi. «Guardami», ordina.

Lo guardo.

«Non ti sembra strano che sia venuto subito dopo che sei stata aggredita?», alza un sopracciglio, dubbioso.

«Perché dovrebbe essere strano?», gli chiedo.

«Non lo so. Venire addirittura a casa tua... Pensaci», fa spallucce, facendo il vago.

Rimango ferma a fissarlo e lui mi sorride, prendendo la mia mano e portandosela alle labbra.
«Guardiamo un film insieme?», mi chiede, iniziando già a cercarne uno. Annuisco e mi siedo sul divano. Aaron non sarebbe capace di farmi del male... Non ne avrebbe motivo.

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