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Manuel.

Aveva ancora il labbro rotto e un taglio in fronte Nunù.
Non c'era mica bisogno pure dei due ceffoni che Anita gli ha gentilmente piazzato su entrambe le guance.

Continua ad avvertirli addosso e senza alcuna possibilità di andarsene.
Non i ceffoni, quelli ne ha presi così tanti crescendo che ormai ci faceva poco caso, ma gli sguardi della madre.

Le ha fatto perdere la pazienza un sacco di volte, è vero, eppure una delusione cocente come quella di oggi nei suoi occhi l'ha vista raramente.

Non ha nemmeno capito molto bene cosa la turbasse.
Era troppo impegnato a pensare all'espressione spezzata sia di lei che di Simone.
Entrambe per colpa sua.

Anita poi ha preso ad urlargli contro, ma Nunù ancora rimuginava sul ragazzo che, senza considerarlo minimamente, andava via.

La situazione l'ha sconvolto più di quanto vorrebbe ammettere.
Non è abituato a questo atteggiamento da parte dell'altro.
Fosse anche solo per un'occhiata carica di rabbia, Simone - dal primo giorno in cui le loro strade si sono incrociate - gli ha sempre dato attenzioni.

Quando queste attenzioni si sono trasformate in affetto, Nunù ha creduto, in un eccesso di sdolcinatezza che di solito non gli appartiene, di aver finalmente trovato il senso della sua esistenza.
Che con Simone non si è mai sentito come con altra gente.
Con Simone è diverso, pensa di colpo dovendo poi fermarsi in mezzo alla strada per le gambe molli che la presa di coscienza porta con sé.

Ed è proprio per questa percezione forte e inedita rispetto ad ogni persona mai incontrata, che la scena dispiegatasi davanti ai suoi occhi il giorno prima in questura l'ha inferocito così tanto.

E' stato come vedere Simone diventare uno di loro.

Uno di quelli che lo osserva dall'alto della propria posizione privilegiata e, nel peggiore dei casi, lo giudica e schifa, nel migliore, prova pietà per lui.

Nunù non cerca nessuna delle due cose, tantomeno dall'uomo che crede di amare.

Vuole sentirsi alla pari, vuole essere alla pari.
Non ce la fa più a farsi riconoscere solo come un povero operaio o un probabile caso perso di una società che lo rigetta.

Vuole essere guardato per quello che è.

E la cosa che adesso, mentre riprende a correre verso Villa Balestra, lo logora più di tutte è che Simone forse stava facendo esattamente questo, ma lui era troppo impegnato a covare un rancore lungo 25 anni.
Talmente radicato nelle sue viscere da non permettergli di vedere che aveva qualcuno accanto che con delicatezza e pazienza cercava di estirparlo.

Non si prende a pugni da solo perché tanto ha già la faccia conciata a festa per almeno un altro paio di settimane e pure perché sembrerebbe pazzo, più di quanto già ci si senta, a fermarsi sotto il cancello enorme che ormai conosce a memoria e, nel frattempo, darsi botte in fronte.

Che poi non ha mica tempo da perdere Nunù.
Deve assolutamente - per usare una parola che piace tanto a Simone - entrare in quella casa per chiedere spiegazioni, nella speranza che non ci sia nessun alt-
"Chi è?"

Speranza vana.

"Professò... sono- sono Nunù"
"Manuel... vieni pure."

Il meccanismo di apertura scatta e Nunù si spinge dentro il giardino d'ingresso come se tutto quello che vuole dalla vita fosse in questa casa.
Non come se, realizza percorrendo il serpente di mattonelle in ceramica che lo separano dall'entrata, è davvero tutto qua dentro.

E mentre lui prende sempre più consapevolezza di ciò che in realtà è sempre stato così lampante, qualcun altro approfitta della sua distrazione e quasi lo fa sfracellare con una spallata.

Ma che cazzo.

"Ferro" la faccia da fesso che si trova davanti lo riconoscerebbe ovunque "non ti avevo visto, scusami!"
E c'è un tono talmente fasullo, intriso di scherno nella parole, che Nunù si stupisce da solo per il modo in cui non reagisce scaraventando il bellimbusto giù dalla tromba delle scale.
Che già non nutre particolare simpatia per questo soggetto qua.

"Avvocà" annuisce con la testa rivolta verso Giulio e le dita già incurvate sul bavero della sua giacca elegante "non preoccuparti... che dormi in piedi non è una novità..." sorride con una cadenza altrettanto canzonatoria nella voce e scuotendolo un po'.
L'altro non si scompone.
Non lo fa mai, in verità.

E lui si chiede come cavolo possa essere sempre così pacato anche quando ha qualcuno che-
"Io ho qualcuno che mi aspetta a casa" lo blocca il ragazzo scostandoselo di dosso.
"Buon per-
"Diversamente da te" continua togliendosi pure della finta polvere dalle spalle "sapere che c'è una persona - che c'è Monica - che si preoccupa per me e per la mia incolumità, mi fa un attimo ragionare... mi impedisce di arrivare alle mani con ogni stronzo che mi capita sotto gli occhi."

Nunù è ammutolito.
Deglutisce attorno al nulla che gli rimane in bocca dopo che Giulio gli ha portato via tutte le parole che già masticava con rabbia.

"Non pensare nemmeno per un secondo che l'astio non sia reciproco" lo gela ancora l'avvocato, evidentemente non soddisfatto del modo in cui l'ha travolto con poche frasi "solo per quello che hai fatto ieri a Simone dovrei spaccarti la testa."

Che lui ha fatto a Simone?

"Avvocà sciogli n po' quel laccio da asino che porti al collo" replica Nunù indicando la cravatta perfettamente annodata "che me sa che la poca aria te fa sragionare..." ridacchia senza enfasi alcuna "fino a prova contraria è il direttore che s'è messo a fare il filantropo compassionevole, impicciandosi in una cosa che non lo riguardava e pagando per-"

"Una cosa che non lo riguardava??!"
Le vene del collo di Giulio sono improvvisamente gonfie mentre stavolta è lui a tirarlo per il paltò.
E Nunù a volte se l'è domandato come sarebbe vedere questo scemo incazzarsi, ma adesso - che rischia di essere scaraventato giù da una scalinata - forse si pente di averlo messo alla prova.

"Fammi capire" gli sbraita addosso quello "il suo compagno viene trascinato via da una manica di poliziotti che l'hanno pure malmenato e la cosa non lo riguarda??!" Tu pensi che c'aveva bisogno di me in questura se stava lì per cacciare soldi, eh? Che dovevo fa io? Reggere il portafogli mentre firmava assegni?? Dio mio Ferro, tu non sei stronzo, sei proprio-"

"Siete due imbecilli."
La voce di Dante che tuona dal portone di casa fa saltare entrambi in aria separandoli.
"Ma io lo sapevo che v'avrei trovato ad azzuffarvi come due ragazzini! Lo sapevo!"

Giulio ci mette un attimo a ricomporsi.

"Scusami Dante..." balbetta mortificato "non so cosa mi sia preso e- io ecco" gli occhi scorrono fino a Nunù che invece sembra vittima di un profondo shock "mi dispiace Fer- Nunù... mi dispiace" insiste con una convinzione che pare così inedita, anni luce da quello che era il tono usato appena pochi minuti prima "Simone ti vuole bene e imparerò a farlo anche io... se comincerai a trattarlo come si deve" sibila infine a denti stretti.

Il ragazzo non può biasimarlo.
In fondo l'ha sempre saputo che prima di essere il legale di Simone, Giulio ne è amico.
E probabilmente è solo il terribile timore di non poter mai raggiungere quel livello di fiducia, di complicità, di elevazione sociale, a rendere Nunù così stronzo.

Ma nell'atteggiamento protettivo dell'altro potrebbe trovare qualcosa in comune, iniziare da lì a costruire magari non un'amicizia, però - perlomeno - un rapporto civile.
Per amore di Simone posso farlo, ammette a se stesso sgranando gli occhi.

La mano che sporge verso l'esterno sembra non provenire nemmeno dal suo corpo.
"Dispiace anche a me avvocà..." borbotta cercando il suo sguardo.
Giulio quella mano la afferra pure, ma prima di stringerla "chiamami per nome" dice, salvo poi scuoterla con sicurezza "tu chiami sempre tutti con il titolo che portano... ma mica siamo solo quello... specialmente Simone" conclude lasciandolo poi andare.

"Dante noi ci vediamo domani in ufficio..." un braccio si agita verso l'alto "ciao Nunù!"
E Nunù il saluto lo ricambierebbe pure se non fosse paralizzato sul posto.

"Manuel che fai entri o rimani sulle scale?"


E' disgustoso.

Questo pensa Nunù mentre trangugia a piccoli sorsi il bourbon che gli è appena stato offerto.
Si sente pure tutte le dita appiccicose, manco le avesse calate nel bicchiere assieme ai cubetti di ghiaccio che vi galleggiano dentro e si guarda bene dal poggiarle sul bracciolo gigante a sinistra, conservandole piuttosto sulle sue stesse gambe.
Che tanto se sporca il pantalone di fustagno già parzialmente rovinato non succede nulla.
Lui quello può ricomprarselo, il divano in pelle di casa Balestra, proprio no.

"Manuel" lo richiama Dante all'attenzione "guarda che se non ti piace non devi berlo per forza."

E in effetti il ragionamento non fa una piega, se non fosse che, calando giù un altro sorso amaro, Nunù si sente in dovere di finirlo comunque.
Come se lasciandone anche solo un po' potesse dare una delusione - l'ennesima? - a quest'uomo che sembra avere una pazienza infinita nei suoi confronti.

Lo osserva e lo trova così sicuro di sé affondato nella poltrona bordeaux a centro sala.
Austero, ma al contempo rilassato.
Il suo bicchiere di bourbon gocciola sul tavolinetto di vetro e la cosa non lo tange minimamente.

Nunù si chiede se riuscirà mai ad essere altrettanto a suo agio in un posto che non sia dietro la macchina sulla quale lavora da anni o chiuso nella camera da letto a sfogliare i piccoli tomi di filosofia che lo stesso Dante gli ha fornito a volte.

Guardandosi attorno nella sconfinata libreria che ha difronte intercetta già una decina di libri sui quali vorrebbe apporre le sue mani indegne.

Gli è ancora cocente addosso la vergogna di quando un giorno si è reso conto di aver chiazzato con del grasso nero e indelebile una pagina di «Umano, troppo umano» di Nietzsche, opera che l'aveva colpito profondamente pur non riuscendo a coglierne tutte le complessità.
Nemmeno si era accorto di averla sporcata in realtà finché non era arrivato davanti all'ufficio di Dante per renderla indietro.

La mortificazione fu talmente insostenibile che spese tre giorni di stipendio per ricomprare - in una libreria in cui non aveva mai messo piede prima d'allora - un'edizione identica e precisa a quella ottenuta in prestito.
Da quel momento non ha mai più chiesto nulla e ha sempre rifiutato tutto ciò che il professore cercava di dargli.

In un impeto di rabbia verso la sua stessa persona prende a fissarsi quasi con schifo le dita.
E' inutile.
Per quanto tempo passi a lavarle, un alone di grigio sotto le unghie rimane sempre.
Come a volergli ricordare continuamente da dove viene.
Anche se sfoglia un libro impegnato che a stento capisce.
Anche se stringe le bellissime e delicate mani di Simone che non merita.
Anche se regge un bicchiere di cristallo che-
"Manuel tutto bene?"

gli scivola a terra.

Vede a rallentatore il tavolino sporcarsi del po' di alcol ancora non bevuto, poi pure il tappeto e il parquet e allora un panico esagerato subentra subito nella sua testa già affollata di pensieri.

Lui i soldi per ricomprare tutta sta roba non li ha.
Lui non-
"Tu non toccare nulla che potresti farti male."

Oh?

"Manuel" Dante batte le mani sotto il suo sguardo allucinato "hai capito non toccare nulla?" ripete precipitandosi a recuperare una scopa.

Nunù è sconvolto.

"Professò io-" boccheggia dal divano su cui è talmente fermo da sembrare impagliato "me dispiace professò... me dispiace" ripete come un disco rotto mentre l'uomo raccoglie schegge dal pavimento.

"E basta!" sbotta Dante esausto lasciando vetri e paletta in un angolo "non è successo nulla! E ne stai facendo una tragedia inutile!"
"Una tragedia inutile??" Nunù sente il sangue ribollire "Professò le ho sporcato roba che vale più di quanto guadagno in un mese!"
"E quindi?"
"E quindi non gliela posso ripagà!!" urla tirandosi su in piedi come fosse un burattino strattonato dai fili "va bene??"

Dante per tutta risposta rimane imperturbato e "e da me cosa vuoi?" indaga scrutandolo "che ti cacci di casa a calci in culo? Che mi arrabbi? Cos'è che vuoi?"
"Sto solo dicendo che non ce li ho i soldi per sto cazzo di tappeto! Lo capisce?"
"Ma chi te li ha pure mai chiesti sti soldi??" lo incalza "tu sei ossessionato da questo pensiero! Di essere sempre in debito, inferiore agli altri! Eppure non ti ho mai guardato in questo modo! Simone non ti ha mai guardato in questo modo!" sottolinea con tono aspro.

"Sono io infatti a guardarmi così!" ringhia Nunù "Ma lei e suo figlio cosa cazzo ne potete sapere che avete sempre avuto tutto pronto e-"
"E dovrei provare pena per te perché non l'hai avuto? Questo vuoi?" gli ride in faccia il professore "a me non me ne fotte proprio invece! E sai perché? Perché io ti ho sempre trattato alla pari! Il problema non è mio, è tuo Manuel!"
"Perché me chiama sempre Manuel? Gli- gli altri mi chiamano Nunù" chiede il ragazzo stupidamente.

E' troppo annichilito dalla piega che sta prendendo il discorso, non ci fa caso al colpo letale che gli viene inferto di punto in bianco.

"C'hai 25 anni" ribatte solenne Dante "è arrivato il momento che ti fai chiamare Manuel."

E Manuel adesso trema da capo a piedi.
Digrigna i denti e stringe i pugni in una morsa dolorosa, come se volesse fisicamente soffocare qualunque pensiero gli stia per uscire dalla bocca.
E' furioso e-
"E ce l'hai qualcosa da raccontare?"
"...cosa?"
"Una cosa da raccontare Manuel. Ce l'hai qualcosa da dire?" insiste Dante andandogli contro "possibile che tutta sta rabbia che covi dentro non ti fa venire in mente nulla??"

Manuel rimane con gli occhi sbarrati e la bocca schiusa a fissarlo.
"Ce l'hai una cazzo di cosa da dire? Ce l'hai o no?!"

Manco si accorge di star annuendo come un forsennato.
"Si?"
"SI. CE L'HO"
Grida.
Di questo ne è consapevole a causa della gola che gli brucia come fosse in fiamme.
"NE HO DUE!"

"E dimmele!"
Il tono di Dante è uguale al suo ora.
"Dimmele scemo!"

Ed è tutto così pesante, così insopportabile da tenere dentro e-

"SONO INNAMORATO DI SIMONE E MI SONO ROTTO IL CAZZO DI LAVORARE IN FABBRICA!"

...liberatorio.

E' tutto così liberatorio.

Ricadere sfinito sulla poltrona è l'unica cosa che può fare.
L'affanno a spezzargli la voce e gli occhi rigati di lacrime.

"Voglio diplomarmi..." mormora fra un respiro e l'altro "e poi voglio prendere una laurea!"
"Una laurea?" chiede il professore tranquillizzandosi a sua volta "e in che cosa Manuel?"
"In- in filosofia..."

E Nunù, Manuel, un padre non l'ha mai avuto, è vero, ma è cosi - con lo stesso sguardo commosso di Dante rivolto ora a lui - che immagina questo debba comportarsi quando prova orgoglio per il proprio figlio che finalmente prende la strada giusta, quella che il genitore ha sempre sperato.

"Vieni..." lo incita d'un tratto l'uomo prendendolo per un braccio "ti faccio vedere una cosa."
Si sente piccolo, insignificante, mentre si alzano e raggiungono assieme la grande libreria incassata nelle pareti.
"Prendi un libro a caso fra questi" dice Dante sorridendo "quello che te pare."

Gli trema la mano afferrando un tomo enorme, la cui copertina pare pietra intagliata per quanto è spessa e preziosa.
Costerà più di tutta casa mia, pensa sfogliandolo e trovandolo-
"Hai visto? E' pieno di macchie e sottolineature."
Manuel ci manca poco che non lo fracassa a terra quello stesso tomo.
E' solo perché è la prima volta che lo apre in vita sua che sa di non essere stato lui a farci sopra quel macello.

Annaspa mentre "profes- Dante" lo richiama con urgenza "ma- ma perché è ridotto così?"
"Perché i libri vanno letti e vissuti" spiega lui sereno "e se sento l'esigenza di sottolinearli o l'istinto di rileggerli e appuntarci sopra un pensiero che mi hanno ispirato, lo faccio... Così in quelle pagine c'è qualcosa che le rende uniche, vive. Ecco perché quando mi hai restituito una versione intonsa di «Umano, troppo umano» l'ho subito impiastricciata... Per lo stesso motivo per cui, che tu mi abbia leggermente macchiato il tappeto, non mi interessa affatto."

Manuel avvampa e distoglie lo sguardo per direzionarlo ancora verso le sue stesse mani.
Forse è l'alcol ingerito ad illuderlo, ma di colpo non gli sembrano più cosi irrimediabilmente sporche.
Osa stringere appena le pagine che ha fra le dita e procede a sfogliarle in uno stato contemplativo, finché non arriva a ritroso alla prima pagina.

Il cuore per poco non gli esce dal petto.

Tanti piccoli «Simo» sono scritti timidamente in un angolino, quasi a non voler disturbare, a lasciare tutto lo spazio a chiunque verrà dopo di loro.
Non lo controlla nemmeno il pollice che sale a carezzarli.

Dovrebbe sentirsi un idiota nel fare questa cosa davanti a Dante, eppure proprio non ci riesce.
Si ripete il nome nella testa mentre continua a sfiorarlo piano.
Un Simo, una carezza.
Un Simo, una carezza.

E questa volta - nota stupito - non si inzozza come fu a suo tempo per le iniziali sulla camicia, ma resta limpido e chiaro sotto le sue dita premurose.

"Dante" mormora dopo un po' sollevando gli occhi verso il professore il quale non ha mai smesso di guardarlo "dove sta? Dov'è Simo?"

L'uomo in risposta si lascia andare ad un sospiro che pareva trattenuto da ore.
Gli poggia una mano sulla spalla e prende a spiegare per sommi capi tutta la questione di Chicca che Manuel ascolta in silenzio.

Aveva una vaga idea, certo, ma non credeva la situazione fosse tanto seria.
E sapere adesso che Simone, il suo Simone, ha fatto un gesto del genere lo fa tremare da capo a piedi.
Se lo immagina pure con la piccola Marianna al seguito, incerto su cosa fare.
Deve sentirsi così solo in questo momento, magari perso a rimuginare su quello che Manuel gli ha detto, girovagando nel frattempo in un quartiere che-

la realizzazione lo folgora.

Un quartiere che entrambi conoscono perfettamente.

Si sente frenetico, smanioso e sta già pensando a quale strada prendere per arrivare subito dall'altra parte della città.
Fa pure per congedarsi da Dante con un veloce abbraccio, gesto istintivo che a lui dá l'idea di un giusto modo per salutare un padre, ma questi lo trattiene per un braccio.

"Manuel"
"Dante scusami" spiega trafelato cercando di divincolarsi "non ho tempo... devo raggiungere Simone e-"
"E per questo prendi la macchina." attesta l'uomo lasciandolo e facendogli cenno di seguirlo.
"La- la macchina?"
"La macchina di Simone..." replica come se fosse la cosa più naturale del mondo "anche se lui non la usa mai."

Dieci minuti dopo Manuel percorre mezza Roma a bordo di una Alfa Romeo che mai avrebbe pensato di poter toccare nemmeno per cambiarne i pezzi, figuriamoci guidarla.

Eppure, mentre affonda nei comodissimi sedili in pelle e stringe il volante ergonomico, si rende conto che non gliene può fregar di meno di questa vettura se poi al ritorno non avrà Simone accanto a sé a riempire l'abitacolo con la sua presenza meravigliosa e inestimabile.

L'insegna del cinema che scorge in lontananza gli provoca un terremoto nelle viscere.
Fa il parcheggio peggiore della storia, scende di fretta dalla macchina senza preoccuparsi della portiera che sbatte e si precipita al bagarino.

"Signora" dice con l'affanno alla bigliettaia che lo guarda come se lo conoscesse da sempre "un- un biglietto, grazie."
"E per quale film giovanotto? Ci stanno tre sale con tre proiezioni diverse."

Manuel solleva la testa, legge rapidamente i titoli e "Fellini." sorride tirando fuori il portafogli "Assolutamente uno per Fellini."

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