Futura.
Quella piccola rondine in volo laggiù ha decisamente un'ala più grande dell'altra.
Questo è il pensiero che attanaglia da diversi minuti la giovane Annina intenta ad osservarla.
Eppure avrebbe giurato che erano tutte identiche fra loro.
O almeno così credeva fino a poco fa.
Adesso però è abbastanza stanca da non distinguere più tanto bene dei dettagli che prima le sembravano invece nitidi e definiti.
Non che ci possa fare qualcosa.
Il momento esatto in cui ha notato la piccola deformità è corrisposto con un tempismo impeccabile al richiamo che sapeva di lì a breve sarebbe arrivato.
Alza gli occhi al cielo - letteralmente - e, sbuffando come una vaporiera, si appresta a rispondere all'esortazione.
Non prima di aver specificato un dato davvero importante.
"Mi chiamo Marianna!!!"
E la voce che procede imperterrita a reclamare la sua attenzione pare però non dare alcun peso a quanto detto perché "Annina!" reitera ancora più veemente "se ti spezzi una gamba là sopra poi ce vado de mezzo io co' tu' sorella."
La ragazza accoglie la lamentela con molto interesse.
Prova ne è lo sbadiglio rumoroso offerto in risposta e la serie di panni intrisi di colore lanciati verso il basso in direzione del malcapitato che sosta appena qualche metro sotto.
I movimenti repentini e affannati per impedire alle pezze lerce di colpirlo si rivelano del tutto inutili quando una di esse, scagliata con la mira di un tiratore scelto, cade con un sonoro «plof» esattamente sul suo groviglio disordinato di capelli.
Segue una specie di borbottio stizzito, difficile da intuire al di sotto della stoffa che si limita a vibrare fra una parola e l'altra.
Annina per poco non precipita giù tanto è sopraffatta dalle risate per questa scena a detta sua divertentissima.
"Ma che te ridi ao?" è la domanda retorica e finalmente udibile dopo che il volto è stato liberato "e movite a scenne ragazzì che oggi sennò davvero Chicca me fa storie!"
"Guarda che mi hai voluta tu qua sopra! O te lo sei dimenticato Nunù?"
E Nunù non se l'è affatto dimenticato, solo che gli era sfuggito il trascurabile dettaglio che avere a che fare con un'adolescente in piena crisi esistenziale non è come approcciarsi ad una dolce bimbetta di nove anni che annuiva ad ogni parola dell'altro e il massimo di preoccupazione che dava era solo nell'insistenza con la quale chiedeva a Simone di essere il suo fidanzato da grande.
Che comunque lui e il compagno ancora ci ridono per questa cosa.
Annina, invece, oscilla fra una sensazione di profondo imbarazzo, tipica di chi viene sottoposto alla tortura delle reminiscenze infantili che vorrebbe solo dimenticare, e una finta amnesia con tanto di espressione confusa e stralunata degna di un Oscar.
A Manuel - in realtà - quella piccola peste che si piantava sulle scarpe di Simone costringendolo a camminare per sentire il ticchettio dei tacchetti o che si arrampicava in braccio a lui con la scusa di esser stanca tutte le volte che la andava a riprendere da scuola, manca terribilmente.
Adesso che lei ha superato il metro e mezzo di altezza non può fare nessuna delle due cose e Manuel si sente come uno di quei vecchi genitori che ha visto i figli crescere troppo velocemente sotto i propri occhi e non gli rimane altro che affollarsi la mente di quante più memorie possibil-
"Nunù!"
La testa del ragazzo saetta rapida verso il cielo.
"Che c'è piccolé?"
"C'è che sono dieci volte che ti chiamo!" sbuffa spazientita "puoi aiutarmi a scendere?"
E Manuel non se lo fa ripetere due volte.
In un attimo è proteso in avanti con le braccia aperte e attende paziente che le mani di Annina afferrino le sue.
Lei però lo coglie in contropiede.
Slanciandosi in avanti come una tuffatrice dal trampolino, compie quello che è a tutti gli effetti un salto di almeno due metri e atterra perfettamente addosso all'altro il quale ringrazia tutti i santi del Paradiso per essere riuscito a tenerla e non precipitare all'indietro.
"Ma che sei scema?" strilla nonostante abbia la ragazza stretta al suo petto "ce potevamo ammazzà!"
Annina, ripetendo il medesimo gesto di pochi minuti prima, sbadiglia con estrema teatralità e scende dalle braccia di Manuel.
"Quando ero piccola non facevi tutte ste storie!"
"Quando eri piccola pesavi venti chili de meno ed eri pure alta la metà!"
Lei non sembra molto persuasa da questa spiegazione e "quante parole per dire che sei diventato vecchio e nun ja fai più!" canzona recuperando i vari utensili che ha sparpagliato in giro.
"Senti Annina-"
"Ho 15 anni, basta con questo Annina! Mi chiamo Marianna! Ma-rian- na!" sbotta sollevando un pennello pericolosamente vicino al volto di Manuel che però non risulta affatto turbato.
"Grazie per la scansione della parola... vedrò bene che farmene" ribatte con tono altrettanto beffardo "che pure io sono Manuel... però tu sei l'unica rimasta a chiamarmi Nunù, è vero?"
La ragazza annuisce titubante.
"Ecco... sai perché non ti correggo?"
Le sopracciglia ben definite si aggrottano e la bocca sottile proferisce un perplesso "no..."
"Non ti correggo perché a me piace che ci sia ancora qualcuno, nello specifico tu, che mi ricorda cosa ero..." spiega agitando le mani in aria, quasi che l'apporto gestuale contribuisca a dare concretezza e validità al discorso che porta avanti "che mi ricorda come ero... da ragazzino e da giovane adulto..."
Gli occhi difronte a lui sono enormi e a Manuel vibra un po' il petto per quella solita - e ridicola - sensazione che siano così simili ad un altro paio che ama allo stesso modo.
Che lo sa che è impossibile, ma davvero a volte gli sembra di vederci una versione ingentilita di Simone su questo viso dolce e ancora lievemente paffuto.
"Il fatto è" ricomincia a parlare dopo essersi schiarito la gola "che ogni volta in cui mi chiami Nunù, un pezzo di me del passato torna in vita, anzi!, è sempre in vita! Solo che la frenesia del mondo me lo vuole far scordà... invece co' te che lo richiami è come se fosse sempre lì, forse più in disparte certo, ma pronto a palesarsi quando serve... e fidati che serve!" afferma convinto "non bisogna mai dimenticare da dove veniamo. Hai capito, Marianna?"
E Marianna, bocca schiusa e sguardo umido, ha capito pure fin troppo bene.
"Annina" sussurra infatti prima di travolgere Manuel in un abbraccio fortissimo "tu puoi chiamarmi Annina..."
"Va bene... Annina."
La mano che lascia scorrere sui capelli lunghi e lisci della ragazza sembra tranquillizzarla ulteriormente.
"Però..." borbotta con la faccia incassata fra la sua testa e il collo "ci penso sempre a quello che mi hai promesso eh!"
Manuel ridacchia liberandola dalla stretta.
"Anche io a quello che tu hai promesso a me!"
"Ma io ho fatto il-"
"E infatti ti ho detto che ho parlato con la signora Rossana!" la interrompe perentorio "un mese di cinema pagato, come volevi tu. Potrai andarci quante volte vuoi... e se ti porti qualche ragazzetto che nun me piace lo verrò a sapere subito!"
"Ma non è giusto!"
E ci manca solo che batta un piede a terra e intrecci le braccia al petto per manifestare il suo disappunto.
A Manuel comunque, di questa breve sceneggiata interessa molto poco.
"Sai cosa non è giusto? Che siamo ad aprile e hai ancora un 5 da recuperare in filosofia!"
"Ma Chicca dice che tanto poi tu mi darai ripetizioni!"
"Che io ti d- Io devo fa na bella chiacchierata con tua sorella, ecco che devo fa!" esclama l'altro con gli occhi fuori dalle orbite "sto al primo anno di università, mica so un professore!"
"Non ancora! Ma in futuro..." rimbecca facendolo imbarazzare e distogliere lo sguardo "e poi lei è al terzo trimestre, è intrattabile adesso!"
"Oh lo so" attesta Manuel con aria trasognata "Matteo nun me parla d'altro... ma ciò non toglie che tu devi metterti sotto con lo studio perché sei intelligente e nun me piace che proprio in filosofia vai male e al prossimo incontro con i professori ce vengo io a parlà e-"
"Nunù!"
"...Mh?"
Il sorriso che esplode sul volto di Annina gli fa tremare le gambe "Grazie... di tutto."
C'è un venticello leggero che le scompiglia i capelli.
Manuel li osserva e pensa che sembrano vagamente dei rami sottili di un albero che si innalzano appena per la lieve brezza, ma senza mai staccarsi dalle radici a cui sono indissolubilmente legati.
La verità è che vorrebbe tanto fermare il tempo, anche solo per cinque minuti, e guardare Annina un altro po' prima che sia troppo cresciuta e della bimbetta che gli teneva la mano in ogni occasione possibile non rimangano che ricordi malinconici.
"Grazie a te" mormora con gli occhi lucidi "soprattutto per quello che hai fatto oggi... sperando che a Simone piaccia."
"Oh, ma non c'è dubbio!" dichiara convinta "lui comincerà a piangere prima che tu possa aprir bocca!"
Manuel scuote la testa divertito.
In cuor suo è consapevole che andrà così, ma una parte di sé - quella che ancora non riesce a credere alla fortuna che gli é capitata - teme solo che il compagno fuggirà a gambe levate da lui.
E' di nuovo Annina a ridestarlo dai pensieri intrusivi.
Ha lo sguardo rivolto verso l'orizzonte ormai sempre più scuro mentre "mi accompagni a casa o torno io da sol-"
"Ti accompagno subito." è la replica asciutta, che non ammette obiezioni.
"Possiamo togliere la cappotte della macchina tornando? Possiamo? Tanto siamo vicino casa!" implora con le mani giunte e il broncio delle grandi occasioni.
"E che ce devi fà con la cappotte alzata? Senti che c'è pure un po' di vento?"
"Voglio vedere il cielo Nunù... finché non fa buio del tutto mi piace guardarlo."
Manuel, come al solito davanti a due occhioni così dolci, non può che sciogliersi.
"Va bene... la teniamo aperta."
Tutta la felicità della ragazza si manifesta nell'ennesimo sorriso grato che gli rivolge e nella stretta convinta che imprime sul braccio dell'altro mentre si avviano al parcheggio.
"Ce pensi che tra 'n po' diventi zia?" interviene ad un certo punto salendo in auto "A me pare ieri che eri tu na bimbetta! E ora ne arriva un altro di cui te devi prende cura eh! Je devi voler bene a sto pargolo come fosse-"
"E' femmina."
Il cacofonico rumore del clacson risuona improvviso in tutto l'abitacolo.
Annina si tappa le orecchie rapidamente e "ma che sei scemo?!" strilla.
E Manuel scemo ci si sente davvero in questo momento, con una mano ancora tremante scivolata al centro del manubrio e l'altra che sale a tapparsi la bocca aperta.
"E'- è femminuccia?" bisbiglia incredulo.
"Si! L'abbiamo scoperto ieri con uno di quei macchinari moderni... dovevi sentire come batteva forte il cuore di Alessia!"
"Ales- in che senso Alessia?"
Annina sembra stranamente tranquilla per essere una che sta per assistere ad uno svenimento in diretta.
"Ao Nunù!" le dita smaltate schioccano sotto il naso dell'altro "non ci vuole un genio eh! E' il nome della bimba... del pargolo come dici tu..." spiega con calma portando i piedi sul cruscotto della vettura.
Manuel è troppo, troppo stravolto per rimproverarla, per ricordarle che quelle scarpacce orribili che s'è fatta regalare da Simone sporcano e lui poi dovrà perdere tempo a ripulire.
Tutto quello che riesce a fare è pronunciare all'infinito il nome che ha appena conosciuto, ancora e ancora, finché nel suo cervello non rimane che questa singola parola.
Alessia - riflette mettendo finalmente in moto la macchina e avviandosi - hai già il mio cuore come la piccola Marianna.
**
Sono abbastanza sicuro che quella enorme crepa laggiù fino a ieri non c'era.
Questo pensa Simone con la testa rivolta al soffitto sempre più sbiadito e con delle spaccature evidenti.
Andrebbe assolutamente rifatto e ridipinto, ma dopo circa sei anni da quando l'ha sverniciato, rimuovendo i cherubini che lo adornavano, non ha mai avuto tempo o voglia di farlo.
Nemmeno Manuel poi si è dimostrato di grande aiuto in questo senso.
Ogni volta che ha provato a coinvolgerlo nella scelta di un nuovo affresco l'altro ha sempre abbozzato risposte vaghe e insicure, fino ad arrivare alle scorse settimane nelle quali addirittura ha evaso sbrigativamente la domanda con dei freddi "'a casa nun è mia Simò, mica o' posso decide io."
E Simone invece vorrebbe dirgli che si, può decidere lui, perché proprio non riesce a pensare ad una distinzione di beni e cose quando si tratta di Manuel.
Nella sua testa esiste solo un concetto ed è quello ampio e rassicurante di nostro.
Eppure lo sa com'è fatto.
Sa che un'affermazione del genere potrebbe solo innervosirlo o peggio offenderlo.
Ci sta provando in tutti i modi a rispettare i suoi tempi, a capirne i tormenti e le scelte, anche quando gli sembrano incomprensibili.
Ha accettato tutto ciò che lo riguarda nel modo migliore che ha potuto.
E con non poca ansia si chiede se anche lui sarà mai disposto a ricambiargli la cortesia.
Non pretende mica granché alla fine, non può pretendere granché.
Il periodo è quello che è, la società anche, ma in futuro... chissà.
Se lo ripete fino allo sfinimento questo mantra, lo usa come conforto e rifugio quando proprio arriva al limite della sopportazione.
Che la realtà - a volte - è ancora scadente.
E ora che è un adulto fatto e formato, lo schermo di un cinema non sempre compensa a dovere il vuoto che avverte.
Immaginare una vita condivisa con Manuel, invece, sì.
E ultimamente questi sogni lo accompagnano più del solito.
Si ritrova seduto in ufficio a pensare a come sarebbe rincasare la sera e avere il compagno già lì, senza doverlo andare a prendere in un posto dall'altra parte di Roma.
Oppure gli capita, mentre è al parco con Annina, di visualizzarla lì con dei bimbi ricciolini che giocano con lei, tenendole la mano e chiedendole di salire anche loro sull'albero.
E la ragazza acconsentirebbe pure, ma con la premura di non farsi scorgere perché sennò - spiegherebbe ai piccoli assorti ad osservarla - papà Nunù e papà Simo se la prendono con me!
La verità è che il discrimine fra reale e fantastico è sempre stato fin troppo labile per Simone.
E spesso nel sottile margine che li separa si è smarrito e distratto, perdendo di vista le cose più tangibili e presenti, anche se riposano davanti ai suoi occhi.
O contro la sua faccia, come adesso.
Ma che cazzo, pensa portandosi a sedere di fretta e rimuovendo l'ostacolo visivo dal volto spaventato.
"Oh!"
"Oh lo dico io!" il vocione di Dante rimbomba nella stanza "ti sto chiamando da un quarto d'ora!"
"E non t'avrò sentito! M'hai fatto prendere un colpo papà!"
E a papà evidentemente del suo sconvolgimento emotivo tange ben poco visto che procede così come è arrivato ad andarsene dalla camera, non prima però di "è una lettera da parte di Manuel" bofonchiare indicando l'involucro stretto fra le mani del ragazzo che strabuzza gli occhi "vedi? ho sempre saputo che avesse un animo romantico!"
Non fa in tempo il figlio a rivolgergli un dito medio che quello è già sparito.
China il capo e legge una, due, cinque volte il nome del destinatario, proprio per essere sicuro, sicurissimo, che non sia qualche altro Simone Balestra al quale questa missiva era indirizzata.
L'ansia gli balla nello stomaco mentre apre la busta e prova a prospettarsi il contenuto, senza riuscirci.
D'altronde Manuel è sempre stato troppo più bravo di lui con le parole.
Ancora si emoziona al ricordo di quando, i primi periodi in cui si era rimesso a studiare, gli dedicava imbarazzato alcune poesie che aveva letto.
Se penso a te le memorizzo meglio, aveva confidato facendogli sciogliere il cuore come un ghiacciolo.
E adesso, l'idea che magari possa aver scritto qualcosa di suo pugno, lo fa avvampare fino a dover nascondere la faccia paonazza nel cuscino.
Cuscino che profuma proprio di Manuel.
Ed è dall'altro ieri in realtà che è così.
Da quando, esausto dopo aver ripetuto per un esame con l'aiuto di Dante, ha accettato di dormire là, impregnando tutte le lenzuola con quell'odore che tanto fa impazzire Simone.
Che con oggi sono due giorni interi ormai in cui non lo vede o non ha sue notizie e già si sente scemo.
Scuote la testa per riprendersi un attimo, inspira tre volte contro la stoffa celestina e poi si decide ad estrarre dalla confezione la-
«Banca popolare del Lazio»
«Alla cortese attenzione di Simone Balestra»
altro che poesia romantica.
Manuel gli ha accollato qualche spesa addosso.
Trenta milioni per la precisione, a tanto ammonta stando alle carte, a LA carta.
Due giorni di silenzio, atteggiamenti schivi nelle ultime settimane e una misera pagina svolazzante ad informarlo di questa scelta scellerata che gli sta spezzando le gambe e non solo.
Quasi cade dal letto tanta è la velocità e rabbia con cui si fionda giù.
Non vuole mica tutto ciò che sogna Simone, o meglio si - lo vorrebbe pure - ma per Manuel si sarebbe accontentato anche di molto meno.
Anche di un-
«Intestazione di immobile ad uso abitativo.»
Questo recita l'altro foglietto, quello che non aveva notato e che è scivolato solo ora dalla busta aperta.
Si abbassa fino a battere le ginocchia a terra e lo recupera con dita tremanti.
Sono le 17:33 di uno stupido sabato, o almeno così dice la sveglia sul comodino, e Simone Balestra è appena diventato il proprietario di una casa cointestata con Manuel Ferro.
Casa nostra.
Nostra.
Mia e di Manuel.
Se lo ripete fino allo sfinimento nella testa mentre attraversa il corridoio, infila un giubbotto leggero e si accinge a-
"Simone."
"No papà! Non ora!" protesta "Manuel mi aspetta e no!, non è in questura o in altri posti dove devo imbellettarmi per andare!"
Dante sembra poco convinto.
"Ma guarda che di solito un paio di scarpe uno se le mette a prescindere da dove va" spiega infatti indicando le pantofole del figlio che per tutta risposta avvampa.
"Ah..."
"Eh... Magari stavolta metti quelle da ginnastica, se devi correre o cose del genere" suggerisce con un sorriso furbo prima di ritirarsi nuovamente in salotto.
Simone di correre, corre pure, ma lo fa con la sua bella bicicletta che ormai lo accompagna fedelmente ovunque debba andare.
La macchina tanto ce l'ha sempre Manuel e a lui va bene così.
Gli dà un senso di condivisione che lo mette in pace col mondo.
La solitudine dell'infanzia l'ha portato ad avere tantissime cose e nessuno con cui spartirle.
Perciò da quando il ragazzo è entrato nella sua vita ha sempre cercato di renderlo partecipe di tutto.
E se fino a dieci minuti fa temeva fosse una volontà unilaterale, adesso - arrivando all'indirizzo che ha già imparato a memoria - sente che non è per niente così.
L'edificio è bello.
Elegante, ma non signorile.
Si colloca perfettamente nel contesto residenziale in cui è ubicato.
E Simone conta ben sei piani con altrettanti balconi lunghi e squadrati che si aggettano dalla facciata principale.
Per la prima volta in vita sua avrà dei vicini di casa.
Qualcuno al quale chiedere lo zucchero se gli finisce, con cui andare d'accordo, o bisticciare, o da invitare a cena, e la sola idea lo emoziona come un bambino al parco giochi.
Scende dalla bici e si avvicina a grandi passi all'entrata.
Una rastrelliera molto ampia è li pronta ad accogliere volentieri il suo agile mezzo di trasporto.
Sta già per addentrarsi nell'andito, pur non conoscendo l'interno di sua proprietà, quando un luccichio sul lato destro del portone lo attira.
L'elenco di nomi scorre fluido nel citofono incassato in metallo e il cuore di Simone invece si arresta davanti al penultimo spazietto della fila.
[BALESTRA - FERRO | 2° piano] legge incredulo.
Nessuno stemma scolpito ad imperitura memoria nel marmo, né scotch precariamente apposto.
Solo un semplice rettangolino bianco incastrato dietro la piccola lastra protettiva.
Pure le scale in marmo e la balaustra intarsiata sembrano davvero stupende, ma Simone non ha tempo di guardarle ora.
C'avrà tutta la vita - spera - per farlo.
Adesso vuole solo percorrerle più veloce possibile per arrivare dove ha sempre voluto essere.
"Ce l'hai fatta direttò!"
Fra le braccia di Manuel.
Salta come se avesse le ali sotto i piedi, e un po' se le sente anche, per approdare preciso addosso al compagno che lo stringe con una sicurezza che gli fa dimenticare in un secondo tutti i dubbi e le angosce di cui si era stupidamente caricato.
"Ferro" mormora contro il collo dell'altro "tu sei folle. Ma come hai fatto?"
"In banca in verità è stato un po' un casino... ho dovuto specificare che ti conoscevo bene per intestarti la proprietà."
"Si? E che hai detto di preciso?"
"Che sono il tuo compagno, no?"
E l'informazione appena ricevuta gli manda in cortocircuito il cervello al punto tale da ammutolirlo completamente.
"Beh... la vuoi vedere sta casa amò? Casa nostra?"
No, scherzava.
Questo, gli manda davvero in cortocircuito il cervello.
Non lascia la stretta di Manuel, anzi vi si avviluppa ancora di più, costringendolo così, con il suo peso sopra e un'estrema difficoltà ad infilare la chiave nella toppa, ad addentrarsi a fatica nell'appartamento.
Il bagno, la cucina e il salotto, sono ancora spogli e coperti di carta di giornale e rivestimenti vari.
Lui comunque non ha mai visto nulla di più bello.
"La camera da letto?" pigola scendendo con i piedi per terra "dove sta?"
Manuel pare non aspettasse altro.
Con un sorriso ampio e le guance imporporate, lo prende per mano e lo conduce verso una stanza alla fine del corridoio.
"Così vedrai il cielo ogni volta che ti svegli..." dice solo prima di aprire la porta.
E a quanto pare, il paradiso nel quale Simone finora non aveva mai creduto, esiste davvero.
Si trova precisamente al secondo piano di un piccolo condominio nella periferia romana.
Occhi fissi verso l'alto e bocca spalancata: ecco in che modo osserva la volta celeste che lo sovrasta.
"L'ha fatto Annina."
"...Che?"
"Il dipinto..." la voce sembra spezzata, commossa "è opera di Annina."
"Annina nostra?"
Il sorriso di Manuel - se possibile - si allarga ancora di più.
"Chi se non lei."
"E'- è stupendo Manu..." balbetta Simone a corto di parole "non solo il cielo! Dico la casa tutta... lei è-"
"Non è finita qui."
"Beh si mi rendo conto che con un letto e due sedie manca ancora molto però-"
"No Simò, non hai finito di vederla. Questo voglio dire."
E Simone, sguardo confuso e mano salda in quella del compagno, viene guidato verso un'altra camera che nella foga non aveva visto.
La prima cosa che nota entrando è il finestrone enorme - più grande di quello della loro stanza - che illumina ogni angolo dell'ambiente.
Vorrebbe sporgersi e guardare il panorama della città, ma Manuel lo anticipa trascinandolo lui stesso contro la vetrata che procede poi ad aprire.
Il piacevole venticello di aprile li sorprende entrambi col suo tocco fresco.
"Si vedono tantissimi palazzi e strade da qui..." sussurra piano come a non voler rompere un incantesimo.
"Mh... me piaceva soprattutto per questo sta stanza..."
Beh, è vero, il panorama è molto suggestivo e ampio, ma ciò comunque non risponde alla domanda che lo corrode da quando sono entrati qua dentro.
"Che ce ne facciamo di una stanza in più?"
Manuel abbassa per un attimo la testa e poi ritorna, con più concentrazione, a osservare il paesaggio fuori.
"Lo vedi quell'edificio là in fondo?" chiede accennando con l'indice ad un punto in lontananza.
Simone è costretto ad assottigliare un po' gli occhi per metterlo a fuoco.
"Quello vicino a quel parchetto?"
"Si... quello. Lo vedi che è?"
"Sembra... sembra un cinema!" esclama con tono euforico.
"Non lo è."
"Oh. E allora è un teatro...? No aspe è un-"
"E' un asilo."
"Ah... un asilo, bel- un asilo?!"
Non fa in tempo Simone a cercare con lo sguardo quello dell'altro che lui lo distoglie subito.
"Amore...?" la mano che porta a carezzargli il volto pare placarlo in parte "amore mi guardi?"
E Manuel, dopo un breve tentennamento, cede alla richiesta.
"Non sei obbligato a dire si se non vuoi..." borbotta accigliato e titubante.
"Non è che non voglio..." spiega con più delicatezza che riesce "è che non possiamo."
La delusione sul viso difronte al suo è tale da spezzargli il cuore in migliaia di pezzi.
Perciò "per ora" si affretta a chiarire "per ora non possiamo adottare un bimbo! Ma in futuro..."
Manuel sembra riprendere colore e vita con questa sola frase.
E Simone allora ne approfitta e si protende in avanti, pronto a baciare quella bocca che è tutto il giorno che aspetta di fare sua e-
"E se è femmina?"
Il soffio gli arriva leggero sulle labbra schiuse.
"Come Manu?"
"Hai detto un bimbo in futuro... ma se è una femmina direttò?"
"E se è una femmina... Futura Ferro."
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Ho sempre sognato di scrivere storie in cui poter accennare alle domeniche in bicicletta e ai programmi tv che hanno fatto la storia degli anni 70!
Sognavo anche di scrivere di determinati diritti da conquistare come fossero quasi qualcosa di anacronistico al giorno d'oggi e narrato però allo scopo di far ricordare quanta strada è stata fatta.
E invece mi ritrovo a raccontare dell'aborto legalizzato ben 43 anni fa mentre ora, nel paese più civilizzato del mondo (🤔), potrebbe potenzialmente diventare di nuovo reato.
Lo so, non è questa la sede e non ho io le competenze per parlarne.
Ma mi premeva tanto accennare al fatto che non siamo mai al sicuro dalla scure del conservatorismo e che bisogna lottare sempre per i diritti nostri e degli altri.
Grazie di aver letto fin qui e del supporto costante, in particolare a questa storia che tanto avete amato.
Nunù e SB per ora ci salutano, nella speranza che il futuro riservi loro qualcosa di più bello della realtà attuale che è davvero scadente!
P.s: la citazione nel titolo e nel finale è a Futura di Lucio Dalla.
P.p.s: come al solito, grazie anche e soprattutto alle mie tre amatissime.
Senza di voi non saprei come fare.
Ciao!🧚♀️
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