Capitolo 2
"Tu che ci fai qui?" Chiedo a l'uomo davanti a me.
"Non rivolgerti a me sempre in questo modo, fai un piccolo sforzo." Si lamenta, entrando in casa senza chiedere il permesso.
Lo afferro per il colletto e lo costringo a girarsi verso di me.
"Non entri in casa senza il mio permesso. " Ringhio trascinandolo fuori.
Continua a dimenarsi senza nessun risultato. È già fortunato che non lo abbia ancora strozzato.
"E lasciami", dice, liberandosi con uno strattone. "Sono qui solo per chiedervi aiuto. Sono rimasto senza lavoro e, come già sai, tua zia non mi darebbe mai dei soldi per pagare l'affitto, il gas, la luce e tutte le altre cose. Voglio parlare con tuo padre, puoi dirmi dov'è? "
Una risata amara esce dalle mie labbra.
"E tu credi veramente che io ti lasci stare qui indisturbato? Ti sbagli di grosso! Ora fammi il favore di uscire da quella porta, altrimenti ti ci mando io a calci!"
Illuso. L'unica parola che mi viene in mente per descriverlo in questo momento, è questa.
Dopo il male che ha fatto a me, a mio fratello e a mio padre, merita solo il peggio.
Ormai non mi interessa più nulla di lui.
"Ma perché mio odi così tanto?" sbotta lui, tirandosi le radici dei capelli.
Non ci credo! Veramente me lo sta chiedendo?
"Me lo stai chiedendo davvero?" Scoppio ancora in una risata amara, lo faccio solo per non piangere.
"Non ricordi i modi in cui ci picchiavi da piccoli a me e a mio fratello? Non ricordi che te ne sei sbattuto pienamente quando hai saputo che tua sorella era morta?
Non ricordi come hai mancato di rispetto a mio padre, paragonandolo ad un cane smarrito senza di lei? Non ricordi niente di tutto questo, vero?" Sento gli occhi bruciare.
Sbatto un pugno sul muro, per sentire un dolore più forte di quello che provo nel cuore.
È come se una spada me lo abbia trapassato.
Le gambe mi tremano, ma non voglio dare nessun tipo di soddisfazione a questa sottospecie di mostro.
Abbassa il capo e sospira.
"Certo che me lo ricordo, ma poi mi sono pentito. Ho perso tutto.
Ho perso tua zia, ho perso te e tuo fratello, ho perso mia madre e mio padre, ho perso mio cognato, ho perso mia sorella, anche se l'abbiamo persa tutti...Ho praticamente perso tutto, non ti basta?" Mi chiede.
Le sue scuse sembrano sincere, ma non voglio farmi ingannare.
"No." Taglio corto, chiudendoli la porta in faccia.
"Ti prego, tesoro. Non so dove andare." Mi supplica da dietro la porta.
Non riuscirà mai a farmi addolcire.
Non gli rispondi e corro su per le scale, in camera mia.
Mi butto sul letto e una piccola lacrima innocente mi sfugge.
La lascio scorrere, nessuno può vedermi in questo momento.
Ma perché sono andata ad aprire quella maledetta porta? Ma perché sono così debole, quando so che in un argomento c'è mia madre in mezzo? Ma perché lui esiste?
Tutte queste domande non fanno altro che farmi venire il mal di testa, impedendomi di muovere il capo anche solo di un millimetro.
La vista diventa sfocata e, solo ora, mi accorgo che sto piangendo.
Inizio a pensare a tutte le volte che mio zio picchiava sia me che mio fratello e a come ci ricattava.
Ogni volta che il mio corpo entrava in collisione con il legno, ogni mia cellula urlava dal dolore, ogni mia volontà di non gridare scompariva bastonata dopo bastonata.
Quando toccava a mio fratello, non facevo altro che impedirglielo, mordendogli il polpaccio oppure aggrappandomi al suo braccio, per lasciare un po' di tempo a Matt per scappare.
Lui, invece, rimaneva fermo a guardarmi e, ogni volta che gli chiedevo del perché non fosse corso subito via, rispondeva sempre nello stesso modo:
"Quando venivi picchiata, non ho avuto il coraggio di fermarlo, tu, invece, l'hai fatto. Non voglio salvarmi la pelle se mia sorella non lo ha fatto per prima."
La sua frase mi rincuorava sempre, ma non riusciva a colmare tutto il male che provavo quando lo zio picchiava me e poi lui.
Riguardo ai ricatti, poi, ci diceva:
"Se provate ad aprire bocca solo una volta, botte extra la prossima volta." Detto questo, ci buttava fuori.
Quando la mamma morì, io e Matt, prendemmo la decisone di non farci picchiare più da quel malato di mente.
FLASHBACK
Era mattina, una mattina fredda e cupa come le due precedenti.
Senza mia madre, io e mio fratello, eravamo diventati come dei lupi solitari.
Quel giorno non potevamo essere "mosci" come gli altri passati, dovevamo essere forti, pronti a tutto.
Mi vestii con un semplice jeans blu scuro, una maglietta bianca e, sopra ad essa, una felpa nera.
"Matt, sei pronto?" Gli chiesi piano, dal corridoi.
La porta di aprì due secondi dopo, con un leggero scricchiolio.
"Sì." Affermò sulla soglia.
"Papà, noi usciamo." Lo informai davanti alla porta d'ingresso e, senza aspettare una sua risposta, iniziammo a correre verso casa di mio zio.
Paura ed ansia erano un mix orribile, quindi presi la mano di Matt, per calmarmi.
"Tranquilla, Bianc. Non ci farà più del male." Mi rassicurò senza smettere di correre e stringendo più forte la mia mano.
Quando arrivammo davanti alla porta, prendemmo un respiro profondo, prima di mettere una mano sulla maniglia e abbadsarla, siccome lasciava sempre aperta la porta di casa.
Quando i nostri occhi finirono in fondo al salotto, i nostri respiri si bloccarono, i nostri occhi si sgranarono e terrore nel vedere quella scena, cresceva sempre di più.
Ciao ragazze, vi piace il secondo capitolo?
Spero di sì, anche se per me non è un granché.
Allllllooooora... Che scena vi aspettate? Scrivete sotto, ci conto!
Buona serata❤
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