Capitolo 7
Nessuno cadde pesantemente a terra, andando a sbattere la testa contro la solida parete di fronte al muro da cui era appena uscito.
Stordito, guardò il muro: non c'era più alcuna traccia del passaggio che aveva attraversato.
Tentò di rialzarsi, ma un dolore lancinante alle mani e alla nuca lo percosse come una frusta, facendogli digrignare i denti nello sforzo di non urlare.
A fatica, riuscì a guardarsi i palmi delle mani: erano costellati da piccoli tagli e c'erano minuscoli pezzettini di vetro attaccati alle ferite, che iniziavano a pulsare e a bruciare.
Con la fortuna che si ritrovava, era atterrato proprio sopra i cocci del vaso di cristallo che aveva rotto prima di passare attraverso quella specie di portale.
Quel vaso sembrava continuare a perseguitarlo.
Da quando lo aveva rotto, non gli erano capitati altro che guai.
«Ce l'hai con me?» ringhiò, guardando male i pezzi di vetro a terra. «Mi dispiace di averti fatto cadere, ma questa è la vita. Accettalo» borbottò irritato, quasi attendendo una risposta.
Resosi conto di quanto dovesse sembrare ridicolo, scoppiò a ridere.
Parlava pure con un vaso, adesso?
Si portò le mani alla testa con estrema cautela, e trasalì, rendendosi conto di essersi fatto male seriamente, anche se il dolore che provava stava diminuendo, forse a causa dello shock.
Si guardò nuovamente le mani: erano macchiate di sangue, ed era certo di aver sfiorato con un dito l'estremità di un oggetto appuntito che era all'interno della ferita alla testa.
Al solo pensiero, un conato di vomito lo sopraffece, e Nessuno rigettò tutto ciò che aveva nello stomaco, imbrattando il pavimento di vomito.
Sentendosi un po' meglio, si rese conto della situazione. Doveva andarsene da lì al più presto, o l'avrebbero trovato di sicuro, dato il trambusto che aveva causato.
Ma prima doveva arrestare l'emorragia.
Non sapeva se fosse una buona idea, ma non vedeva altre soluzioni. Si fece forza e, accasciatosi a terra, portò la mano tremante alla testa, cercando di rimuovere il frammento di vetro.
Lo estrasse con difficoltà e lo esaminò: era enorme.
E allora capì con certezza che l'emorragia non si sarebbe fermata da sola, se non fosse stata curata adeguatamente.
All'improvviso vide tutto nero per un attimo. Poi la vista gli si schiarì, mentre macchioline scure gli danzavano davanti gli occhi.
«Cavolo» biascicò. «Ultimamente non faccio altro che svenire. Non riesco ad aiutare neanche me stesso, come potrei mai salvare Kyle?» sussurrò, rassegnato.
«Non è vero» rispose una vocina che era quasi sicuro di essersi immaginato. «Attraversare un Passaggio è molto difficile per chiunque non sia uno Shifter, e noi stessi ci siamo dovuti abituare. È strano che tu non abbia sentito alcun male. In genere comunque l'atterraggio è pericoloso, e tu sei semplicemente stato più sfortunato di altri.»
«Me ne sono accorto» sibilò a denti stretti Nessuno, risentito. «Altrimenti non mi ritroverei qui, a parlare con qualcuno che non esiste.» Gemette, sconsolato. «Sto impazzendo, vero?»
«Stai zitto, sei fastidioso» ordinò la vocina, calma, mentre gli si avvicinava.
Poi Nessuno sentì qualcosa di piccolo e morbido premergli delicatamente la fronte. Sembrava una mano.
«Ora rilassati» continuò la voce, perentoria. «Dormi.»
Nessuno vide nero per un attimo, che però sembrò durare un'eternità, e si rese conto di stare per perdere conoscenza.
«Non consegnarmi a loro. Ti prego...» riuscì a sussurrare, prima di addormentarsi.
«Non lo farò. Promesso» rispose quella.
Ma Nessuno non la sentì. Stava già sprofondando in un sonno profondo e pieno di incubi.
***
È tutto nero. Lui galleggia al centro del nulla.
Agita le braccia e le gambe, in maniera un po' ridicola a dire il vero. Ma non succede niente.
Continua solo a galleggiare in quel nulla fatto di oscurità.
Prova ad urlare, ma risuona il vuoto.
Nessuno può sentirlo.
E poi, a ripensarci, gli viene da ridere. Che buffo gioco di parole...
Ad un certo punto però, sente qualcosa.
Si sente urlare: si ascolta mentre grida aiuto.
Sente il fuoco che gli lambisce la pelle, ustionandolo, e il fumo che respira senza tregua lo fa tossire.
Gli bruciano i polmoni.
Oh, quanto vorrebbe svenire. O morire.
Almeno non sentirebbe tutto questo dolore.
Ma questa è la sua prigione. Qui nessuno verrà a salvarlo, e l'incendio non si placherà tanto presto.
Gliel'hanno detto loro. Quelle dannate Ombre.
Ora spera solo che non tornino.
Lo spera così tanto... Ma sa che arriveranno presto.
Avverte già il loro fetore, mentre l'oscurità si avvicina sempre di più, sfiorandolo con i suoi tentacoli oleosi.
Spera di riuscire a resistere ancora per un po', ma sa che prima o poi cederà e si dimenticherà tutto.
Sarebbe bello dimenticare tutto, pensa trasognato. Ma poi capisce che è quello il loro piano.
Se si dimenticherà tutto, potranno usarlo per i loro scopi. E lui non vuole essere un burattino nelle mani di quei mostri.
«Allora...» sente sussurrare, accanto a sé. «Quanto pensi di riuscire a resistere?»
Lui ha i brividi: non osa rispondere.
«Il tuo amico non verrà a salvarti, è troppo egoista.»
Lui non risponde: sa che un po' è vero.
«Prima o poi cederai Kyle, prima o poi...»
***
Nessuno si svegliò, urlando.
Si sentiva le braccia e le gambe bloccate e, terrorizzato, iniziò a dimenarsi violentemente nel tentativo di liberarsi.
«Stai fermo!» gridò una voce, allarmata.
Ma lui non l'ascoltò. Era convinto di essere stato catturato di nuovo e legato come un salame, proprio come era successo nella Torre.
Inoltre, se ripensava a quell'incubo, aveva ancora i brividi.
Era stato solo un sogno? Oppure aveva davvero visto ciò che stava succedendo a Kyle in quel momento?
Se era così, il suo migliore amico era davvero in pericolo.
Continuò a divincolarsi forsennatamente, nel tentativo di liberarsi, ma ad un certo punto, cadde pesantemente a terra, con un terribile tonfo.
Finalmente si rese conto di non essere stato legato: si era semplicemente aggrovigliato nelle coperte del morbido letto sopra al quale era stato adagiato.
«Ti sei calmato, ora?» continuò la voce femminile. «Certo che sei proprio testardo.»
Nessuno si guardò intorno, alla ricerca di colei che aveva parlato, e pensò di non trovarsi più all'interno del Nucleo.
Nel Nucleo era tutto più scialbo ed essenziale, mentre lì si poteva percepire chiaramente un tocco femminile e accogliente.
Si trovava in una stanza da letto semplice ma elegante: c'erano tende di broccato rosso scuro alle finestre, e il letto bianco era enorme. Una scrivania di mogano vicino all'armadio, faceva bella mostra di sé.
L'unica cosa che stonava, in quella stanza, era il disordine.
C'erano vestiti e libri sparsi ovunque, e delle sedie erano state impilate una sull'altra a formare un'enorme piramide davanti alla porta.
Nessuno le fissò, chiedendosene il motivo.
«Le ho messe lì per impedirgli di entrare» rispose lei, quasi leggendogli nel pensiero.
E allora lui fermò finalmente lo sguardo su di lei, e rimase stupito.
Si aspettava qualcuno di più grande, a dir la verità. Invece si ritrovò di fronte una ragazzina che era certo di aver già visto.
I capelli scuri, a caschetto, gli occhi vispi e intelligenti, l'aria birichina e il nasino rosso per il freddo, le conferivano un aspetto sbarazzino e giovane. Di sicuro, non poteva avere più di una decina d'anni.
Era ancora una bambina, pensò Nessuno, intenerito.
Improvvisamente si ricordò di dove l'avesse vista, e la riconobbe come la ragazzina che aveva parlato con Oliver.
«Alex!» esclamò consapevole, accennando ad un sorriso. Ma subito si rimproverò mentalmente, distendendo le labbra in una smorfia: non doveva mostrarsi così contento. In fondo, Alex faceva parte di quella gente, e lui non poteva fidarsi di lei.
Alex fece finta di non accorgersi del suo repentino cambio di atteggiamento. «Vedo che sai come mi chiamo» disse sorridendo, confermando anche i suoi sospetti. «Sono felice che tu ti sia ripreso, ma» continuò, tornando seria, «dovevi rimanere a letto. La ferita era molto grave, e tu non dovevi muoverti.»
Detto ciò, sembrò che la sua nuova missione nella vita fosse iniziare a guardarlo torva, cosa che fece, finendo però per mostrarsi ancora più tenera agli occhi di Nessuno, che sorrise senza più trattenersi.
Si sentiva improvvisamente accondiscendente, nei suoi confronti. Quella ragazzina gli era simpatica, e sembrava molto matura per una della sua età.
Stiracchiò le gambe e le braccia, continuando a guardare in giro per la stanza alla ricerca di nuovi particolari. Oltre alla strana piramide di sedie davanti alla porta, c'era qualcosa di strano, in quella stanza, anche se non riusciva a capire cosa fosse.
Una cosa che lo colpì particolarmente, fu che tutte le finestre sembravano essere state sigillate e sprangate dall'esterno.
«Alex, ma tu...» iniziò a chiederle Nessuno, fermandosi però di colpo per osservare la ragazzina, che improvvisamente aveva cessato di muoversi.
Il viso di Alex si era incupito, forse intuendo dove sarebbe andato a parare il ragazzo con il suo discorso, e aveva assunto un'espressione triste e nostalgica.
Capendo dallo sguardo di Alex che quello era un argomento off-limits, e chiedendosi ancora una volta come diavolo facessero tutti ad intuire così facilmente a cosa pensasse, Nessuno si limitò a tacere.
Si alzò facilmente dal letto, rifiutando gentilmente l'aiuto di Alex. Stranamente, non sentiva più alcun dolore.
Stupito, si fermò per guardarsi le mani: erano bianche e lisce, e non vi era alcuna traccia di tagli o sangue. Passandosi le mani sulla testa, si accorse che era stata fasciata con delle bende, che gli coprivano del tutto la ferita.
«Mi hai curato tu?» chiese Nessuno, un po' stralunato.
Quando avrebbe imparato a non stupirsi più di nulla?
Alex annuì, probabilmente soddisfatta del rapido cambio di argomento. «Certo. Chi altri, sennò? Qui tu sei un ricercato» disse, con un'espressione impassibile, mentre ripiegava i vestiti sparsi in giro per la stanza, adagiandoli sopra la panca ai piedi del letto.
«Un ricercato?» ripeté lui, sentendosi stupido.
«Sai chi è un ricercato, vero?» chiese lei, perplessa, sollevando abilmente un sopracciglio.
«Certo che lo so» borbottò Nessuno, infastidito dal tono saccente di lei. Si sentì improvvisamente in colpa. Lei lo stava aiutando, non aveva il diritto di sentirsi infastidito. «Ho combinato un casino, vero?» domandò a bassa voce, sentendosi in colpa.
«Già, non saresti dovuto scappare in quel modo dalla Sala del Consiglio. Ti stanno cercando tutti. I Consiglieri hanno intenzione di mettere una taglia sulla tua testa» spiegò Alex, continuando a sistemare i vestiti.
Nessuno decise che fosse opportuno cambiare di nuovo argomento. Stavolta però, per la sua pace mentale.
«Quanto tempo sono rimasto svenuto?» domandò, facendo un rapido calcolo in mente. Considerando che le mani erano come nuove e la ferita alla testa era guarita quasi del tutto, ipotizzò che avesse dormito almeno per due o tre giorni.
Ma Alex lo sorprese ancora una volta. «Non più di un paio d'ore» rispose.
«Non è possibile» mormorò Nessuno.
Alex assunse un'espressione fiera, abbozzando un sorrisetto.
«Ormai avresti dovuto capire che niente è impossibile.»
Nessuno si trovò d'accordo con lei. «Mi hai forse dato qualche medicina?» le domandò, sospettoso.
Voleva sapere come avesse fatto a guarirlo così in fretta.
«In realtà no» rispose Alex. Poi ridacchiò, quando lo vide fare un'espressione a metà tra lo sbigottito e l'incredulo.
«Non fare quella faccia!» esclamò, continuando a ridere.
Nessuno cercò di darsi un contegno, anche se veniva da ridere pure a lui. In genere l'unico che riusciva a farlo ridere era Kyle, ma la risata di Alex era davvero contagiosa.
Improvvisamente smise di ridere. «Ti ha aiutato qualcuno, vero?» insistette lui. Non gli importava più molto che l'avesse detto a qualcuno, anche se ora era un ricercato e dirlo a qualcuno avrebbe potuto condurlo dritto dritto tra le braccia dei Consiglieri.
Ma Alex era poco più di una bambina, e poteva aver avuto bisogno di aiuto per trasportarlo incosciente fin lì, quindi riusciva a capirla.
Però doveva assolutamente andare a capo di quel mistero
«Certo che no!» esclamò lei, con un'espressione stupita. Anche troppo stupita, a dir la verità. «Per chi mi hai preso? Ti avevo promesso che ti avrei tenuto nascosto dagli altri, e così ho fatto. Giuro che non l'ho detto a nessuno!» esclamò, alzando il tono della voce, palesemente nervosa.
«Sentiamo allora. Come avresti fatto a sollevarmi dal corridoio, mettermi sopra quel letto e in più, curare le mie ferite in poco più di due ore, per giunta tutto da sola?» le domandò Nessuno, impuntandosi.
Doveva assolutamente sapere. Qualcosa non quadrava.
«Non mi credi?» chiese lei, mettendo il broncio.
I suoi occhi erano lucidi.
Nessuno si allarmò. Non ci sapeva fare, con i bambini. A dir la verità, non ci sapeva fare con nessuno.
«No, ti credo! Scusami...» disse, sfoderando la sua faccia da cucciolo. Quella, in genere, era la sua tattica migliore. L'aveva sperimentata solo com Kyle, però sembrava funzionare. «Mi perdoni?»
«Mi credi sul serio?» chiese Alex, sospettosa. «Secondo me lo stai dicendo solo perché vuoi sapere come ho fatto» aggiunse, con un tono di superiorità. «Ma ti perdono lo stesso, perché sono compassionevole e buona.»
Si girò verso la porta, con aria soddisfatta.
«E soprattutto modesta...» mormorò Nessuno.
«Come hai detto, scusa?» chiese lei, girandosi di colpo nella sua direzione mentre socchiudeva gli occhi con fare omicida.
«Nulla, nulla» affermò Nessuno, gesticolando agitato. «Ero semplicemente sovrappensiero» ribadì, sentendo una goccia di sudore scendere giù dalla fronte.
Quella ragazzina aveva un udito formidabile, proprio come quei due fratelli, Trent e Pamela. Anche loro avevano dimostrato di sentirlo bene anche a notevole distanza. Al solo pensiero, Nessuno si sentì rabbrividire.
Guardò Alex mentre si avvicinava graziosamente alla porta. Sembrava così innocente: non poteva proprio essere come quei due.
All'improvviso, si ricordò che non l'aveva ancora ringraziata per tutto quello che aveva fatto per lui.
«Comunque, ti ringrazio per tutto. Per la veste, e anche per avermi guarito» le disse, in completo imbarazzo.
«Solo uno come te poteva ferirsi in quel modo stupido» precisò candidamente lei. «Un ragazzo stupido che si ferisce in modo stupido. Direi che la cosa quadra.»
«Ma che gentile che sei, Alex» protestò lui. Dov'era finita tutta la sua innocenza?
Alex sghignazzò. «Stavo scherzando. Certo, ti sei fatto male in una maniera assolutamente da idioti. Su questo non ci piove.» Nessuno la guardò malissimo. Altro che innocente! Quella era una vera peste. «Ma questo non significa che tu lo sia» aggiunse, facendogli l'occhiolino.
Nessuno scoppiò a ridere. Poi tornò subito serio, quasi pensasse di star facendo un torto a Kyle. «Scusa se te lo chiedo di nuovo, ma devo sapere» affermò, incrociando le mani davanti a sé. Non sapeva da dove iniziare, così decise di partire dalle basi. Indicò con un cenno della testa la porta. «Prima hai detto che quelle sedie servono per impedirgli di entrare.» Prese un respiro profondo. «Chi vuole entrare, Alex?»
Lei si fermò al centro della stanza, immobilizzandosi del tutto. Non un respiro si sentiva provenire da lei.
Nessuno però stavolta aspettò che si spiegasse, senza cambiare argomento, perché sapeva bene che era un suo diritto continuare a chiedere.
«Senti, io ti ho mentito. Perdonami» iniziò Alex, con gli occhi lucidi. Stavolta, sembrava più sincera, e anche più infantile, come se fosse tornata di colpo una bambina della sua età.
Nessuno, infatti, si era subito accorto che prima lei gli aveva mentito, anche se non ne capiva il motivo.
La fissò, senza proferire parola.
«Ora ti spiegherò quello che è successo mentre eri svenuto. Ma prima dobbiamo andarcene da qui. Dobbiamo incontrare una persona che ti potrebbe aiutare. Ti fidi di me?» gli domandò, tirando su con il naso. Evidentemente non era una ragazzina che mentiva spesso. Doveva aver odiato farlo, anche se lui era un estraneo per lei.
Nessuno continuò a guardarla. All'inizio aveva sentito che poteva fidarsi di lei, ma ora lo feriva il fatto che lei gli avesse mentito su qualcosa.
Poi si chiese perché si sentisse ferito. Poteva immaginare che sarebbe andata a finire così, e lei non era la prima che lo faceva. Lui stesso lo faceva spesso. Non aveva la necessità né il tempo per sentirsi in quel modo.
Finalmente decise di stare al suo stesso gioco, buttandosi a capofitto in una situazione che non gli avrebbe procurato altro che guai.
Sorrise, pensando che i guai erano ormai all'ordine del giorno, per lui.
«Sì, Alex. Mi fido.»
«Bene, allora seguimi. Ma mi raccomando, le domande dopo. Ora dobbiamo solo fare silenzio.»
Nessuno annuì, guardandola con attenzione.
Aveva la netta sensazione che sarebbe successo qualcosa di vitale importanza.
Alex iniziò ad assumere un'espressione profondamente concentrata, e l'aria intorno a loro sembrò restringersi e concentrarsi nel punto in cui si trovava lei. Poi la ragazzina fece un gesto con la mano, e le sedie iniziarono a levitare in aria, sempre una sopra l'altra, nella loro strana posizione che formava la sagoma di una piramide. Poi, facendo un altro gesto, queste si posizionarono silenziosamente vicino alla finestra, sgombrando la via per la porta.
Nessuno ammutolì. Ora sì che qualcuno doveva dargli delle spiegazioni. E in fretta.
Si impose di tacere, mantenendo fede alla promessa, mentre Alex lo guardava comprensiva.
La ragazzina iniziò a correre, seguita da un Nessuno molto confuso e con la mente in subbuglio. Ora riusciva a comprendere molte cose, che prima sembravano inspiegabili.
Ecco come aveva fatto Alex a trasportarlo facilmente fino alla sua stanza realizzò Nessuno, mentre correva dietro alla ragazzina che svoltò improvvisamente a destra, camminando più lentamente e con le spalle al muro.
Nessuno non capiva ancora come Alex fosse riuscita a fare una cosa simile, con quelle sedie, ma ora riusciva a dare un senso a tutto quello che gli stava succedendo, anche se per lui era ancora assolutamente impossibile ciò che aveva appena visto.
Impossibile. Ancora con quella parola.
Doveva ricordarsi di eliminarla al più presto dal suo dizionario.
Alex si fermò all'improvviso e Nessuno, sovrappensiero, andò a sbatterle contro, facendola quasi cadere a terra.
Riscossosi dai suoi pensieri si rese conto di ciò che stava per accadere, e la afferrò istintivamente per la vita, appena prima che toccasse terra.
«Tutto bene?» chiese lui, preoccupato. Temeva di averle fatto male.
La scrutò in viso, e si accorse che era diventata tutta rossa.
«T-tutto bene» balbettò Alex, in evidente difficoltà e ancora rossa in viso. «Ora lasciami andare, per favore» disse lei, decisa, una volta ripreso il controllo della situazione. Il suo tono di voce sembrava vagamente alterato.
Nessuno si rattristì, pensando che si fosse arrabbiata con lui. Sicuramente era arrossita per quel motivo. La depose delicatamente a terra, assicurandosi che avesse riacquistato l'equilibrio.
Sperò di non essersi messo contro anche lei.
«Perdonami, Alex. Ero distratto» si scusò lui, guardandola negli occhi, dispiaciuto.
Alex sembrò andare a fuoco. «Non fa niente» disse, distogliendo lo sguardo da quello di Nessuno. «Cerca solo di stare più attento. Ricordati che qui ti stanno cercando tutti.»
Nessuno rigirò nervosamente un lembo del suo mantello tra le dita, realizzando per la prima volta di aver indossato tutto il tempo la divisa che gli aveva dato Oliver, senza accorgersene minimamente.
«Si può sapere dove siamo?» le chiese lui, preoccupato. «Qui non c'è anima viva, per questo pensavo che fossimo a casa tua.»
Iniziò ad agitarsi. Non era una trappola, giusto?
«Be', questa è davvero casa mia.»
Nessuno si convinse che si fosse solo immaginato il tono amaro nelle sue parole.
Avrebbe voluto chiederle di spiegarsi meglio, ma Alex lo zittì con un cenno della mano.
«Non sono il tuo cane» borbottò, infastidito.
Alex non diede segno di averlo sentito e, guardando da dietro l'angolo della parete dove si erano nascosti, gli fece segno di avanzare. Evidentemente la via era libera.
Decisamente più rilassato, Nessuno avanzò, permettendosi finalmente di dare un'occhiata al posto. Quello che vide, lo fece fermare.
Finora avevano attraversato solo corridoi austeri e sobri, che comunque conservavano un vago tocco familiare e sui quali muri spiccavano numerose porte originali e colorate.
Ora, invece, si ritrovò a camminare nuovamente lungo corridoi spogli e asettici, del colore bianco tipico degli ospedali.
Che significava? Erano tornati nel Nucleo?
Oppure erano sempre rimasti lì?
Deglutendo, Nessuno cercò di calmarsi: di lì a poco, stando alle parole di Alex, avrebbe avuto tutte le spiegazioni che desiderava. Doveva solo aspettare.
Era difficile però, seguire quella ragazzina senza far nulla, accettando di seguire passivamente gli eventi. Soprattutto ora che sapeva che non c'era niente di normale, in quello che gli stava capitando.
Espirò silenziosamente, cercando di ignorare la strana sensazione che aveva iniziato a tormentarlo, una volta resosi conto di essere tornato nel Rifugio, un luogo che di rassicurante, per lui, non aveva nulla.
Inspirò bruscamente, girandosi di colpo con la certezza di essere osservato.
Ma dietro di lui non c'era nessuno.
«Che succede?» gli chiese Alex, allarmata dal viso pallido dell'altro.
«Niente» rispose Nessuno. «Proseguiamo?»
«Sì. Siamo quasi arrivati» rispose lei, per la gioia del ragazzo. Svoltò ancora una volta a destra e, attraversando un altro corridoio, stavolta più piccolo, si ritrovarono improvvisamente in una sala spoglia e priva di finestre. L'unica cosa lì presente era un grande specchio circolare, poggiato al muro, che faceva bella mostra di sé.
Alex, senza dire una parola, appoggiò il palmo della mano sul muro di fronte a loro, facendo apparire il varco di una porta. Prima che Nessuno potesse stupirsi, Alex lo spinse dentro, borbottando che non riusciva a credere che esistessero ragazzi così lenti.
Nessuno, ancor prima di guardare dove fossero finiti, si girò istintivamente a guardare dietro di sé, con la sensazione di essere seguito che si faceva sempre più forte: stavolta, prima che la porta si chiudesse sola alle sue spalle senza lasciare alcuna traccia di sé, ebbe l'assoluta certezza che qualcuno li stava osservando.
Fuori dalla porta infatti, esattamente nell'angolo a destra dello specchio, era ben distinguibile la sagoma di un uomo acquattato lì vicino, i cui occhi rossi brillavano nel buio.
*Angolo autrice*
Sono imperdonabile, lo so :c
Scusatemi per avervi fatto aspettare! (Se c'è ancora qualcuno che aspetta i nuovi capitoli di questa storia, ovvio ^-^")
Per cercare di farmi perdonare almeno un po', tra qualche oretta spero di pubblicare il capitolo 5, e poi tornare al normale aggiornamento settimanale.
Dedico questo capitolo a tutte le persone che continuano a sostenermi, sebbene decisamente non lo meriti C:
Quindi... Tag?
BloodyMoodySun e ai suoi pinguini ~(°Δ °)~ *balla la pingu-dance*
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AlessandraEvellark anche se tu non mi sostieni proprio U.U, anzi xD. Un giorno la smetterai di essere così cinica nei miei confronti?
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M_Inside stavo quasi per scordarmi di te. Poi ho pensato: e il tipo che si sente bello&fascinoso dov'è? D:
Emily_S_Winchester Io posso. Io posso tutto :D
Avete visto? Vi ho taggati! Una specie di Challenge(?) ma non proprio :P
Almeno sarete finalmente contenti ÒwÓ (no, Zevis. Inutile che ti lamenti per la faccina :3)
Detto ciò, pace e amore, gente!
A tutti i lettori: spero che il seguente capitolo vi piaccia °^°
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