10. Conti in sospeso
Luogo e data secretati
“È stata una settimana dura, signori… Le nostre perdite sono inimmaginabili, ma ci riprenderemo”. Shepherd si sistemò più comodamente sulla sedia, controllando che la comunicazione con la Task Force 141 fosse buona.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma la folle mossa di Price – quella di far detonare un ordigno nucleare nella termosfera - era stata efficace: i russi, in territorio nemico e senza alcun tipo di supporto tecnico, avevano battuto in ritirata e la guerra era ormai agli sgoccioli. Inoltre, dato lo scudo di ozono, le radiazioni non avrebbero raggiunto la superficie terrestre.
“Ho un assegno in bianco e useremo ogni singolo centesimo per uccidere Makarov. Nonostante quello che il mondo pensa di noi, non siamo selvaggi. Non uccidiamo civili. Noi siamo precisi” continuò, scandendo ogni singola parola. “C’è un uomo che si nasconde nell'ombra e noi lo riporteremo alla luce. Una volta rivelato il suo volto, scriveremo la storia” asserì, drizzando la schiena con fierezza.
Digitò velocemente sulla tastiera del computer e inviò alla Bravo 6 le coordinate di due luoghi. “Queste sono le uniche aree sicure sulla Terra per Makarov e i suoi uomini”.
“Allora dovremo essere in due posti allo stesso tempo, Signore” affermò Price.
“Impossibile?”.
“Non per noi” replicò l'inglese, con voce sicura.
“Abbiamo il 50% di probabilità di uccidere Makarov, eh? Capitano Price, chiedo il permesso di prendere il rifugio al confine con la Georgia con Roach” intervenne Ghost.
“Concesso. Io e Soap penseremo al cimitero degli aerei in Afghanistan”.
“Molto bene. Bloccheremo tutte le vie di fuga e la finiremo in fretta” concluse Shepherd, lisciandosi i baffi grigi con l'indice sinistro.
Russia – 15 Agosto 2016, ora locale 15:36
Il vento fresco di montagna fece ondeggiare le fronde dei pini e diede una piccola tregua dalla calura estiva. La valle era immersa nel verde intenso degli abeti e il profumo della resina solleticò l'olfatto di Sanderson.
“Attaccare Makarov a vista. Ripeto, attaccare Makarov a vista” affermò Riley, lanciando un’occhiata veloce ai presenti.
Con un comando silenzioso, si mossero all’unisono e scesero più a valle, seguendo la via meno scoscesa.
Sanderson si bloccò di scatto, sbarrando gli occhi: erano finiti in un campo minato. Si accovacciò a terra velocemente e l'esplosione di alcune mine gli gettò un po’ di terra sul volto, costringendolo a chiudere gli occhi. Si tolse la polvere dal viso e sentì a mala pena la voce di Ghost alle sue spalle.
“Imboscata!”.
Guardò davanti a sé e i tre soldati che lo precedevano non erano più nel suo campo visivo… se non per un braccio mozzato alla sua destra.
“Bersagli a sinistra!”.
Ancora intontito, Sanderson represse un conato di vomito e alzò lo sguardo sull'altura indicata da Ghost, dove diversi uomini del Partito Ultranazionalista stavano sparando contro di loro. Imitato da Riley, lanciò diversi fumogeni per creare una cortina di fumo in cui nascondersi e si diresse sul lato opposto dell'altura, raggiungendo la boscaglia poco più avanti. Coprendosi le spalle a vicenda, i due Sergenti eliminarono la resistenza nemica ed avanzarono lungo il loro cammino.
Sanderson inspirò profondamente, rielaborando ciò che era appena successo: non aveva calpestato le mine antiuomo per pura casualità. Espirò con calma e rallentò il ritmo frenetico del proprio cuore, chiudendo in un angolo buio l’angoscia che lo pervadeva.
Scosse la testa con veemenza e mise a fuoco ciò che vedeva davanti ai suoi occhi: “Due camion hanno appena lasciato l'edificio bersaglio!” urlò, ormai a poche decine di metri dal rifugio.
“Non possiamo lasciarli andare!” replicò Ghost, raggiungendolo.
“Ricevuto! Ci penso io”. Alla missione collaboravano dei soldati specializzati armati di Javelin – missili anticarro guidati - e in pochi secondi riuscirono ad abbattere i due camion che si stavano allontanando dalla loro posizione.
“Attenzione: per il momento, non abbiamo individuato Makarov e nessuno ha lasciato la casa… forse i camion erano un diversivo” riferì il soldato incaricato di sorvegliare il rifugio da una postazione privilegiata.
“Ricevuto. Noi procediamo con l'irruzione” replicò Riley, avanzando lungo la strada in salita che conduceva al rifugio.
“Puliamo il perimetro!” esclamò Sanderson, facendosi sentire dai soldati semplici che si erano uniti alla missione. Nascondendosi dietro alle rocce massicce che si stagliavano dal terreno impervio, riuscirono a contrastare la resistenza nemica che si era appostata lungo le mura della casa sicura di Makarov.
Si avvicinarono alla porta d’ingresso a doppio battente e, lanciando un’occhiata a Ghost, Sanderson si preparò a fare irruzione. Piazzò velocemente l'esplosivo e al momento opportuno, lo fece detonare.
Saturo di adrenalina, vide tutto a rallentatore. Tre soldati. Uno a pochi passi di distanza, uno sulle scale e il terzo parzialmente nascosto dal divano.
Affiancato da Ghost, sparò velocemente ai bersagli e si mossero come un sol uomo all'interno dell'abitazione. Avevano fatto irruzione nel salotto, dove un paio di divani erano stati disposti per poter guardare una tv a schermo piatto incassata nella parete.
I due Sergenti si guardarono per un attimo e senza dirsi una parola, si separarono: Ghost avrebbe controllato la sala da pranzo, sulla sinistra, mentre Roach il piano superiore.
Sanderson salì le scale velocemente, saltando qualche scalino e, seguito da uno dei soldati semplici, si accovacciò vicino alla porta spalancata di una camera che dava sul pianerottolo.
Lanciò una granata stordente e udendone la deflagrazione, scattò fulmineo, entrando nella stanza e sorprendendo un paio di soldati russi. Sparò velocemente ai presenti e con un cenno del capo, fece segno all'altro soldato di seguirlo e in pochi minuti fecero irruzione nelle stanze rimanenti, scoprendo fossero due camere da letto e un bagno.
“Primo piano libero” riferì Sanderson, per poi sentire le stesse parole dette da Ghost per quanto riguardava la sala da pranzo.
Si ricongiunse con l'altro Sergente al pian terreno, dove potette vedere quanto la cucina abitabile fosse in ordine: non c'era nulla fuori posto. In effetti, non aveva trovato disordine neppure nelle camere.
Sanderson aggrottò la fronte: se Makarov aveva veramente utilizzato quel rifugio, non era affatto partito di fretta, anzi. Dallo stato della casa, pareva essersene andato in tutta tranquillità.
C'era forse una talpa?
Scartò subitamente quella possibilità: tutti i membri della Task Force avevano sostenuto un test psicologico e un colloquio con il Generale Shepherd. Avrebbero trovato la spia immediatamente.
Eppure…
“Roach! Dobbiamo controllare il seminterrato”. Ghost richiamò la sua attenzione e senza farselo ripetere, imboccò le scale che conducevano al piano inferiore.
Vi era un piccolo locale con una scrivania e un divanetto, mentre il disimpegno portava all'armeria: tutte le armi erano state tolte, ma un paio di scatole di munizioni erano state lasciate sugli scaffali.
“Scatta qualche foto…” ordinò Sanderson al soldato che li aveva seguiti. In quella stanza vi erano numerosi documenti, quaderni con annotazioni e tanto altro.
“Generale Shepherd, qui Ghost. Nessuna traccia di Makarov. Ripeto: nessuna traccia di Makarov” esordì il Sergente, ricordandosi della missione di tre anni prima in Ucraina: anche quella volta, Makarov – al tempo conosciuto con il nome in codice Kingfish – era riuscito a sfuggirgli.
“Sa qualcosa dal Capitano Price, in Afghanistan?” continuò.
“Anche troppo… almeno cinquanta mercenari, ma nessuna traccia di Makarov. Forse i dati erano errati” si intromise il diretto interessato.
“Beh, la qualità delle informazioni in nostro possesso sta per migliorare: questo rifugio è una miniera”. Ghost aprì il primo fascicolo che gli capitò a tiro e lesse velocemente la documentazione riguardo alle armi comprate da Rojas per il massacro all’aeroporto Zakhaev: quelle erano le prove che necessitavano.
Sanderson si sporse oltre la sua spalla e si stupì del fatto che un documento tanto importante fosse stato lasciato lì, in bella vista.
“Ricevuto. Ghost, ordina alla squadra di raccoglie il possibile per stilare un copione delle operazioni. Nomi, contatti, luoghi… tutto” replicò Shepherd.
“Lo stiamo già facendo… Makarov non ci sfuggirà”.
“Questa è l'idea. Sto inviando la squadra di estrazione. Tempo di arrivo stimato: cinque minuti. Nel frattempo, raccogliete più informazioni possibili. Passo e chiudo” concluse il Generale.
Ghost annuì lievemente alle parole di Shepherd e si volse verso Sanderson, facendogli segno di seguirlo al piano superiore, dove aveva scorto il portatile di Makarov.
“Mettiti al computer e inizia il trasferimento dati” gli disse, indicandogli la scrivania in legno scuro posta al centro dello studio che dava sul salottino.
“Task Force, qui Price. Qui da noi sono appena arrivato altri uomini di Makarov… potrebbe succedere lo stesso anche da voi, tenetevi pronti” asserì il Capitano, avvertendoli della possibile minaccia. “Soap, coprimi. Ora sistemo quel tipo laggiù… cercherò di intercettare le comunicazioni con la sua radio. Ghost, Roach. Comunicazioni sospese fino a nuovo ordine. Buona fortuna… passo e chiudo” concluse.
Sanderson si accovacciò davanti alla scrivania, mentre il modulo copiava tutti i dati possibili. Dovevano difenderlo a tutti i costi.
“Segnalo fanteria nemica in avvicinamento da ovest”. La voce di uno dei soldati rimasti sull'altura da cui potevano sorvegliare la situazione gracchiò appena nei loro auricolari.
“Ricevuto. Ragazzi, in posizione di difesa!” esclamò Ghost con decisione, scambiando un'occhiata con Sanderson.
Dopo pochi secondi, numerosi proiettili si abbatterono sulla casa, attraversando le pareti in legno e sibilando sopra le loro teste.
Risposero subitamente al fuoco, tenendo i soldati nemici a debita distanza dal rifugio.
In quel momento, mentre il vaso di un'orchidea cadeva a terra dopo essere stato colpito, Sanderson capì perché Makarov avesse lasciato tutte quelle informazioni: chiaramente, loro non se sarebbero mai andati senza e i mercenari avrebbero potuto ucciderli mentre attendevano il trasferimento dei dati.
Quella casa era un’enorme trappola.
Sanderson imprecò a denti stretti, guardando atterrito la moltitudine di soldati russi che continuavano ad arrivare: erano circondati.
Alzò lo sguardo sulla scrivania quando sentì il segnale di download completato: “Ghost, trasferimento dati terminato!” lo informò, prendendo con sé il modulo.
“Qui Shepherd. Siamo quasi all'area di atterraggio. Qual è il vostro stato?”. Sentendo quelle parole, si precipitarono fuori dal rifugio, avanzando verso la meta prestabilita.
“Procediamo verso il sito di estrazione” lo informò Ghost, raggiungendo Sanderson accelerando il passo.
Corsero zigzagando tra gli alberi, sperando di non venir colpiti dai soldati russi alle calcagna.
“Ci siamo quasi!” urlò Riley, alzando lo sguardo sul Pave Low in avvicinamento, ma in quell'attimo un colpo di mortaio li raggiunse.
Sanderson aprì gli occhi lentamente, combattendo contro il fischio insistente nelle orecchie e con lo sguardo cercò la figura di Ghost. L'altro Sergente era a terra, con le mani strette attorno alla gamba sinistra nel tentativo di fermare la forte emorragia.
Gli si avvicinò e, ignorando i suoi grugniti di protesta, sollevò Riley per le ascelle, trascinandolo di peso.
“Resisti Simon! Ci sono io!” urlò, mentre gli altri soldati della Task Force coprivano loro le spalle.
Il Pave Low, affiancato da numerosi elicotteri, atterrò e Sanderson riconobbe l'uomo che li attendeva sulla rampa di accesso.
Perché mai il Generale si stava esponendo in quel modo?
“Avete recuperato il modulo dati, vero?” chiese Shepherd, alzando la voce per farsi sentire nonostante le pale in funzione e avvinandosi.
“Sì, Signore” rispose prontamente Sanderson, ignorando i dubbi che gli affollavano la mente.
“Bene, un problema in meno da risolvere” replicò l’altro, sparandogli al petto.
Rovinò a terra insieme a Riley, mentre il dolore si diffondeva nel suo corpo come un veleno. Udì un secondo sparo e guardando alla propria destra, vide la maschera militare di Ghost tingersi di rosso.
Una lacrima gli solcò una guancia, mentre sentiva le mani del Generale in cerca del modulo dati tra le numerose tasche della sua divisa. Non appena lo trovò, fece segno ai soldati davanti a sé: coloro che avevano combattuto al loro fianco fino a quel momento non erano altro che dei traditori comandati da Shepherd.
Due paia di mani lo sollevarono e mentre il dolore gli annebbiava la vista, fu trascinato via per poi essere lasciato a terra come spazzatura.
Inerme, guardò il cadavere di Riley ricevere lo stesso trattamento.
“Ghost, Roach, qui Price! Mi ricevete?”.
Socchiuse le labbra, ma non riuscì a trovare le forze per replicare.
Non si oppose in alcun modo, neppure quando qualcuno lo cosparse di benzina dall'odore pungente. Guardò Shepherd accendersi un sigaro, come se fosse l'azione più normale del mondo.
“Devi sapere, Sanderson, che tra i dati che hai copiato c'erano informazioni compromettenti sul mio conto… non puoi certo diventare un eroe della Patria se fino al giorno prima hai comunicato con il tuo peggior nemico. Tu e la tua squadra non lo avreste mai accettato… né tanto meno capito” incominciò, rigirando il sigaro tra le dita. “Sai… sareste dovuti morire tutti quanti nel gulag, durante il bombardamento della Marina… tutto questo non sarebbe mai dovuto accadere. Mi avete forzato la mano”. Un sorriso affilato gli tirò le labbra, ma il suo volto tornò serio in pochi secondi.
“Guarda cosa mi avete costretto a fare…” e lasciò cadere il sigaro.
Le fiamme lo avvolsero impetuose e Sanderson urlò con tutte le forze che aveva in corpo. Sentiva la carne lacerarsi e fondersi con il tessuto spesso della sua divisa. Ogni singola terminazione nervosa era impegnata a fargli provare ogni singola sfumatura di quel dolore atroce e disumano.
“Qui Price! Siamo stati attaccati dagli uomini di Shepherd. Non fidatevi di lui! Ripeto: non fidatevi di Shepherd!”.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro