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2. Beacon Hills

«Come ho fatto ad essere così stupida?!» sbottò Reina aiutando il padre a caricare le valigie nel cofano del taxi.
«Andiamo Reina, anche io ho dimenticato qualcosa a Londra ma non ne sto facendo una tragedia...» rise Richard, osservando la faccia nervosa della figlia alle sue parole. «Te ne comprerò un'altra, va bene?» concluse lui, rassicurandola, posando l'ultimo borsone in macchina e chiudendo il cofano.
«Si ma quella mazza era speciale...» borbottò Reina a testa bassa, salendo in macchina e sbattendo poi alle sue spalle la portiera.
Si sistemò la cintura ed alzò lo sguardo verso il padre.
«...2135 grazie» disse sorridendo Richard al tassista, sistemandosi sul sedile accanto la figlia e guardandola, «Non pensavo volessi ritornare a giocare a Lacrosse; a Londra ci hai giocato solo per metà del primo anno!»
«Non era la stessa cosa...» mormorò Reina, voltandosi a guardare fuori dal finestrino.

Il taxi partì e per tutto il viaggio  lei non fece altro che pensare a cosa avrebbe potuto dire o, almeno, inventarsi una volta ritrovatasi faccia a faccia con i suoi vecchi compagni di scuola.
Portò le cuffie alle orecchie e fece partire l'ultima canzone che stava ascoltando in aereo: I hate everything about you.
Era venuta a conoscenza di quella canzone grazie ad un video postato sui social del suo ormai "ex migliore amico" la sera successiva alla sua partenza per Londra.
D'improvviso, sentì lo stomaco chiudersi alla vista del cartello "Benvenuti a Beacon Hills".
Strinse tra le mani le maniche del giubbino, tenendo la testa poggiata sull'anta dello sportello.
Il cielo della città era di un azzurro chiarissimo, alcune nuvole bianche erano sparse disordinatamente ed il sole risplendeva calorosamente.
Non fece in tempo a chiudere gli occhi, cercando di evitare le domande del padre sul perche' avesse gli occhi lucidi ed a cosa stesse pensando, che la macchina si fermò di colpo, facendoli rimbalzare sul sedile.
«Ma che sta succedendo?!» esclamò Richard sporgendosi in avanti per vedere cosa stesse accadendo, poi apri' lo sportello e scese dalla macchina, guardandosi attorno spaesato.

Reina lo seguì a ruota, togliendosi gli auricolari dalle orecchie mentre scendeva dall'auto.
Si guardò attorno anche lei, notando che le due corsie della strada erano ricolme di macchine bloccate nel traffico.
Chiuse lo sportello lentamente e face qualche passo in avanti, ignorando le parole del padre: «Reina, dove stai andando? Torna subito qui!».
Alzò il cappuccio della felpa per non dare nell'occhio e si portò le braccia al petto, intrecciandole.

Da lontano si poteva notare una grossa nube, mista tra il bianco e il grigio: sicuramente qualcuno aveva fatto un'incidente.
Si fermò a metà strada alla vista delle auto della polizia.
Schiuse le labbra, sentì il cuore rallentarle in petto.
Iniziò ad indietreggiare, tornando lentamente verso il taxi senza distogliere lo sguardo dalla polizia, ma poi iniziò a sentirsi osservata.
Si guardò a destra, poi a sinistra, noto' un ragazzo molto giovane che la fissava sorridendo, con le braccia poggiate sul tettuccio di una macchina.
«Bel casino, vero?» domandò lui con tono acuto senza distogliere lo sguardo.
Reina si limitò a sorridergli, ma non rispose.
Si girò, tornando velocemente verso il taxi e, prima di rientrarci, si rigirò nuovamente in direzione del ragazzo, ma lui non c'era più.

***

«Oh mio dio Reina, quanto tempo è passato... sei cresciuta un sacco!» sua zia le corse incontro abbracciandola quasi in lacrime.
«Zia... mi stai soffocando...» lamento' lei ridendo tra la voce spezzata ed il fiato corto, stringendo a se' la zia.
Quest'ultima si staccò da lei, portandole le mani sulle spalle e guardandola dritto negli occhi: «Sei bellissima... accomodatevi entrambi, stavamo per metterci a tavola».
Li condusse nella sala da pranzo e li fece sedere.

«Allora Reina, come sono andati i tuoi studi a Londra?» domandò la zia Natalie, seduta alla sua destra.
Reina alzò la testa dal piatto e la guardò sorridendo per poi iniziare a parlare scandendo ogni sillaba: «Bene, ho frequentato molti corsi interessanti, tra cui il corso di fotografia.
L'estate scorsa sono stata in stage con un fotografo molto noto lì a Londra, ho imparato un sacco di cose... cose che sicuramente metterò in pratica qui» si fermò per un attimo, poi riprese, «Ho scoperto anche una mia nuova passione... è iniziato tutto per gioco in realtà, ma poi mi sono resa conto che il tiro con l'arco è una mia gran specialità!» concluse ridacchiando la ragazza, afferrò il bicchiere e sorseggio' un pò d'acqua.

«E il Lacrosse? Ti sei allenata?» domandò schietto suo zio, un uomo baffuto e di grande statura, seduto a capotavola.
«Sinceramente... no!» tagliò corto Reina con tono grave.
Suo zio era un gran giocatore di Lacrosse, il migliore di tutti i tempi e capitano per quattro anni di fila della squadra del suo liceo.
(Il Lacrosse è lo sport estivo nazionale canadese, lo svolgimento del gioco è simile a quello dell'hockey sul ghiaccio).
«Non ne ho avuto la possibilità...» bofonchiò lei, cercando di giustificarsi.
Sapeva che suo zio teneva molto a che Reina si allenasse, era la migliore della sua squadra, ai tempi in cui viveva a Beacon Hills.
«Spero tu riprenda, hai un talento innato» concluse lui ingoiando l'ultimo boccone del suo piatto.

La serata trascorse in fretta, Reina era in cucina ad aiutare la zia nel sistemare e lavare i piatti.

Una volta finito, si ritirò in camera, dopo aver augurato la buonanotte a tutti.

Si sentiva molto stanca, aveva la testa che le scoppiava e tanto bisogno di dormire.
Il giorno dopo sarebbe stato un giorno molto lungo.

***

Borbottò qualcosa al suono della sveglia, girandosi dall'altra parte del letto e portandosi il cuscino sul viso.
Erano le 7:30 del mattino e Reina non aveva proprio voglia di alzarsi dal letto, eppure lo fece di scatto non appena realizzò dove fosse.
Si stropicciò gli occhi con le mani per poi fare un lungo sbadiglio.
Scese dal letto e diede un'occhiata all'orario.
Era tardi. Il suo primo giorno di scuola ed era già in ritardo.
Si avvicinò alla valigia, ne tirò fuori un jeans nero strappato e una maglietta bianca con un disegno a forma di teschio nero; sopra aggiunse una camicia a quadri.
Finì di vestirsi e si infilò le Jordan bianco e nere.

Uscì dalla stanza avviandosi al bagno e una volta dentro iniziò a lavarsi il viso, a lavarsi i denti per poi passare a qualche filo di trucco.
Mentre si guardava allo specchio, una brutta sensazione le mangiava lo stomaco.
Neanche un buon riposo le aveva alleviato tutto quel panico.
Scese al piano di sotto, mentre scioglieva la treccia lasciando cadere sulle spalle i lunghi e mossi capelli castani.
Entrò in cucina notando una figura femminile di spalle, davanti al lavandino, con un braccio piegato al suo fianco e tra le dita un qualcosa che dondolava.

«Ma sei seria!?» domandò Reina sorridendo, realizzando che l'oggetto che dondolava fra le dita della zia erano in realtà le chiavi di una macchina, «La mia?» continuò avvicinandosi alla donna.
«La tua!» esclamò sua zia porgendole le chiavi. «L'ho tenuta io per tutto questo tempo, ora è il momento che torni tra le mani del suo leggittimo proprietario» concluse sorridendo.
Reina afferrò le chiavi e la abbracciò, lasciandole un dolce bacio sulla guancia.
«Grazie, mi è mancata un sacco!» sussurrò la ragazza per poi staccarsi.
Non fece colazione, il blocco allo stomaco non le permetteva nemmeno di mangiare.

Uscì di casa, entrò in macchina e poggiò la borsa al suo fianco, mise in moto e si avviò verso scuola.
Si guardava attorno e tutto le sembra così nuovo, così cambiato... nonostante per quelle strade ci fosse cresciuta.
L'aria della città era calma, un leggero venticello faceva dondolare i piccoli alberi posti ai confini dei marciapiedi, il sole ricoperto da nuvole chiare e soffici.
Dopo una quindicina di minuti che guidava notò, finalmente, l'insegna di marmo della sua scuola: "Beacon Hills High School"
Parcheggiò la macchina notando che fuori non c'era più nessuno, le lezioni erano già iniziate e lei, ovviamente, era in ritardo.
Si girò per afferrare la borsa, poi scese dalla macchina e si avviò velocemente all'entrata.

Non appena entrata raggelò, fissando il lungo corridoio e i tanti armadietti alle pareti.
Deglutì, sentendo rimpicciolirsi. Si, in quel momento voleva seppellirsi, voleva uscire e correre verso la macchina, allontanandosi il più possibile da quel posto.
Strinse tra le mani la cinghia della borsa, iniziando a sudare freddo, a sentire quel dolore allo stomaco intensificarsi, ma poi una voce femminile alla sua destra la riportò sulla terra ferma.

«Tu devi essere la nuova studentessa, Reina Wood» disse la signorina gentilmente e sorridendo, porgendole la mano, «Io sono Marin Morrell, psicologa della scuola. Ti vedo piuttosto spaesata» concluse ridacchiando.
«Emh... si, beh io... è strano ritornare tra questi corridoi...» balbettò Reina con un sorriso sforzato, ricambiando la stretta di mano.
«Ah si, tu sei quella speciale! Vieni, ti accompagno in classe» disse Marin, incamminandosi nel lungo corridoio.
Reina la seguì stando a debita distanza: ad ogni passo sentiva la testa pesarle di più; giocava nervosamente con la cinghia della borsa mentre le sue mani erano ormai sudaticcie.

Marin si fermò davanti ad una porta color verde acqua, poggiò la mano sul pomello e la aprì,  non prima di aver bussato.
«Buon giorno ragazzi, scusate l'interruzione, ma ho trovato una ragazza piuttosto spaesata e ho voluto accompagnarla personalmente in classe» sorrise Marin agli alunni, «Ragazzi, lei è Reina, datele un caloroso benvenuto» concluse sorridendo, invitando la ragazza ad entrare e facendole spazio.
Reina, ancora fuori dalla classe, prese un profondo respiro ed entrò sforzandosi di sorridere.
Non appena avvertì lo sguardo incredulo dei suoi vecchi compagni di classe, senti' le ginocchia cederle.
«Non...» disse Scott McCall.
«È...» proseguì Lydia Martin.
«Possibile!» concluse Stiles Stilinski.

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