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Chapter twenty-five

          

HOLAAAA

Metto qui lo spazio autrice perché il capitolo é molto lungo (praticamente la lunghezza di tutti i capitoli messa insieme), ma non me la sentivo di dividerlo, perché si tratta di una serie di cose che devono stare insieme, per come la penso io. Spero che vi piacerà, che non me ne vogliate male per la lunghezza, ma serviva seriamente che stesse tutto assieme.

Buona lettura!

Evelyn's pov

La sveglia suona, ma io sono già sveglia da tempo. È sempre così nell'ultimo periodo ormai, non mi sforzo più nemmeno a riaddormentarmi.

Mi alzo lentamente, passandomi una mano sul viso e poi tra i capelli, sentendo i ricci tra le dita. Dato che non c'è il professore di matematica, siamo autorizzati ad entrare alla seconda ora, per una volta almeno siamo stati avvisati prima. Il silenzio aleggia per casa e sospiro di sollievo quando me ne rendo conto. Papà a lavoro e mia madre impegnata ad incontrare le sue amiche.

Prima di uscire dalla mia stanza, prendo il cellulare, trovando un messaggio di Jane, che mi propone di fare colazione insieme. Osservo la notifica, indecisa su cosa fare, ma alla fine decido di eliminarla e far finta di non aver visto niente.

Dopo essere stata in bagno per i bisogni, vado in cucina, prendendo dal frigorifero una mela, sedendomi poi sul divano, le gambe al petto e il telefono nell'altra mano, mentre controllo i vari post sui social. Apro Instagram, guardando alcune storie, finendo su quella di Colin Hanson. È un video, si vede chiaramente che è in un locale affollato in cui la musica è ad alto volume. Ritrae prima se stesso, i capelli scompigliati e il sorriso ubriaco, per poi girare la schermata e far vedere altre persone.

"Questa è la situazione dopo appena un'ora e mezza che siamo qui. Georgia, smettila di bere e limonare e fatti vedere nel video" lei però non lo ascolta, continuando a baciare appassionatamente la ragazza bionda al suo fianco. "Va bene stronza, continua così, quando avrai bisogno di me, non ci sarò" Colin è chiaramente brillo, come si può vedere anche dalle storie che seguono il video.

Le mie dita digitano velocemente il nome di Georgia su Instagram, ma mi devo fermare subito quando sto per aprire le sue storie.

Non me ne dovrebbe fregare più niente, lei sta solo continuando la sua vita.

Poso il telefono e mi vado a preparare, finendo di sistemarmi mezz'ora dopo e dirigendomi verso scuola. M'incammino con gli auricolari nelle orecchie, arrivando in poco tempo alla mia destinazione. Entro subito, dirigendomi verso il mio armadietto. Prendo i libri per l'ora di inglese, chiudendolo. Noto alla fine del corridoio Lauren con Lindsay, Colin e Georgia con un paio di occhiali da sole. Lindsay glieli toglie, dicendole qualcosa e da lontano vedo come le occhiaie circondano i suoi occhi.

Sento qualcuno che mi lascia un bacio sulla guancia e mi volto di scatto, distogliendo la mia attenzione da lei, trovandomi davanti Cole. Le mie labbra si distendono in un piccolo sorriso, vedendo con la coda dell'occhio Georgia che sta guardando nella nostra direzione.

"Ehi piccola" dice il mio fidanzato, avvicinandosi per lasciarmi un bacio sulle labbra.

"Ehi" ho l'impulso di allontanarmi quando si avvicina di nuovo, ma non lo faccio, lasciandolo fare.

"E dai ragazzi, sempre a baciarvi" la voce di Jane mi giunge vicina e mi stacco da Cole per osservarla.

Sorride tranquilla, quasi divertita, ma non in modo cattivo, come fa di solito contro chi non le piace.

"Il tuo ragazzo non è ancora venuto a salutarti?" domanda il mio, alzando un sopracciglio divertito. Mi ha confessato di non trovare simpatica Jane, che vuole avere troppo il controllo sulla mia vita. L'ho sempre rassicurato su questo, che so prendere le mie decisioni da sola.

Adesso non sono più sicura di questo.

"Il mio ragazzo è a casa che non sta bene" Cole annuisce, quasi divertito, forse perché entrambi pensiamo la stessa cosa. Tante volte ho provato a far notare a Jane che il suo ragazzo la tradisce, ma su questa cosa sembra avere i paraocchi.

"Va bene, io vado ragazze, ci vediamo dopo Evelyn" mi lascia un ultimo bacio e va via, lasciandomi sola con Jane.

"Ciao Jane" la saluto finalmente e lei mi osserva prima, ricambiando il mio saluto. Nell'ultimo periodo sembra più tranquilla con me, se con gli altri si comporta sempre di merda, quando si rivolge a me, addolcisce la voce e mi chiede più spesso come sto.

Sembra che abbia paura che io possa esplodere da un momento all'altro.

"Andiamo in classe?" chiede ed io annuisco, sistemandomi la borsa e camminando al suo fianco.

Come al solito, sono costretta a non incrociare il suo sguardo, mentre sento il suo bruciare su di me.

***

Non ho mai passato una giornata più bella di questa. Mi sento così libera e felice, non vedo l'ora che sia domani per rivedere Georgia. Ho uno stupido sorriso che non riesce a levarsi, mi sento ancora accaldata per la sua vicinanza di prima.

Apro la porta di casa silenziosamente, sperando di non fare rumore e non svegliare i miei genitori. Non appena chiudo la porta, però, la luce del soggiorno si accende e trovo entrambi i miei genitori, le espressioni tutt'altro che amichevoli, le sopracciglia corrugate e le braccia conserte ad attendermi.

"Dove sei stata, Evelyn? E cosa sono quei vestiti?" cerco di non balbettare, di mostrarmi sicura e rispondere correttamente alle domande di mia madre.

"Sono andata a casa di Jane dopo scuola, te l'ho detto. Siamo andate ad una piccola festa organizzata dal suo ragazzo e mi ha prestato qualcosa" spiego in modo calmo "Vado in camera, sono molto stanca e domani ho scuola" quando sto per raggiungere il primo gradino, però, vengo fermata.

"Jane è venuta qui per stare un po' con te" mi gelo a quelle parole, pensando che non l'ho avvisata perché sennò le avrei dovuto dire che ero con Georgia e si sa che la odia. "Quindi, Evelyn, puoi dirmi con chi sei stata?"

"Io-"

"Sai, Jane ci ha detto che in questo periodo è preoccupata per te. Crede che ti stia vedendo con persone che non hanno una buona influenza su di te e, in effetti, sono d'accordo con lei. Uscire con quella lesbica di Georgia, ma cosa ti salta in mente? Sai che potrebbe mischiarti, che potrebbe metterti in testa idee sbagliate? Sai che vergogna sarebbe per noi?" subisco quelle parole e tutte le altre, piene di cattiveria e ripenso ai miei momenti con Georgia, ogni sensazione felice che ho provato, ogni sguardo ed ogni tocco.

"Ti proibiamo di vedere e frequentare ancora quella scostumata" interviene mio padre e speravo che almeno lui non ci mettesse del suo, ma ovviamente mi sbagliavo. "Non vogliamo vederti più con vestiti del genere, non vogliamo che tu esca con quella ragazza e con i suoi amici drogati, non vogliamo che tu salti la scuola per stupidaggini. Tutto chiaro, Evelyn?" annuisco, trattenendo le lacrime.

"Siamo molto delusi da te"

Il ricordo torna prepotente mentre dovrei ascoltare la lezione della professoressa, facendomi sentire un senso di pesantezza all'altezza del petto e dello stomaco. Alzo la mano e chiedo di andare in bagno e, quando la professoressa dà il consenso, quasi corro per uscire dalla stanza.

Mi dirigo velocemente al primo bagno che trovo, chiudendomi subito in una cabina e inginocchiandomi all'altezza del water, cercando di vomitare qualsiasi cosa abbia nello stomaco, provando a togliermi quel senso di pesantezza. Una lacrima cade sulla mia guancia e tento di trattenere i singhiozzi, lasciando che altre scendano in silenzio. Mi rannicchio vicino al muro, le ginocchia al petto e la testa poggiata su di esse. Respiro profondamente, cercando di calmarmi e, quando sento di esserci un minimo riuscita, mi asciugo le lacrime ed esco dalla cabina, provando davanti allo specchio di tornare presentabile.

Ma trovo Claire, la stessa ragazza che si è scopata più volte Georgia e mi ha fatto provare una grande invidia nei suoi confronti. Si sta lavando le mani, mi osserva dallo specchio mentre io cerco di ignorarla. Il suo cazzo di ghigno mi fa solo innervosire ma devo cercare di stare calma.

"Giornata di merda?" mi domanda ma io non rispondo, continuando a sistemarmi. Sorride di gusto, chiudendo il rubinetto. Comincia ad asciugarsi le mani e, quando ha finito, sono sollevata che finalmente se ne vada, ma non va come spero. No, perché lei si appoggia al lavandino, osservandomi a braccia conserte. Il suo sguardo indagatore mi fa solo innervosire, ma provo a non farglielo notare.

È sempre stata una grande stronza.

Rimango in silenzio ma lei sembra proprio non volermi lasciare in pace.

"Non abbiamo mai avuto l'occasione di parlare, io e te" comincia, osservando tutta la mia figura, dalla testa ai piedi. "Però sai chi sono ed io so chi sei tu. Ed ho sempre avuto la sensazione di avere i tuoi occhi addosso e mi sono chiesta il perché. Fino a quando poi non ho capito" deglutisco, sentendomi la verità sbattuta in faccia, tutto ciò che ho fatto durante questi anni visto dall'esterno. "Credevo che fosse per me, poi mi sono resa conto che il tuo interesse fosse un altro, esattamente quando ho rotto una mia relazione, tu sai bene quale" il suo sguardo diventa serio, forse a ricordare quanto lei abbia amato quella persona, che non è mai riuscita a ricambiarla.

"Dove vuoi andare a parare con questo discorso?" chiedo, cercando di capire perché mi stia parlando adesso di tutto questo. Vuole forse scatenare in me gelosia? No, perché già la provo.

"La conosciamo entrambi. Georgia è troppo attaccata a voler essere se stessa, agisce d'impulso e quando ama ci mette tutta se stessa. Non te ne rendi conto, ma la stai distruggendo"

"Non è un problema mio" dico con tono incerto e lei sa che non lo penso seriamente, infatti si raddrizza, avvicinandosi.

"Smettila di mentire a te stessa. Io avrei dato qualsiasi cosa per essere guardata un minimo di come lei guarda te, come ti cerca tra i corridoi, come il suo sguardo rimane fisso su di te senza che tu te ne accorga. Sai, una volta l'accusai di non saper provare un sentimento come l'amore, con me la scintilla vera non le era scattata ed odiavo quella situazione. Io troppo innamorata di lei, mentre Georgia sembrava sempre avere la testa per aria"

"Perché mi stai dicendo tutto questo? Non dovresti volerla per te ora che siete tornate a scopare?" domando con disprezzo, cercando di eliminare dalla mia mente il loro bacio alla festa.

"Perché, come ho detto, Georgia non è una persona propensa ad amare qualcuno, a provare un sentimento forte come l'amore, però adesso lo sta provando e ci sta di merda e tu sei nella sua stessa situazione. Soffri perché non puoi essere te stessa, sei circondata da persone come Jane che non ti accetterebbero ed hai paura di lanciarti nel buio, di svelarti e di essere finalmente felice. Preferisci le tue certezze ma rimanendo infelice, ingoiando pillole amare e parole taglienti che ti fanno convincere di essere una specie di abominio per ciò che provi. Non è così, Evelyn. Se ami veramente Georgia come penso, vai contro qualsiasi cosa e stai con lei. Non è me ciò che lei vuole ed io so quando farmi da parte" detto questo mi supera, andando via e lasciandomi sola a guardarmi a quello specchio che riflette la mia espressione, una distrutta da tutto ciò che le sta succedendo.

Facile a dirsi, sconfiggere la mia paura e subirmi le cattiverie dei miei genitori e di tutti i miei amici. Per quanto ogni notte sogni una vita in cui posso essere libera di amare Georgia davanti a tutti, di giorno sono sempre la solita Evelyn, migliore amica di una ragazza omofoba e circondata da genitori che vogliono apparire perfetti davanti agli altri.

Scuoto la testa, pensando di essere al limite, che un giorno forse scoppierò, quando l'ipocrisia sarà tanta ed io sarò stanca di viverla.

La mensa è gremita di gente che chiacchiera tra di loro. Io rimango in silenzio, ascoltando distrattamente i discorsi degli altri, fissando il mio piatto ancora pieno. Voglio solo andare a casa e chiudermi nella mia stanza.

Si sente un rumore agli altoparlanti della scuola e subito la voce della preside risuona tra le pareti.

"Studenti della Harrison High School, ho il piacere di informarvi chi sono i due nuovi rappresentanti degli studenti. Dopo un'autoeliminazione ed un'aggiunta, vi annuncio che Georgia Andrews ed Evelyn Prescott vi rappresenteranno al consiglio d'Istituto" sento applausi e fischi e so che sono tutti per Georgia, nessuno mi apprezza così tanto, ma il mio sguardo è su Jane, che mi fissa a sua volta.

Mi alzo, facendo strisciare rumorosamente la sedia sul pavimento, facendole cenno di andare a parlare fuori. Il mio sguardo vaga un attimo e trovo subito il suo, che osserva la scena mentre Medea esulta al suo fianco.

Quando sono fuori insieme a quella che dovrebbe essere la mia migliore amica, mi volto verso di lei, guardandola arrabbiata.

"Si può sapere come mai io mi ero tolta dai candidati e sono stata riaggiunta? C'è il tuo zampino, Jane?" ha le braccia conserte ed è calma, mentre io sono furente.

Perché non riesce a capire?

"Non volevo che ti sentissi inferiore a loro. Sei una valida rappresentante, Evelyn, l'ho fatto per te, ho pensato che quella stronza ti avesse costretta in qualche modo a rinunciare" mi prende le mani, guardandomi negli occhi. "Mi dispiace se ho fatto male, ma era solo per il tuo bene. So quanto ci tenevi" mi libero dalle sue mani e lei mi guarda con la fronte corrugata, mentre mi allontano di un passo.

"Non l'hai fatto per me, l'hai fatto per te, perché nessuno ti avrebbe votata e volevi un tramite per quel cazzo di ruolo. Ma io lo volevo veramente ed ho deciso di abbandonare la candidatura per mia scelta. Non sono così facilmente influenzabile come credi" sputo le parole di una vita, quelle che non ho mai avuto il coraggio di dire, mentre sento quel senso di pesantezza che mi fa diventare gli occhi lucidi.

Fa male, il dolore al petto è forte ma cerco di resistere, provo ad allontanare il ricordo della conversazione con i miei genitori, a cancellare le loro parole.

"Eve, dai-"

"Lasciami stare, Jane"

Mi allontano, mentre la sento chiamarmi per tutto il corridoio. Mi dirigo in infermeria, facendomi firmare il permesso per uscire dicendo che non sto bene. In effetti, nemmeno il mio colorito già pallido non è dei migliori.

Prendo il foglio che mi offre l'infermiera, andando poi a prendere le mie cose ed allontanandomi il più velocemente possibile da scuola. Attendo alla fermata per prendere l'autobus, la mia destinazione è l'ufficio di mio padre.

Non so perché, ma lì, sin da piccola, mi sono sempre sentita tranquilla e al sicuro, un posto dove rilassarmi e dove potermi rifugiare. Mio padre lavorava, mentre io leggevo o giocavo silenziosamente in un angolo. Mi sono sempre sentita più legata a mio padre che a mia madre, lo vedevo meno rigido e, quando aveva tempo, giocava con me; se sbagliavo, mi riprendeva ovviamente, ma rispetto a mia madre cercava di farmi capire tranquillamente l'errore. Poi sono cresciuta e i nostri rapporti si sono freddati, io non mi sono più sentita la sua principessa e ho cominciato a vederlo più come un alleato di mia madre.

Il mio cellulare squilla, segnalando l'arrivo di un messaggio, che visualizzo soltanto.

"So che non sei influenzabile, che sai prendere le tue decisioni da sola e che non hai bisogno di me che ti dica ciò che devi fare. Voglio solo il meglio per te, lo sai, ti voglio bene e sei la mia migliore amica. So che sarai bravissima, faccio il tifo per te"

Non le rispondo, mi fa arrabbiare pensare che lei abbia deciso per me, che non sappia rispettare la mia cazzo di vita. Non sono qualcosa che deve tenere sottocontrollo, ma a quanto pare non lo capisce.

Sull'autobus infilo gli auricolari nelle orecchie, mettendo la riproduzione casuale. E il caso non so se è mio nemico o altro, ma le parole della canzone dei My Chemical Romance 'The world is ugly', riempie le mie orecchie, facendomi solo aumentare il senso di angoscia. Perché queste sarebbero le parole che le direi: che è bellissima, che tutto ci viene contro ma noi insieme riusciremmo a battere qualsiasi cosa, che il mondo è brutto senza di lei, che la penso continuamente, che è sempre e costantemente nei miei pensieri, che soffro a non averla al mio fianco.

Ma la paura blocca, t'imprigiona e ti spaventa. Le malelingue sono tante ed è orribile pensare che i primi ad esserlo siano proprio i tuoi genitori. Ed io, adesso, in questo momento, in questo autobus che si sta per fermare, non ho il coraggio di affrontare una sensazione del tutto nuova per me.

Non ho mai avuto coraggio nella mia vita, sono sempre voluta rimanere nella mia bolla sicura, in cui tutto è deciso ed io non posso fare a meno che accettarlo. So che è un pensiero sbagliato, che dovrei affrontare tutto di petto, ma il solo pensiero che quella bolla possa scoppiare, mi spaventa.

Scendo alla fermata vicino l'ufficio di mio padre, percorrendo i pochi metri che mi dividono dall'edificio. Entro nell'ascensore, attendendo il piano giusto, guardandomi allo specchio posto lì su una delle pareti. Prendo dei respiri profondi, passandomi un dito sotto gli occhi e cercando di mostrarmi normale davanti a mio padre. Ma tanto, anche se avessi gli occhi rossi dopo aver pianto, non se ne accorgerebbe o penserebbe direttamente ad una canna.

Le porte dell'ascensore si aprono ed io mi trovo all'interno dello studio dei notai. Cammino verso il bancone in cui si trova una segretaria, aspettando che finisca di parlare a telefono. Mi rivolge la sua attenzione, una volta aver terminato la chiamata.

"Sono la figlia del notaio Prescott. Vorrei vedere mio padre" la vedo un po' in difficoltà, mentre guarda verso la sua porta.

"È impegnato in alcune pratiche, mi ha detto di non far entrare nessuno"

"Se non c'è nessun cliente, posso entrare" ribatto subito, aggrottando le sopracciglia. Che diavolo di problemi ha?

"Sta lavorando, non vuole essere disturbato"

Non la ascolto e mi dirigo verso la porta bianca, oltrepassando i divanetti della sala d'attesa.

"Senta, ci metto due minuti, il tempo che gli dico una cos-" le mie parole si bloccano quando apro quella porta. I miei occhi si soffermano sulla donna dai capelli neri che è seduta sulla scrivania, percorrendo tutta la sua figura. È bella, c'è da ammetterlo, e il tailleur che indossa risalta la sua figura. E poi vicino a lei, anzi, attaccato a lei, c'è mio padre.

E sento il mondo cadermi addosso.

Vedo un ago avvicinarsi alla mia bolla e scoppiarla in un nanosecondo. Risento nelle mie orecchie tutte quelle raccomandazioni sull'essere una famiglia perfetta agli occhi degli altri, sul comportarsi in modo impeccabile e quanti insulti ho sentito sul comportamento degli altri.

"Evelyn" mormora flebilmente mio padre, gli occhi spalancati a guardarmi davanti alla porta.

"Mi dispiace signore, le ho detto di non entrare-"

"Non si preoccupi, può andare" mio padre congeda la segretaria e si rimette dritto, sistemandosi la cravatta al collo. Io non riesco a dire nulla, solo a passare i miei occhi dalla donna a lui. Lei scende dalla scrivania, sistemando la gonna che si era leggermente alzata. "Che ci fai qui, Evelyn?"

Non un misero e falso "Non è come sembra" nemmeno una scusa come "Mi stava controllando cosa avessi nell'occhio". Non prova a prendermi per scema, no, mi chiede cosa ci faccio qui, come se fossi un'intrusa.

Deglutisco, abbassando leggermente lo sguardo.

"Sono uscita prima da scuola perché non mi sentivo bene e volevo... vado via, tolgo il disturbo" esco velocemente, sentendo prima silenzio, poi il mio nome richiamato. Entro subito nell'ascensore, premendo più volte il pulsante del piano terra e sperando che le porte si chiudano il più velocemente possibile.

Quando non c'è più contatto tra me e ciò che c'è fuori l'ascensore, crollo, lasciando alle lacrime e ai singhiozzi il via libera, portandomi una mano sulla bocca per cercare di contenermi ma non ce la faccio.

Il dolore si è solo amplificato di più, il petto mi fa ancora più male e mi sento di crollare completamente da un momento all'altro.

E non c'è cosa peggiore di essere sola in questo momento.

***

Mi fisso allo specchio, il mio corpo racchiuso nel solito vestito da bambolina. Guardo la figura di una ragazza che non è se stessa, che forse non sa nemmeno chi è, che non sopporta le cene di famiglia, quelle con le domande imbarazzanti e con gli argomenti che sono più dei pettegolezzi sulla vita altrui.

Mi tocco i capelli, piastrati per l'occasione e legati, perché mia madre crede che siano troppo disordinati se lasciati al naturale. Il vestito è completamente diverso da ciò che indossavo quel giorno con Georgia, è rosso, bello certo, ma non lo sento mio, non è stato scelto da me.

Sento dei passi nel corridoio venire verso la mia stanza, infatti un paio di secondi ed entra mia madre.

"Evelyn, sei pronta? I parenti stanno per arrivare" e di nuovo la solita cena di famiglia, in cui devo stringere i denti e sopportare fino alla fine della serata.

"Sì" rispondo, osservandola. Mio padre non è venuto a parlarmi, forse perché è certo che terrò la bocca chiusa, che non mi azzarderei mai a rivelare ciò che ho visto.

"Allora, vienimi ad aiutare" mia madre sta per uscire dalla stanza, ma io la fermo subito.

"Aspetta, ti devo chiedere una cosa" mia madre sospira, attendendo una mia parola. Ha un vestito nero che risalta molto la sua figura e, seppur ha sempre quell'espressione severa in volto, è bella, conservando il fascino di quando era più giovane. Quindi qual è il bisogno di avere l'amante? "Sapevi che papà ha un'altra?" glielo chiedo senza girarci intorno, attendendo una sua espressione di dolore o sorpresa.

Ma niente. Lei rimane tranquilla, anzi sospira, avvicinandosi a me.

"Evelyn, devi capire che la vita da sposati non è facile, okay? A volte si hanno dei bisogni che, se non accontentati, si ricercano in qualcun altro. E a volte c'è anche il lavoro che può richiederlo. Tu non ti devi preoccupare, saremo sempre i tuoi genitori, ma tieniti questa cosa per te. Dobbiamo pur sempre mantenere l'integrità della nostra famiglia" mi risponde, parlandomi tranquillamente e guardandomi negli occhi. "Adesso andiamo"

Esce dalla mia stanza, mentre io rimango ancora fissa a guardare il mio riflesso.

Il riflesso di una persona che sa di non essere se stessa.

Quando giungo nel salone, il campanello alla porta suona e vado ad aprire. Davanti a me trovo mio zio e sua moglie, insieme a mio cugino Charles e, inaspettatamente, anche sua sorella Astrid.

"Buonasera" saluto, facendoli entrare, vedendo mia cugina sbuffare. Probabilmente preferiva essere a qualche festa. Mia madre esce dalla cucina e saluta i miei zii, mentre io mi siedo sul divano al fianco di Charles.

"Che ha?" gli chiedo, facendo un cenno verso sua sorella, che guarda scorrere sullo schermo del suo telefono.

"Doveva andare ad una festa, ma il suo gruppo ha deciso che sarebbe stato meglio rimanere a casa. So che nemmeno il gruppo di Medea è andato" rimango in silenzio, annuendo semplicemente e sentendo il bisogno di sapere cosa lei stia facendo.

"Mi presti un attimo il tuo telefono?" Charles mi guarda stranito, ma mi passa lo stesso il suo cellulare, sbloccandolo e facendomi accedere alla home principale. Apro l'app di Instagram, andando sul cerca, ignorando il primo nome presente nella lista dei recenti, e scrivendo il suo. Clicco sul suo profilo, esitando un attimo quando sono sul punto di aprire le storie.

Ma mi decido subito e clicco sull'icona, facendo aprire la prima storia, lei in classe, un video in cui prende in giro Medea, fino a quando non arrivo a quello di almeno un'ora fa. La foto inquadra il suo libro di chimica, e la scritta 'oggi non si esce' è evidenziata di rosso. Un'altra storia di dieci minuti fa, mostra il boomerang del suo computer, fermo ad un episodio di una serie tv.

La mia attenzione viene distolta dal campanello che suona di nuovo, così mi alzo per andare ad aprire.

I miei nonni e mio padre sono sulla soglia e li faccio entrare, prendendo i cappotti dei miei parenti e non incrociando lo sguardo con mio padre. Il ricordo nel suo ufficio e le parole di mia madre sono ancora vividi.

"Siete arrivati in tempo. È pronta la cena" aiuto mia madre a portare i piatti, mentre tutti si accomodano al loro posto. Davanti a me ho mio cugino e accanto a lui c'è Astrid, con ancora il telefono in mano.

"Astrid, togli quel telefono. Siamo a tavola e dobbiamo mangiare" mia cugina alza gli occhi al cielo, sospirando, accontentando la madre e cominciando a mangiare qualcosa.

"Il tempo ti rende sempre più indisciplinata, vedo" commenta mia nonna, il tono sempre sprezzante. Astrid si gira lentamente verso di lei, sorridendo falsamente.

"E tu sempre così amorevolmente impicciona. Non ci voleva il tuo commento" mia zia ammonisce subito la figlia, mentre mio zio la guarda male, ma lei già non li pensa più, concentrata a mangiare. Astrid non sopporta queste cene, non sopporta i suoi stessi parenti, così diversi da lei e fin troppo bigotti, come li definisce. E come sicuramente considera anche me.

"Come mai oggi abbiamo il piacere della tua presenza?" mia nonna non demorde e posso dire che, seppur sono gli opposti, entrambe hanno lo stesso carattere, solo con modi di essere differenti.

"La festa a cui dovevo andare è saltata, mamma mi ha costretta ad essere qui" guarda sua madre con sfida e sono sicura che mia zia sta pensando che prima o poi la figlia la farà vergognare. Mia nonna squadra la nipote, facendo una smorfia.

"Cambiamo argomento" interviene Charles, facendo piombare il silenzio dopo le sue parole. Ogni secondo che passa la tensione si può tagliare con il coltello "Sapete che Evelyn è diventata rappresentante?"

Mia madre si volta di scatto verso di me ed io vorrei farmi piccola per non farmi vedere da lei e non aprire quest'argomento.

"Evelyn, non ci hai detto niente" commenta "E chi sarebbe l'altro? Sono così contenta che sei diventata rappresentante, farai sicuramente un buon lavoro" apprezzo le sue parole, ma so che tra un po' cambierà idea.

"Georgia Andrews è l'altra rappresentante" guardo mia madre che s'irrigidisce e assume la sua espressione da superiore.

"Chi diavolo è così stupido da votare quella lesbica?"

"Io, zia. Io l'ho votata" ammette Astrid, alzando un sopracciglio in senso di sfida. Mia madre scuote la testa in modo impercettibile, ma io lo noto, fissando poi il suo piatto, prendendo un po' di cibo.

"Comunque ho deciso di lasciare la nomina. Mi ero tolta dai candidati, ma Jane mi ha rimessa a mia insaputa. Nomineranno la persona dopo di me"

"Non dovresti farlo, è segno di debolezza, Evelyn" interviene mio padre, guardandomi, ma io distolgo lo sguardo, puntandolo su altro.

"E vuoi la scuola e tutti gli studenti in mano a quella poligama lesbica? Quella ragazza non ha per niente una morale"

"I genitori sono degli hippie che fumavano marijuana, hanno anche trasmesso la cosa alla figlia. Cosa pensavi uscisse da due persone del genere?"

"Spero che un giorno si rendano conto dello sbando a cui hanno portato la figlia. Troppa libertà porta solo sbagli"

Parole, parole, insulti, malelingue.

Ecco cosa stanno sentendo le mie orecchie, mentre la mia mano destra si chiude piano piano a pugno, stringendolo forte. Momenti delle nostre risate, dei nostri sguardi, solo miei e di Georgia, quelli da lontano mentre parlavamo con qualcuno, dei baci nell'ombra, quelli nascosti agli occhi di tutti, delle carezze che mi facevano sentire al settimo cielo.

Che mi facevano sentire amata, felice, libera.

I sorrisi sinceri e spontanei, i pensieri detti liberamente, alcuni senza senso, altri che capivamo solo io e lei, i ricordi, le nostre confessioni.

Mi guardo un attimo intorno, sentendo un groppo in gola crescere sempre di più. È tutto confuso nelle mie orecchie, i discorsi non li sento con criterio, mentre la testa mi vortica con troppi ricordi.

Intorno a me ci sono persone che si sentono superiori agli altri, che si sentono in dovere di giudicare, persone che non sono libere, che vogliono rimanere nella loro falsa perfezione, che non hanno un briciolo di amore dentro di loro.

Ed io non voglio essere come loro. Mi rifiuto di esserlo.

"Basta" sento qualcuno dire, rendendomi poi conto di essere stata proprio io a parlare. Li guardo tutti, ricambiando i loro sguardi accigliati, sentendo quel groppo in gola liberarsi piano piano. "Ma quanto è vuota la vostra vita per giudicare quella degli altri? Vi credete tanto superiori agli altri, volete tanto dimostrare di essere perfetti, ma è tutto fasullo. Volete far vedere che la vostra famiglia è tranquilla e felice, che i vostri figli hanno i voti più alti, che si vestono con i vestiti migliori, dai colori chiari, perché un tocco più scuro fa credere agli altri che vostro figlio è emo e oh mio Dio, non si può certo pensare una cosa del genere. Quella che voi chiamate peccatrice poligama è la persona migliore che io abbia mai conosciuto, che mi ha fatta sempre sorridere, che mi ha fatta sentire amata come non ci è mai riuscito nessuno. Nemmeno i miei genitori. Ma alla fine cosa posso mai pretendere? Quando qualcuno è troppo occupato a rendere la propria vita vuota, senza un briciolo di amore, accecato dalla voglia di essere perfetto, non nota cosa accade intorno a sé, giusto? A volte arriva la consapevolezza e sapete cosa si fa? Si cerca il rapporto con qualcun altro che non sia la propria moglie, giusto papà?" domando, girandomi verso di lui. "Molto bella la donna nel tuo ufficio, mamma l'ha già incontrata? Sembra accettare tranquillamente la situazione, la prossima volta potresti invitarla a cena" guardo entrambi con una smorfia, mostrando tutto il mio disprezzo per la questione. "Che schifo, anni di matrimonio che non si basano su niente. Io non voglio fare la vostra stessa fine, sono stanca di sentirmi infelice e di vedere gli altri essere liberi. Sono innamorata di una peccatrice lesbica poligama e di conseguenza anch'io sono una peccatrice lesbica, probabilmente finirò all'inferno, ma almeno sarò felice e fiera di essermi vissuta la vita come cazzo volevo. Sono stanca di pensare continuamente che i miei genitori non mi accetteranno, che non voglio rovinare il mio rapporto con loro, ma a voi non frega niente di come mi sento, di ciò che provo. Non voglio più sentire qualcuno decidere per la mia vita all'infuori di me. Basta, ho chiuso. E non voglio più sentire parlare male di Georgia davanti a me"

Non mi sono accorta di essermi alzata e ne approfitto per andare nella mia stanza, aprendo poi l'armadio per prendere la mia valigia. Dalla sala da pranzo, sento solo un 'porca troia' di Astrid, che mi fa sorridere leggermente.

"Evelyn" la voce di mia madre risuona e la vedo chiudere la porta, guardandomi furente. "Che diavolo ti è preso? Hai bevuto? Torna subito di là e chiedi scusa. Che figura"

"No, mamma, non hai capito. Io me ne vado, non voglio più stare qui e prima non stavo scherzando. Amo Georgia e voglio stare con lei, fattene una cazzo di ragione" rispondo, continuando a mettere i vestiti dentro la valigia, facendo avanti e indietro per la stanza.

Voglio uscire al più presto da questa casa.

"Ti do dieci minuti, Evelyn, calmati, torna di là e scusati, va bene?" mi lancia un ultimo sguardo arrabbiato, per poi uscire dalla stanza. Continuo a prendere le cose dall'armadio e dalla scrivania, sperando di mettere il più possibile all'interno ciò che mi serve.

Ho una nuova sensazione in me, un senso di libertà si espande per tutto il mio corpo e non vedo l'ora di andare da Georgia e vederla. Cerco di affrettarmi, poiché non vedo l'ora di andarmene.

Sento qualcuno bussare alla porta della mia stanza e non rispondo nemmeno, troppo impegnata in ciò che sto facendo. La porta, però, viene aperta ed entrano Astrid e Charles, che se la richiudono alle spalle.

"Che ci fate qui?"

"Io ti aiuto" si propone subito mia cugina, aiutandomi veramente a completare la valigia, mentre io vado in bagno a prendere le ultime cose.

"Sei sicura di ciò che stai facendo?" mi domanda Charles e vedo titubanza nei suoi occhi.

"Mai stata più sicura, Charles. Amo Georgia e voglio stare con lei, sono stanca di pensare a loro. Voglio sentirmi libera e non posso esserlo in questa casa. Probabilmente non mi accetterai e non starai dalla mia parte, ma sinceramente non me ne frega niente. Adesso m'interessa solo chiarire con lei"

Charles mi ferma, abbracciandomi stretta a sé ed io sospiro, sentendomi appoggiata almeno da una persona, oltre che da Astrid che mi aiuta con la valigia.

"Sii felice, Eve"

"La valigia è piena, dobbiamo chiuderla" mi dice mia cugina e le passo il beauty-case per metterlo dentro. "Comunque ho fatto bene a venire a questa cena. Non mi sarei mai aspettata un risvolto simile, cavolo è stato figo"

"Ti ho chiamato il taxi, sarà qui a momenti" abbraccio entrambi, sentendomi sollevata nell'averli dalla mia parte.

"Conquistala tigre" m'incoraggia Astrid, scoccandomi un occhiolino. "Adesso andiamo di là, che non voglio perdermi l'uscita e le loro facce"

Escono dalla stanza ed io rimango sola, con il telefono in mano decisa a fare una cosa prima. Cerco il contatto di Jane e tengo premuto sull'icona dell'audio.

"Ehi Jane. Ascolta, probabilmente dopo questo audio non vorrai più rivolgermi la parola, ma non posso continuare a sentirmi in gabbia. Amo Georgia, sì, amo una ragazza, la stessa che tu odi e non mi ha fatto nessun lavaggio del cervello, la amo da tanti anni ormai. Ho sempre avuto paura di questa cosa, ma adesso sono stanca. Ti ho sempre considerata la mia migliore amica nel bene e nel male, anche quando mi sentivo controllata da te. Ora sono stanca, voglio decidere io per me stessa e voglio stare con lei. Spero che supererai i tuoi pregiudizi e che continueremo ad essere amiche. Non ho dovuto scegliere tra te e lei, facendo vincere lei. Ho scelto me stessa. Ti voglio comunque bene"

***

Ha cominciato a piovere ed io intanto continuo a trascinare la mia valigia, vedendo che mancano pochi metri per arrivare a casa di Georgia. Sospiro, quando giungo sul suo portico, sentendo i capelli cominciare ad arricciarsi. Non è una pioggia forte, ma comunque quelle piccole gocce insieme sono riuscite a bagnarmi un po'.

Guardo la porta, sentendomi nervosa per ciò che sta per accadere. Non voglio esitare più di tanto, così suono subito il campanello, aspettando sulla soglia. La musica all'interno sento che viene stoppata e la porta viene aperta.

E vederla, dopo aver aspettato tanto, è praticamente un sollievo. È così bella, nonostante sia struccata e con il pigiama, i capelli un po' scombinati e le pantofole ai piedi.

"Che ci fai qui?" mi domanda, non nascondendo la freddezza nella sua voce. Aggrotta le sopracciglia a vedere la mia valigia, rivolgendomi una silenziosa domanda.

"Avevi ragione. Avevi ragione su tutto quello che mi hai detto quel giorno. Ero a quelle solite cene di famiglia che ho sempre odiato, in cui i miei parenti parlano degli altri sentendosi migliori. È uscito il discorso che sono diventata rappresentante insieme a te ed hanno iniziato a dire parole orribili su di te. Sai come l'hanno sempre pensata sul tuo modo di essere e di vivere e non ce l'ho fatta più. Mi sono alzata ed ho detto tutto ciò che penso, ho detto che sono innamorata di te e aggiungo in questo momento, davanti a te, che non ce la faccio più a vivere in questo modo incompleto, in una bolla in cui faccio finta che tutto vada bene, in cui sono costretta a stare male perché non sono chi voglio essere. Semplicemente me stessa. Ho fatto la valigia, me ne sono andata, nonostante le minacce di mia madre che ha già detto che non mi riaccoglierà più a casa. Ho anche rivelato tutto a Jane ed ho aggiunto che non mi voglio più far comandare da nessuno. Sono andata a casa di Cole e gli ho detto la verità, abbiamo parlato ed ha ammesso che anche lui sentiva che ci fosse qualcosa di strano, che mi vedeva sempre lontana. Ed adesso sono qui, davanti a te, dicendoti tutto quello che ho fatto, forse in ritardo, ma provandoci lo stesso. Non sei un'esperienza, non ti voglio lontana da me, ti voglio il più vicino possibile. Sono innamorata di te da anni e questo sentimento è sempre rimasto soffocato, ma adesso basta, voglio solo stare con te, voglio essere me stessa, voglio essere libera. Voglio amarti come meriti, voglio dirti ad alta voce ogni pensiero che ho su di te, voglio dirti che sei bellissima in ogni momento, come adesso, voglio fregarmene con te degli altri e amarti come meglio posso. E se mai adesso decidessi di perdonarmi per le cazzate che ti ho detto e staremo finalmente insieme, sappi che un giorno sarai tu a dovermi lasciare, perché io non riuscirei mai a farlo. Sogno di stare con te da fin troppo tempo"

Finisco di parlare, non smettendo un secondo di guardarla, sentendo il cuore battere a mille per l'attesa di una sola sua parola. Con la mano destra prende la maniglia della porta e si mette dritta, continuando a guardarmi.

Ora mi chiude la porta in faccia, me lo sento.

"Mi farai impazzire" dice finalmente "Immagino quanto cazzo sei stata sexy a ribellarti ai tuoi genitori e a quella stronza di tua nonna" con la mano sinistra, mi prende un lembo del cappotto, avvicinandomi a sé. "Puoi restare qui per tutto il tempo che vorrai e avrai la fortuna di dividere con me il letto" ghigna, guardando tutto il mio viso, fino a quando non fissa i suoi occhi nei miei. Cristo, quanto è bella "Fanculo gli altri. Saremo io, te e il nostro amore contro loro"

E non mi bastano altre parole. La bacio, sentendomi subito meglio, provando quella felicità che mi era stata tolta e penso che, nonostante vivrò dei momenti difficili per via dei miei genitori, so che ci sarà comunque lei al mio fianco. Che la amerò sempre, oltre ogni difficoltà.

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