What I've Become (1/2)
LIZA
Gelo.
Elizabeth sollevò le palpebre, riaprendole e richiudendole un'infinità di volte per mettere a fuoco l'ambiente attorno a sé. Qualche momento ancora di forzata immobilità e riuscì parzialmente a scrollarsi di dosso il torpore innescato dal sonno, la pelle increspata dai brividi per aver dormito scoperta. Dalle persiane accostate filtrava una luce fiacca e bianca, tipica avvisaglia di una mattinata piovosa.
Si trovò sdraiata in una posizione stranissima: un braccio ripiegato sotto il petto e l'altro a coprirle la faccia, le gambe scomposte sullo stuoino e i piedi nudi. Mosse cauta le dita e queste arruffarono dolcemente una matassa di capelli neri come i suoi, ma corti e folti come radici. Nell'incoscienza, Kelua si grattò la punta del naso e si coricò sul fianco opposto, in risposta ai gesti di Liza. Alla sua destra Ragor non si mosse, continuando a dormire a pancia all'aria e con gli stivali ai piedi.
Sfarfallò nuovamente le ciglia mentre il cervello, adesso sveglio, rielaborava i motivi che l'avevano lasciata in quel modo, ennesimo impaccio che l'avrebbe torturata per tutta la giornata. Arrossì di vergogna resocontando le sue avventatezze.
Lüre.
Tornò seduta che teneva stretti i lembi della camicia per coprire il seno e si allungò per trafugare l'orologio dalla tracolla. La sensazione di bagnato che le aveva impregnato la biancheria non c'era più, eppure le persisteva addosso il ricordo fisico delle dita di Shade che la straziavano di beatitudine. Il rossore sulle guance si accentuò quel tanto da costringerla a tornare in piedi, il passo leggerissimo sul tappeto intrecciato per non svegliare i due.
Scese al pian terreno e sciacquò il viso più e più volte, rimuginando sull'accaduto con le dita nere a nasconderglielo.
Non chiamarmi Lüre, Elizabeth. Non farlo mai. Mi ricorda per chi e perché ho ucciso: per sopravvivenza.
I palmi vennero percorsi da uno spasmo, eppure non li scostò, adesso vergognosa dei suoi stessi capricci e desideri: l'assillo di voler tornare indietro di una manciata di ore e rivivere quel frangente d'intimità, quel rischio, quella muta supplica di possesso e controllo, ma in modo diverso.
Godere di Shade in maniera differente e inverosimile. Progettare un inizio alternativo e uno svolgimento altrettanto dissimile; arrivare a provocarlo, occhi negli occhi, il nastrino già legato attorno al collo e le labbra pronte a mimare sfacciatamente il suo nome, il suo vero nome, e stare a vedere cosa sarebbe potuto accadere se si fosse azzardata a farlo mentre la seviziava dall'interno con le dita. Scottarsi consapevolmente con la miccia che avrebbe infine acceso e non avere paura delle conseguenze.
Uccidere per sopravvivere è il più crudele gesto d'amore che si possa compiere in nome della vita.
Uccidere per sopravvivenza, ammazzare per garantirsi l'innegabile diritto di essere vivi. Shade aveva commesso orrori e avrebbe continuato a farlo con le mani sempre pronte a commetterne di altri, a plasmare ordini e a torturare di piacere, come attuato su di lei nella cabina di comando e lì alle Ossa.
Liza osservò le sue, di mani, e ragionò su quanto bene potessero donare, anche se era difficile crederlo. Quelle di Shade avevano invece assassinato per ricavarsi un posto nel mondo e, una volta trovato, erano state al servizio della Gilda di spie più temuta nel continente, rendendolo orfano di un passato pio. Ora servivano Vankane e ne proteggevano gli ideali liberisti adoperando la stessa e razionale violenza che era un suo marchio di fabbrica. Ciò nonostante, chiunque sulla galea continuava a fare cieco affidamento su di lui, sulla sua brutalità.
Tre modus operandi di assassinare diversi gli uni dagli altri, ma complementari tra loro grazie al mezzo con cui li attuava.
Davvero, con questi presupposti, desiderava essere toccata da lui ancora e ancora?
Lüre. Cosa vuol dire, Lüre?
Un'unghia scivolò sul collo, sfiorando la giugulare pulsante assieme a tre gocce d'acqua, e questa non incontrò alcun intralcio concreto.
Shade l'aveva plasmata e torturata, e col suo permesso tutto ciò sarebbe perdurato. Un patto implicito, sancito dal nastro blu. A Liza sarebbe bastato accettarlo ogni volta che le veniva offerto e legarlo stretto per lasciar intendere di star patendo la fame.
Lui avrebbe capito e lei si sarebbe saziata. Nessun senso di colpa o vincolo imposto, come con Patrick.
Lüre.
Crepuscolo.
Un fulmine illuminò il cielo del distretto Rosso e un rombo sommesso ci galoppò dietro un paio di secondi dopo. Un mugolio animale alla sinistra di Liza e gli affanni emotivi si acquietarono.
Guardò il randagio col muso schiacciato e lo beò di una manciata di carezze sopra la testa. Passò a grattargli la pancia quando questo si sdraiò su un fianco. Cominciò a piovere piano e la bestia sembrò calmarsi.
"E tu ce l'hai un nome?" mormorò Liza, più a sé stessa che al cane. "Dovrei chiederlo a Sid, lui che ti è padrone".
Raccolse i capelli in una treccia veloce e finì di vestirsi, indossando anche la mantella e i soliti guanti di velluto. Raccattò la tracolla e infilò gli stivaletti stando seduta sull'uscio. Mentre li allacciava, litigando con i passanti consumati, gli occhi ricaddero sull'altarino celebrativo. Osservò la ceramica scheggiata su cui era ritratta la Dea Nox e i denti a punta corsero a torturare l'interno della guancia, colta in fallo dal torto.
Prima di andare accese comunque un bastoncino d'incenso e lo poggiò sul bordo della ciotola ricolma di cenere, chiedendo scusa ad Allelah e rispettando i suoi voleri. Non pregò.
Uscì che l'aria era già pregna dell'odore di bagnato e la polvere dello sterrato si appiccicò all'orlo asciutto della gonna. Entrò nella bottega senza bussare e trovò Altea davanti al bancone, le dita impegnate a sistemare i capelli sulla testa.
"Stavo per mandare Kora a controllare se fossi sveglia" disse, infilando l'ultima forcina che aveva tenuto stretta tra le labbra. Il solito ciuffo dietro il collo sfuggì dal groviglio quando si abbassò per recuperare la sua sacca. "Ma non ce n'è stato bisogno".
"Meno male..." deglutì Liza.
L'ultima volta che il famiglio di Altea le era sgusciato tra i piedi, avvolgendo e stritolandole una caviglia come solo un serpente sa fare, le sue urla avevano addirittura svegliato Bek-Rai, proprietario dell'innato talento di riuscire a dormire persino durante un assalto. Inutile dire che Kaena l'aveva sbattuta a lucidare il ponte per placare le ire dell'intero dormitorio comune.
Altea sistemava sui fianchi la bandoliera per gli estratti che, sospettosa, ricambiò lo sguardo indagatore di Liza, soffermatosi prima sulla tenda tirata a coprire l'uscio della saletta, poi sulla sua faccia. Sospirò spazientita e le fu davanti con un'unica falcata. Le pizzicò la punta dell'orecchio, lo stesso castigo da una vita intera, forte abbastanza da strapparle un gridolino.
"Non ho detto niente!" si lamentò l'allieva a mezza bocca, mentre veniva trascinata di peso all'esterno. Colpì in pieno la torre di tomi già smantellata per ben due volte e quasi inciampò sul secondo gradino. "Perché devi sempre malignare!"
"Sei tu che maligni e la cosa mi fa incazzare" borbottò Altea in risposta e la lasciò andare, camminando avanti per condurla al lazzaretto.
"Mi chiedevo solo del perché Sid non si sia mai unito a noi" rispose Liza, massaggiandosi l'orecchio e accodandosi.
Inaspettatamente, Altea scandì un riso nervoso. "Sid? Con noi su una galea? Ma neanche per sogno. Lui detesta i viaggi in nave, i pirati e i dormitori comuni".
"Beh, ma dormirebbe con..."
Arrivò un altro pizzico calcolato, stavolta su un fianco.
"Ahia".
"Il prossimo te lo becchi sul naso".
Liza si crucciò in volto, indispettita, e le parole vennero attutite dalla mantella premuta sulla bocca. "Se mi facessi..."
"Parlare? Non c'è niente da dire, Elizabeth. Tra me e Sid le cose vanno benissimo così".
"Ma perché?"
"Perché io detesto avere legami, o meglio: detesto averli a portata di mano" sbottò Altea e girò in un vicoletto di destra, la voce bassa e controllata mentre continuavano ad avanzare. "Se non li ho vicino, non me ne curo. Se non me ne curo, non mi preoccupo. Mi piace riallacciarli di tanto in tanto per stare bene. I legami mi rendono fragile".
Liza non aveva mai compreso il terrore primordiale che l'ufficiale medico aveva nei confronti delle sue stesse debolezze. Tutti ne possedevano ed era normale, era umano, anche per lei che era una mezzelfa e ostentava freddo distacco in ogni occasione, persino coi compagni di scorribande da sedici anni a quella parte.
Un altro lampo saettò nel cielo e l'abbaiare di un branco di randagi convinse Altea a imboccare una strada alternativa, due viuzze più avanti. La pioggia si fece grossolana e Liza camminò con le mani sollevate a proteggersi la testa e i capelli.
"La mia non è una legge universale, Elizabeth" proseguì monocorde Altea, controllando il terzo svincolo prima di girarci dentro. "Il mio è un pensiero a sé stante che ha delle eccezioni. Tu" e voltò il capo di uno spicchio, il giusto per spiarne l'espressione dall'alto. "Tu sei una di queste eccezioni".
Liza continuò a strascicare i piedi e calpestò di proposito una pozzanghera. "Io non voglio essere una tua debolezza. Mi farebbe male pensare che ti preoccupi tanto per me".
"Ed è per questo che voglio che tu non me ne dia motivo".
"Continuare a trattarmi come un'imbecille non migliora la situazione" sospirò Liza.
"Nessuno di noi ti tratta come un'imbecille, smettila di ripeterlo".
Ci risiamo.
"Ah, no?"
"No".
"E allora avresti potuto dirmi di Sid, che avevi intenzione di farmi analizzare da lui" sentenziò Liza e si fermò pesantemente sul posto. Una grossa goccia le colpì in pieno una guancia, costringendola a serrare l'occhio destro per contenere il fastidio. "Ma non l'hai fatto e questo ha irritato anche me".
Altea smise bruscamente di camminare. A voltare il capo, però, ci impiegò qualche secondo di troppo, quasi volesse assicurarsi di serbare abbastanza pazienza per quel momento.
Si studiarono a debita distanza per un po'. Col maltempo delle Ossa le iridi della mezzelfa parevano più grigie del solito, ma non necessariamente meno austere e giudiziose su Elizabeth, adesso che la incitava a fare silenzio con esse.
L'allieva ignorò quello sguardo, un chiaro ordine a pensare attentamente a ciò che avrebbe potuto dire da lì in poi. Probabile che quella mattina avrebbero brevemente resocontato i punti cardine di ogni loro discussione; parlarsi con gli occhi, sfuriata, senso di colpa e silenzio. Ma il fastidio era montato tutto insieme e, volente o nolente, Liza sarebbe comunque stata punita per altre centomila stronzate combinate nell'arco della seconda giornata al rione.
Ragion per cui, detonò senza rimorsi.
"La stessa cosa è successa pure con Holmart e onestamente sono stufa, sono stanca di essere trattata come una cretina a cui viene nascosto tutto".
"Cosa avremmo dovuto fare?" le domandò Altea, girandosi per intero e pungolandosi i fianchi con i pugni chiusi. "Avanti, chiedimelo adesso. Su, ti ascolto".
"Fai sul serio o mi prendi in giro?"
"Sono fin troppo seria, perciò parla".
Liza strizzò gli occhi e prese a massaggiarsi le guance. "Tipo, che so, essere informata sulla vostra scelta? Comprendermi in certe decisioni? Chiedermi se fossi d'accordo?"
"Oh, beh, allora sì che tutto si sarebbe ribaltato a tuo favore" masticò Altea in risposta. "Elizabeth, davvero, fa' silenzio che non è giornata. Ne abbiamo già largamente discusso e sono stanca di stare a ripetere sempre le solite cose" sentenziò col tono che non ammetteva alcun tipo di replica, quello d'ufficiale di bordo. "Non parliamo più di Holmart e di quello che è successo nella stiva".
Le dita di velluto scivolarono verso l'alto, andandosi a impicciare nei capelli umidi, e Liza mantenne gli occhi chiusi borbottando: "Ma non ne abbiamo mai largamente discusso! Vedi? Questo intendo quando dico di essere trattata come una cretina. Questi gesti, queste moine, sempre le solite maledettissime scuse e scuse e ancora scuse..."
"Moine? Le mie sarebbero moine? Scuse?"
"Sì, Altea, sono moine, lamentele, lagne, piagnistei, chiamale un po' come cazzo ti pare!" sbottò la più piccola, avvicinandosi di un passo e sbracciando per aiutarsi a parlare. "Se volete continuare ad addossarmi responsabilità, come quella dell'orecchino, quanto meno fate pace col cervello e smettetela, smettila di trattarmi come se fossi ancora una bambina!"
Altea respirò forte dal naso, il volto diventato paonazzo dalla rabbia. "Perché, vorresti dirmi che tu, al mondo, ci sai stare? Ma ti senti quando parli?"
"Io al mondo ci so stare benissimo".
"Ma per favore, Elizabeth..." mugugnò Altea e le scappò un riso isterico.
"No!" negò Liza in un grido stridulo e sbottonò il colletto della mantella. "No, no, no. Io mi sto sforzando a rispettare i voleri del capitano e i tuoi perché è questo ciò che fanno i figli" balbettò, asciugando il viso fradicio di pioggia con le nocche guantate. "I figli rispettano sempre le scelte dei propri genitori, ma c'è un limite a tutto. Da quando ho iniziato l'allenamento con Shade, io..."
Altea la zittì con un ampio gesto della mano. "Stai semplicemente facendo il tuo dovere, quello che spetta a ogni membro della nostra ciurma: eseguire gli ordini".
"Ti sto solo chiedendo di implicarmi nelle scelte che mi riguardano, cosa c'è di male in questo?"
"C'è che quel maledetto orecchino è una cosa più grande di me, di te e di Vankane! Ciò che viene deciso nella cabina di comando resta una prerogativa della cabina di comando, perché sono gli ufficiali a presiedere al tavolo da guerra, non i sottoposti. Sono stata chiara?" scandì aspra Altea e la puntò con l'indice. "Qualsiasi altra disposizione che verrà adottata per te e per il catalizzatore accettala senza comportarti come una bambina capricciosa. Sono stufa di questa tua insubordinazione".
"Adesso la chiami anche tu insubordinazione?" mugugnò Liza sottovoce, le sopracciglia aggrottate e i denti digrignati.
"Elizabeth, non un'altra parola".
"Ma l'orecchino è parte di me, Altea, e io voglio solo sapere se Far-Shee..."
"Ti ho detto di stare zitta!" gridò infine l'ufficiale.
Cadde il silenzio e l'espressione non mutò. Liza non lo percepì subito tanto era raro iniziasse a farlo in maniera autonoma, eppure l'orecchino parve rianimarsi e vibrare, e Altea lo carpì con la coda dell'occhio.
"Perché? Perché devo stare zitta? Oh, sì, giusto" e la voce si fece velenosa, i toni bassi ma consapevoli. "Giusto, giustissimo. Perché ti fa comodo, fa comodo ai tuoi sensi di colpa, alle tue debolezze, visto che Holmart l'hai ucciso tu, mica io".
La pioggia sui tetti di lamiera, seppur in lento crescendo, generava un rimbombare metallico abbastanza forte da sovrastare tutti i rumori circostanti. Ciò nonostante il suono secco di uno schiaffo si propagò nell'aria fredda e l'urto scosse Liza dalla testa ai piedi.
Altea mantenne il braccio sollevato per una manciata di secondi, le pupille piccolissime e il fiato corto. Prima di abbandonarlo sul fianco la schiaffeggiò ancora, stavolta sulla guancia sinistra, il colpo caricato in maniera più violenta del precedente.
Il catalizzatore emise un'ultima palpitazione e si azzittì.
Liza incassò gli schiaffi senza fiatare, senza spostarsi o tremare percependo l'arrivo premeditato del secondo. Tutto il malessere che l'aveva percossa si eclissò in un battito di ciglia, lavato via dall'acqua e dal dolore caldo che le bollava entrambi i lati del viso. Ritrovò l'equilibrio dopo aver ciondolato sulle gambe divenute molli dalle ginocchia in giù, e strusciò il polsino sul pizzicore istantaneo che si propagò sotto lo zigomo. Osservò la macchia rossa, probabile ferita inferta da uno dei catalizzatori a mo' di anello che Altea portava alle dita.
"Quello che volevo dire" Liza non staccò gli occhi dal polso screziato. "Quello che volevo dire, è che..." ma le parole soffocarono nella gola.
Parli troppo, ecco cosa le infettò la mente nel frattempo. Parli troppo, Liza, e nessuno vuole starti ad ascoltare, le sibilò un tarlo nella testa, il solito annidato nel cervello da che ne aveva memoria. Perciò si ammutolì, come muta divenne la sofferenza provata. E il parassita, infame proiezione delle sue più assurde paranoie, assunse voce e cadenza di Shade.
Ancora non hai imparato che ci sono delle regole da rispettare anche su una nave di contrabbandieri.
Quando sollevò gli occhi, Altea manteneva sigillati i suoi, la mano con cui l'aveva colpita che tremava di fianco alla coscia; aperta e richiusa di continuo, le dita affusolate che erano abituate a curare e non a ferire, come quelle di Liza.
"Tutti noi ci siamo fatti carico di te" disse Altea in un sussurro. "Io mi sono fatta carico di te, ma Vankane non è tuo padre e io non sono tua madre. Tu non sei un nostro capriccio".
"Avreste potuto lasciarmi a morire sull'isola" mormorò Liza, pigiandosi nuovamente il polsino sulla guancia. "L'idea iniziale era quella, no? Sparare e lasciarmi lì".
Vankane ti ha cresciuta come un piccolo tesoro da tenersi stretto e questo è ammirabile.
"Ma Alexander non ha mai premuto il grilletto" continuò e un sospiro le varcò le labbra fredde. "E io ero solo una bambina che contava i soli nel cielo e raccoglieva le conchiglie sulla spiaggia".
"Sono passati anni, Elizabeth, e sono cambiate tante cose da allora. Sono cambiata io e sei cambiata tu" biascicò Altea, il petto che si alzava e abbassava in modo convulso.
"Pure dall'incidente e dall'incontro con Holmart, eppure non ci siamo mai confrontate su questo nonostante io abbia desiderio a farlo".
Io so cosa è successo nella stiva.
Se trovi un modo per controllare il dolore, controlli anche quella parte di te. Serve solo dedizione. Disciplina e dedizione. Puoi diventare una gemma ancora più rara.
"Quello non è un rimugino necessario e io sono già scesa a patti con le mie azioni passate".
"E invece sì, è necessario rimuginarci sopra, perché la cosa che sono diventata è parte di me e se non imparo a controllarla potrebbe finire male".
Con l'aumentare della pioggia, qualche abitante del rione si affacciò a richiudere persiane e finestre. Liza toccò l'orecchino in un gesto istintivo e un debole calore le pizzicò i polpastrelli. Realizzò l'inevitabile e uno squarcio istantaneo si aprì in mezzo al petto, mozzandole il respiro.
"Tu hai paura, perché..."
Altea fece un passo in avanti, poi un altro, la voce ridotta a un flebile bisbiglio. "Elizabeth, per favore".
Perché...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro