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Unholy (2/2)


LIZA

Passò il resto della mattinata a vagare per il rione affollato, caricandosi addosso gli acquisti di Altea e a borbottare a mezza bocca. Nel pomeriggio, dopo aver fatto ritorno alla bottega, Sid le accompagnò a una struttura adibita come lazzaretto, distante un paio di isolati. Presentò loro una coppia di erboriste nate al Sud e trapiantate alle Ossa, Soleil e Mera, che da una quarantina d'anni gestivano il luogo.

Altea fu pagata in anticipo e infilò metà dei proventi nella tasca della mantella di Liza, lasciandola nelle stanze più esterne ad assistere Mera. Avrebbero fatto ritorno giornalmente per aiutarle a smaltire le urgenze più veloci, come pattuito con l'ufficiale medico.

Rientrarono che era ormai calato il buio, tuttavia le strade ancora pullulavano di mercanti e abitanti. Liza scoprì di essere ospite, assieme a Ragor e Kelua, di Allelah, parente di Sid, vedova da un paio d'anni e senza figli.

Anche lei trafficava congegni magici e ne catalogava la provenienza per arrotondare qualche spicciolo in più; nondimeno la sua formazione aveva trattato altro oltre alla magia, a causa della sua poca affinità con essa. Dunque si era dedicata allo studio degli antichi testi della cultura del Sultanato, una delle più criptiche conosciute, e tuttora lavorava in nero come scriba per alcuni patrizi del Sud.

Allelah era calda e solare proprio come Sid, quasi fosse un marchio di fabbrica della loro famiglia, ma di fatto somiglianti solamente per carnagione e taglio degli occhi, in quanto fratellastri da parte di madre. L'arcanista le aveva spiegato durante il ritorno che alle Dune era cosa abitudinaria, per le matriarche e i patriarchi delle carovane, contrarre più di un matrimonio contemporaneamente per suggellare alleanze con i vari micro clan. I matrimoni plurimi erano perciò concessi, a differenza della territorialità di Escott e Westcott.

Di sorelle e fratelli riconosciuti, Sid ne contava tredici. Era figlio di prime nozze da parte di madre e di seconde da parte di padre. Il più giovane, Nal, aveva da poco compiuto undici anni, e con lui c'era uno scarto di circa ventisei. L'ultima volta che aveva fatto ritorno a casa era stato per presenziare al rito funebre della quinta sorella, morta di parto.

"Gli amici di Sid sono anche miei amici. Non so come faccia, ma ha questa capacità di circondarsi di persone amabili" parlava Allelah mentre spostava dalla brace un'enorme scodella contenente fagioli, formaggio e guarniva il tutto con una tazzina di salomé. Osservando Kelua, Ragor e infine Liza aggiunse in un sorriso: "E particolari, molto particolari".

Allelah coprì i tizzoni con del terriccio e si sporse per aprire una seconda finestrella alle sue spalle. La sua era una casa minuscola, più piccola della bottega di Sid, e stava sul lato opposto della stessa viuzza. Una scala pericolante conduceva al primo piano e Liza aveva già stipato le sue cose in una delle due stanze presenti. Un paio di randagi addomesticati sonnecchiavano ai piedi della tiefling e le mura crepate erano ricoperte di arazzi con motivi geometrici, ovviamente rossi.

Accanto all'entrata era stato adibito un altare rituale per la Dea Nox, un bastoncino d'incenso che ancora bruciacchiava sotto l'iconografia di ceramica della Madre delle Dune. Liza trovò rassicurante conservare un credo tanto sentito anche se si era così distanti da casa.

"Stanotte partirò per il quarto rione. Non so quanto starò via, ma non fate complimenti" disse Allelah e preparò loro le ciotole. "Vi chiedo solo di accendere, ogni giorno, un bastoncino d'incenso all'altare. Mi, ci porterà fortuna".

"Lo faremo senz'altro" la rassicurò Kelua e accettò il pasto che le veniva offerto.

Dopo cena il bagno fu cosa gradita. Kelua e Liza si lavarono a fondo con l'acqua centellinata e si sentirono comunque appagate. Si ritirano nella stanzetta adibita per la loro permanenza, arredata con un mobilio essenziale; un tappeto, un unico stuoino su cui avrebbero dormito assieme a Ragor, una finestrella con le persiane sbilenche.

Due falene volavano silenti attorno alla luce emessa da una lampada ad olio e l'aria si era fatta fresca. Liza si spicciava i nodi con le dita che lo sguardo venne calamitato dalla bruciatura cicatrizzata sulla metà sinistra del corpo di Kelua. C'erano voluti anni, e fiducia, prima che la Tabaxi si trovasse a suo agio a mostrarsi a nuda in momenti comuni come quello e lei ne aveva sempre compatito il motivo.

Adesso che le Isole del Sole non c'erano più, Kelua si sarebbe portata addosso il ricordo della loro distruzione per mano dell'Impero di Shen fino alla fine. Fino alla morte, la stessa che aveva decimato la sua gente col fuoco, gli archibugi di metallo e le squame di drago, stando ai suoi racconti da sopravvissuta.

"Che ore sono?" le domandò mentre infilava le braghe pulite e le appuntava ai fianchi. "Alle undici devo appostarmi".

Liza recuperò il suo orologio dalla tracolla. "Mancano due minuti".

"Stanotte sarà lunga. Odio poter vedere al buio, veramente, lo detesto" Kelua roteò gli occhi di felino e si affrettò a infilare anche gli stivali e la camicia. "A proposito... come procedono gli allenamenti con signor-palo-nel-culo? Non me ne hai più parlato".

Liza, ancora nuda, continuò a pettinarsi i capelli con le dita, diminuendo però l'andazzo dei movimenti. D'impulso unì le gambe, lasciate stese sullo stuoino, e la mente le giocò l'ennesimo e pessimo scherno; la reminiscenza di Shade che, lento e indulgente, insinuava una mano sotto la sua gonna per imprimerle sulla carne una seconda traccia di sé.

"Va, umh... va tutto bene. Sto imparando a gestire il dolore dato dall'attivazione dell'orecchino. Però, insomma... ecco, tutto normale. Nel senso, tutto okay. Capito, no? Io faccio quello che mi dice di fare e..."

Ti chiedo di restare a digiuno ancora per un po'.

"... E questa tiritera continuerà fino a quando tutti saranno soddisfatti, Vankane compreso. Fine".

"Oh, beh, sarai felice di sapere che Kaena mi ha momentaneamente smollata a lui" borbottò Kelua, allacciandosi la bandoliera coi due pugnali alla vita. "Non scenderà alle Ossa perché resta di controllo sulla galea, ma ha reputato coscienzioso e doveroso nei miei confronti farmi dare qualche dritta".

All'esterno riecheggiò un primo fischio. Seguirono un altro, un terzo ancora, un quarto, tutti attutiti dalla bolgia lontana. Kelua balzò accanto alla finestrella e ne emise un ultimo, più acuto e spezzato in tre fiati per concludere il segnale di conferma.

"Ci vediamo domani" sussurrò la Tabaxi in uno sbuffo e, veloce, si dileguò.

Liza restò con la schiena contro la parete e le ginocchia strette al seno. Decise di rivestirsi quando una lingua d'aria fredda le leccò la pelle, facendola increspare di brividi. Intanto che si allacciava i bottoni della camicia le dita corsero sul collo, lì dove c'erano state le dita di Shade e il nastrino allacciato.

Si coricò su un fianco, combattuta tra il desiderio e l'ansia di riavere indietro entrambe le cose. Uno dei bastardelli, col muso schiacciato e il pelo marrone, andò ad acciambellarsi vicino alla sua pancia. Ragor entrò nella stanzetta che Liza accarezzava la testa del cane per prendere sonno.

"Liza?"

"Umh?"

"Già dormi?"

"Non so che fare".

"Dai, alzati. Chi non è di ronda gioca a carte alla bottega fino al cambio turno".

"Gioca anche Altea?" domandò, mettendosi a sedere, e la bestiola cominciò a scodinzolare.

Ragor roteò gli occhi. "Sì, purtroppo. Sta già dando i numeri".

Liza acciuffò il bastardello e se lo mise sotto braccio. Andarono assieme alla bottega e rovesciò la stessa pila di libri di quella mattina. Sollevava la tenda rossa della saletta che Altea gettava sul tavolino il suo mucchio di carte.

"Rimischiate questa merda o non gioco più" sbraitò l'ufficiale medico e buttò giù un altro shot di rum.

"È la terza volta che le mischio..." si lamentò Tordek.

Shade lanciò anche il suo mazzo e si allacciò le mani sul ventre. Teneva un sigaro spento tra le labbra tese e non la guardò; o almeno, si sforzò di non vederla.

"Perché le mischi uno schifo, ecco perché non parte il giro".

"Tordek, mischiale di nuovo" s'intromise il drow. Sospirante aggiunse: "Ti prego."

"Va bene, va bene, stiamo tutti calmi" Sid raccolse le carte da gioco. "Le mischio io e nessuno si farà male".

Altea la puntò col dito e il randagio che teneva stretto tra le braccia cominciò a scodinzolare. "Anzi, no, le mischia Elizabeth, vedi che il giro parte. E se il giro adesso parte dopo te le suono, Tordek, perché vuol dire che bari".

L'interpellata si sedette accanto a Tordek e Ragor s'infilò tra Shade e Altea. Il bastardello camminò sul tavolino e si fiondò tra le braccia di Sid, che si premurò di coccolarlo malgrado la poca simpatia di Altea verso le bestie e soprattutto... i bambini. Alle volte entrambe le cose rientravano, per lei, nella stessa categoria e Liza lo aveva imparato a sue spese.

"Ancora non avete imparato che se beve è vietato giocare a carte?" sussurrò al povero Tordek.

"Il problema è che dovevamo giocare senza che ci fosse il bere. E invece..."

Elizabeth sollevò gli occhi al soffitto e acciuffò le carte, mischiando il mazzo più di una volta. Per fortuna il giro partì subito, ma Tordek fu minacciato da un'occhiata puntigliosa indirizzatagli da Altea, adesso soddisfatta della sua mano di partenza.

Giocarono per un'oretta o poco più. Liza approfittò della poca lucidità di Altea per scolarsi i soliti tre mezzi con l'aiuto di Ragor – quando l'ufficiale si girava a inveire contro il randagio che le leccava il gomito, i due si palleggiavano una seconda bottiglia di rum sotto il tavolino. Quanto meno e di tanto in tanto, la collaborazione tra i due poteva rivelarsi oltremodo redditizia.

Tordek e Ragor abbandonarono la giocata con i fischi di controllo dell'una e Liza uscì dalla bottega per tornare alla sua stanza quando Sid e Altea si fecero meno loquaci, ma complici.

In bilico sull'uscio della casa di Allelah, osservò con gli occhi appannati dal rum la porzione di buio in cui Shade si insinuò.

Un brivido le corse lungo la schiena contando i suoi passi farsi pesanti sullo sterrato del vicoletto – uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette...

Sette.

La gola si chiuse e sfarfallò le ciglia per abituarsi al nero che lo aveva inghiottito. Dall'oscurità vide emergere due gemme arancioni.

"Vuoi il nastrino?"

Quella domanda riecheggiò nella sua testa una miriade di volte. Un'intrusione unica, un messaggio mentale brevissimo, eppure l'inconscio di Liza lo rielaborò fino alla nausea, senza però avere il coraggio di rispondere. Non seppe conteggiare il tempo che restò lì abbandonata all'attesa, gli occhi incastrati in quelli che la scrutavano dal fondo del vicolo.

Furono le successive azioni a parlare per Liza. Decise di agire quando il bastardello che aveva portato alla giocata si avvicinò di soppiatto, leccandole il polpaccio scoperto. Entrò e salì a rilento i gradini che la condussero alla stanzetta. Una volta dentro preferì non voltarsi, sapendo di non essere sola.

"Elizabeth".

A quel richiamo sussurrato si strinse nelle spalle. Le due falene non volavano più; entrambe si erano adagiate, esauste, sul metallo d'incastro della lampada ad olio. La più grande sgranchiva pigramente le ali a chiazze.

"Elizabeth" rincarò lui. "Vieni qui".

L'esitazione lasciò spazio all'incoscienza, al sogno a occhi aperti. Sì, perché le sembrò di star sognando quando, udendo quell'ordine così preciso, le sue membra dapprima tese si sciolsero d'impazienza.

Era questo il genere di controllo a cui desiderava sottomettersi?

Era questa la fame di cui voleva essere vittima?

Liza gli si fermò davanti, dietro di lui la via d'uscita. Il nastro blu che le veniva offerto, come un dono profano, sul palmo calloso; l'aria stantia della casa che era intrisa dell'odore legnoso dell'incenso. Lei che discendeva da una famiglia di profanatori di case degli Dei e che dagli stessi Dei erano infine stati puniti, il pensiero di tirarsi indietro per non offendere Allelah e i suoi credi non la sfiorò.

Una riflessione più forte di quella fede la vincolò al silenzio ancora per un po'. Prima di afferrare il nastrino e credere di star facendo la cosa giusta, una constatazione dolorosa le varcò le labbra.

"Ho letto il tuo comunicato".

Shade chiuse il pugno e Liza strinse i suoi, abbandonati lungo i fianchi. Le unghie si conficcarono nei palmi e un'ondata di caldo dolore ci esplose sopra.

"Lüre" bisbigliò poi, più a sé stessa che all'ombra che la sovrastava. "Cosa vuol dire, Lüre?"

L'abbaiare di cani randagi si riversò nel vicoletto. Liza mantenne la testa bassa e la voce roca di Shade le rimbombò nel petto, tanto sommessa da accavallarsi ai battiti sordi del suo cuore.

"Vuoi davvero saperlo?"

"Sì" mormorò, senza starci troppo a pensare. "Sì, voglio saperlo. Credo sia un bel nome. I nomi sono importanti".

Muta intesa. Anche se difettava il divino, quello buono e misericordioso, la vita di Liza era fatta di piccole cerimonie a sé stanti che le davano comunque un'identità al di fuori del dominio di Far-Shee: il lavarsi spesso la faccia, il baciare le conchiglie dell'acchiappa-sogni, il bere tre mezzi.

Il suo rituale con Shade, invece, era sempre cominciato con un suo azzardo; una domanda di troppo, una presa di coscienza non richiesta, una scarica improvvisa di emotività. Poi seguiva il tocco sconsiderato e infine la sottomissione.

Una strana liturgia, quella, che sperò non mutasse mai.

"Lüre significa crepuscolo e i drow amano, bramano invece il buio. È per questo che odio il mio nome, perché mi fa odiare dalla mia gente, io che purtroppo sono nato nel mezzo".

Shade le sollevò il mento per obbligarla a un contatto visivo e le dita di Liza si aprirono fiaccamente sul vuoto, i palmi doloranti per le unghie che ci aveva premuto sopra.

"Non chiamarmi Lüre, Elizabeth. Non farlo mai. Mi ricorda per chi e perché ho ucciso: per sopravvivenza. Uccidere per sopravvivere è il più crudele gesto d'amore che si possa compiere in nome della vita" le disse, la sua solita rabbia controllata a guidarlo nei gesti e nelle parole. "Non farlo mai più".

Lüre. Senza abbassare gli occhi Elizabeth gli sfilò il nastrino di mano e se lo annodò goffamente attorno al collo. Si sentì stupida; una stupida e un'ingorda. Stupidamente ingenua a sottovalutare il vissuto degli altri e ingorda di verità, perché senza permesso aveva letto un trafiletto, il più doloroso, del manuale del vivere di Shade, senza che le fosse concesso dare una sbirciata.

Ed era stato orribile. Era stato disgustoso. Eppure aveva appreso e avrebbe potuto continuare a imparare; a ritagliare e a selezionare trascorsi per redigere il suo mostruoso compendio.

Lüre, crepuscolo. Lei che si era sempre affidata al conteggio dei soli in cielo, nella penombra si alzò sulle punte per premergli un bacio casto sul taglio risanato della bocca.

Le budella si contorsero quando la familiarità del tabacco le invase il palato, assieme alla lingua di Shade, e la purezza iniziale si tramutò in violenza: la mano con l'anello affondò nel fiume di capelli neri e si richiuse sul collo esile, l'altra trovò l'appiglio perfetto sul suo seno, il destro, e glielo stropicciò lentamente al di sopra della camicia.

Lüre. Le sfuggì un lamento basso, incontrollato, intanto che cercava di scostarsi per riprendere fiato, ma le tregue concesse furono brevissime tanta era la fame repressa. Le permise di respirare a pieni polmoni solo per andare a sistemarsi sullo stuoino.

Shade si sedette a terra, spalle contro il muro, lei restò in piedi. Il coraggio di guardarlo venne a mancare, scacciato dall'imbarazzo di essersi divisi così bruscamente dopo tanta foga.

Memoria. Memoria e azioni programmate si fusero tra loro e corsero in suo aiuto; gli si inginocchiò davanti tra le gambe divaricate e portò le mani alla camicetta umida sulla schiena, primo bottone in alto, e lo fece saltare via, meccanica nei gesti. Poi passò al secondo, al terzo, gli occhi fissi sulle dita nere adesso smarrite e tremanti.

Stava per arrivare al quarto bottone quando Shade le bloccò entrambe le mani con la sua.

"Guardami".

Liza sollevò lo sguardo, ingarbugliata nella sua solita timidezza e goffaggine. La presa di Shade si ammorbidì, lasciandola libera di agire entro però i limiti del controllo che le esercitava addosso. Non riuscì a intuire cosa stesse pensando e la voglia di coprirsi il volto con le mani di mostro la straziò, tanto era surreale quello che stava per fare.

"Continua".

Mandò giù una palla d'aria e, trattenendo la vergogna, sbottonò ciò che rimaneva. Lasciò andare i lembi della camicia, ma non scoprì il petto.

"Perché?"

Captò un'avvisaglia di dubbio nei suoi occhi; non capì subito il senso della domanda posta, ma le vicissitudini passate risposero per lei.

"Perché ho sempre fatto così".

Le rivenne in mente quella volta con Patrick, una delle prime, in cui l'aveva prima spogliata con lo sguardo, poi pretendendo lo facesse da sola, sedendosi a terra proprio come Shade. Era successo un pomeriggio ad Iselfort, durante uno scalo programmato di fine marzo, e Liza aveva tolto i vestiti di dosso con gesti rigidi, gli occhi incollati al pavimento malandato della catapecchia e un fischio acutissimo incastrato nelle orecchie.

E mentalmente aveva iniziato a pregare.

Aveva pregato che Patrick la guardasse, che continuasse a mangiarla con gli occhi e basta come se...

Come se lei non fosse Liza denti-di-squalo, ma una qualunque e basta.

"Non sei una puttana, Elizabeth" sussurrò Shade con voce roca. "Sei tanto altro, ma non questo".

Un'altra vampata appiccata dall'imbarazzo le fece ardere e arrossire le guance. Un pensiero veloce su Mimi, sulla fame controllata e imposta che da anni la teneva incatenata alle case del piacere di Dama Porcelain. Nelle orecchie si riversarono le chiacchiere ridacchiate mentre pettinava le ciglia bionde col kajal, le sue esperienze ammiccate con l'accento solito di una donna di mondo. E Liza che di volta in volta si era sforzata soltanto di starla a sentire, senza mai ascoltarla veramente, per non compatirla. Per non soffrire per lei.

In verità avrebbe voluto dire a Shade che era Miriam ad aver sempre fatto così, a spogliarsi e a concedersi in quel modo. E lei, sbagliata com'era, aveva appreso quella maniera raccapricciante e l'aveva fatta sua. In parte.

"E cosa sono?" gli domandò invece in un farfuglio.

Le iridi arancioni di Shade si spostarono dal suo viso al collo circondato dal nastrino, dal suo collo allo spazio morbido tra i seni. "Insubordinata e tremendamente logorroica" rispose, soffermandosi sulla pancia e le mani nere poggiate sulle cosce. "Capricciosa, viziata, immatura. Maligna" e tornò a osservarle il volto arrossato. "E desiderabile oltre ogni altra cosa. Una gemma rara".

Liza cercò di elaborare una risposta coerente, un modo per sminuirsi ancora una volta davanti agli occhi dello stesso mondo che l'aveva ripudiata, ma Shade glielo impedì: la mano scattò ad acchiapparle l'avambraccio, stringendolo forte per una manciata di secondi, e rude la tirò verso di sé. La costrinse seduta con la schiena contro il suo petto, il respiro pesante a solleticarle l'orecchio le provocò una scarica di brividi cocenti nel basso ventre. Le bloccò i polsi all'indietro e i palmi incontrarono l'erezione che manteneva intrappolata nei pantaloni dell'uniforme.

Liza non si ribellò, oramai duttile e consapevole. Il drow iniziò così a plasmarla; la mano libera abbassò una spalla della camicia merlettata e ne respirò la pelle pulita. Sopraggiunse un piccolo morso, poi il calore della lingua che tracciava un percorso sicuro fino all'incavo del collo.

Liza sospirò e rilassò le gambe, schiudendole completamente. Inspirò dal naso per frenare un boccheggio mentre lui si dedicava ai suoi seni. Il metallo ghiacciato dell'anello si fuse con la pelle increspata dai brividi e una manciata di carezze donate con la punta delle dita le seccarono la gola. Le torse dolcemente un capezzolo prima di imprimerle un bacio silenzioso sulla giugulare, un altro piccolo assaggio prima di gustarla per intero.

Se da una parte Liza difettava il controllo e detestava le attese, Shade sapeva invece dosare entrambe le cose con parsimonia. Perciò ripiegò calmo la gonna, pizzicando piano le lunghezze e accorciando i lembi di tessuto fino a scoprirle le cosce pallide.

Shade lasciava scorrere il palmo aperto sull'interno della sinistra che le labbra si schiusero per mimare un bisbiglio accanto al suo orecchio. "Di guardia, davanti a questo casale, ci sono Ragor e Kyd. Si sono mossi ora" le disse, l'indice che percorreva la curva dolce del monte, tuttora celato dalla biancheria. "Se Ragor dovesse sporgersi a destra, vedrebbe parzialmente l'interno di questa stanza" continuò e due dita corsero a tamburellare prima il mento, poi il suo labbro inferiore tremolante d'impazienza. "E non devono vederci né sentirti".

La preoccupazione non arrivò mai. Liza aprì leggermente la bocca, un ansito silenzioso uscì fuori, e avvertì i polpastrelli superare i denti appuntiti e poggiarsi sulla lingua, in attesa. D'istinto chiuse gli occhi e succhiò entrambe le falangi, un'ennesima fitta cocente a propagarsi in basso quando il drow rafforzò la presa attorno ai suoi polsi e strusciò la punta del naso sulla sua nuca.

Liza inghiottì un gemito non appena il medio e l'indice di Shade, umidi della sua saliva, si insinuarono tra le pieghe dell'intimità, per cercarne con attenzione il centro. Si fece narratore di moti lenti e controllati, accortezze rivolte a sé stessa che non aveva mai trovato modo e piacere di dedicarsi.

"Nessuno deve sapere. Tra poco fischieranno per il controllo delle due" mormorò ancora mentre Liza si distanziava dal suo petto inarcando la schiena. "E io risponderò. Nel caso, diremo una bugia assieme. D'accordo?"

Con le palpebre strette e chiuse, lei annuì distrattamente, il cervello che rifiutava di elaborare pensieri sensati. La penetrò l'attimo seguente, senza che le fosse concesso carpire qualsiasi avvisaglia a riguardo, e fu colta alla sprovvista dalla necessità di opporsi.

Shade l'agguantò per il collo, facendo pressione sul petto col resto del braccio per proibirle di dimenarsi; le falangi che adesso affondavano decise in lei e il palmo sfregato di proposito sulla parte più sensibile e pulsante.

"Rilassa le gambe" le suggerì e i polpastrelli scivolarono nuovamente verso l'alto, tanto era bagnata per lui, continuando a torturarla con movimenti circolari e cadenzati. "Lasciale morbide, ai lati. Più tendi, prima arriva. Resta morbida. Resta morbida..."

Liza cercò di dare un senso a quegli ennesimi ordini sussurrati e sgusciò in basso, sollevando il bacino e abbandonando la testa di lato. Con Patrick era sempre arrivata a tanto così dal limite, dalla fine, ma si era rifiutata di andare oltre in ogni circostanza. Quel momento, invece, poteva essere differente.

Un velo di calde lacrime le offuscò la vista e un fremito più forte dei precedenti la indusse a puntellare i talloni sul tappeto alla ricerca di stabilità. Inavvertitamente gli afferrò il polso in un gesto disperato, volto a pregarlo di continuare a seviziarla dall'interno. Per la prima volta fu lei ad avanzare un obbligo preciso, a manifestare una necessità che poteva essere soddisfatta nell'immediato.

"Io non..."

Shade la strinse ancor di più a sé, senza più interrompere gli affondi. "Tu non vuoi?"

"Io non voglio che-" un mugolio le spezzò la voce e le parole. "Non voglio che finisca..."

Il piacere esplose l'attimo seguente e la lasciò stordita. Serrò le gambe, repentina, e un ultimo dolce lamento si riversò fuori dalle labbra secche. Shade uscì da lei solo quando gli spasmi scivolarono via dal suo corpo, come acqua su vetro. Le membra tornarono molli e i muscoli smaltirono tutta la tensione accumulata.

Shade la guardò dall'alto ansimare tre profondi respiri prima di acquietarsi. Le raccolse una lacrima sfuggita sullo zigomo con un ultimo bacio e allentò la presa attorno al collo, le dita che ancora indugiavano, celate, al di sotto della biancheria stropicciata.

"Patrick ti tocca così?" le domandò, poggiando il mento sulla sua tempia. "Ti ha mai toccata così?"

Liza negò con la testa e in strada si riverserò un primo fischio.

Seguirono quelli di Kelua, di Tordek e Ragor.

Shade si portò le dita alla bocca, quelle con cui l'aveva straziata di desiderio, e fischiò altre due volte. Riecheggiarono, acuti, i rimanenti segnali di avvertimento. Nulla di strano era stato notato durante la ronda di controllo delle due.

Elizabeth non riaprì più gli occhi. Non si mosse nemmeno quando il braccio le avvolse il fianco e l'altra mano tirò l'orlo della gonna fino alle caviglie. Scivolò nell'incoscienza subito dopo.

Lüre.

Per la prima volta dopo mesi non sognò il richiamo di Far-Shee.

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