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*There lies my Sanity (2/2)


LIZA

"Mentirei se ti dicessi che no, non sarai fottuta se una di queste cose accadesse. Perché di verità ne è pieno il mondo e a volte sono preferibili le bugie" poggiandosi a terra sulle ginocchia, anche l'altra mano le scivolò addosso per ghermire il fianco. Ci premette su il palmo, una carezza calma a stropicciare il doppiopetto, quasi volesse stracciarlo via. "Le bugie possono portare dolore, certo, ma sono le verità a fare più male. Te lo dico io che sono bugiardo per vocazione da una vita intera".

Tutta l'attenzione di Liza venne calamitata dalle labbra che avrebbe voluto baciare affinché la smettesse di sorridere e terrorizzarla. Quell'ultima constatazione, però, la contaminò dell'unico e vero sentimento che Shade tuttora custodiva gelosamente, la traccia più sincera della vita che gli era rimasta dentro: la rabbia.

"Quindi anche con me sei bugiardo".

"Forse".

"Allora dimmi: coscia destra o coscia sinistra?"

Shade capì subito e stette al gioco, il gioco che era di Liza per metà. Il sorriso sul suo volto si allargò; un'ennesima e reciproca dichiarazione di intenti fatta sul punto di non ritorno.

"Destra".

Il viso di Liza andò a fuoco mentre gli afferrava la mano e impacciata gli permetteva di infilarla sotto la gonna. Lo guidò nei movimenti, lui che premette di proposito per imprimerle addosso il suo tocco ruvido, e gli lasciò tastare il colpo di pistola ormai cicatrizzato, spaccato a metà dall'orlo delle calze.

Un buco circoscritto nella carne e una voragine senza fondo nell'anima. Il marchio più reale a testimoniare il suo essere maligna, in aggiunta all'orecchino di Far-Shee.

Umettò le labbra prima di correggerlo, un guizzo rosa della lingua che Shade seguì attentamente con gli occhi.

"Sinistra".

"E se avessi mentito di proposito?" le domandò, tenendosi a pochi centimetri dalla sua bocca. "Ho già visto le tue cosce, Elizabeth. E vorrei vederle ancora".

Vorrei. Il cervello la elaborò come una richiesta più che semplice da realizzare, un desiderio già in parte concretizzato sporcando la casa e i credi di Allelah. Il fuoco appiccato dalla collera che gradualmente si spegneva, soltanto un mucchio di braci a sfrigolarle sotto pelle non appena comprese che...

Verità o bugia, niente aveva più importanza.

Qualcos'altro avvampò sfruttando il carbone vivo rimastole dentro e aveva intensità e calore tipici dell'eccitazione. Ma il tempo di razionalizzare i suoi stessi capricci non le fu concesso perché Shade la baciò, come a voler zittire e soffocare il suo dolore una volta per tutte.

Ogni incertezza preservata fino a quel momento venne finalmente a mancare e la fame li colse entrambi. Ingordo le esplorò l'interno della bocca con la lingua, la presa salda dietro la nuca per vincolarla a sé e le unghie dell'altra mano a graffiare il bordo della calzamaglia rattoppata.

Liza strizzò forte gli occhi e li mantenne chiusi, assuefatta dal sapore di Shade che le esplose sotto il palato. Spinta da un moto che neanche credeva di poter possedere, tolse i guanti e li gettò via come fossero immondizia. Le mani di strega s'andarono a impicciare nel tessuto della sua camicia, le dita che alla cieca sfilavano via i bottoni in maniera disordinata. Si concesse di esplorargli il petto, tastò le cicatrici osservate per la prima volta nella cabina di comando, ne assorbì lo spessore e le lunghezze coi polpastrelli. Gli toccò lo sterno, tentando di percepirgli i battiti del cuore strusciandoci sopra il palmo; si aggrappò disperata alle sue clavicole, la paura di poterlo ferire che si eclissava in un angolo remotissimo del suo cervello.

Shade restò controllato nei movimenti, calcolandoli al centimetro, ennesima peculiarità d'assassino qual era. Lascivo si adoperò a svestirla per liberarle il seno, quella parte di lei che aveva già lasciato intendere fosse la sua preferita, ma non ci si dedicò come Liza avrebbe voluto. Le si curvò addosso, petto contro petto, per allungare il braccio e sgomberare velocemente il tavolino da tè. Le ceramiche vennero buttate a terra assieme alla bottiglia di rum rimasta aperta.

L'odore della melassa distillata che si propagò nell'aria le procurò un capogiro. Elizabeth riaprì gli occhi, la vista annebbiata dall'appagamento e dall'alcol, e le bocche smisero di cercarsi per un istante.

Respirò profondamente, un flebile gemito le varcò le labbra sulla fine del terzo boccheggio. Privata nuovamente di ogni volontà si trovò supina sulla superficie di freddo legno, come se Shade avesse sollevato una bambola di pezza tanto sentiva molli tutte le articolazioni. Le mani callose si ancorarono al bordo opposto per restare sollevato sopra di lei, un ginocchio poggiato tra le gambe per tenergliele divaricate.

In uno sprazzo di lucidità, si diede della cretina per essersi internamente domandata se il mobilio avesse potuto reggere il peso di entrambi.

"Hai rovesciato la bottiglia" pensò poi Liza a voce alta.

Probabile che Shade si esaminò nella testa una manciata di modi non propriamente convenzionali per farla stare zitta; le dita che tormentate si contrassero sul margine di legno confermarono in lei quell'ipotesi.

"L'ha pagata Mar" le rispose senza battere ciglio. "Non l'ho pagata io".

"Beh, non mi sembra che..."

"Elizabeth" la richiamò in un sibilo, assottigliando lo sguardo. "Da adesso in poi voglio che dalla tua bocca non ci escano più parole, a meno che non sia io a ordinartelo".

Non protestò quando le strinse il mento col pollice e l'indice, una leggera pressione per schiuderle le labbra rosse, e affamato le spezzò il respiro con un secondo bacio.

Ancora esitante, Liza sollevò e infilò la mano nera tra i capelli pallidi, un invito a restare sulla sua bocca ancora per un po', ma Shade scelse di deliziarsi con altro: spostò il bacio sull'angolo della mandibola e la lingua scese controllata a leccarle il collo. Intrappolò la porzione di pelle macchiata di sangue secco, la morse e la succhiò per imprimerci sopra un marchio rosso, il primo di una lunga serie sulla carne nivea. Afferrò d'improvviso il seno sinistro e lo stropicciò rozzamente; parve bearsi dei suoi sospiri mentre stuzzicava coi denti il capezzolo destro, divenuto rigido col respiro caldo sulla saliva fredda.

Liza deglutì a vuoto per asciugare la bocca e inarcò la schiena più che poteva per costringersi a stare ferma, fiori rossi e mezzelune sanguigne che sbocciavano di continuo sull'epidermide del ventre e dei fianchi. Roteò gli occhi e si negò di stare a vedere, l'orlo inferiore della gonna che veniva ripiegato sull'ombelico e il dolce fruscio della biancheria sfilata.

Le mani di Shade studiarono la morbidezza delle sue cosce con due carezze speculari, le dita a sgusciare in basso in un movimento altrettanto coordinato, i palmi prima aperti e poi richiusi sulle sue natiche per tirarla verso di sé.

Pura adorazione. Avrebbe voluto guardarlo mentre s'inginocchiava come in preghiera ai suoi piedi, tra le sue gambe, e osservarlo rendere omaggio alla sua parte che era la più sensibile. Ma nuovamente il coraggio l'abbandonò e si morsicò l'interno della guancia per uccidere la timidezza, come lui stava consapevolmente ammazzando lei.

Ci pensò il respiro rovente a scatenarle daccapo l'impazienza. Un momento, uno soltanto scandito da un ultimo bacio dato sul monte e Liza faticò a non sospirare di piacere. Le gambe sistemate sulle spalle vennero scosse da più spasmi involontari, prontamente assorbiti dalle falangi di Shade che affondavano nella carne per mantenerle distanziate; il volto nascosto dalla prospettiva orizzontale, oscillato per accompagnare i movimenti della lingua lungo la sua apertura, di lato, in basso, e trovare e succhiare il suo centro senza mai smettere, senza mai rallentare.

Una moltitudine di schiocchi osceni le riempirono le orecchie, tanto insistenti e sporchi da permettere alla brama di vincere sul pudore. La vergogna l'abbandonò in via definitiva, vecchia amica e compagna da un'intera esistenza, concedendole di poter gemere a voce alta intanto che Shade si aiutava anche con l'indice e il medio.

Le falangi nere affondarono di nuovo tra i capelli bianchi e graffiarono la cute per obbligarlo a non allontanarsi per nessun motivo al mondo – non si era ancora saziata e lui l'accontentò per saziarsi. Un'ultima vampata di calore a farle sciogliere l'inguine bagnato e Liza si tese come una corda, contorcendosi un poco, il solito e momentaneo istinto di fuggire dai suoi stessi desideri.

In parte, Shade aveva capito come realizzarli. Si lasciò spingere ancora una volta contro il monte, il naso che ci affondava sopra e le dita all'interno di Liza a piegarsi con gli ultimi e decisi affondi. La mano che era rimasta a trattenere la coscia allentò la presa, cinque linee rosse a colorare la carne perché l'aveva stretta troppo.

Lo sentì respirare con affanno, lo stesso che adesso pativa lei, le membra ancora scosse dall'orgasmo e la vista appannata dal pianto e dal calore.

Liza non l'avvertì più ai suoi piedi e fece leva sui talloni per scaricare a terra tutta la tensione accumulata. Scivolò verso l'alto e la testa superò il bordo del tavolino finendo a penzolare nel vuoto, il collo scoperto e la giugulare pulsante alla mercé di Shade.

Riaperti gli occhi, lo specchio a parete le restituì il suo stesso riflesso. Una fitta calda le infiammò il sesso a guardarsi in quella posizione così volgare e il drow si allungò sopra di lei per tornare partecipe di quell'indecenza. Lo osservò farsi padrone di movimenti sinuosi, le larghe macchie dovute all'ossidazione a nascondere parte di essi quando tornò a sovrastarla.

Nonostante stesse faticando a riprendersi venne assalita dalla frenesia di voler andare fino in fondo. Rabbrividì un poco con la mano aperta che scivolava sullo sterno per arrivare ad avvolgerle la base della gola.

Non strinse affatto. Il palmo sgusciò dietro la nuca ed Elizabeth colse l'aiuto a rimettersi dritta sulla schiena. Shade arretrò per tornare a terra e la guardò dal basso appena si fu sistemato sul tappeto. Le studiò il viso poggiando la guancia sulla curva morbida al centro del petto, il mento a coprire un morso più sporgente e colorato degli altri. Lei continuò ad arrovellarsi i pensieri nella testa e la lingua nella bocca pur di non parlare.

"Parla, Elizabeth".

No, non avrebbe parlato. Non poteva e non voleva farlo. Perciò gli scivolò addosso dopo aver tolto l'impiccio della gonna, lui che speculare si liberava della camicia per permetterle di esplorargli la schiena. Provò fastidio a sfregarsi sul tessuto ispido dei calzoni e riprendendo a baciarlo lo intimò di sbarazzarsene. Per un istante finì a leccargli un sorriso fugace, nato dal nulla come dal niente si erano generati loro, e una manciata di brividi bollenti le incendiarono la pelle vedendo assecondata la sua richiesta.

Assuefatta, inarcò la schiena e poggiò le braccia sulle sue spalle per restare in equilibrio, tremante di piacere per le dita che erano tornate a stuzzicarla in basso, ancora sensibile. Shade ne approfittò quindi per accarezzarle le natiche rotonde con la mano libera, una piccolissima pressione sull'osso sacro per incitarla ad abbassarsi; un'altra scia di baci roventi sul petto e sul collo con l'intento di ammorbidirla una volta per tutte.

Le palpebre vennero giù da sole e Liza schiuse le labbra a formare una o, un sospiro più colorito degli altri le inciampò tra i denti. Shade le fu dentro con un unico colpo di reni, ringhiando a mezza bocca tanto la percepì umida.

Si prese i suoi tempi per abituarsi alle grandezze, si beò del calore estraneo che la pervase di secondo in secondo, strinse febbrile le cosce per accompagnarsi gradualmente ai movimenti orchestrati dal drow.

Prima di distanziarsi col busto per osservarla godere di lui, Shade non si trattenne dall'esortarla in un bisbiglio. "Fatti sentire e fatti vedere, Elizabeth. Smettila di desiderare di voler essere dritta" le ansò tra i capelli. "Va bene se sei storta, sei comunque amata" e le afferrò le mani per portarsele sul petto e obbligarla a mantenerle premute lì, abbandonandosi sui cuscini a far volume sotto la schiena. "Tutti noi che stiamo con Alexander Vankane siamo nati storti".

Una permissione ponderata. Liza lasciò il capo a ciondolare di lato per spiarlo da sotto i capelli scarmigliati, qualche ciocca che a tratti la proteggeva dalle iridi arancioni dell'ufficiale. Ormai vittima del piacere si incaponì a scrutarlo e lo sfidò a un tira e molla brevissimo sui ritmi da gestire; inebriata, smaniosa e...

Arrabbiata.

Affondava e risaliva, risaliva e affondava, la perversione che si tramutava in rabbia, in senso di controllo mancato, volere.

"Io" sospirò e contrasse le dita per graffiargli di proposito il petto costellato di cicatrici. "Io voglio essere..."

Come se non fosse solamente dentro di lei ma anche nella sua testa, Shade la strattonò in avanti e se la schiacciò addosso per spezzare quella presa di coscienza. A suo malgrado, Liza non demorse, le mani di uomo che premevano sulla sua schiena per tenerla stretta durante gli affondi. Affannata dai movimenti sempre più rapidi, accostò le labbra al suo orecchio affinché potesse udirla per bene.

"Io voglio essere dritta in un mondo storto, lo desidero troppo" gemette piano, le parole che faticavano a venir fuori intatte. "Lüre".

Rude uscì da lei, strappandole uno squittio sorpreso, e afferrandola saldamente per i fianchi la capovolse per portarsela sotto. Finì a guardarla dall'alto, un bagliore feroce gli illuminò gli occhi neri e arancio tipici della sua gente, poi si curvò in avanti e le circoscrisse il volto rosso con le braccia, ennesima e calcolata costrizione per domarne le debolezze.

E Shade questo lo sapeva benissimo; che erano in realtà le debolezze a essere il punto di forza di Liza. Le ordinò di piegare le gambe scontrando rozzamente il bacino contro il suo e la faccia di lei avvampò nuovamente avvertendo l'erezione premerle sull'intimità, vittima dell'assillo di volerne ancora. Non oppose resistenza, cosciente di aver ansimato di proposito il nome più sbagliato di tutta Auryn perché colta dall'istinto di proteggersi.

Ho solo bisogno di equilibrio.

"Io non so come tu faccia a essere così inconsapevole di star sempre giocando col fuoco".

Ho solo bisogno di controllo.

Liza mandò giù una boccata d'aria e chiuse momentaneamente gli occhi per riprendere possesso di sé.

Spezzami...

"L'hai detto anche tu che della vita non ci ho capito un cazzo".

... E ricomponimi.

Riaprendoli incontrò il sorriso disumano di Shade, porcellana bianca e tizzoni ardenti al posto delle iridi. Le mancò il fiato e il cuore sussultò nel petto assieme al resto delle membra, dei muscoli e dei nervi che si erano tesi percependo il pericolo miscelarsi alla più pura eccitazione. Non ebbe la forza necessaria per allontanarsi tanto desiderava essere spezzata e ricomposta nel modo giusto.

Non più storta in un mondo dritto, ma dritta in un mondo storto.

"Forse dovresti cominciare a capire per il tuo bene".

Se Shade vantava in segreto di essere il più storto tra tutti i figli di Vankane, Elizabeth lo era in realtà più di lui: gemette forte mentre la penetrava senza avere più alcuna premura o dolcezza per quelle carni selvagge e al contempo di bambola. Si mosse con ferocia sopra, dentro e fuori di lei, i canini affilati a seviziarle il punto più vicino della carotide, mordendo forte col solo scopo di far sanguinare, gemere, ansimare senza sosta.

Spezzami.

E soltanto allora Liza cominciò malignare che in lei, l'estasi più profonda, avrebbe potuto raggiungere il suo più contorto apice solo tramite il...

Il dolore.

Un dolore condiviso, reciproco.

Trova un modo per controllare il dolore.

Le unghie affilate gli graffiarono la schiena per scaricare il tormento che le veniva impresso addosso con gli affondi, con le mani, con la bocca. Le palpebre strizzate per impedire alle lacrime di uscire allo scoperto; l'avvisaglia cocente nel basso ventre di stare di nuovo sul punto di non ritorno.

Dolore per controllare altro dolore.

Inseguendo quell'avvertimento, le gambe guizzarono sui fianchi di Shade per avvolgerli saldamente tra le cosce. Intrecciò le caviglie, inarcò la schiena più che poteva per accogliere ogni spinta al meglio delle sue possibilità.

Shade non doveva smettere. Non ancora. C'era quasi.

Dolore per controllare altro dolore.

A differenza di tutti gli altri, forse Shade avrebbe potuto fare parte del suo manuale del vivere con facilità: non temeva la vecchiaia, non aveva ambizioni, non viveva di costrizioni, non era vittima di maledizioni millenarie. E capì.

Comprese che il mezzo drow non era come Alexander, come Altea, come Miriam e Kelua; come Patrick, Bratislav, Vladimira, madrina Iva. Una piccola rassicurazione momentanea, un minuscolo bagliore caldo di cui godere senza provare vergogna, più travolgente della seconda ondata di piacere che continuò a crescerle nella carne.

Era logico: Shade non aveva niente da perdere, da scommettere, da agognare, da desiderare. Da amare.

Shade non aveva niente al di fuori dell'ordine, degli ordini di Vankane.

Niente.

E a quel suo niente, Liza ci si aggrappò immediatamente con le unghie e con i denti per farlo proprio: fu percorsa per intero dal secondo orgasmo e Shade la seguì subito dopo, colto alla sprovvista dalla supplica estatica che gli mugolò sulla clavicola. Assestò le ultime tre spinte, non riuscendo più a trattenere gli ansiti, e venne sul suo interno coscia.

Spezzami e ricomponimi nel modo giusto.

Il corpo di Shade aderì al suo e Liza si sentì appiccicosa. Continuò a divorare morsi d'aria, le membra pesanti e il respiro corto, come se si fosse inaspettatamente tramutata in pietra. Non si scostò quando lui le pizzicò un'ultima volta il capezzolo, un gesto innocuo dopo esser stati tanto brutali l'uno con l'altra, e si lasciò posare un bacio sulla bocca socchiusa.

Da sola non ci riesco...

Shade sorrise ancora dopo averle leccato una lacrima sfuggita fino alla curva del mento, realizzato come solo un'ex Cappa Nera poteva esserlo. Ma non le importò e, maledetta, ripassò a sua volta e coi polpastrelli i segni che gli aveva inciso sulle spalle.

... E tu mi prometti morsi, non briciole.

Shade l'aveva appena nutrita a dovere.

E per la prima volta in vita sua, Elizabeth elaborò internamente il senso di sazietà.

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