The Never Born (1/2)
LIZA
Un dolore vibrante e infocato.
Liza contemplò la fiammella scaturita dallo zippo acceso, l'orecchino a destra del volto che lentamente si faceva cocente in un crescendo ormai familiare.
Un attimo e Shade pizzicò la fiamma per raccoglierla coi polpastrelli, distaccandola dallo stoppino, come se in realtà stesse maneggiando un semplice coriandolo di carta rossa.
"È più facile quando è qualcun altro a farlo per te" parlò il drow e gliela adagiò sul palmo aperto. "Ma c'è da dire che il fuoco è più imprevedibile e imperioso dell'acqua".
I due catalizzatori cantavano le loro litanie mentali, l'una sovrapposta all'altra, vibrato stridulo a rincorrere il baritono simile a un ringhio gutturale. Liza sollevò la mano e se la portò a un soffio dal volto, vicinissimo alla punta del naso, ma il calore scaturito non le irritò la pelle poiché isolato magicamente. La lingua gialla e aranciata continuò a oscillare nonostante fosse stata separata dal suo naturale principio, distorcendosi e tremolando sotto ogni suo respiro.
"Lo usi mai?" gli chiese dopo qualche secondo di silenzio. "Il fuoco, dico. L'hai mai usato?"
"No. Preferisco spezzare oppure fare affidamento su altro".
"Per spezzare intendi annullare?"
"Esattamente. A ogni modo, anche il processo di annullamento richiede la sua pratica e una discreta conoscenza degli elementi che si desidera rompere. È una tecnica particolarmente utile durante l'arretrata in difensiva, perché permette di nullificare una manipolazione oppure di assorbire quella nemica per generarne un'altra più potente".
Anche Liza pizzicò la punta dell'elemento acceso e in bilico se lo tenne sull'unghia del mignolo, dell'anulare, del medio, saltando l'indice e reggendolo infine su quella del pollice nero. "Praticamente si assorbe l'energia altrui e la si rispedisce al mittente... ma con più carica interna" confabulò tra sé e sé. "È un po' da stronzi".
"Ma può fare la differenza quando si è a un passo dalla morte".
"Ammesso che si abbia il tempo di farlo".
"Serve solo una buona padronanza del catalizzatore impiegato, niente più" disse Shade e racchiuse la lingua di fuoco nel pugno. Riaprendolo, questa non c'era più, dissolta dal gesto. "Si ritorna sempre qui, a ciò che più detesti sentirti dire: basta applicarsi con l'esercizio fino a quando questo non diventa un'abitudine".
Liza zittì il canto dell'orecchino con uno schiocco e Shade fece lo stesso. Osservò il pollice rimasto sollevato, poi le rimanenti dita, il palmo macchiato di nera dannazione, riflettendo: un modo per sopravvivere a quel mondo, il loro sporco mondo, esisteva e lui avrebbe continuato a sostenere fosse questione d'abilità e impegno. Niente di più coerente data la sua mentalità di sopravvissuto; se ce l'aveva fatta a restare a galla in superficie, malgrado metà del suo sangue appartenesse di diritto all'oscurità nel sottosuolo, allora voleva dire che avrebbe potuto farcela pure lei. Che le andasse a genio o meno, la sola smania non sarebbe bastata a permetterle di apprendere – ma accostandola a una buona dose di disciplina già suonava meglio.
Disciplina e dedizione.
Puoi diventare una gemma ancora più rara.
"Il mio procrastinare è ciò che di più umano mi ritrovo addosso" obiettò lei. "E cosa usi più spesso?"
"Ombre".
"Ombre?" arricciando il naso, Liza non riuscì a tenere a bada la perplessità. "Le ombre possono essere manipolate?"
"Certo che le ombre possono subire una manipolazione" parlò sicuro Shade e dai calzoni recuperò il portasigari. Un'espressione infastidita gli attraversò il viso non appena constatò di essere rimasto a secco, cosa che doveva succedere di rado.
"Devo dire che è un po' scontato su di te, eh..."
"È la base dell'addestramento di una Cappa Nera. Come pensi che vada in giro ad origliare?"
"Domanda sciocca la mia, lo so" Liza scrollò le spalle per sistemarsi la camicia sulla schiena, lasciata però sbottonata. "Ma non ne avevo mai sentito parlare".
"Perché è un'arte e una magia piuttosto ostica".
"Vorrei impararla. Così, insomma, me la fai vedere e..."
"Assolutamente no".
"E perché?"
Shade le rivolse un sorriso obliquo, una presa in giro che le scatenò il fastidio. "Perché soltanto un idiota mostrerebbe i trucchi del proprio mestiere per stare a sbattere il cazzo sul tavolo, Elizabeth. Non ti insegnerò mai una cosa simile".
Lei roteò gli occhi e si allungò per poggiare il gomito sul tavolino. "Anche questo ragionamento è parecchio da stronzi" e schioccò la lingua, sostenendo la testa col pugno chiuso e spostando lo sguardo altrove. Per una manciata di secondi la macchia d'umidità alle spalle del drow divenne una distrazione gradita – tutto pur di non guardarlo sorridere. "Anzi, mi correggo: da stronzo. Però complimenti per la modestia".
"Ho sottolineato di non essere un idiota, mica ho millantato la migliore capacità a manipolare le ombre".
Liza dispiegò il dito e glielo puntò contro, agitandolo per aiutarsi a parlare. "Dieci punti per te" borbottò. "Ma non credere di essere l'unico a saper fare qualcosa di speciale".
Stavolta fu il drow a rotolare gli occhi verso l'alto. "Ti ho vista far sparire barattoli interi di sottaceti in tempi disumani, se è questo che intendi".
"Okay, questa dote potrebbe essere il mio cavallo di battaglia, lo ammetto, ci vuole tanta esperienza e velocità d'azione. E forza, soprattutto, perché come li avvita Pierre, i barattoli, mai li ho visti avvitare da qualcuno" adesso gesticolante, Elizabeth si costrinse ad abbreviare la spiegazione sui tecnicismi quando Shade la fissò con un sopracciglio alzato. "Però no, non intendevo vantare la mia abilità nel fottere i sottaceti, grazie per avermi spiata".
"Dovere" esalò lui in un sospiro. "Altri particolari assi nella manica, Elizabeth?"
Qualcuno occupò la stanza di fianco, rimasta vuota per un tempo che le era sembrato infinitamente troppo lungo per un bordello tanto frequentato. Prima di schioccare di nuovo le dita sul catalizzatore per attivarlo, Liza si protese per bisbigliargli vicino l'orecchio, quasi temesse di essere udita dai nuovi inquilini.
Chiuse momentaneamente gli occhi e dalla bocca aperta inghiottì un morso d'aria. "Se te lo faccio vedere" squittì, la lega arcana del gioiello che tornava a infiammarsi. "Se te lo faccio vedere... mi giuri che rimarrà un nostro segreto? Che non lo dirai a nessuno? Né ad Altea e nemmeno a Vankane?"
Shade non parlò per dare voce i suoi dubbi; non subito, almeno, e l'arzilla clientela riempì il loro silenzio in modo molesto, facendola arrossire di vergogna.
Lui stropicciò il portasigari di pelle e Liza si scostò per tornare a fissarlo in volto, l'ansia che le montava addosso miscelandosi all'imbarazzo: lo vide tergiversare di proposito cosicché non fosse necessariamente obbligato a giurare.
Plausibile ipotizzarlo, dato che aveva tirato in ballo la supervisione di Vankane, e la fastidiosissima vocina interiore che le riecheggiò nel cervello assieme al cinguettio emesso dall'artefatto quasi la convinse ad acchitare una bugia in tempi record.
Ma mentire a un bugiardo non sarebbe stato facile, anzi.
Sarebbe stata una mossa stupidissima, come lo stare a sbattere il cazzo sul tavolo dei più bravi.
Difatti, l'ufficiale ritrattò con un'altra domanda e Liza storse il muso, irritata per non aver predetto il raggiro.
"Perché dovrebbe restare un segreto tra noi due?"
"Perché so che mi obbligheranno a usarlo se dovessero scoprirlo".
Gli occhi di Shade si ridussero in due cupe fessure. "Cosa?"
"... Un'altra tecnica super segreta per far sparire i sottaceti? A dir la verità ci battiamo anche il rum di Bek-Rai, ma questo dovresti saperlo già e..."
"Elizabeth".
Il danno era fatto. I denti corsero a torturare l'interno della guancia intanto che si alzava mollemente per tornare in piedi, la gonna allacciata sbilenca sui fianchi dopo che si era rivestita velocemente. Gironzolò attorno al tavolino da tè e, percependo non si fosse mosso per seguirla, gli lanciò un'occhiata fugace da sopra la spalla per invogliarlo ad assecondarla. Si inginocchiò nuovamente sul tappeto quando Shade si sedette davanti allo specchio, al suo fianco, e le mani di strega, tuttora esitanti, percorsero la curva del collo che si fletteva per diventare spalla. Si stupì a pensare di aver già dimenticato quanto tonici fossero i suoi muscoli, sebbene li avesse stretti, morsi e feriti poco prima.
Il polpastrello dell'indice tracciò una linea invisibile sulla clavicola, sorpassando la cicatrice di un taglio vecchio di anni e fermandosi sul graffio che lei stessa gli aveva inciso sulla pelle. Si allungava in diagonale, le due estremità leggermente gonfie e il centro puntellato da macchioline rosse. Sangue timido, sfregio superficiale; un'unghiata di cui era stata la maledetta artefice e i tormenti sfociarono in senso di colpa, ora che l'impulso di proteggersi non c'era più. In parte.
Colpevolezza che veniva filtrata dal gioiello e si faceva benefica, energia intima e salubre che da anni non manipolava più. Concentrandosi sul canto solitario dell'orecchino, Liza sostituì il tocco delle mani con quello delle labbra. A quel taglio ci dedicò un bacio, impresso nel mezzo che rifiutava di sanguinare, e sfregandoci poi sopra il pollice annerito dalla mutazione di Far-Shee questo scomparve sotto il suo tocco.
Si fece sacerdotessa di una liturgia profana a cui il drow non si sottrasse. Continuò a individuare i piccoli sfregi aperti con le carezze, con la bocca, a volte con la lingua timida, e tutti vennero gradualmente rimarginati in maniera innaturale, come per magia.
Ogni singolo taglio, pure il più insignificante, venne richiuso dalla dote curativa e Liza riportò allo stato di dormiente il suo catalizzatore prima di cominciare a sanguinare dal lobo. Restò a carponi, gli occhi che non volevano saperne di sollevarsi dall'ultimo lembo di pelle ricucito magicamente, perciò gli guardò l'ombelico ed ebbe voglia di baciargli un'altra volta il ventre.
Sotto di lei Shade si mosse, molto probabilmente per investigarsi allo specchio.
"Tu curi" constatò e le dita corsero a tastarsi lì dove c'era stato il graffio più grande, poco più sotto il pomo sporgente. "E usi l'orecchino come tramite, ma nessuno lo sa, a quanto pare".
"Non dirlo. Non dirlo a Vankane".
"Perché?"
"Shade" Liza si risollevò sulle ginocchia, trattenendosi però dal cercare sostegno sulle spalle dell'altro, adesso ripulite dall'intrico di tagli freschi. "Non farne parola con nessuno. Fa che rimanga un segreto tra noi due, almeno fino a quando non sarò abbastanza pratica con le altre manipolazioni" e si sporse appena, la voce di nuovo ridotta a un sussurro. "Ti prego".
Il volto gli fu distorto da un cipiglio freddo.
"Non te l'ho mai giurato".
"Ma questo non significa che glielo dirai".
"Perché non dovrei?" ribadì lui, affilando ancor di più i toni.
"Perché ti ho fatto entrare qui" sbottò Liza in un mormorio e si picchiettò la tempia, il viso di Bratislav a tornarle in mente. "Perché ho bisogno di essere più forte, di migliorare e non stare più ad avere paura. Ti ho mostrato cosa mi rende debole e per una volta, una sola in vita tua: sii sincero con me come io lo sono stata con te" continuò e s'intrecciò le mani sul grembo scoperto. "Ti prego, io le bugie non le so dire. Non dirlo ad Alexander".
"Le tue mani curano, Elizabeth, ed è giusto che si sappia".
La lingua corse a umettare le labbra secche; un gesto istintivo per rendere più scivolose le parole e catturare l'attenzione di lui in via definitiva.
"E le tue uccidono, tutti lo sanno e ci fanno affidamento perché tu glielo hai permesso. Io non sono pronta a diventare l'appiglio di qualcuno, devo fare pratica".
"Tra le due cose c'è una differenza abissale" quella verità sembrò non ferirlo, malgrado gli fosse stata detta con quel preciso scopo – Elizabeth era di nuovo tornata sulla difensiva e Shade parve carpirlo in tempo. "Io ho accettato di poter fare solo del male con le mie mani, perché la nostra famiglia va protetta. A te tocca la stessa cosa, smettila di girarci attorno. È l'esitazione a renderti debole e la poca voglia di avere delle responsabilità la segue".
"E invece si tratta solamente di paura".
"La paura è uno sprono e deve esserci sempre. Ti rende consapevole qui" Shade, speculare, s'indicò la testa. "Qui" e le afferrò le mani, slacciandogliele in modo rude e costringendola a strofinare i palmi tra loro. "E qui" concluse, tamburellando forte l'indice sul suo seno sinistro, adesso scoperto. "Se controlli la paura, la sottometti assieme al dolore. Se sottometti pure il dolore, assoggetti la parte di te che più temi, quella che ti ha dato Far-Shee. Ma devi, devi accettarla, che sia per curare oppure per uccidere come ti è stato ordinato".
Testa, mani e cuore. Elizabeth si guardò lo sterno, proprio il cuore che adesso ci galoppava dentro a una velocità sovrumana quasi volesse uscire fuori e scappare via, lontano da lei e da Shade stesso.
"Non sei complicata da capire. Io ti ho capita e vorrei non averlo mai fatto".
"Tu non mi hai capita, fai solo finta. I bugiardi non capiscono".
"I bugiardi capiscono pure troppo. Prima di arrivare a formulare una menzogna convincente è necessario assicurarsi ci sia un fondo di verità".
"Allora dimmi subito una verità sul perché non dovrei più esitare" sputò lei, rancorosa. "Dimmi una verità, su di te, che lo è".
Le iridi arancio si accesero istantaneamente e Liza patì la bruciatura addosso come diretta conseguenza alla sua impulsività.
"L'unica volta che ho avuto l'ardire di esitare mi sono ritrovato appeso per i piedi, nudo, affamato, senza più unghie da cavare e rinchiuso nella stiva di un maledetto trafficante che avrebbe venduto la mia disgustosa pelle viola a una puttana altolocata delle Dune per farne degli elisir di bellezza" le disse a denti stretti, scandendo serafico ogni parola quasi stesse recitando un dettame delle Cappe Nere. "È stata la paura a salvarmi, perché mi ha ricordato avessi tanto, troppo da perdere. È stata la paura a graziarmi, perché mi ha convinto a guardare Alexander mentre Kaena caricava la pistola per uccidermi. E non sono morto. Non sono morto perché il capitano ha rivisto il suo stesso terrore nel mio e questo mi ha permesso di vivere".
Liza sfarfallò le ciglia per non darla vinta alle lacrime. Per quanto fosse convinta di avere davanti un bugiardo, la rabbia ponderata di Shade, la sua solita e calma ira centellinata nel raccontarle il giorno della sua liberazione, riuscì momentaneamente a convincerla del contrario: che era tutto vero. Che nel momento della morte, concedersi il lusso di provare paura gli aveva permesso di avere salva la vita.
Ma per Liza non era così, perché il terrore se la fotteva ogni singolo giorno e non le permetteva di vivere bene. Benché facesse parte di una famiglia di contrabbandieri, che tutto erano tranne che martiri e santi per il Continente, sapeva benissimo di essere stata cresciuta come se tutto il suo mondo dovesse iniziare e finire sulla galea. E anche Shade ne era a conoscenza, sebbene lo avesse vissuto con ritardo rispetto agli altri. Lo aveva effettivamente capito ma comunque ignorato, era palese, e si era nutrito di tutta quella sua vergogna, inesperienza mista a desiderio violento, irreprimibile, che meravigliosamente si conciliava col suo caos interiore, di cui Alexander e Altea erano stati i fautori.
Era scontato assodare che fosse immatura perché nessuno le aveva permesso di maturare, neanche lei se lo negava più: troppo sincera anche per un bugiardo che per anni aveva vissuto braccando cani per ordine delle Corone di Westex ed Estex e poi cane bastonato era diventato per uno strano scherzo del destino; ma che aveva pure conosciuto la bellezza insita nelle piccole cose, come il tramonto di giugno osservato dall'albero maestro, le bevute in famiglia dopo un assalto riuscito, la...
La capricciosa, insubordinata e ingenua Elizabeth, tratti atipici per una bambina allevata in mare, da genitori non carnali e simulacro della violenza degli uomini, del loro ripudio, della ghettizzazione per l'aspetto difforme, come in principio doveva essere accaduto al drow quando portava il nome che era un tributo al crepuscolo.
Le radici di entrambi erano quindi le stesse, si era detta dopo aver letto il comunicato, ma non i tempi di reazione.
Perché era innegabile che Shade possedesse già mani di assassino mentre Liza ancora giocava a palla sul ponte e dispettosa slacciava gli ormeggi pur di non mangiare le verdure a cena. Verdure acconciate per lei, solo e soltanto per lei, da un cuoco pirata su una dannata nave di pirati. Di criminali. Criminali buoni, figli di ideali liberi, che l'avevano avvolta nelle sete rubate e coccolata con mani imbrattate di sangue e inequivocabile dolcezza, chiudendo comunque un occhio quando innocentemente beveva i suoi tre mezzi a cena, che a volte erano quattro e altre sette.
L'insubordinata, capricciosa e strana Liza...
... Che era sempre sul punto di finire in mille pezzettini, in ogni momento della giornata; che non sapeva dire le bugie e neanche riconoscere le mezze verità, perché Vankane l'aveva tirata su così.
Perché Alexander aveva peccato crescendola buona in una realtà crudele.
E a tratti quasi lo odiava per averla resa così fragile.
Liza stava per scoppiare in un pianto lunatico, eppure qualcosa glielo impedì. Le ciglia tremarono convulse per un momento ancora, ma nessuna lacrima strabordò dalle palpebre adesso socchiuse, scatenando sul viso di Shade un sogghigno freddo.
Il drow non meritava la pietà di un essere tanto puro e diabolico a parimenti, dati i suoi trascorsi. Perciò sembrò esplodergli dentro un'immensa gratitudine quando lo sguardo di lei tornò torvo pur di non mostrargli alcuna empatia.
"Che mondo spietato stai vivendo, Elizabeth. Che cattiveria, che malizia..." parlò Shade, scandendo una risata rauca a un soffio dalla sua bocca. "Ma tu accettati. Accetta le tue mani, le tue orecchie, i tuoi denti e i tuoi occhi. Accetta le tue paure e non esitare più. Perché puoi imparare a uccidere e a curare, o viceversa" le scostò la frangetta dalla fronte, le diede un bacio sulla tempia lucida di sudore, un secondo sull'ecchimosi dello zigomo. Le prese i palmi e baciò anche quelli, il destro prima del sinistro, perché a destra del suo corpo gravava il peso della possessione di Far-Shee. "Serve solo disciplina e dedizione, due cose che posso offrirti su un piatto d'argento".
Accettati.
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