No Chances (2/2)
LIZA
La momentanea irreperibilità di Sid voleva significare che per tre giorni avrebbe meditato e digiunato fino alla sera, come la maggior parte degli abitanti del distretto Rosso. Liza trovò angoscioso muoversi per le strade semi-deserte e piovose, pattugliate solamente dai tagliagole armati di sciabole e incaricati di sorvegliare le due entrate al rione. Dal secondo giorno, però, le venne facile parlare bisbigliando e, se necessario, a gesti.
I malati al lazzaretto, pure i più gravi, lasciavano i giacigli di soppiatto per sistemarsi a terra in preghiera. Nessuno apriva più bocca davanti gli altarini di Nox, neanche i bambini, e tanti piccoli ceri furono accesi per celebrare la Dea. Mera e le altre erboriste di turno pregarono il minimo indispensabile.
Lavava e ritirava le lenzuola assieme a Gil, da poco rientrata dalla sua pausa pomeridiana, che la curiosità ebbe la meglio.
"Madre Nox fu una nomade, si dice, beata dalla fiamma eterna del Profeta" Gil pizzicò le estremità della coperta e si allontanò da Liza per scuoterla. "Nox patì l'esodo della nostra gente col tradimento di Badur ai danni dei suoi fratelli Ancestrali. Si fece portavoce del peregrinare dopo aver ricevuto la benedizione e i testi raccontano che per essere simbolo prese fuoco e bruciò ininterrottamente per tre giorni e tre notti. Ci guidò tra le Dune fino alle porte del Santuario di Samarth-Le'a e si tramutò nel falò che tuttora arde al suo interno. Questo l'ha santificata".
Elizabeth infilò un dito in un buco della coperta e lo mosse per gioco. "Samarth-... lea?" provò a dire.
"Sa-ma-rth-Le'a" la corresse sillabando Gil, ridendo di gusto. "È la capitale del Sultanato".
"L'hai mai vista?"
"Sì, certo. Prima di venire qui alle Ossa io e la mia famiglia ci andavamo due volte l'anno per il lavoro di mio padre" le disse e camminò in avanti per finire di piegare il lenzuolo. "Tu invece da dove vieni?"
La risposta fu lapidaria, forse un po' troppo, e irriflessa. "Yakuta".
Gil restò a fissarla, le sopracciglia aggrottate e la bocca socchiusa mentre si aiutava a pensare. Il tatuaggio che le occupava metà faccia venne spiegazzato dall'espressione turbata.
"Oh, eh... è un posto un po' freddo, un po' tetro..." squittì Elizabeth, imbarazzata, e gettò la coperta piegata sul porticato. "Diciamo che da quello che ricordo la mia gente non è particolarmente... socievole".
"Da quello che ricordi?"
"Non ci torno da un po' di tempo. Tipo, ahm... dodici anni. Più o meno".
"Non ti piacerebbe tornarci?" affondando le mani nel mucchio di cenci accanto, Gil le porse quella domanda con un'ingenuità tale da non essere imputabile.
Liza agguantò i lembi opposti della coperta e l'aprì per controllare non ci fossero troppi buchi da renderla inutilizzabile. Ne adocchiò un paio centrali e una dozzina già rattoppati in precedenza.
L'occhio ricadde su una macchia sbiadita che si allargava sul laterale destro, di un tenue marrone. Sangue. La bile fece su e giù dallo stomaco alla gola ricollegandolo all'anziano morto la nottata precedente.
"Magari un giorno" bisbigliò e senza starci a pensare tirò e si accartocciò tra le braccia il lenzuolo rimasto sudicio. Fortunatamente Gil non domandò altro a riguardo, intuendo che era meglio non indagare oltre: aveva capito l'antifona e percepito la tristezza, e Liza gliene fu internamente grata.
Fece ritorno alla bottega prima di Altea, una pioggerella sottile a inumidirle i vestiti e i capelli. Stavolta tolse gli stivali sull'uscio più esterno e si avviò verso la saletta in cui Sid stava a meditare, ricordando poi di non doversi annunciare per non disturbarlo. Circumnavigò saggiamente la torre di libri ed evitò con successo l'asse rialzata. Stava per svoltare l'angolo che un chiacchiericcio persistente la incatenò nella penombra e il naso percepì il puzzo sprigionato da un sigaro acceso.
"Fai venire Kyd alla pulizia, e Silaf. Per non parlare di Boryan" si stava a lamentare Kelua. "Perché non porti me? Posso restare di supporto con Ragor, l'ho già fatto un paio di volte e..."
"Un no è un no. Da Kaena mi è arrivato l'ordine categorico di lasciarti qui di controllo".
La voce profonda di Shade le rimbombò nelle orecchie e le scatenò addosso una miriade di sensazioni contrastanti. Liza preferì indietreggiare, gli occhi fissi davanti a sé e i nervi a fior di pelle.
"Sì, ma-"
"Kelua, sono gli ordini. Non sei pronta per una pulizia concordata. Non con me, almeno".
Liza udì un tonfo mentre compiva la quarta falcata a ritroso.
"Non lo sarò mai di questo passo".
"Kelua".
"È la verità".
"Attieniti agli ordini. Non farmelo ripetere".
L'equilibrio l'abbandonò che era vicinissima all'unica via d'uscita; spostando all'indietro il piede destro, il tallone sbatté alla stramaledettissima asse di legno e Liza si ritrovò sdraiata sul tappeto di cartastraccia, a gambe all'aria, sfasciando nella caduta pure la pila di tomi.
Un battito di ciglia e i due la guardavano dall'alto, una con apprensione e l'altro con giudizio. Liza sollevò le mani in segno di resa e tossì una risata nervosa, smorzata dal dolore che le crebbe dietro la schiena.
"Scusate... scusate. Volevo mangiare. Oggi, come ieri, e l'altro ieri ancora doppio turno e dopo un po' i fagioli col formaggio e il salomé fanno un po' d'aria nella pancia..." pigolò e la voce andò a sfumare con lo sguardo di Shade a scavarle dentro la carne. Per un momento ebbe l'estrema necessità di starsi a coprire, anche se vestita.
"Sid non c'è, è a pregare da un'altra parte perché Kyd ci è inciampato addosso. Da mangiare c'è solo un mazzo di fave" la informò la Tabaxi e l'aiutò a tornare in piedi.
"Peccato" Liza spolverò la gonna e a stento trattenne uno starnuto. "Mangerò solo le fave, allora. Ti va di mangiare le fave assieme?"
"Sì, ho ancora un po' di tempo prima del turno".
"Mezz'ora. Per le sette devi essere in posizione" le ordinò l'ufficiale e tirò una boccata dal sigaro. "Chiaro?"
Kelua gonfiò il petto. "Chiaro" e sospirò.
Shade lasciò la bottega senza perdersi in ulteriori disposizioni e Liza conteggiò mentalmente fino a dieci, consapevole di ciò che sarebbe accaduto: Kelua caricò un pugno e schiantò le nocche sulla libreria che avevano di fronte, ringhiando a mezza bocca. L'urto fece tremare i talismani appesi e Liza afferrò per miracolo una sfera di vetro nero prima che potesse schiantarsi a terra.
"Che cazzo di palo nel culo!" sibilò la Tabaxi e preparò un altro colpo, il destro, che impattò in maniera più violenta del precedente. "No, Kelua, non sei pronta per la pulizia concordata - no, Kelua, sei smaniosa, studia chi hai davanti - no, Kelua, non unire i piedi".
Seguirono un terzo, un quarto, un quinto schianto, tanto feroci che Liza vide il legno macchiarsi gradualmente di rosso e un paio di schegge zampillare per aria.
"No, Kelua, cazzo, no, no, no!"
Di riflesso, Liza le afferrò il polso e la palla le scappò di mano. Kelua boccheggiò a vuoto, il respiro cortissimo e le pupille dilatate, elaborando il rumore del vetro in frantumi un secondo più tardi.
Si guardarono per un interminabile istante. Kelua mosse un piede di lato e la punta dello stivale scostò parte dei cocci rotti. Realizzato il gesto, cercò di sottrarsi con uno strattone.
"Lasciami".
Elizabeth incassò il capo e veloce le afferrò anche l'altro polso. Strinse col sopraggiungere della seconda scrollata e fece forza nelle gambe per piantarsi sul posto.
"Ti ho detto di lasciarmi, cazzo, lasciami!" gridò la Tabaxi con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
La colluttazione fu breve e angosciante. Coi sensi offuscati dallo scatto di rabbia, Kelua cadde seduta e Liza la seguì a terra, le dita di strega che erano sgusciate in basso, oltre i fianchi per finire dietro la schiena. La tenne stretta tra le braccia fino a quando non la percepì abbandonarsi tra di esse.
"Scusa, Tap" le bisbigliò tra i capelli umidi. "Scusami. Ho perso la testa".
Gli occhi di Liza divennero piccoli e lucidi. Le incastrò la testa tra spalla e collo e respirò il suo odore, acre e dolce allo stesso tempo, per calmarsi anche lei. Un paio d'ombre si affollarono sull'uscio della bottega, ma non si spostò per investigarne i visi.
"Non è successo niente" gracchiò ancora Kelua. "Tranquillo, Ragor".
Si scostò per guardarle le nocche quando i battiti del suo cuore tornarono a un ritmo stabile. Non era la prima volta che Kelua si lasciava sopraffare dalla rabbia e col tempo aveva capito che non poteva farci niente per impedirlo. Orgoglio e umiliazione non dovevano mai miscelarsi in lei, per nessuna ragione al mondo, perché erano ferite tuttora aperte e putride.
"Andiamo a... andiamo a mangiare le fave? Però prima vado a prendere le bende e la tintura. Va bene? Stai sanguinando".
"Va bene".
Elizabeth non staccò gli occhi dalla pelle scorticata, due rivoletti di sangue che segnavano lo spazio tra l'indice e il medio, il medio e l'anulare, simili a colature di colore. L'istinto la spinse a premere le labbra accanto al taglio più grande.
"Vedi? Alla fine sei sempre tu quella che si prende cura di me".
"Perché non voglio che tu ti faccia del male" ammise la più piccola e raccolse tutto il coraggio che le era rimasto per guardarla in volto, occhi negli occhi. "Per me sei bella come il sole e non dovresti".
Kelua le carezzò la curva morbida delle guance e sorrise, sincera, tra le lacrime. Le scostò poi una ciocca impertinente, sempre la stessa che le solleticava lo zigomo spaccandoglielo a metà, e gliela impicciò tra l'orecchio e il gioiello di Far-Shee.
"Quanto sei ingenua, Tap. Ma devi capire che c'è tanta oscurità anche in me" disse, e di proposito passò le unghie sulla pietra al centro del manufatto.
Liza non capì subito il senso di quelle parole. Con l'arrivo della notte, però, e il ritorno dei sei dalla pulizia al quarto rione, elaborò che le debolezze temute da Altea, le tenebre soppresse da Kelua, la fame di Miriam e Patrick, in lei, avevano una matrice in comune: Shade.
Prima di andare a coricarsi lo attese sulla soglia del casale in cui alloggiava, la solita vergogna a infuocarle le guance assieme ai tre mezzi della cena. Non si mosse quando percepì di avercelo davanti, vestito di cuoio e armi nascoste, di brutalità e buio; connubi perfetti per un essere che dall'oscurità era stato generato e infine abbandonato alla luce del sole.
Allungò una mano, una richiesta placida e silenziosa. Il nastrino non le avvolse mai il palmo nero, bensì la pelle sensibile del collo. Le dita fredde di Shade s'insinuarono tra i capelli sciolti e la fettuccia di tessuto blu catturò un paio di ciocche mentre veniva stretta, quasi a toglierle il respiro, in un gesto consapevole e inaspettatamente delicato.
Non dovette sollevarsi sulle punte o aspettare che fosse lui a scendere alla sua altezza, perché aveva scelto di proposito di stare sul secondo gradino. Le bastò reclinare leggermente il capo all'indietro e annientarsi: non attese ordini, malgrado li bramasse e ripudiasse al contempo, e lo toccò – le falangi di strega fendettero il vuoto prima di concedersi d'ispezionare gli zigomi, la curva netta della mascella e le tempie.
Shade non protestò la sua audacia, perché sapeva.
Sapeva che era lì per chiedere qualcosa d'importante e Liza glielo lesse negli occhi arancioni, immensamente stanchi eppure ancora così vigili su di lei.
Desiderabile oltre ogni altra cosa.
Una gemma rara.
"Mi sento debole" si confidò in un bisbiglio. "E non posso più esserlo. Rendimi più forte. Ti prego".
Le labbra dell'ufficiale si spezzarono in un sorriso accennato, ferino quasi, e le minuscole macchioline scure che insozzavano la pelle d'un viola slavato le suggerirono ferocia e crudeltà.
"Sai che non potrai più tornare indietro?"
Quella constatazione le fece montare addosso la pelle d'oca. Respirò profondamente, vittima dell'inquietudine di voler consolidare con altri gesti quella dichiarazione di intenti. Perciò annuì e schiuse le labbra, trovando subito quelle di Shade nel buio.
Le lingue si cercarono con foga e Liza avvertì esplodere nella bocca, nella gola, nella testa e nel petto quel sentore di controllo che tanto l'ammaliava, ora che era alla sua completa mercé. Non si trattenne, l'imbarazzo soffocato dalla brama crescente, le dita che abbandonarono d'improvviso il volto per andare a impicciarsi tra le fibbie legate strette sul petto e sugli avambracci, e istintivamente scese un gradino.
Di riflesso, lui le esplorò l'incavo del collo, rude nell'imprimerci sopra una carezza pesante, e scivolò subito sul seno sinistro, l'appiglio più immediato. Glielo avvolse per intero e strucinò il tessuto bianco, come se volesse stracciarlo e scorticarle la pelle, scavare in profondità nella carne e sentire da vicino, toccare i battiti frenetici del suo cuore.
Liza lo trovò altalenante nei modi di fare: tocchi rozzi che si accompagnavano a rassicurazioni quasi gentili e baci fatali, lenti, spesso troppo irruenti da non permetterle di accoglierli a dovere. Ciò le scatenava dentro una moltitudine di incertezze, capeggiate in particolare da un'eccitante sensazione di pericolo che mai le era capitato di provare... questo, almeno, per qualcun altro che non fosse sé stessa. Quindi rischiò una seconda pretesa e ne pagò per direttissima le conseguenze.
Shade smise di baciarla quando lei annullò quel microscopico spazio a separare i loro corpi, con le mani giunte in avanscoperta verso il basso tra l'intralcio della bandoliera e il cavallo dei calzoni. Si era momentaneamente vestita di una sfacciataggine che non le apparteneva per soppesare e avvertire il desiderio che era cresciuto, secondo dopo secondo, sotto i suoi palmi.
Con le labbra gonfie e umide, Liza rifiutò di scostarsi e restò immobile, di nuovo docile.
Shade ne percepì la vergogna baciandole una guancia e avvolse i polsi piccoli in una stretta ferrea per vietarle di allontanarli.
Dolcezza e controllo.
"Sono stanco, Elizabeth" e la presa si accentuò, mentre si sporgeva per poggiare un altro bacio sul collo, lì dove ci aveva impresso la prima carezza. "Fammi dormire. Ne ho bisogno".
Lei acconsentì con un sospiro e lo scrutò da sotto la frangia stranamente ordinata quando tornò dritto. Le mani furono libere l'attimo dopo.
"Farai ciò che ti ho chiesto?" gli domandò in un sussurro.
"Lo farò. Imparerai che non è un male essere nati storti in un mondo che è dritto" passandosi un dito sulla faccia, Shade cancellò in parte i minuscoli puntini di sangue che gliela segnavano. "A volte può essere una benedizione".
Un fulmine lampò e colorò momentaneamente il cielo di bianco. Il drow la sorpassò, salendo pesantemente i gradini, e prima di dileguarsi all'interno del casale le pizzicò la guancia un'ultima volta, quella resa pesta dal livido.
"Se domani odi la mia voce, seguimi".
Con quell'ultimo avvertimento nella mente, Liza tornò alla casa di Allelah senza più guardarsi indietro.
Ohibò!
Primo spazietto autrice dopo un pochino di capitoli! Mi piace tantissimo entrare un po' più nel vivo della storia prima di palesarmi e stare a rompere le palle. Buoni propositi i miei, no?
Siamo al capitolo sette e ci tenevo tantissimo ad andare leggermente into the deep con alcuni personaggi che sono veramente importanti per l'andamento della storia, come Kelua, Altea e Sid. Ragor avrà il suo spazio fra una manciata di capitoli, lo giuro.
L'ottavo capitolo è in fase di betaggio e il nono è in riscrittura. Nel prossimo si entrerà nel vivo della celebrazione della Madre Nox, perciò stay tuned - e soprattutto un in bocca al lupo a Liza (in tutti i sensi).
BB!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro