Kill or be Killed (1/2)
SHADE
La seduta sulle direttive dell'asta iniziò poco dopo le otto, l'ennesimo temporale ad annacquare le viuzze fatiscenti e il cielo nero spezzato, di tanto in tanto, da crepe bianche. Kelua, Ragor, Prom, Silaf, Midna e Kyd vennero convocati con maggiore preavviso, a differenza di Elizabeth.
Shade percepì il suo scetticismo sin da subito, mentre Honeypot spiegava velocemente le disposizioni primarie: la Tabaxi doveva averla avvisata dicendole che la scorta avrebbe previsto sei componenti, esclusi lui, Tordek, Altea e Sid.
Si sentiva di troppo, era palese, e Altea non tardò a negarglielo personalmente.
"Silaf, Midna e Kyd hanno già avuto modo di sorvegliare diverse aste organizzate da Spaccachiglia negli ultimi dodici anni" parlava la mezzelfa, seduta al capo opposto del tavolino, di fianco a lui. "A differenza di altri, noi puntiamo sulla discrezione: prima dell'accesso alla vendita vera e propria, ci verrà permesso di dare un'occhiata agli oggetti. I tirapiedi dei maggiori capitani non mancheranno: nessun contatto visivo e verbale con qualsiasi cazzo di cosa si muova all'interno del covo. Seguite gli ordini di Shade e Honeypot, restate vigili" continuò in un mormorio minaccioso, indirizzandolo proprio ai tre novizi assieme a un'occhiata severa. "Questa è la vostra opportunità per mettervi in gioco e dimostrare cosa valete per l'intera ciurma e per il capitano. Non deludeteci".
Kelua e Ragor annuirono all'unisono drizzandosi sulla schiena, Prom continuò a concentrarsi sul gesticolare di Tordek prima di acconsentire ciondolando il capo. Poi parlò la lingua dei segni a sua volta, rivolgendosi proprio ad Altea, e tutti, qualcuno più di altri, capì quanto stava dicendo.
"Dovrò portare il Nautilus?" domandò, picchiettando l'indice sull'artefatto a forma di conchiglia, di un dorato intenso, legato attorno al collo.
Shade glielo osservò per un momento: anche il catalizzatore di Prom era unico nel suo genere, come raccontato da Tordek durante una delle tante sedute al tavolo da guerra. Gli era stato donato da suo fratello maggiore, un alto sacerdote di Porto Dolore, facente parte dell'Ordine Oceanico devoto alla Dea Maquahime. Mai glielo aveva visto utilizzare da quando era entrato a far parte della famiglia; il ragazzo sordo, forse coetaneo di Elizabeth, svolgeva sulla nave semplici lavori di carpenteria ed era raro vederglielo addosso. Parlare del suo utilizzo, dunque, era una faccenda seria.
Ma Prometes non aveva l'aria di qualcuno specializzato in misticismo, deaite e magia. Che lo avessero preso in considerazione, valutando un eventuale rifiuto di Elizabeth? Allora perché renderla partecipe della seduta, se una ruota di scorta c'era già ed era stata pattuita con Tordek?
Altea parlò sia con la voce che con le dita. "Sì. Io e Tordek avremo bisogno di te per valutare l'oggetto" scandì, spostando poi la sua attenzione sull'allieva. "Ma verrai dopo Elizabeth".
L'interpellata si riscosse sfarfallando le ciglia. I suoi occhi si mossero in lungo e in largo, posandosi su tutti i convocati e soffermandosi qualche attimo in più su Shade. Macchie verdi e azzurre esplosero nelle sue iridi quando si permise di sostenere lo sguardo di Altea.
"Eh?"
L'ufficiale medico respirò forte dal naso per mantenersi calma. "Tutti fuori".
"Alle posizioni stabilite dai turni" rettificò Shade e Silaf sbuffò scocciato pur di non imprecargli contro.
Ragor scoccò una veloce occhiata a Liza prima di lasciare la saletta, ma lei non ricambiò. Kelua non si mosse né si alzò per accodarsi agli altri. Restò seduta a gambe incrociate, cosa che Altea non parve gradire.
"Kelua, fuori dai piedi".
"Lei resta qui" s'intromise subito Liza, e finalmente abbandonò la soglia per sedersi a destra dell'amica. Mentre finiva di sistemarsi la gonna, aggiunse in un bisbiglio: "Per favore".
Nessuno dei presenti contestò la richiesta e una ruga spaccò la fronte di Altea. Shade sentì i suoi occhi addosso per un istante, ma prontamente torse il busto per recuperare il portasigari e negarle un contatto visivo. Non aveva voglia di immischiarsi in certe dinamiche sentimentali prima di cena.
"Ho deciso che verrai con noi" disse infine.
"Lo avevo capito" asserì Liza in un secondo mormorio. "Che devo fare?"
"Sarai la prima a valutare la Matrice. Attiverai l'orecchino di Far-Shee e ti connetterai all'artefatto" rispose prontamente Altea, una calma imperiosa a mantenere accettabile il suo tono di voce. "Sid ti assisterà durante la connessione, e Shade pure, se sarà necessario".
Lo scrosciare dell'acqua all'esterno del casale crebbe d'intensità e la figura di Elizabeth fu percossa da un fugace ma visibile fremito. Kelua era invece rimasta a bocca aperta a sentir decretato il guaio più grande dell'amica e Shade compatì entrambe le reazioni: se la Tabaxi stava sulla galea da otto anni circa, probabile fosse presente anche la notte in cui l'incidente della stiva era avvenuto.
"Una... Matrice?" domandò proprio Kelua, balbettante, quasi avesse dimenticato come muovere correttamente la lingua. "Come... l'Ottavo? Giusto?"
"Il fatto che tu sia rimasta per volere di Elizabeth non ti concede il diritto di domandare a sproposito durante una seduta del tavolo da guerra. Io non sono Kaena".
Incassò senza fiatare. Kelua si chiuse nelle spalle e abbassò il capo manifestando sottomissione, mentre Elizabeth dilungava il suo improvviso mutismo, pallida in viso più del solito. Da quando era stata chiamata in causa gli occhi cangianti non avevano mai abbandonato quelli grigi di Altea.
Un brillio ci luccicò dentro, forse per il pianto che di lì a poco le avrebbe annacquato la faccia; oppure perché, ostinata, non batteva ciglio da un minuto intero. Shade si trovò a sperare nella seconda ipotesi.
"E se rifiutassi?"
Altea schioccò la lingua, sicura di sé e dell'autorità esercitata. "Ti farò rapporto per insubordinazione premeditata".
Con la coda dell'occhio, Shade percepì Honeypot voltare lentamente il capo verso Altea, inviperita nei movimenti, eppure non aprì bocca per contestare la brutalità di quella sentenza. Tordek restò concentrato a studiare le macchie d'umidità sparse sul soffitto e Sid rincarò il suo salomé.
"Insubordinazione premeditata".
Altea annuì una volta solamente.
"Immagino sia un ordine" constatò ancora Liza a voce bassa, sbattendo finalmente le palpebre. Nessuna lacrima le rigò il volto.
"Esattamente".
"Discusso al tavolo da guerra".
"Elizabeth" l'ammonì Altea e Shade attivò il catalizzatore per accendere il sigaro.
Tutti i presenti ignorarono i secondi fini del suo gesto. Un attimo e la sincronizzazione con l'orecchino avvenne senza intoppi: il canto basso dell'anello si riversò nella sua e nella mente di Elizabeth, molesto e impertinente. Subito schioccò le dita e la solita fiammella rossa ci galleggiò sopra, isolata magicamente dall'energia arcana.
"Fatti furba" parlò poi mentalmente, aspirando più di una volta per accendere la punta, gli occhi fissi su di lei. "È una situazione che puoi controllare. Puoi uscirne, sarà facile".
In risposta, Elizabeth tirò su col naso e scrollò le spalle, come a voler negare d'aver udito la sua voce nella testa. A Shade venne voglia di sorridere tanto era dolce e infantile la sua vergogna.
"Sto solo chiedendo" si giustificò l'allieva. "C'entra Alexander?"
"Sì. Vankane vuole che tu scopra se il manufatto che andremo ad acquistare sia effettivamente una Matrice. Sei perfettamente in grado di farlo".
"Mh. Mh-mh" mugugnò a bocca chiusa Elizabeth, riuscendo a mascherare buona parte del suo disappunto. "D'accordo. Ma, ahm... ho una richiesta per il tavolo da guerra".
"Sì, zuccherino?" domandò Lavinia in un cinguettio, sorridente, anticipando qualsiasi altra mossa da parte di Altea. "Il tavolo da guerra ti ascolta".
Kelua assestò una veloce gomitata sul fianco di Elizabeth. Le sue iridi sfumarono gradualmente dall'azzurro all'arancio.
"Voglio..." e fece per sollevare il mento.
"Elizabeth" la richiamò prontamente Shade. "Sei a una seduta del tavolo da guerra" e sbuffò dal naso. "Pensa prima di agire".
Lei finalmente avvampò in volto. "Cioè, vorrei... essere pagata per la valutazione del manufatto" balbettò, grattandosi una guancia con insistenza. Il rosso che le stava colorando la sinistra, quella resa pesta dal livido, si accentuò per il feroce sfregamento. "Va... bene?"
Honeypot scoppiò a ridere e Tordek aggrottò la fronte, decisamente colpito dall'audacia di Elizabeth. Shade ne apprezzò i tempi di reazione e l'inventiva, gustando in silenzio ciò che ne scaturì: Altea riaprì e richiuse la bocca un'infinità di volte senza riuscire a parlare. Forse si era mentalmente preparata ad andare incontro a un probabile rifiuto, non di certo a dover fronteggiare delle trattative, come gli aveva lasciato intendere la sera precedente.
"Vuoi essere pagata?"
"Ahm... sì? Insomma, il mio ruolo sulla nave è quello di una tirocinante, e in quanto tale vengo pagata per ciò che il mio ruolo richiede" spiegò Elizabeth, cominciando a gesticolare per aiutarsi a parlare, e Shade tirò una corposa boccata per nascondere il sorriso che gli arricciò le labbra. "Quindi, sì: chiedo un compenso pari a quello di un'arcanista, visto che si parla di insubordinazione nel caso rifiutassi".
Honeypot riuscì a placare le risate appena in tempo. "E sentiamo: quanto vorresti?"
"Ah, eh... quanto...?"
"Duecento monete d'oro a valutazione".
"Tordek!" lo rimproverò Altea, stizzita. Il nano sollevò subito le mani in segno di resa.
Liza annuì con vigore. "Perfetto. Questa è la mia richiesta per il tavolo da guerra: duecento monete d'oro per la valutazione della Matrice".
Altea strizzò le palpebre e si pizzicò il dorso del naso, tergiversando una risposta. Dal canto suo, Elizabeth non tentennò, intrecciando la sua mano a quella di Kelua, e restò in attesa del verdetto. Shade continuò a punzecchiarla con gli occhi e lei ricambiò senza timore: inaspettatamente, le iridi divennero un tutt'uno col nero della pupilla mentre si guardavano; lo stesso colore che gli aveva dedicato la notte precedente, quando aveva imposto un primo e momentaneo paletto tra di loro pur di non mostrargli alcuna empatia.
Una rara soddisfazione gli crebbe in petto a vederla sfruttare le proprie debolezze. Quanto sarebbe potuto essere appagante insegnarle a muoversi con maestria in un mondo così contorto e sbagliato. Perciò le parlò un'ultima volta addolcendo i toni – perché alla dolcezza, Elizabeth, non sapeva dire di no, anche se sazia.
"Sei stata brava".
La vide deglutire, mandare giù un boccone invisibile eppure così maledettamente succulento. Disattivò l'anello e uscì dalla sua mente in punta di piedi.
Le dita di Altea scivolarono in basso e circondarono il mento pronunciato. "Il tavolo da guerra accoglie la tua richiesta. Informerò il capitano e vedremo il da farsi".
L'ironia ebbe la meglio. "Posso scendere a centocinquanta, ma con l'aggiunta di una settimana di nullafacenza".
"Domani mattina, sette in punto" l'ufficiale medico alzò di proposito il tono di voce per coprire l'ennesima risata di Honeypot. "Qui in saletta. Tu e Sid avrete tre giorni a disposizione per sincronizzare correttamente i vostri catalizzatori. Adesso sparisci. Anzi" e i toni si fecero ancor più duri. "Sparite entrambe".
Elizabeth e Kelua si congedarono in tempo zero. Lo schiocco di un battimano, di sicuro un cinque dato appena la tenda rossa ne celò le figure, accompagnò il lunghissimo sospiro di Altea.
"Che gran stronza, per la miseria".
Honeypot buttò giù uno shot di rum, l'ultimo della serata. "Tale madre, tale figlia, bocconcino. Ha imparato dalla migliore".
"Lavinia, sta' zitta".
"Qualcosina da te doveva pur prenderla. Di Alexander ha ereditato il lato peggiore: essere logorroica".
Altea sbatté entrambi i palmi sul tavolino, imprecando sottovoce, e sparì infilandosi nel minuscolo corridoio che dava sulla loggia. Santissima Lavinia perennemente ubriaca.
Sid bevve con calma due tazze di salomé nell'attesa della piccola avventura pre-cena. Eccitatissimo recuperò la lancia e una manciata di talismani dalle forme curiose, seguendo Shade all'esterno come un cane ubbidiente.
La via madre era inaspettatamente tranquilla, resa sgombra dal temporale che continuava a infuriare sopra le loro teste. Durante la traversata per raggiungere il casale, Shade contò sei secondini e una manciata di mercanti di sole spezie, una decina di avventori di Akinawa e una brigata di mezzorchi ubriachi sulla soglia di una taverna, la più grande accanto alla prima entrata al rione. Sicuro imboccò la terza via sulla destra, intenzionato a circumnavigare l'isolato designato prima di entrare in azione. Compirono un paio di giri d'ispezione mentre faceva mente locale sul da farsi.
Si stanziarono al secondo piano di un rudere, posizionato sul lato opposto del punto di interesse. Il terzo piano era collassato internamente, rendendo inesplorabile il quarto. La caduta del tetto aveva falciato parte del pavimento di legno e la scala interna, costringendoli a una breve arrampicata per raggiungere le finestre che davano sulla strada.
Accendeva un altro sigaro che Sid gli fece segno con la mano. Tirò un paio di boccate e glielo passò, poggiando la spalla al telaio consumato della finestra, l'unica nella stanza provvista ancora delle persiane. Continuò a scrutare il casale dirimpetto senza parlare; sembrava effettivamente abbandonato.
"Ne hai fatti di appostamenti, eh?" scherzò Sid e tirò. "Quanti anni?"
"Tanti".
"Divisione?"
Shade tacque un attimo prima di rispondere. "Quarta".
"Oh, adesso è tutto più chiaro. Cerca, pazienta, uccidi".
"Conosci?"
"Fortunamente non di persona. Ma un mio vecchio socio, anni fa, ha avuto un po' di problemi con la Quarta" ridacchiò Sid.
"È probabile che abbia avuto problemi con me".
"Accidenti! Allora è per questo che non ho sue notizie da quei giorni lì" e sbuffò fuori una nube grigia. "Chi fotte con le Cappe Nere non ne esce più. Giusto?"
"I perseguitati non di certo, ma io ne sono uscito".
"Mi verrebbe da chiederti a quale prezzo".
Shade avrebbe voluto rispondere che il prezzo da pagare fosse umanamente infattibile, folle, inconcepibile per un esterno. Era risaputo che i Cacciatori di Segreti avessero i distorti connotati di una setta religiosa: a differenza dei Guardiani Scarlatti, la divinizzazione di Euramio Castor X e la presenza di rigidi Dogmi obbligava i suoi componenti a donare anima, mente e corpo a due unici scopi; portare a termine ogni incarico, etico o meno, e mettere a repentaglio la propria vita per garantirne la riuscita. Nessuna via di mezzo, perché morire avrebbe condotto all'onore della beatificazione, a un Sudario per essere martiri al fianco degli Dei, e sopravvivere... a una buona paga.
Perseverare tra i ranghi più interni delle Cappe Nere portava vantaggi incredibili, ma i contro non erano da meno. La crepa che sentiva aprirsi nel petto, giorno dopo giorno, era uno di questi.
"Non è un prezzo nella norma. Sono momentaneamente salvo solo grazie a Vankane".
"Beh, vorrei vedere: nessuno scherza col Padre dei Mari".
"Nessuno scherza col Padre dei Mari" ripeté Shade e si sporse un poco, il giusto per sbirciare con maggiore attenzione.
Nonostante la scarsa visibilità di quella notte, l'occhio allenato catturò qualcosa nel casale sorvegliato – secondo piano, quarta finestra. Un bagliore arancio aveva illuminato la stanza per un secondo e un'ombra, dalle fattezze umanoidi, l'aveva squarciato in due. Il tutto era stato talmente veloce che Sid non se n'era accorto.
"C'è qualcuno" e tastò i due piccoli pugnali sistemati nella cinghia bassa della bandoliera. "Valutiamo le opzioni. Retro o..."
"Entrata principale".
Shade rivolse a Sid un'occhiata perplessa.
"Ti ho detto che c'è qualcuno".
"E allora? Disinnesco il sigillo e rompiamo quel qualcuno di botte".
"Preferirei di no".
Il tiefling rise sotto i baffi: "Suvvia, suvvia! Stavo scherzando. Potremmo semplicemente immobilizzarlo".
"Allora entra dalla porta principale e disinnesca, io mi infilo dal retro" sbottò Shade. "Ed evitiamo di rompere di botte chi c'è dentro".
"D'accordo, d'accordo..." canzonò Sid e con un saltello si calò giù dalla fenditura da cui erano saliti.
Shade trattenne a stento un sospiro adirato, ma il tempo di dubitare della professionalità di Sid gli avrebbe ritardato la cena. Perciò uscì dal rudere e silenzioso sgusciò nel vicolo davanti senza richiamare a sé le ombre. Non ce n'era motivo e neanche necessità, perché la forte pioggia avrebbe lavato via la sua presenza.
Un gruppo di randagi abbaiava spaventato quando Shade si infilò all'interno del casale. L'oscurità lo avvolse per un momento, ma la capacità di vedere al buio corse in suo aiuto. Bordi e margini acquisirono immediatamente consistenza, rivelando una stanza fatiscente.
Annusò piano l'aria e l'odore di cibo marcio gli infastidì le narici. Subito, però, distinse l'aroma di incenso miscelarsi a un intenso odore di bruciato.
Si mosse tra il mobilio rovesciato e si acquattò salendo l'unica scala agibile. Sebbene portasse gli stivali, il legno fradicio non scricchiolò sotto il suo peso né collassò durante la salita. Raggiunse con facilità il secondo piano, dove il lampo caldo si era generato dal nulla.
Il puzzo di arso persistette, facendosi, anzi, disgustosamente più molesto assieme al pulviscolo. Restò comunque controllato nei movimenti e concluse una rapida ispezione: la prima stanza a destra riversava nelle stesse condizioni del piano terra, così come la seconda e la terza sulla sinistra. L'altra sull'inizio del corridoio, invece, aveva inciso sullo stipite della porta il simbolo rintracciato durante la ronda dei quartieri: la torcia con le tre fiamme stilizzate.
Shade non lo toccò, eppure scelse di accovacciarsi per investigarlo più da vicino. Allungò la mano e distese le dita: un campo di energia sfrigolante gli solleticò i polpastrelli e li asciugò. Sollevò gli occhi e Sid si piegò sulle ginocchia per mettersi all'opera.
Bastò poco per rendere inutilizzabile anche quel glifo. Lo vide fare forza sulla cupola invisibile col palmo attraversato da un lungo taglio. Rese innocuo il marchio imprimendoci sopra il suo sangue e cancellandolo con una carezza. Chiedergli qualche dritta su misticismi simili, prima di fare ritorno ad Iselfort, non sarebbe stata una cattiva idea.
"Sicuro ce ne saranno di altri" mimò il tiefling. "Fanno affidamento sulla quantità, non sulla qualità".
Shade annuì, asciugandosi il volto bagnato. "Entro nella penultima sulla destra. Controlla le rimanenti".
Scivolò nuovamente nel nero più fitto e subito sfoderò il pugnale. Lasciò che la schiena aderisse al muro e arricciò il naso: una veloce occhiata ed entrò senza timore. Le suole consumate schiacciarono e appiattirono cumuli di cartastraccia e l'unica persiana sbilenca sbatté una volta sola.
Aggrottò la fronte e Sid fu di nuovo al suo fianco. Ripose l'arma facendola saettare tra le dita e il tiefling schioccò le sue. Un turbine di fuoco si materializzò proprio sopra il palmo della sua mano: tutti i sigilli erano stati rimossi con facilità.
Tuttavia, nessuno dei due si azzardò ad aprir bocca per una decina di secondi.
"Beh... strano. Strano forte" riuscì infine a blaterare Sid.
Shade non si era sbagliato: il lampo c'era stato e la silhouette apparsa subito dopo doveva appartenere all'ammasso di carne bruciata riverso ai loro piedi. Solo gli arti, il torso e la testa donavano a quello scempio delle forme vagamente umane. La pelle carbonizzata gracchiava ancora e nauseabonde volute di fumo si sollevavano dal cadavere, impregnando l'aria di quell'odore così sgradevole.
"La stanza si è illuminata per un momento. Com'è possibile abbia preso fuoco così velocemente? È stato un attimo".
Sid sollevò le spalle. "Magia, probabile. Anche se non ho mai visto niente di simile in vita mia".
"Che abbia perso il controllo dell'incantesimo?" domandò Shade, voltandosi, e i dubbi divennero veri e propri dilemmi.
La parete era interamente ricoperta di pergamene spiegazzate, carta di lino, trafiletti di vecchi giornali della provincia di Westcott; una mappa marittima con rotte appuntate occupava una buona porzione di muro e un arazzo bianco con ricamata sopra la fantomatica torcia era stato appeso nel mezzo.
"No, non credo" rispose Sid, avvicinandosi all'armatura sistemata proprio sotto la mappa. "Penso sia stato qualcosa di premeditato" e con due dita sollevò una vecchia toga grigia.
Shade si avvicinò di un passo al macabro collage di informazioni, stracciando qualche appunto per leggere il contenuto. Niente: la maggior parte era trascritta in una lingua mai letta prima.
Si affidò comunque alla memoria. Leggeva e comprendeva in maniera eccelsa l'elfico dei Reami Protetti e qualcosa ricordava della controparte silvana; prima di lasciare le Cappe Nere aveva studiato parte dell'alfabeto nanico in vista di un incarico da infiltrato per conto del Circolo delle Stelle, e grazie a Mar parlava il dialetto del Sud. Ma nessuna lingua continentale sembrava coincidere con quei caratteri.
"Riesci a leggere?"
Sid lanciò un'occhiata a un appunto vicino la sua testa, poi la scosse per negare, anche lui dubbioso.
L'irritazione punzecchiò Shade dietro la nuca, un invito a continuare la ricerca che colse al volo. Passò quindi al setaccio ogni pezzo di carta, anche il più insignificante, scendendo di strato in strato. Stracciava l'ennesima pergamena scarabocchiata che un unico appunto scritto in comune gli saltò all'occhio.
Si trattava di una missiva segretata dei Guardiani Scarlatti, vecchia di appena quattro mesi.
Bratislav Efim Slivar
OMBRA DEL FEY
ORSO DI BRERA
NEMICO DEL REGIME CONTINENTALE, WESTCOTT
NEMICO DELLA LEGISLATURA DELLA SACRA FIAMMA, YAKUTA
AGGIORNAMENTO ORDINANZA SCARLATTA DEL 4833
LATITANTE
Shade lesse e rilesse quel nome, soffermandosi più del dovuto sulla data di emissione del mandato di cattura. Gli occhi schizzarono poi a sinistra, incontrando quelli sgranati di Sid.
"Quando siete salpati da Iselfort?"
"Il due settembre" rispose Shade.
"L'ultimo scalo?"
"Zen-Shen, quattro settimane ad aprile".
"E avete sostato a Goodwick il sei febbraio?"
Il mezzelfo annuì.
"Bene. Ora c'è un motivo in più per credere che qualcuno, sulla galea, stia vendendo informazioni addirittura su tutti i vostri spostamenti" mormorò Sid, osservando il pezzo di carta stretto da Shade. "Quello cos'è?"
"Una missiva. È stata rinnovata di recente, a maggio".
"Di chi si tratta? Un ufficiale tra voi?"
Shade scosse la testa. "Il nome riportato è Bratislav Slivar" e fece una breve pausa per soppesare quanto stava per rivelare. "Il padre di Elizabeth".
Sid si rabbuiò in volto. "Ma non è...?"
"Morto? Oh, così sapevo. Ma a quanto pare è vivo e vegeto" rispose Shade, spostando dal volto due ciocche fradicie. "Questo spiegherebbe la lingua usata negli appunti".
"Credi sia dello Yakuta?"
"Probabile. Chiederemo conferma a Tordek, sperando riesca a tradurla".
Sid guardò, fugace, il cadavere, quasi volesse comprenderne la morte. Suicidarsi a quel modo sembrava sì un gesto premeditato, forse un ordine dell'ultimo minuto, eppure perché lasciarsi dietro così tante informazioni utili?
"Possibile che sia ancora al Santuario?"
"No. Le missive vengono rinnovate solamente se ci sono nuovi avvistamenti del latitante" spiegò Shade. "Se non è morto al Santuario di Far-Shee, come raccontato da Vankane, beh... la faccenda potrebbe complicarsi: non hanno trovato lui, certo, ma si sono spinti ben oltre".
Se quelle persone erano in qualche modo arrivate ad Elizabeth, ricollegandola come parente più prossima di Bratislav Slivar, c'era forse da prendere in considerazione la remota possibilità che...
Nemmeno i Codici d'Importanza avrebbero potuto salvarli da qualsiasi cosa stesse per accadere.
"Domandina: Elizabeth ha una taglia?"
"No, ma da adesso in poi potrebbe averla" Shade chiuse gli occhi. Doveva rimettere ordine ai pensieri. "Prendiamo il necessario e andiamocene. Bisogna capire chi c'è dietro la torcia e perché cercano Bratislav Slivar".
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