Jerk it Out (2/2)
LIZA
Shade fu di parola, ma a modo suo: concesse a Liza il tempo per cercare una soluzione pratica, che comunque non si rivelò sufficientemente... abbastanza e oltremodo ragionevole. Lei che era stata impegnata a compilare liste e spalmarsi l'aloe sul ventre, a tutto aveva pensato tranne che a quello. Difatti, nella mattina presto del giorno designato dove tutti ancora dormivano tranne chi era di ronda, si preparò velocemente e recuperò dall'infermeria la bacinella. Sotto lo sguardo perplesso di Honeypot che era di vedetta raggiunse a tentoni la cabina di comando – dove il drow, creatura notturna qual era, già l'aspettava.
Anche quando fu dentro, Shade si prese i suoi tempi prima di degnarla d'attenzione. Le parlò solo dopo aver appuntato delle nuove coordinate da consegnare a Bek-Rai.
"Oggi sarà più difficile, perché non siamo immersi nell'acqua" e le fece cenno di poggiare la bacinella piena a terra.
Liza aspettò che lui si inginocchiasse dalla parte opposta alla sua per fare lo stesso. Intanto che si sistemavano tirò la cucitura superiore della gonna, il lembo a sfregarle sulla bruciatura pulsante. Sentiva freddo e una patina di sudore le imperlava la fronte coperta dalla frangia storta. Vittima della smania aveva dimenticato di prendere la rugiada e cambiare la benda.
"Elizabeth" la chiamò il drow, l'indice già pronto a schioccare sul suo anello.
"Sto bene" masticò lei, respirando dalla bocca e tornando in sé. "Mi sono bruciata la pancia prima di partire".
"Torna all'infermeria e cambia la medicazione, io ti aspetterò qui".
"Ho detto che sto bene" ribadì Elizabeth con un filo di voce, spostando poi lo sguardo su una cassa aperta. "Ci vorrà del tempo per disinfettarla. Se mi faccio un mezzo andrà meglio".
Shade le fece un cenno con la testa e lei, di riflesso, si alzò per trafugare una bottiglia di rum. Buttò giù più di un sorso, le guance tenute piene per qualche istante, quel tanto da sentire il palato andare a fuoco.
Tornò in ginocchio, deglutendo. Le palpebre vennero giù da sole e la testa sembrò farsi più leggera. Come un rituale necessario, le dita schioccarono all'unisono sugli artefatti arcani e la connessione ebbe inizio; il vibrato basso a fondersi col cinguettio acuto.
"Non c'è l'acqua, ma c'è il suo cullare. Concentrati su quello. Lasciati cullare".
Shade immerse i palmi nella bacinella per circoscrivere l'acqua da manipolare. Liza non riaprì gli occhi e, d'istinto, puntò le mani in avanti ancor prima di avvertire il liquido a un soffio dalle unghie.
"Comprimi".
La manipolazione cominciò in un modo che mai si sarebbe aspettata di poter mettere in pratica: immaginò l'acqua attorno e dentro di lei; tra i capelli, nella bocca, vicino i timpani, nei polmoni. Il metallo dell'orecchino che lentamente s'infiammava, stridente, e tremolava frenetico tra le ciocche nere, quelle che erano sfuggite alla treccia fatta prima di andare a coricarsi. Dosò le carezze, il loro andamento, la pressione da applicare. Si concentrò sul mare calmo che l'aveva invasa per intero ed esaminò il dolore caldo e pulsante nel...
Ventre. Il sapore secco del rum che le incendiava la gola. L'acuto perfettamente calibrato al basso ringhio emesso dall'anello dell'ufficiale, che si accompagnava allo scricchiolare del legno e al gorgoglio del mare. Scandagliò qualsiasi percezione fisica e mentale subita, tranne l'agonia cocente che le martoriava il lobo.
Trova un modo per controllare il dolore.
"Continua così" la voce di Shade era adesso ridotta a un sussurro. "Brava, continua così".
Un'altra pulsazione le fece andare a fuoco la carne della pancia.
Altro dolore?
"L'orecchino è carico. Fermati".
Bloccò ogni sua azione e schiuse le labbra per lasciare uscire un respiro pesante.
Dolore per controllare altro dolore?
Paura per controllare altra paura?
Elizabeth sollevò le palpebre e incastrò gli occhi in quelli neri e arancio di Shade, accantonando ogni pudore. La sfera d'acqua restò ferma anche quando gli afferrò le mani, in un movimento troppo delicato per le falangi di mostro che aveva al posto di dita umane.
Inconcepibile e insubordinata, ecco cosa le parve di leggere sul volto di lui, eppure non accennò a ritrarsi.
Ho solo bisogno di equilibrio.
Si guardarono a lungo e Liza realizzò di essere affamata. Che la sensazione di stranezza scaturita dalla vicinanza di Shade poteva elaborarla in maniera differente, a piccoli morsi. Che avrebbe potuto cibarsi delle sue briciole senza provare senso di colpa, disgusto verso sé stessa, per il mostro che era.
Perché Shade le permetteva in maniera del tutto conscia di servirsi del catalizzatore per dare controllo ed energia all'orecchino, che era un suo prolungamento emotivo, fisico e mentale: una permissione fottutamente intima, privata, segreta; prendere dell'energia filtrata da qualcun altro e farla propria per scatenare il finimondo.
Mangiare un pezzettino alla volta per arrivare alla sazietà.
Dalla terza settimana di allenamento tutto era proceduto senza intoppi durante la sincronizzazione, almeno fino al sopraggiungere del dolore: per la prima volta in vita sua, Liza aveva plasmato dell'acqua di mare e tenute accese piccole fiamme rosse sulle punte delle dita. Aveva sperimentato il controllo su sé stessa, sulla lei rigurgitata dall'incubo che ricorrente la svegliava nel cuore della notte; quella bestia che tanto temeva uscisse di nuovo allo scoperto per ferire e non per curare, come era successo con Patrick quando erano bambini e a quattordici anni, in quella stiva.
E comprenderlo così, durante la sincronizzazione, fu allettante.
Anche se il dolore persisteva in più parti del suo corpo, riusciva a sopportarlo. Riusciva a respirare. A pensare.
A controllarsi perché Shade esercitava il controllo su di lei.
"Spezza".
Un'ombra scura si allungò sul volto sempre stoico e la sclera nera parve incupirsi ancor di più quando la connessione venne a mancare. Shade slegò le mani da quelle di Liza e scansò la bacinella per non avere più alcun impedimento tra di loro.
"Sei stata brava" lo sentì dire.
Tutto il coraggio che Liza aveva impiegato per violare qualsiasi barriera fisica era svanito nel nulla cosmico, risucchiato dalla codardia e la leggerezza innescata dal rum. L'aggrapparsi istintivamente a lui era stato mille volte più sfiancante che mettersi emotivamente a nudo la mattina della loro partenza.
Ho solo bisogno di equilibrio, avrebbe voluto dire per giustificare quel gesto improvviso, la sua insaziabilità. Sarebbe parsa debole e...
Elizabeth avvampò con le dita di Shade a scivolarle sotto il mento. Con una pressione calcolata del pollice la forzò a cascare sui palmi e a un contatto visivo prolungato.
Era semplicemente perfetto e si sentì morire mentre cercava di elaborarne la stessa perfezione, adesso che erano così vicini.
Perfetto perché sul punto di rompersi.
Come Patrick, come Miriam. Come Vankane.
"Oggi sei stata brava" ribadì lui in un sussurro roco. "Ma non fare con me il passo più lungo della gamba" e fece una breve pausa, mentre passava in rassegna con gli occhi il viso bianco di dolore, il collo scoperto, il sangue che le insozzava il lobo ferito, il seno intrappolato nella camicia striminzita. "Io non sono Patrick".
"Lo so".
"Ciò che ti ordino di fare, fai".
"Lo so" ripeté lei.
Shade continuò a non battere ciglio. Nessun sentimento visibile in volto. Nessuna contrazione involontaria o mutamento d'espressione repentino.
Una maschera di ghiaccio e ferro. Disciplina e controllo.
Le due qualità che, maledizione, le mancavano da una vita intera e la rendevano debole e viziata agli occhi di chiunque.
Perché non poteva essere come tutti gli altri e basta?
"E ricorda che qui, sulla nave di Alexander Vankane, decido anche io, perché lui è anche mio padre. Ti è chiaro?"
Liza non parlò, le ultime parole rimaste accartocciate sul fondo della gola. Deglutì a vuoto e un brivido gelato corse lungo la schiena, facendole rizzare i peli sulle braccia. Dal canto suo, Shade attese pazientemente una risposta, un umile cenno di assenso, ma niente giunse alle sue orecchie e nessun movimento fu compiuto.
Allora inclinò leggermente il capo di lato e, premendole rudemente la base del mento verso il basso, la vincolò a un bacio umido e affamato. Sì, lento e infinitamente ingordo – come se Shade avesse atteso, paziente, la realizzazione di quel momento e ora ne gustava i frutti con ineluttabile calma, proprio come farebbe un predatore che finalmente artiglia la sua preda e assapora tutto di lei, qualsiasi cosa. Sangue, ossa, muscoli. Carne. Anima.
Per Liza, assaporare Shade e non scostarsi fu devastante. Sapeva di sigari e rum, ciò che odiava e amava di più al mondo. Perciò s'intensificò la fame, infame; quel buco in mezzo al petto, al centro dello stomaco dell'anima che neanche Patrick era riuscito a colmare.
Ho solo bisogno di equilibrio.
Ho solo bisogno di controllo.
Da sola non ci riesco.
Le sfuggì un sospiro ovattato, smorzato dallo stesso bacio e Shade sembrò accendersi di rabbia. Le dita a sorreggerle il mento scattarono dietro la sua nuca e si chiusero in una morsa tanto stretta da impedirle di divincolarsi, voltare il capo, staccarsi; scappare lontano da lui. Le lingue che schioccavano assieme, quella di lui che scivolava sempre più in fondo nella bocca di Liza, che a momenti neanche riusciva a respirare.
Scoprire la fame di Shade la confuse, come in principio era accaduto con Patrick quando l'aveva fatta sua per la prima volta nel rudere sotto la costa di Iselfort. Quegli intenti li aveva semplicemente lasciati morire lì dove li aveva trovati, senza razionalizzare il perché e il come. Era stata al gioco a occhi chiusi, subendo il desiderio e il capriccio di qualcun altro, facendolo suo in un secondo momento.
Un'altra chiave di lettura del desiderio l'aveva invece appresa da Miriam, che da quattro anni si prostituiva al borgo. Liza si era sempre trascinata, senza appetito, tra le chiacchiere e i pettegolezzi che l'amica d'infanzia le sussurrava sugli uomini e sulle donne che approdavano ad Iselfort. Uomini e donne che partivano affamati, tornavano di rado e ripartivano sazi, e lei che li aspettava ogni giorno, ogni mese, ogni anno in una casa diversa di Dama Porcelain, amandoli con superficialità. Senza mai amarli veramente, oppure lasciandosi amare per non fare distinzioni. Da un estremo all'altro; dal digiuno all'ingordigia in un battito di ciglia. Ed Elizabeth, metabolizzandolo a lungo termine, l'aveva catalogato come un desiderio generale, nato dalla necessità. Dalle circostanze.
Con Patrick aveva perciò scoperto il desiderio occasionale, con Mimi il desiderio indotto, paziente. Con Shade, invece...
Un desiderio regolamentato.
Come una promessa marchiata sulla bocca, Liza gli succhiò il labbro per interrompere la vicinanza. La mano di lui, che nel frattempo si era spostata sul davanti e le aveva avvolto la base del collo, si richiuse sul nulla. Qualche ora dopo i segni di quelle dita sarebbero apparsi proprio lì, come a manifestare un'attesa che si era concretizzata nel modo più violento e inumano possibile.
Una lacrima le ripiegò sullo zigomo. Aveva preso solo una briciola.
La prima.
E già ne desiderava di altre.
Una fame violenta, ma in parte dominata.
Lo sguardo di Shade si spense. Tornò vitreo, una pozza nera bucata da una macchia arancione, e Liza uscì dalla cabina di comando che si reggeva il ventre dolorante.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro