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LIZA
Fece ritorno alla bottega di Sid verso le quattro e mezzo col desiderio di mettere qualcosa di sostanzioso sotto i denti. Il religioso silenzio che aveva avvolto il rione in quei tre giorni andava via via annientandosi, segno che la celebrazione stava lentamente raggiungendo il suo culmine.
Camminado per i vicoletti addobbati da drappi e tappeti rossi lasciati stesi, un calore festivo e gioioso le crebbe sotto pelle e Liza si sentì inaspettatamente coinvolta da quell'euforia generale. Dovunque posasse gli occhi erano stati costruiti muri di candele, migliaia di stoppini accesi a segnalare un percorso da seguire, e ogni abitante si accingeva a sistemare fuori dalla propria casa gli altari dedicati alla Dea.
Se Allelah non avesse fatto ritorno per il suo impegno al quarto rione, avrebbe chiesto a Kelua e Ragor di fare lo stesso per rispettare il suo credo. Perciò accelerò il passo prima di imboccare l'ultimo svincolo e una voce a lei cara le giunse alle orecchie.
"Eccolo qui, il mostriciattolo più maltrattato e sottopagato di tutto il mare occidentale!" trillò Honeypot e giocosamente le andò incontro a braccia aperte. "Non ti aspettavi di vedermi, neh? Vorrei dire che sì, mi è pesato il culo scendere, ma dove c'è baldoria ci sono io".
Liza si lasciò stritolare, affondando nel petto generoso della donna. E pensare che erano a malapena trascorsi cinque giorni dall'inizio dello scalo, ma Lavinia era fatta così: eccessiva ed esuberante oltre ogni limite accettabile, ma di certo più affettuosa di Altea.
"Ciao La-vi... Lavinia..." tossì in un mugolio. Giurò di sentire lo scricchiolio di qualche osso a caso.
"Più brio, tesorino, più vita! Mamma mia che agonia, Liza" cinguettò l'ex ufficiale e se la staccò di dosso senza però togliere le mani dalle sue spalle. "La stronza narcisista ancora sfacchina?"
Il riso di Liza venne spezzato dalla boccate d'aria che si sbrigò a ingoiare. "Sì, è rimasta al lazzaretto, ma credo che tornerà tra poco".
"Bene, che sono ancora lucida e possiamo stare ad insultarci per bene. È l'unica che mi da soddisfazioni, quando si tratta di litigare fuori contesto" fiancheggiandola per passare il braccio dietro il suo collo, Honeypot la guidò all'interno della bottega, adesso affollata come il primo giorno di entrata al rione.
Liza individuò i volti di Finrar, Midna, Loid e Selfan, con l'aggiunta di un elemento che mai si sarebbe aspettata di vedere lì, ovvero Prom, addetto carpentiere sulla galea. All'appello mancavano solo Kyd e Ragor, di sicuro scaricati a sorvegliare i casali situati all'entrata del vicolo; per il resto, il duplicarsi di facce familiari la fece sentire al sicuro.
"Perché siete scesi anche voi?" le domandò, fermandosi vicino Kelua. La Tabaxi le pizzicò di proposito il dorso della mano, indicandole a sua volta Prometes con una breve occhiata.
"Beh, perché signor raggio di sole laggiù ha bisogno di dormire" cinguettò Lavinia, alzando il tono di voce per prevalere su tutti gli altri chiacchiericci. Indicò Shade sul fondo dello spaccio di talismani, appoggiato al bancone perennemente in disordine.
Vestito comodo, come era strano lo fosse date le circostanze, portava alla cintura un solo pugnale foderato e il petto era libero dalle cinghie di cuoio. Pareva riposato, e i lineamenti del viso quasi resi dolci dal giusto sonno – questo prima che Lavinia lo apostrofasse in quel modo.
"Grazie, Honey, davvero. Questo raggio di sole è felice di poter fare affidamento su di te" masticò, il volto di nuovo rabbuiato.
"Dieci anni di onorato servizio come ufficiale di vedetta, Shade, neanche un giorno di riposo. Fosse mai passato lo straniero sotto di me, che te lo dico a fare. Voi giovincelli siete tutte scaramucce e lamentele. La donna cannone, mi chiamavano negli anni d'oro, e..."
Loid e Selfan commisero l'errore madornale di aprire bocca per scambiarsi un paio di battute sottovoce. Honeypot manco si voltò a riprenderli, preferendo di gran lunga una diplomazia più immediata: quella della sua minuscola balestra appesa al fianco sinistro, soprannominata Lia, gemella di Mia, l'altra a riposo a destra. Entrambe erano identiche nei meccanismi, ad eccezion fatta per la letalità; colpi neutri per la prima arma da lancio e mortalmente velenosi per la seconda. A volte ancora le confondeva tra loro e questo poteva rivelarsi... mortale.
Il dardo scoccato si piantò a pochi centimetri dalla testa dei due, perfettamente nel mezzo. I tagliagole restarono fermi, immobili come statue, e parvero rivivere l'inferno in terra, loro che erano stati sottoposti della suddetta per tutta la durata dei dieci anni.
"Se io parlo, nessuno parla. Ancora non vi entra in testa? Oppure devo farci entrare qualcos'altro?" scandì la donna, il terribile tono di voce di un usignolo. "Giurin giurello che questa settimana al distretto con me sarà un perpetuo ricordare i vecchi tempi. E col gran cazzo che pisciate sui tetti o abbandonate le postazioni per andare a farvi un bicchierino: se solo ci provate vi ritroverete nudi come dei vermi e con una bottiglia di rum rovesciata nel culo".
Nessuno si mosse e parlò, tranne Shade. Sollevò le mani e se le batté aperte sui fianchi.
"Bene, canaglie. Godetevi la vostra punizione" esalò, stranamente soddisfatto e punzecchiando Silaf con gli occhi. Si frugò nelle tasche dei calzoni alla ricerca del portasigari e respirando a pieni polmoni si avviò verso l'uscita. "Ve l'avevo detto che non sarebbe stato gradevole" aggiunse prima di dileguarsi.
Lavinia estrasse l'orologio da taschino e controllò fugacemente l'ora. "Fantastico, cioccolatini miei. I nuovi turni iniziano adesso" constatò, sorridendo bonariamente a ognuno di loro. "Correte, su".
La calca si riversò all'esterno subito dopo e Liza venne abbandonata al suo destino.
"Ti va di farmi un massaggino sulle spalle, tesoro? Tutta questa umidità mi stressa i nervi e gonfia i capelli. E poi hai delle manine che sono magiche".
Senza possibilità di replica, Elizabeth la seguì nella saletta accanto e l'accontentò come meglio poteva. Se negli anni aveva capito che Altea incarnava di diritto tutti i suoi peggiori incubi terreni, Lavinia Lemaire non era da meno con chi cercava di farle le scarpe o si azzardava a dirle no.
Cinquant'anni suonati (o forse qualcosina in più), era stata la seconda in linea di successione a unirsi alla ciurma di Vankane, subito dopo Bek-Rai, e insieme ne avevano gettato le fondamenta ancor prima di possedere l'attuale galea. Si era unita ai due poiché ricercata in tutto il Continente per truffe milionarie ai danni di quattro ricchissimi parlamentari – questo alla umile età di ventidue anni, con già alle spalle due matrimoni e una passione spropositata per la grana facile.
Di nobili origini ma con la casata caduta in disgrazia durante il genocidio elfico, Lavinia aveva pianificato la sua fuga alle parole matrimonio riparatore con l'uomo a cui era stata venduta per il riscatto pubblico, di ventiquattro anni più vecchio. Premeditando quindi uno sgradevole incidente, o almeno così lo definiva raccontandolo, era riuscita senza troppa fatica nel suo intento: lo stronzo era stato ritrovato morto nella carrozza in cui entrambi stavano viaggiando per convolare a nozze, il tacco di una scarpetta bianca ben conficcato nell'occhio.
Sciolte le briglie del cavallo e ancora vestita da sposa, aveva raggiunto il ricevimento solo per mandare a fare in culo tutti gli invitanti, fuggendo poi via bestemmiando. Tempo dopo le era giunta voce che sua madre era crepata d'infarto proprio quel giorno e lei, parole sue, ci aveva brindato su.
Compiuti sedici anni, si guadagnò il primo mandato di cattura per omicidio, ma questo non la fermò. Dovette passare altro tempo prima che l'appellativo Honeypot, vasetto di miele per i ribelli riccioli biondi, diventasse sinonimo di puro terrore nelle belle corti di Westcott. In particolare, dopo che ebbe ridicolizzato e derubato i tre parlamentari. Addirittura fu sposata per circa dodici ore col quarto, un importante affiliato alla corona di Westex, di cui tuttora indossava la fede nunziale come monito.
Ovviamente l'ultimo malcapitato, come il primo, venne ritrovato agonizzante con un tagliacarte nel bulbo oculare, ma vivo. La sua futura maestria con le armi da lancio, dunque, era già stata scritta nelle stelle e Sir Javier Delgado, uno degli attuali Signori di Falencia, si giocò l'occhio sinistro e la reputazione dopo averla beccata a letto... con sua sorella.
L'aneddoto dell'incontro con Vankane era da sempre il suo preferito: lui e Bek-Rai stavano a ubriacarsi in una delle peggiori taverne del Sud; entrambi puzzavano di rum scadente e probabilmente vomito, reduci da un lungo viaggio proprio alle Dune. Lei li aveva abbordati per ricavarsi quantomeno una bevuta pagata, ma erano finiti per impicciarla in alcuni affari proponendole di fare la cuoca sul loro piccolissimo veliero rubato.
Lavinia aveva accettato all'istante sebbene non avesse la minima idea di come si cucinasse, di chi in realtà fossero, del perché e del come. Sapeva solamente che se i Guardiani l'avessero catturata la sua testa sarebbe finita su una picca prima di compiere ventitré anni.
Così era diventata una contrabbandiera.
Tre decenni più tardi, Honeypot mai aveva cucinato in vita sua. E internamente, si era spesso confidata da sbronza, ringraziava quella rabbia cieca che l'aveva aizzata a uccidere il suo primo, e mai ufficiale, marito che le aveva sfregiato la dignità a tredici anni.
Dell'infanzia di Liza sulla nave anche Lavinia ne aveva largamente fatto parte. Spesso l'aveva tenuta stretta tra le braccia per calmarne il pianto dove gli altri non pazientavano, oppure letto romanzetti senza nome per farla addormentare. Terminati gli abbordaggi era sempre stata la prima a sollevare il coperchio del barile in cui sott'ordine doveva nascondersi, le orecchie tappate per attutire nella testa i boati delle cannonate d'avvertimento.
Ma Honeypot era comunque Honeypot, e finiva col canticchiare stupidi sfottò sulle tette e sui cazzi dei nobili per farla ridere, mentre sul ponte si spartiva la merce e ci si liberava dei prigionieri di troppo gettandoli in alto mare. E questo era insano. Insano, pietoso e...
Amorevole.
A quei ricordi, una strofa in particolare le tornò alla mente e Liza non riuscì a reprimere un risolino. L'altra aveva già scolato più di mezza bottiglia di vino, quel vino, malgrado avesse provato a dissuaderla dal berlo. Ma... Honeypot era comunque Honeypot, e sicuro e chiaro come il sole lo aveva fatto di proposito.
"Perché ridi, tesoro?" le domandò, ciondolando la testa.
"Niente. Ripensavo alla canzone delle palle di Sir Arturo".
"Col cazzo piccolo ma il cuore grande, le palle gli pendevano solenni vicino il buco del cu-"
"Non cantare quella canzone!"
Una mano affusolata s'impicciò alla tenda rossa e la tirò via. Liza sorrise nervosa quando Altea puntò gli occhi su di lei, per poi rotolarli sulla bottiglia di vino trafugata e infine lasciarli cadere pesantemente su Honeypot. Un odio senza fine ci trapelò dentro.
"Santa Selemena, perché sei qui" borbottò, gettando a terra la tracolla.
"Ciao, bocconcino. Chiamami pure ufficiale di vedetta fino all'asta di giovedì".
Liza udì i denti di Altea scricchiolare.
"Shade!" strillò la maestra col volto già colorato di rosso.
Qualche attimo d'attesa tra la ricezione del grido e lo scoppiare di un paio di risate che Shade ebbe modo di mandarla in bestia in via definitiva.
"Ordini dall'alto!"
"Ordini dall'alto un cazzo, alla prossima seduta ti farò rapporto!" sbraitò la mezzelfa. "E tu smettila di massaggiarle le spalle! Sparisci immediatamente, prima che te le suoni per bene".
"Ahm... faccio un massaggio anche a te?" pigolò Liza. L'ulteriore occhiataccia che le arrivò addosso la costrinse ad alzarsi, le mani tenute in bella vista e la schiena schiacciata al muro mentre camminava. "Va bene, va bene, vado via e la smetto coi massaggi sulle spalle..."
"Dai, bocconcino, suvvia, che guastafeste che sei. Ti va se canto la canzone che ho scritto sulle tue tette?"
"No!"
Acciuffò gli stivaletti e sgusciò sotto la tenda per avere salva la vita. Lo stomaco brontolò, ma la necessità di lavarsi vinse momentaneamente sulla fame. Entrò nella casa di Allelah che si premeva una mano sulla pancia per attutirne le proteste e il solito randagetto di cui non sapeva il nome si riscosse dal dormiveglia, scodinzolante. Si premurò di coccolarlo un poco, visto che Sid mancava alla bottega dal giorno precedente, e quest'ultimo la seguì al piano di sopra. L'altro restò a dormire vicino le braci calde.
Kelua già stava a lavarsi, reduce dal turno mattutino. Per fortuna avrebbe avuto la serata libera per partecipare alla celebrazione di Nox.
"L'acqua è ancora tiepida, l'ho bollita da poco" le disse la Tabaxi e immerse le mani nel coccio per sciacquare un'ultima volta faccia, orecchie e collo. "Altea non l'ha presa bene, eh?"
"Come se fosse una novità" rispose Liza in uno sbuffo e sbottonò la camicia per toglierla. La gettò a un angolo della stanza e tirò giù la gonna. "Ma neanche io avrei pensato di vedere Honeypot qui al rione".
Kelua strofinò le palpebre con gli indici prima di schiuderle e restare a guardarla. La più piccola colse al volo l'invito ad avvicinarsi per pettegolare e, saltellando prima su un piede e poi sull'altro, tolse entrambe le calzamaglie e le sgattaiolò accanto. Si curvò sulle ginocchia e se le strinse al petto per stare alla sua altezza.
Sporgendosi per sussurrarle nell'orecchio offerto, Kelua coprì la bocca con la mano per attutire ulteriormente il bisbiglio. "Durante la pulizia di ieri, Ragor mi ha detto di aver visto delle figure allontanarsi mentre era appostato lì".
L'ansia le sigillò immediatamente la bocca dello stomaco. "Qualcuno li stava pedinando? Li ha pedinati?"
"Sì. Honyepot è stata richiamata a coordinare mentre Shade si muove per tenere d'occhio la situazione" continuò Kelua. Si prese qualche momento per esaminare i rumori che provenivano dall'esterno. "Al tavolo da guerra credono che qualcuno stia vendendo delle informazioni sui nostri affari da un po' di tempo, sull'asta di giovedì in particolare".
Liza deglutì a vuoto e d'improvviso si sentì pervasa da un caldo anomalo.
"Ma nessuno, se non gli ufficiali, è al corrente di ciò che deve essere comprato".
"Appunto. Ma se si pensa ci sia una talpa sulla nostra galea è un bel problema. La partecipazione all'asta non può saltare, hanno già stretto accordi con Zen-Shen per il manufatto. Forse, in un modo o nell'altro, qualcosa è trapelato dalla cabina di comando".
Un paio di tasselli s'impilarono al posto giusto, ora che ci pensava più attentamente, ma confabulare a stomaco vuoto si stava rivelando più arduo del mantenersi calma.
"O forse lo hanno fatto di proposito per avere una base più concreta, se si tratta comunque di una situazione datata" formulò Liza in un bisbiglio. "Ed è per questo che Shade ha cambiato i turni ogni giorno? Di solito sono fissi per tutta la durata dello scalo".
"Molto probabile che l'abbia fatto per annotarsi gli spostamenti di tutti e riferirli".
"E Kaena?"
"Stessa cosa. È rimasta sulla nave per questo motivo".
L'intera situazione le sembrò irreale; tanto inverosimile che sentì la lingua paralizzarsi e il sangue defluirle lentamente dal viso, rendendoglielo pallido più del solito. L'idea che qualcuno a lei caro stesse giocando sporco con tutta la famiglia continuò a non crederlo possibile.
"Prima che tornassi dal lazzaretto..." affondando le mani nel coccio, Liza ricordò come muoverle e soffrì l'acqua ormai fredda sulla pelle. "... Chi è stato convocato per parlarne?"
"Dell'intera faccenda, beh... solo io, Ragor e Prom. Tordek ci ha chiamati in disparte nella loggia e lì c'era già Shade. Tutti gli altri sono stati informati solamente del pedinamento di ieri" rispose Kelua e si allontanò.
Liza sciacquò la faccia e sollevò la testa mantenendo gli occhi chiusi. Quando li riaprì, soffermandosi a guardare la lampada ad olio, individuò le solite due falene a trotterellare attorno al tenue bagliore scaturito. Sospirò.
"Quindi i rimanenti sono tutti dei sospettati".
La Tabaxi annuì e continuò a tenere basso il tono di voce. "Stanotte sarà lunga. Tu fammi il favore di non andare a cacciarti nei guai come fai di solito".
"Non starai con me?"
Kelua inarcò un sopracciglio e un sorrisetto beffardo le arricciò le labbra. "Ragor mi ha invitata a bere, sotto consiglio di una persona in particolare" disse, ciondolando il capo per scimmiottarla. "Ma non credo che qui alle Ossa abbiano lo stesso rum della riserva personale di Bek-Rai, uno dei miei preferiti in assoluto, come gli ha detto un uccellino".
Liza coprì il volto con le mani di strega e si morse la lingua.
"Certo che è proprio un idiota..."
"E tu parli troppo" fulminea, Kelua le pizzicò un braccio per gioco. "Ma... sì. È un idiota carino che non sa dire le bugie".
Liza rispedì alla mittente il pizzico. "Ti ha anche detto che odio quando cominciate a smanacciare?"
Kelua sgranò gli occhi. "No! Cioè... sì, ma..." balbettò, arrossendo all'istante.
"Veramente credete che io non me ne accorga?"
"Ma russi!"
"Okay, mi addormento subito, ma posso svegliarmi altrettanto velocemente visto che ho il sonno leggero. I tuoi mugolii non aiutano di certo" cercò di spiegarle Liza. Una spinta data sul polpaccio con un piede e cascò seduta all'indietro.
"Non sentire, Tap" rispose la Tabaxi e l'altra sollevò le braccia per ammonirla. "Oppure facci il callo: il dormitorio è comune e pure quello che ci succede dentro. Starai tranquilla solo dopo che sarò diventata capo guerra e avrò diritto a una cabina tutta mia".
"Certo che voi due siete proprio perfetti assieme" commentò Liza in un lamento, colta in fallo da un fastidioso déjà-vu. Kelua si alzò e le tirò la punta dell'orecchio prima di andare a rivestirsi. Ultimo giro, ultimo avvertimento.
Liza buttò la testa all'indietro per guardarla. "Allora mi metterò a dormire in mezzo a voi e voglio proprio vedere cosa vi inventate".
"A tuo rischio e pericolo" la minacciò Kelua, adesso sorridente ma con ancora le guance paonazze per l'imbarazzo.
Finirono entrambe di prepararsi e sistemarono l'altare fuori dalla casa di Allelah prima di andare a cena. Dal cielo cadde qualche grossa goccia, ma la vera pioggia per fortuna non arrivò, come a voler rispettare la lunga nottata di celebrazione. Si mangiò a turni nella saletta più interna della bottega e Liza approfittò dell'assenza di Altea per godersi in santa pace i suoi tre mezzi, con l'aggiunta di un quarto non preventivato ma necessario.
Il bisogno di stordirsi l'aveva assillata quando Kyd le si era seduto accanto assieme a Loid. La felicità era sfumata tutta assieme e di familiare, addosso, ora percepiva soltanto l'inquietudine, fedele ai suoi precetti da una vita intera. Arrivò così a riempirsi pure il quinto, ingurgitato velocemente assieme all'ultimo morso di carne secca. Uscì dallo spaccio di talismani con l'impressione di star camminando su una nuvola, tanto divennero leggere e sfocate le percezioni tutte intorno.
Assieme a Kelua e Ragor, raggiunse a tentoni il corso principale, spaccato a metà per lasciare sgombro il centro. Il tumulto scatenato dalla celebrazione era intenso, denso, talmente caloroso da disorientare chiunque si azzardasse a prenderne parte.
Camminarono accostati ai muri illuminati dalle migliaia di ceri accesi, inciampando più e più volte nei bambini che s'infilavano come serpentelli tra le gambe e fuggivano via ridendo. Tante voci, invocazioni nel dialetto più stretto del Sud; spacci lasciati aperti e taverne tipiche da cui fuoriuscivano tante risate e grida. Seppur non propriamente lucida, Elizabeth conteggiò comunque tanti visitatori esterni e parecchi secondini di guardia agli angoli dei vicoli o mischiati tra la folla.
Giunsero alle orecchie, atoni e cadenzati, i tonfi emessi dai tamburi che avrebbero scandito i tempi della processione. Kelua le afferrò la mano per guidarla a zig-zag verso una cassa sigillata e Ragor fu l'ultimo a salire. Lo videro acciuffare un ragazzino che sbracciò dal basso, lamentoso, e senza dire nulla tenerselo sulle spalle. La probabile mamma lo ringraziò con gli occhi, che lui prontamente spostò altrove.
Kelua rise e dovette alzare la voce per farsi sentire. "E da quanto sei gentile coi bambini?"
"Più o meno da quando conosco Liza" sospirò Ragor e l'interpellata gli assestò una gomitata sulla pancia.
La processione finalmente arrivò a sfilare davanti a loro. La punta era capeggiata da una figura esile, vestita di un sari totalmente bianco, con le corna placcate d'oro e ornate di decine di catenine, pendenti e gemme preziose. Seguiva dietro la vestale delle Dune un secondo corteo di donne abbigliate alla stessa maniera, circa una ventina, ma scevre di gioielli e col volto celato da un sottilissimo velo giallo. Tutte intonavano un canto privo di parole: quando la fila delle dieci di destra sigillava la bocca e faceva vibrare sotto al palato un'armonia continua e penetrante, quella di sinistra caricava in gola tre piccole grida, accompagnandole al tintinnio prodotto dalle cavigliere scosse, e viceversa.
La litania riprendeva e s'interrompeva col battere delle mani della prima eletta, perfettamente sincronizzato alle percussioni. Un fuoco arcano giaceva sospeso a mezz'aria innanzi a lei.
Subito dietro seguivano gli arcanisti e Liza non faticò a individuare Sid. Anche loro scissi in due colonne, nel mezzo di esse ci camminavano dei volontari addetti a tenere alte delle fiaccole accese. A turno ognuno di loro si protendeva in un gesto teatrale verso la fiamma, ne agguantava una porzione e se la modellava tra i palmi prima di spruzzarla verso l'alto.
Uno spasmo le percorse la mano a osservarli manipolare con facilità un elemento imprevedibile come solo il fuoco poteva esserlo. E Kelua, quasi a leggere i suoi pensieri, se la portò vicino con uno strattone per parlarle.
"Immagina quando saprai farlo anche tu!" esclamò. "Sarà fantastico!"
"Sì" le rispose a voce alta. "Sarà... fantastico" e i toni si appiattirono sulla fine, divenendo un sussurro malinconico. Cominciò a giocherellare con l'orecchino intanto che Sid si allontanava quel tanto da essere indistinguibile tra la folla.
Ragor riconsegnò il bambino a sua madre e scese dalla cassa. Subito si voltò per offrire la mano a Kelua; lei lo ignorò di proposito e saltò giù, leggera come una piuma nei movimenti, e gli diede uno spintone sulla spalla a mo' di presa in giro, camminandogli poi davanti.
L'invito lo accettò Liza e tornando goffamente a terra gli stritolò il palmo. "Ma la smetti di essere così cretino?"
"È che non so mai come comportarmi con lei!" sbottò in un mormorio, prendendo le distanze dalla Tabaxi per non farsi udire.
"Avanti, dai, è... Kelua. Non avrai mica pensato di regalarle un mazzo di fiori o di portarla a fare una passeggiata al chiaro di luna?"
Ragor sollevò l'indice come a zittirla, ma ci volle qualche secondo prima che riuscisse a formulare un pensiero decente. "Diciamo che... sì, avevo preventivato un mazzo di fiori, ma non la passeggiata. Dici che potrebbe andare?"
"Oh, cazzo, Ragor, per la miseria" sospirò Liza e calciò un sasso per scaricare la rabbia. "Senti, portala a ubriacarsi e dille che ha un bel culo. Niente fiori, ma mezza passeggiata per smaltire ed eventualmente vomitare in un vicolo ci può stare. Non dirmi grazie per averti acchitato la nottata".
Ragor si fermò sul posto e la guardò dall'alto con le sopracciglia aggrottate, sospettoso. Fece per aprire bocca, ma Liza fu più veloce a tappargliela con un pizzico a tenere unite labbra.
"Io e te non ci siamo mai parlati e soprattutto non ti ho suggerito di farle gli apprezzamenti sul didietro" lo minacciò e si pungolò i fianchi coi pugni chiusi. "Chiaro?"
Ragor le diede una schicchera in mezzo alla fronte per vendicarsi. "Chiaro".
Si mossero lenti tra la fiumana di persone e raggiunsero la piazza principale che il fuoco maneggiato dalla vestale era già stato depositato all'interno di un enorme braciere. Tutte le altre ancora intonavano la nenia attorno ad esso, stavolta cantata nella lingua del Sud, e ne accompagnavano i ritmi con arpeggi e danze coordinate.
Liza si sollevò sulle punte per cercare di vedere e qualcuno le picchiettò sulla spalla per catturare la sua attenzione. Gil le sorrise sorniona e subito le presentò sua sorella Kim, la maritata con un mercante del distretto, un umano di Akinawa che commerciava mosaici e ceramiche.
Fortunatamente aveva indossato i guanti prima di uscire, ma fallì a tentare di non sorridere troppo. Malgrado ciò Kim le riservò occhiate traboccanti di sola curiosità, così come fatto da Selah quella mattina, o da Mera e Soleil da quando era arrivata al rione. Non colse giudizio né terrore, com'era abitudinario lo percepisse ad Iselfort oppure durante le lunghe soste a Zen-Shen, gli scali più frequenti durante l'anno.
Forse fu complice l'alcol, eppure Elizabeth rise tra una chiacchiera e l'altra e non si vergognò. Le salutò entrambe sventolando la mano e si guardò poi attorno; Kelua e Ragor non c'erano più.
Meccanicamente voltò il capo a destra e a sinistra e compì una piroetta insicura per dare le spalle al braciere. D'istinto si grattò il collo e scandagliò un'ultima volta la calca tutt'intorno per scorgere un loro dettaglio – i capelli brizzolati di Ragor o la sua sciarpa rossa, oppure il profilo affilato di Kelua. Rinunciò quando capì di averli persi di vista.
Attese sul posto ancora per poco e decise di camminare a ritroso sul corso principale. Tornò alla cassa su cui erano saliti a guardare la processione e si affacciò a investigare in un paio di vicoli lì attorno, senza però trovarli come purtroppo aveva immaginato. S'infilò nella terza viuzza, quella con più ristori aperti, e girò nella quarta in cui si andarono a ficcare un paio di bambini. Continuava ad avanzare senza meta che le venne in mente l'idea più sbagliata di sempre, o forse la più azzeccata quando realizzò di essersi persa a sua volta: schioccò le dita sull'orecchino di Far-Shee e si fermò accanto a uno spaccio di spezie, l'unico aperto nelle vicinanze. Si sedette su un gradino e aspettò, soltanto il vibrato acuto emesso dall'artefatto a tenerle compagnia.
Circondò gonna e gambe con le braccia e si diede della stupida. Come detto da Kelua, Shade era sicuramente di ricognizione per la questione dell'asta. Forse si trovava da tutt'altra parte, o attualmente era troppo distante da non avvertire l'attivazione del suo catalizzatore, oppure non sarebbe arrivato per altri millemila motivi che nemmeno aveva voglia di stare a centellinarsi nella testa. Neanche sapeva quale fosse il raggio d'azione della sincronizzazione, Sid non gliel'aveva detto e lei era stata cretina due volte a non chiederglielo perché... brilla.
Liza disattivò il gioiello col primo rivolo di sangue a tracciarle una linea rossa sul collo e sbuffò di dolore. Stanca e affranta, rotolò gli occhi verso l'alto per investigare l'ombra che adesso troneggiava su di lei, non riuscendo a bloccare lo strillo che le crebbe in gola.
"Che cazzo, Shade!" Liza si tastò subito il petto per controllare se ce lo avesse ancora, un cuore. "Porca puttana, ho rischiato l'infarto. Stavolta ci morivo".
Lo vide passarsi una mano sulla faccia e sfregarcela sopra. Sebbene non emettesse alcun rumore a prescindere, il petto che si alzava e abbassava irregolarmente le suggerì avesse corso.
"Perché hai attivato l'orecchino? Cos'è successo?"
Sotto il peso della sclera nera, più accentuata e abissale ora che era notte, Liza quasi s'imbarazzò a fornirgli spiegazioni.
"Oh, ah, non è successo niente" si sbrigò a dire, sventolando le mani come a voler diradare la vergogna. "Però, ecco... mi ero... diciamo che mi sono persa, cioè, ho fatto più strada del dovuto e... e sì, ho perso il senso dell'orientamento, come quella volta a Zen-Shen quando ho camminato per sei ore e... Tu" tornando in piedi, la pesantezza di quegli occhi addosso quasi la costrinse a rimettersi seduta. "Tu dov'eri?"
"Quattro isolati più avanti" disse Shade e i toni si fecero più severi. "Cosa non ti è stato chiaro dell'ordine muovetevi sempre in coppia? Il verbo muoversi oppure il sempre in coppia?"
"In realtà ero con Ragor e Kelua, ma ci siamo separati. Quindi diciamo che eravamo, umh... in tre? Una coppia più uno? Io sono l'uno, ci mancherebbe. Non credo di aver trasgredito nessuna regola o di aver frainteso la frase... no?" tentò di sdrammatizzare.
"Elizabeth".
La lentezza con cui scandì il suo nome le fece accapponare la pelle. "Va bene, va benissimo, ho fatto una stronzata come al solito e mi dispiace. Scusami. Davvero" farfugliò.
Un randagio attraversò le ombre che si allungavano nel vicolo, prodotte dalle pochissime candele rimaste accese. Di conseguenza al silenzio piombato, Liza cominciò a torturarsi le mani guantante, Shade invece allungò la sua per toccarle il collo macchiato.
Lei non si scostò mentre raccoglieva il sangue fresco con i polpastrelli. I muscoli al di sotto della porzione di pelle accarezzata vennero percorsi da un spasmo involontario.
"L'hai tenuto attivo abbastanza da sanguinare" constatò il drow. "Dovresti perderti più spesso".
Di fronte a lui, Liza si sentiva sempre in bilico sulla lama di un pugnale, sbalzata di continuo tra l'osare e il non poter osare. Il nastro blu gelosamente conservato nel taschino del doppiopetto, però, la strattonò di prepotenza verso la prima scelta.
"Non volevo restare sola".
Shade parve tergiversare di proposito. Pulì il sangue che gli imbrattava l'indice e il medio sfregandoci su il pollice.
"Andiamo, ti riporto da Honeypot e gli altri" sentenziò infine.
"No!" squittì subito Liza. "No. Non voglio tornare".
Quasi si era affaticata nel dirlo, ad ammetterlo a voce alta, e rafforzò quella richiesta mantenendo lo sguardo fisso nel suo. Per l'ennesima volta gli permise di scavarle in profondità nella carne e nell'anima col solo ausilio degli occhi, lui che aveva cominciato a farlo senza un motivo apparente.
"Fammi restare".
L'espressione sul volto di Shade non mutò. "Chi ti dice che non abbia da fare?"
"Il fatto che tu sia venuto qui" gli rispose. "E ieri... ieri ho preso il nastrino" insistette, sforzandosi a non far tremare la voce. "Perciò comincia a mantenere la promessa che mi hai fatto".
Gli occhi di Shade si assottigliarono e un bagliore ferino glieli illuminò gradualmente. Una circostanza, sempre la stessa da poche settimane a quella parte, e l'arrendevolezza che implicita si mischiava a una tacita richiesta di controllo.
Nessuna obiezione fu sollevata e Liza non seppe se gioirne o meno. Adesso conscia, gli offrì docilmente il collo quando la sovrastò per intero. Lui ci poggiò sopra un bacio silenzioso e mantenne le labbra premute sulla giugulare pulsante, ancora insozzata di sangue e patimento. Le mani d'assassino corsero a tenerla ferma per i fianchi e la bocca si schiuse su quel misero lembo di pelle scoperto. La lingua ne tastò la morbidezza e ne assorbì il calore.
Un sospiro di troppo varcò le sue, di labbra, e Shade sollevò il volto per sussurrarle nell'orecchio da cui pendeva il manufatto.
"Ai tuoi ordini" le sibilò e Liza ebbe l'impressione che stesse sorridendo tra i suoi capelli. "Ti porterò con me. Ho delle cosucce da fare prima di domattina".
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