Cheerful Oblivion
LIZA
"Si può considerare inoltre la memoria come una delle basi che rendono possibile la conoscenza umana e animale, proprio in virtù della capacità di apprendimento, assieme ad altre funzioni mentali quali elaborazione, ragionamento, intuizione, coscienza."
Liza sbatté le palpebre per scacciare le fastidiose bollicine che le riempivano il campo visivo. Staccò gli occhi dal grande tomo aperto sotto il naso e li spostò in alto, a sinistra, dove la parete si riempiva di ritagli di giornale, foglietti spaiati e le conchiglie raccolte sull'isola di Far-Shee intrecciate a mo' di acchiappa-sogni. I piccoli globi luminosi scintillarono per qualche attimo ancora, sparendo quando si soffermò a osservare il viso di sua madre, tratteggiato a carboncino su una pagina ingiallita. Quello era stato l'ultimo ritratto di lei disegnato da Bratislav, gelosamente custodito nel diario che aveva ricevuto per il suo sedicesimo anno di età.
La memoria.
Senza rendersene conto, Liza aveva cominciato a respirare a bocca e poco c'entrava il setto nasale deviato, lo stesso di Vladimira. Ma a sua madre, quel naso importante e aquilino, stava proprio bene. Anche il labbro inferiore sporgente, l'arcata sopraccigliare piuttosto bassa, il mento pronunciato, i lunghi capelli neri.
A Liza no. A Liza, addosso, non stava bene proprio niente.
Lo sbattere della porta alle sue spalle la fece sobbalzare di paura. Prima che potesse voltarsi per capire chi fosse entrato in infermeria, Altea, ufficiale e medico di bordo, chiuse il tomo di medicina su cui aveva perso tempo tutto il pomeriggio e le sventolò davanti la faccia una lunga pergamena.
"E questa?"
Liza incrociò gli occhi sul foglio di canapa intrecciata. Alzò le spalle. "È una pergamena".
"Vuota" osservò Altea.
"Vuota..." confermò l'allieva in un filo di voce.
"Avresti dovuto finirla prima delle sei".
"E che ore sono?"
"Le sette e mezzo".
Liza schioccò la lingua e fece per alzarsi. "Perfetto, allora vado a cena".
"Non ti azzardare" rispose lapidaria Altea, poggiandole una mano sul petto e costringendola a tornare seduta con una spinta. "Voglio tutto compilato entro le nove. Chiaro?"
"Ma la lista-"
"Mi serve per le dieci di stasera, che sono di uscita. Ti ricordo che salpiamo domani pomeriggio dopo la riscossione e non ho tempo di passare al borgo" Altea le pizzicò la punta dell'orecchio mentre Liza rotolava gli occhi verso l'alto. "Quindi sbrigati, altrimenti non ceni e non scendi a fare i tuoi porci comodi".
A ramanzina conclusa, Altea lasciò l'infermeria imprecando sotto voce, stizzita. Liza spostò gli occhi dal calamaio al pennino impiastricciato e dal pennino impiastricciato al calamaio. Respirò pesantemente dalla bocca e quasi si decise a compilare quella stupida lista quando il primo brontolio le fece sussultare la pancia.
Ma la rabbia vinse a mani basse in lei, ora che sentiva il culo pesante per la giornata passata china sui manuali.
"Che cazzo! Mica mi paghi gli extra per fare questa merda! Fattela da sola!" strillò d'impulso.
Dal ponte, in risposta, riecheggiò un altro grido. "Smettila di fare la cretina e compila quella maledetta lista!"
"Che agonia, che agonia..."
"Elizabeth, non farmi scendere un'altra volta!"
Liza nascose il volto con le mani di mostro, mordendo forte la lingua, e un paio di colpi vibrarono sulla parete di fronte la scrivania. Una conchiglia bianca e arancione si staccò dall'acchiappa-sogni intrecciato, colpendola in testa.
"Per il buon Vedar, Elizabeth, compilale quella lista e fatela finita" si lamentò Tordek dall'altra cabina. "Un altro strillo di Altea e giuro che mi butto a mare".
Impietosita da Tordek, Liza schematizzò tutto in meno di tre quarti d'ora. Uscì dall'infermeria che Kelua le passava davanti mentre rifoderava il suo pugnale. Le iridi di felino scintillarono come gemme d'ambra posandosi su di lei.
"Hai già cenato?"
"No, stavo andando ora" rispose la Tabaxi, affiancandola. "Pierre ha cucinato il rosbif".
"Bleah..."
"Non puoi campare solo di rum e mirtilli, Tap" osservò Kelua. "Perché Altea strillava?"
"Perché se mi fa compilare un'altra lista giuro che mi affogo" borbottò Liza a denti stretti.
Imboccarono assieme lo stretto andito che conduceva sotto coperta e trovarono la mensa già vuota. Recuperarono le scodelle col rosbif e mezzo bicchiere di rum a testa, ovviamente sotto banco, e si sedettero nel loro solito angolo.
Mentre mangiavano, stranamente silenziose, Kelua esclamò a bocca piena: "Un Tabaxi ti ha mangiato la lingua?"
Liza continuò a giocare col rosbif ormai freddo senza sollevare gli occhi. "Eh?"
"Oggi sei più silenziosa del solito".
"Ed è un male?"
"Beh..."
"Dite sempre che parlo troppo".
Kelua fiutò l'aria, arricciando il naso cotto dalle ore passate al sole. "Sanguini, Tap?"
"Ah... no. Mi è finito giovedì".
"E allora che hai?"
Liza bevve il mezzo rum in meno di due sorsi. "È che..." e si azzittì. Kelua, nel frattempo, si era portata il suo bicchiere alla bocca, senza però bere.
"È che cosa?" ripeté, come a invogliarla a rompere il silenzio.
"Niente".
"Dai, Tap!"
Prima di concederle una risposta, Liza si alzò e sparì oltre lo stipite della piccola cambusa. Tornò che stringeva tra le mani una bottiglia di rum della riserva personale di Bek-Rai. La Tabaxi era ancora tesa sul suo sgabello, il vetro tuttora premuto sulle labbra socchiuse. Lo scansò un poco per parlare sottovoce.
"Un altro mezzo e me lo dici?"
Liza riempì il secondo mezzo e bevve tutto, stavolta in un colpo soltanto. Poi espirò dalla bocca per attenuare il bruciore scatenato dalla melassa.
"Non voglio continuare l'allenamento con Shade" si confidò tutto d'un fiato.
Kelua rotolò gli occhi verso l'alto. "Ancora con questa storia?"
"Ancora con questa storia?" ripeté Liza. I due shot di rum le avevano già provocato un leggero rossore sulle guance solitamente pallide. "Oh, beh, grazie per la comprensione. Veramente".
"Prova ad allenarti con Kaena allora, poi vediamo cosa ne pensi".
"Lo preferirei".
"Ma perché? Stavolta non lo convinci il capitano a farti smettere. Devi imparare a difenderti".
"Nascondermi nella stiva non è una buona tecnica difensiva?"
"Assolutamente no".
"Allora mi correggo: è un'ottima tecnica di autodifesa. La migliore".
Con uno scatto felino, Kelua si sporse per pizzicarle la punta dell'orecchio. "Smettila di fare la cretina, ti è stato ordinato. E poi Shade non mi sembra tanto male, pensa se il capitano ti avesse appioppato ad Altea".
"Mi sarei gettata in mare" sospirò Liza, allo stesso modo di Tordek. "Per fortuna non ha esperienza con la magia selvaggia e va bene così".
"Appunto, Shade è adatto".
"Ma neanche Shade ha esperienza con la magia selvaggia".
"E si ritorna comunque al punto principale, problema legittimo della questione: almeno non è Altea a strillarti addosso".
Liza scansò la scodella e riempì il mezzo una terza volta. Prima di parlare lanciò un'occhiata di controllo alle spalle di Kelua per assicurarsi che fossero effettivamente sole. Per un momento giurò di aver captato l'allungarsi di un'ombra proprio davanti l'entrata della mensa.
"È più complicato di così".
"E cosa c'è di complicato, me lo spieghi?" sbottò Kelua in un bisbiglio.
"Adesso ho l'autorizzazione a essere prolissa? Giuro che saranno solo tre punti, ma non ti garantisco una lunghezza umanamente accettabile per il secondo".
La Tabaxi si passò una mano artigliata tra i capelli corti e folti, visibilmente esasperata. "Me ne sto già pentendo".
"Troppo tardi. Primo" Liza mandò giù l'ultimo shot di rum per sciogliere lingua e nervi. "Si chiama magia selvaggia per un motivo: non è controllabile, non è studiabile, non è concepibile" e le scappò un rutto. "Scusa. Perché dovrei cercare di padroneggiare qualcosa che non si può sottomettere? Secondo – Shade agli allenamenti porta sempre due zippo e dice che se finiscono smettiamo. Il problema è che nessuno dei due si esaurisce mai, perché li ricarica di continuo. Non è un po' da stronzi, questo? E poi fuma il sigaro e a me fa schifo l'odore dei sigari, mi dà la nausea e la puzza mi si appiccica ai capelli. Oltretutto mi fa svegliare prima dell'alba perché lui non può stare troppo tempo al sole sennò gli viene male alla testa. Arrivo a mezzogiorno che vorrei solo dormire e invece Altea si presenta con altre liste da compilare. Se rifiuto di farlo, mi sbatte a pelare le patate con Pierre per tutto il pomeriggio. Se mi va bene, faccio la salamoia e me la mangio di nascosto. E terzo..."
Stare vicino a Shade mi fa sentire strana.
Kelua storse la bocca e guardò prima a destra e poi a sinistra, agognando la fine del monologo, e Liza capì d'aver parlato troppo. Di nuovo. Per temporeggiare una risposta alternativa a quella partorita dal suo subconscio si specchiò nel bicchiere ancora pieno. Distolse subito lo sguardo, appurando d'aver tagliato la frangia storta per l'ennesima volta.
"E terzo e ultimo punto: non mi va. Semplice".
"Posso risponderti?"
"Sì, tu che hai il dono della sintesi".
"La magia selvaggia è parte di te - sabotagli gli zippo - chiedigli gentilmente di non fumare i sigari - è un cazzo di mezzelfo drow, è normale che cuocia al sole - non rispondere ad Altea" conteggiò Kelua, alzando cinque dita sotto il naso di Liza. Finì a darle una schicchera in mezzo alla fronte, come a rimarcare tutti i punti elencati.
L'altra annuì lentamente mentre si allacciava le braccia al petto, stizzita. "Già, grazie. Ma se non sono gli zippo, c'è l'opzione mare. E comunque sfido te a non rispondere ad Altea".
"... Facciamo a cambio?"
Il riecheggiare di passi lungo la scala che conduceva al sotto coperta le fece scattare sull'attenti. Kelua quasi si strozzò a buttare giù l'ultimo goccio di rum e Liza alzò la gonna per nascondere la bottiglia trafugata dalla preziosissima collezione di Bek-Rai.
Un attimo e la stessa Altea fece capolino nell'angolo, la tracolla addosso e la lista schematizzata da Liza stretta sotto braccio. Le fissò entrambe per una manciata di secondi, il tempo necessario ad avere chiara la situazione.
"Kelua".
"Sì, Altea?" tossì la Tabaxi.
"Hai finito di cenare?"
La sottoposta annuì con fare docile. Liza le tirò un calcio da sotto il tavolo.
"Allora fai il cambio turno con Honeypot alla vedetta. Stavolta finisci all'una" la informò, senza battere ciglio. "Verrai avvisata da Shade".
"Va bene, Altea. Grazie" cinguettò e alzandosi massaggiò brevemente lo stinco colpito.
Quando se ne fu andata, Altea spostò la sua attenzione su Liza. L'allieva, in risposta a quell'occhiata glaciale, deglutì per mandare giù una palla di saliva e ansia.
"Tu".
"Io".
"La lista va più che bene. Domani pomeriggio mi aiuti a sintetizzare e impacchettare gli unguenti per il viaggio. C'è da organizzare anche l'inventario con Bek-Rai e dovrà essere completo prima delle cinque. Chiaro?"
Liza annuì e accavallò lentamente le gambe, stringendo tra le cosce la bottiglia pregiata. "Chiaro, chiarissimo. Unguenti e inventario con Bek-Rai. Ricevuto".
Prima di risalire, Altea aggiunse in un sospiro: "Puoi scendere. Non fare tardi".
Erano da poco passate le dieci e Liza camminava sulla battigia di sassi sotto la costa frastagliata di Iselfort, a pochi passi dal primo scalo. Col buio, le luci provenienti dal covo abitato apparivano come lucciole sul punto di spegnersi, e tornavano a brillare più intensamente quando la prospettiva cambiava. Allungò la passeggiata fino alla catapecchia, il ritrovo con Miriam da che erano bambine, per recuperare la tracolla in vista della partenza.
Appena fu abbastanza vicina notò lo sfavillare arancio dall'unica finestra aperta, quella che dava sullo sterrato coperto da un tappeto di erbacce. Liza si affacciò con un saltello e trovò Patrick, sdraiato per metà su uno stuoino fatto di canne di bambù, il braccio flesso dietro la testa e i piedi nudi sporchi di terra. La fonte di luce era prodotta dalla lampada a olio tenuta accesa accanto all'entrata.
Lui sollevò gli occhi, di un profondo verde bottiglia, interrompendo momentaneamente la lettura. "Perché sei in giro? È notte" disse e piegò una gamba. Addosso aveva solamente i calzoni e la camicia era stata buttata a un angolo assieme alla bandoliera col pugnale.
Liza entrò subito e tolse il cappello a falda larga. "Io esco sempre di notte. Sono le ore più tranquille".
"E le più pericolose" aggiunse Patrick. Tornò seduto e portò il braccio leso in avanti – la lunga fasciatura, fatta proprio da Liza due giorni prima, era puntellata soltanto dalle gocce di tintura spalmate sul taglio ricucito a dovere. La ferita stava guarendo bene e il sollievo le invase le membra.
"Sai che sono velocissima a correre" Liza sollevò la gonna e gli si sedette di fronte a gambe incrociate. "Che leggi?"
"Boh, un romanzo. L'ho trovato alla casa l'altro ieri. Non è male".
"Fammi vedere se non è illustrato..."
"Vaffanculo, Liza" la imbruttì.
Lei rise a bocca chiusa. "Quando finisci di leggerlo me lo presti?"
Patrick annuì. "Penso mi ci vorrà del tempo. Da domani ho i turni serali".
Liza si appoggiò sui palmi aperti, cascando leggermente all'indietro. "E allora niente, noi domani salpiamo. Hai visto Mimi?"
"Sì, oggi al mercato. Perché non sei scesa?" domandò lui, dopo qualche secondo di silenzio. Aveva ripreso a leggere, o almeno si sforzava a far finta.
"Dovevo compilare le liste di fine agosto. Ho tergiversato una settimana, cioè, ho tergiversato fino alle sette e mezzo di stasera".
Patrick schioccò la lingua e chiuse il libro privo di rilegatura, poi lo lanciò dall'altra parte del rudere.
"Sei una bestia" masticò Liza, inarcando il sopracciglio.
"Come te" e il ragazzo fece spallucce. "Hai detto che salpi domani, giusto?"
Liza annuì e mosse le gambe.
"Quanto starai via?"
"Non lo so, non ho letto le rotte di Bek-Rai. Dobbiamo prendere della roba all'Arcipelago delle Ossa. A occhio e croce, tra andare e tornare, ci vorrà più di una mesata".
Patrick fece sì con la testa – gli occhi tenuti socchiusi e un accenno di barba sulla faccia cosparsa di lentiggini che lo faceva sembrare più adulto. Malgrado la stanchezza più che evidente, si mosse per sgusciare a carponi e raggiungerla restando acquattato, i muscoli delle braccia adesso tesi sotto la pelle lucida di sudore. I ciuffi color ebano gli nascosero momentaneamente gli occhi verdi, che tutto d'un tratto si erano accesi di desiderio guardandole il petto.
Liza rimase immobile quando lui le aprì la camicia merlettata in un unico gesto, infilando l'indice alla base dei due lembi e forzando a far saltare tutti i bottoni. Avvicinando il volto, si fece spazio tra i suoi capelli col naso per sussurrarle nell'orecchio: "Sanguini ancora?"
L'imbarazzo le infiammò le guance appena le afferrò il seno sinistro, dolce a stropicciarglielo in punta di dita, ma l'irritazione la punzecchiò comunque.
"Forse".
Patrick portò il viso a un soffio dal suo e la guardò di sbieco. "Guarda che controllo e poi sono cazzi tuoi".
"Fai, fai" lo scimmiottò Liza. "Peggio per te".
"Sai che mi fa schifo".
"Rin-din-din, Patrick: sappi che è una cosa naturale" e inghiottì un sospiro avvertendo l'erezione strusciarle sulla coscia, sopra i vestiti appiccicosi – il caldo di agosto, ad Iselfort, era il più umido della regione. "E se ce l'avessi?"
"Ti scopo la bocca. Poi vediamo se fai ancora la simpatica".
Liza inarcò un sopracciglio. "Ma falla finita" ed entrambi scoppiarono a ridere. "Non sei bravo a minacciare. Non credo che farai carriera col Ragazzino".
"Sarò l'asso nella manica del Ragazzino, puoi giurarci. Il più fedele" le mormorò, curvando le labbra in un sorriso sghembo. "E sarà bello farsi la guerra e ogni tanto stare così, io e te. Ci pensi? Un giorno saremo il peggior incubo dell'intero Continente".
Liza deglutì l'ultimo strascico di risata che Patrick le aveva già scoperto spalle e petto, stuzzicando il capezzolo destro coi denti e agguantando una porzione di collo per tenerla stretta a sé. Abbandonò la testa all'indietro e l'eccitazione le crebbe dal basso, unendosi nella salita all'ansia che le scoppiò, anch'essa cocente e incontrollabile, nello sterno.
Un giorno saremo il peggior incubo dell'intero Continente.
Un attimo colmo di fruscii e tonfi disordinati che erano già stesi e avvinghiati sul pavimento impolverato. Baciando Patrick, Liza era costretta ad aprire la bocca più che poteva, quasi fosse sul punto di soffocare, la lingua di lui che si abbracciava con foga alla sua. Anche quando le frugava in mezzo alle gambe, molta della maniacale gentilezza riservata invece al suo seno andava a farsi benedire; non appena la sentiva bagnata sotto i polpastrelli la penetrava subito col medio e Liza diventava rossa dalla testa ai piedi, rifiutando sempre di arrivare a tanto così dalla fine. Perciò gli si gettava addosso in tempo zero, incespicando nei suoi stessi piedi, e mentre Patrick incastrava i lembi della gonna fra le dita e la teneva ferma per i fianchi, lei lo accoglieva dentro di sé lamentandosi a bassa voce.
Quasi al culmine, Patrick la spostava di sotto senza mai avvisarla. Se la schiacciava addosso con uno strattone per capovolgerla, rientrando in lei con una ferocia tale da smorzarle i gemiti sul nascere. Veniva subito dopo, insozzandole il grembo e non badando alla camicia pulita accartocciata sopra l'ombelico. Infine le si accasciava di sopra, ansimante, e nascondeva il viso tra i capelli di Liza per tornare in sé.
Lei non si spostava; restava ferma, svuotata di ogni cosa e sudicia dal monte in giù, aspettando e rispettando i tempi di ripresa di Patrick e la sua vicinanza silenziosa. E si sentiva stupida.
Stupida ma in parte sazia.
Liza ricordava perfettamente cosa li avesse spinti a essere così intimi, tralasciati i trascorsi di odio e paura di entrambi. Il primo avvicinamento era successo per gioco, in quello stesso rudere, durante una giornata afosa di luglio. Erano tornati a parlarsi per caso, un paio d'anni dopo l'incidente al Mai Nato. Patrick già visitava abitualmente una delle case di Dama Porcelain; Liza non aveva mai baciato nessuno. Lui l'aveva presa in giro e lei, indignata e ferita, aveva fatto per andarsene a raccogliere le conchiglie.
Patrick, tuttavia, non le aveva lasciato via di scampo. Le si era parato davanti, ostruendo l'unica via d'uscita con le spalle già enormi, e bloccandole la faccia tra le mani ancora di ragazzo si era tuffato sulle sue labbra. A Liza era mancata la terra sotto i piedi, sforzandosi comunque a tenere aperta la bocca per sottostare a quel bacio.
Si era sentita strana mentre lui aveva lasciato scivolare la mano dal collo alla spalla, dalla spalla al fondo della schiena, stringendole infine la natica per tenerla avvinghiata a sé. Il tutto era durato una manciata di secondi, un lasso di tempo ridicolo, ma non per Liza: intanto che imparava a stare ai ritmi Patrick l'aveva lasciata andare, quasi in modo rude, e la vista si era appannata sentendolo dire – è così che si bacia. Brutto, vero?
Elizabeth non aveva ribattuto, non subito almeno, gli occhi fissi sulla punta degli stivaletti per aiutarsi a metabolizzare tanta crudeltà. Quando aveva rimesso ordine al caos nella testa, si era asciugata la bocca tumida con le nocche nere e sottovoce aveva risposto non è male, mi piace. Patrick aveva riso di pancia, notando le gote lucide di lacrime e la sua infantile inettitudine, aggiungendo – potrò dire di aver baciato uno squalo.
Nei mesi successivi, spesso si erano dati appuntamento alla catapecchia per fare la pratica. La prima volta che l'aveva spogliata, Liza aveva cercato di nascondere il petto già generoso con le braccia, di nuovo sul punto di piangere, pentendosi di aver tolto pure i guanti davanti a lui.
A singhiozzare non c'era mai arrivata. Anche se nudi, Patrick si era rivestito di una pazienza che non gli apparteneva affatto, cartacarbone di Noah, un tagliagole di Iselfort morto ammazzato per debiti di gioco quando aveva dieci anni. Per un istante, Liza lo aveva visto uscire dall'ombra di suo padre, baciandole i palmi neri senza parlare, perché a parole tutti i pensieri gli venivano fuori male. Poi era passato alle dita di strega, affusolate e artigliate; una a una se le era premute sulle labbra, spiegandole col solo ausilio dei gesti che non l'avrebbe ferito. Che la paura covata nei suoi confronti non c'era più.
Che i suoi denti di squalo non erano poi così spaventosi, a vederla sorridere con spontaneità.
E Liza si era fidata, scoprendo lati di lei che non sapeva ci fossero o che potessero esserci. Il timore iniziale, col tempo, si era lentamente trasformato in pura euforia, e ogni volta che ce n'era l'occasione si lasciava trascinare senza avere timore di essere considerata atipica, strana, storta – figlia bastarda dei Fae. Perché se c'era qualcosa di più primordiale del sesso, senza veli e senza censure come la magia selvaggia che non controllava affatto, Liza aveva capito fosse il sesso stesso.
Unico e apparente mezzo, quello, capace di farle scordare momentaneamente dell'involucro di pelle e carne che la definiva agli occhi degli altri. Una fisionomia spezzata a metà tra due mondi: due braccia, due gambe, un torso e una testa da madre umana; grottesche mani artigliate, orecchie a punta ricoperte da una leggera peluria bianca, denti appuntiti e iridi cangianti da parte di padre stregone.
Stettero stesi a terra per un po', il giusto tempo per regolarizzare i respiri e godere insieme del silenzio tutt'intorno, il ruggire lontano delle onde ad accompagnarli nella ripresa.
Patrick s'infilava la camicia che le propose di leggere insieme qualche pagina del romanzetto senza nome, sabotando il suo tentativo di far ritorno alla galea a un orario decente. Le chiese subito il significato di una parola a pagina cinque, poi di un'altra alla settima. E Liza lo pungolò con strafottenza per tutto il tempo, ridente, pur di non dimostrargli apertamente affetto, ma le carezze al braccio medicato gliele fece comunque. Sperò che il taglio non si infettasse mentre lei era via alle Ossa.
Perché ad Iselfort nessuno si sarebbe preso cura di lui, ora che sua madre si era risposata con un mercante delle Isole Volanti.
Liza tornò alla nave che era ormai notte fonda e passò di vedetta a piedi scalzi per non rischiare una ramanzina fuori programma. Si fermò davanti l'albero maestro e stette in ascolto. Date le circostanze e chi di sicuro era di turno in quel momento, l'ansia le montò addosso. Allora alzò la testa, il pugno pronto a battere sul legno spesso, ma i tre colpi di avvertimento non arrivarono mai.
Shade la osservò dall'alto sgattaiolare nel dormitorio, le iridi arancio che brillavano al buio.
"Oggi la sveglia è alle cinque" le comunicò mentalmente utilizzando il catalizzatore a cui lei era connessa.
Liza si coricò con la camicia ancora sudicia e si addormentò sfinita.
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