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9. Chi sei?

I miei occhi fissavano stanchi le labbra irrequiete di Juno, che da parecchi minuti si muovevano ininterrottamente, producendo parole che alle mie orecchie arrivavano solo come suoni ovattati e incomprensibili.

Mi trovavo in camera sua, elegantemente stravaccata sul suo letto, sommersa dai vari peluche che accuratamente lei sistemava con la schiena contro il muro ogni mattina, prima di lasciare la stanza.

La lingua di un serpentone viola e verde mi solleticava la fronte, uno scimmione invece aveva le lunghe braccia pelose intorno alla mia gamba. Me ne liberai all'istante alzando il piede e scuotendolo leggermente. Odiavo le scimmie, per qualche oscura ragione averne una così vicina mi provocava parecchia ansia.

Juno invece se ne stava appollaiata a gambe incrociate sulla scrivania, tra le mani stringeva il mio recente e innaturale acquisto, sventolandolo avanti e indietro e facendolo ciondolare nel vuoto.

Non avevo colto molto di ciò che stava dicendo, sapevo solo che stava commentando il vestito, entusiasta per la gonna ma leggermente delusa per colpa del colore, sempre il solito nero.

Nero come il mio umore, mentre mi liberavo per l'ennesima volta delle braccia lunghe e calamitate della scimmia.

Non facevo altro che pensare a Edward, da quando mi aveva lasciata davanti alla porta di casa la mia mente non aveva smesso un secondo di viaggiare nei ricordi delle ultime ore. Ragionavo sul suo strano atteggiamento, sulle sue relazioni personali inesistenti, della sua scomparsa prolungata in quelle ultime due settimane e del fatto che fosse sempre nei miei dintorni.

Non aveva mai nulla da fare, girava sempre a vuoto e quando incappavo in un problema lui appariva magicamente accanto a me.

Nonostante questo non sapevo nulla di lui, se non il nome e il cognome.

Tutti quei dubbi sul suo conto mi lasciavano troppe domande senza risposta nella testa e quest'ultima minacciava di scoppiare da un momento all'altro.

Nessuno poteva essere così incomprensibile, non era possibile che non lasciasse trasparire un minimo i suoi pensieri dall'espressione, era semplicemente fuori dal comune e quel mio incorreggibile difetto della curiosità mi obbligava a capirne qualcosa.

Sentii le braccia della scimmia, attratte l'una dall'altra, strisciare lentamente sulle mie gambe. Prima che si potessero congiungere nuovamente, sferrai una pedata secca sulla schiena del rivoltante pupazzo, che finì sul lavandino accanto all'armadio, sotto lo sguardo esterrefatto di Juno.

«Senti... Per caso, conosci un certo Edward Marshall?»

Juno aveva ancora gli occhi puntati sulla scimmia, ferma in una posizione tragica sull'orlo del lavandino, ma li distolse velocemente e li volse ai miei. Ci pensò un attimo, con l'espressione persa nei suoi pensieri.

«Edward...» Si mordicchiò soprappensiero il labbro inferiore. «Un tizio alto, tenebroso, faccia da 'ce l'ho con il mondo intero'?»

Una descrizione così sintetica non l'avrebbe potuto descrivere meglio.

«Capelli scuri, ciglia più lunghe delle mie, fisico che se soffia un filo di vento non lo tiene a terra?» 

«Lui».

L'aria incantata scomparve dal suo viso e ne prese il posto una dubbiosa.

«Perché lo vuoi sapere?» Mi squadrò da cima a fondo, estremamente sospettosa. Immaginavo che avrebbe reagito così, le sue mosse potevano essere imprevedibili tanto quanto prevedibili. Avrei potuto raccontarle semplicemente la verità, ma in quel momento preferii tenere tutta quella curiosità sfegatata solo per me.

«Così».

Lei tirò le gambe a sé e le incrociò, appoggiando la schiena sul muro. Non sembrava sapesse molto, tuttavia pensò lo stesso a qualche risposta da darmi.

«Come dire...» iniziò lei, ma finite quelle due singole parole tentennò bruscamente. Si ricucì la bocca, per aprirla solo un paio di istanti usati a ragionare dopo. «Allora, è all'ultimo anno, quindi dovrebbe avere circa... diciotto o diciannove anni, se non sbaglio. Vive qui da solo e non rivolge la parola quasi a nessuno».

Si prese una nuova pausa per pensare, ma dopo essa le sue parole non fruttarono più informazioni utili.

«Mi dispiace, ma non so molto di lui» si scusò mortificata lei. «Sai, io sono qui solo dall'inizio di quest'anno. Sia io che Jimi siamo nuovi qui, lo stesso vale per Edward. Queste almeno sono le voci che mi sono arrivate».

Le uniche persone con cui parlavo non sapevano nulla riguardo a quel ragazzo strano, a quanto sembrava io ero una delle più informate sul suo conto. Quella breve indagine era risultata un buco nell'acqua, mi sentivo uno di quei cani che si mordono la coda da soli e che girano in tondo come degli idioti.

Un tonfo sordo mi avvisò che la scimmia era appena caduta sulla moquette, ora mi fissava disperata mentre gambe e braccia l'annodavano in una posizione innaturale. Io colsi la sua richiesta di aiuto e la ignorai apertamente, puntando lo sguardo sul lampadario sopra la mia testa.

Da esso pendevano tanti fili trasparenti, ai quali erano legati altrettanti dischi inutilizzati che ne riflettevano la luce in tutta la stanza.

«Dai, non fare quella faccia» mi supplicò Juno, che aveva osservato la mia reazione.

Non potevo che essere demoralizzata. Volevo saperne di più su Edward, ma nessuno sapeva qualcosa e lui non avrebbe aperto bocca a riguardo.

Sospirai, lasciandomi sprofondare nel materasso morbido.

«Se smetti di deprimerti ti racconterò un'altra cosa su Edward».

La voce di Juno arrivò alle mie orecchie come un suono cristallino, che mi risvegliò immediatamente e mi costrinse a portarmi subito seduta sul letto. «Che hai detto?»

«Che ti dirò qualcos'altro di Edward». Juno non sembrava molto convinta di quello che stava facendo. Torturava le antenne gialle delle sue ciabatte a forza di ape, tenendo lo sguardo basso sugli insetti gialli e neri per non incrociare il mio. «Però devi promettere che terrai questa cosa per te. Non è uno scherzo».

Juno che si atteggiava da persona seria era un'immagine completamente nuova per me, ma io ero troppo concentrata su ciò che mi aveva appena detto per darci peso. Edward evidentemente nascondeva qualcosa e io l'avrei saputo.

Mi misi sull'attenti, strisciando sul materasso e portandomi seduta, in attesa che Juno parlasse. Era evidente che non se la sentisse di aprire bocca, ma io con lo sguardo la convinsi a proseguire.

«Semplificando la questione, sta cercando una persona» iniziò lei, ributtando velocemente lo sguardo sulle sue ciabatte. 

Rimasi stranita alle sue parole, mi sarei immaginata qualcosa di diverso, ma la cosa mi incuriosì lo stesso.

«Chi?»

Lei ridacchiò nervosa. «Se lo sapessi non sarei di certo ancora qui. Anche io e Jimi la stiamo cercando, ma nessuno dei tre finora ha ottenuto risultati... E questo perché di questa fantomatica persona non sappiamo nulla, se non che si trova a Winchester».

«In che senso non sapete nulla?» Portai le ginocchia al petto e mi rannicchiai su me stessa, sempre con gli occhi puntati su Juno e con l'attenzione che saliva di secondo in secondo. La storia mi aveva presa eccome.

«Nel senso che ignoro l'aspetto fisico, il nome e il cognome, o il sesso. Non so niente di tutto questo».

«Come puoi pretendere di trovare una persona senza sapere com'è fatta?»

Lei alzò le spalle, terribilmente seria. «In effetti, un solo indizio ce l'ho. Dovrebbe essere affetta da albinismo, o una patologia simile».

Rimasi a fissarla per qualche istante, senza trovare le parole giuste per continuare il discorso. La mia mente formulava domande su domande al riguardo, eppure ero così occupata a pensare che non diedi retta nemmeno a una di esse.

Tutta quella storia mi sembrava così assurda, a partire dal principio. Perché mai così tante persone cercavano qualcuno senza un volto? Questo tale era una persona così importante? Evidentemente sì, Juno solitamente faticava a comportarsi seriamente, eppure quel discorso l'aveva calmata in pochi istanti.

«E... cosa c'entra Edward con questa storia? Insomma... se cercate tutti e tre la stessa persona, dovresti come minimo conoscerlo». Diedi così retta a una delle tante domande che mi riempivano la mente, pronunciando quelle parole quasi senza pensare.

Vidi il viso di Juno riprendere colore, su di esso si dipinse la sua solita espressione ottusa.

«No. Questa è una sfida a chi riesce a trovare per primo questo tale. Non per darmi arie, ma sapendo di essere un asso nel non lasciarmi sfuggire nulla, i possibili contatti con Edward potrebbero compromettere l'avanzare delle mie ricerche e farmi quindi perdere. Il tipo tenebroso è zona proibita. Per quanto riguarda Jimi, sono certa di poterlo battere comunque sul fronte dell'astuzia, quindi il fatto di essere la sua ragazza non mi pone limiti».

Dopo qualche secondo di silenzio annuii con troppa enfasi, pronunciando un deciso «Okay». In realtà dopo la sua spiegazione avevo capito meno di prima, ma decisi di non insistere ulteriormente sulla questione.

Edward stava cercando qualcuno, quindi. Quell'idea fu come una morsa alla bocca dello stomaco, ma non diedi a vedere nulla e mi appoggiai semplicemente al muro alle mie spalle. Provai una sensazione stranissima, completamente nuova, che mi lasciava un gusto amaro in bocca.

«Ah! Quasi dimenticavo». Juno saltò giù dalla scrivania e raggiunse velocemente il lavandino, dove la vidi recuperare un paio di spessi guanti gialli in silicone.

Aguzzai la vista sulla curiosa scena, leggermente confusa. Lei indossò i guanti e tornò alla scrivania, dalla quale estrasse dal primo cassetto una borsa di plastica trasparente. Come l'ebbe presa in mano la lanciò subito nella mia direzione, facendola atterrare accanto ai miei piedi.

«Aprila».

Nessuna domanda, le obbedii ciecamente. Non mi chiesi nemmeno il perché di quei guanti gialli da lavoro. 

Le mie dita incontrarono qualcosa di estremamente morbido, che riconobbi essere una piuma. Solo dopo averla afferrata e tirata mi accorsi che essa non era altro che una delle tante piume che componevano un acchiappasogni. Era grande quanto il palmo della mia mano e completamente bianco.

Me lo rigirai tra le mani, sorpresa. «Un... acchiappasogni?»

«Esatto» mi rispose lei, soddisfatta. «E uno dei migliori. E' difficile trovarne di fatti bene, quelli che vendono alle bancarelle lungo la strada sono spesso malfatti e tarocchi... Se vuoi prenderne uno decente devi andare in un negozio d'antiquato, oppure nei negozi indiani. Loro la sanno lunga».

«Ma perché?» Formulai quella frase talmente male che non capii nemmeno io che risposta avrei voluto che mi venisse data. Semplicemente non ne trovavo un senso.

«Ti avevo promesso un rimedio per i tuoi incubi, ricordi?» Juno sembrava davvero felice, ma ancora non accennava ad avvicinarsi. «Ho impiegato un bel po' di tempo prima di trovare quello perfetto, ma ne è valsa la pena. La rete è normalissimo filo di cotone, ma le piume sono vere... e poi, in centro c'è il pezzo forte». Guardai l'acchiappasogni più attentamente. Al centro dell'elaborato intreccio bianco era incastonata una pietra nera con venature d'oro, perfettamente tonda. «È tormalina nera, la pietra degli incubi. Trasforma tutto il male in bene, e il bene... beh, semplicemente funge da calamita per le cose positive».

Quella stessa mattina mi aveva promesso una soluzione ai miei incubi, ma non credevo stesse parlando sul serio. In particolar modo, non mi sarei mai aspettata quel genere di rimedio.

I miei occhi erano ancora incollati sull'acchiappasogni e dopo pochi secondi mi lasciai andare ad un enorme sorriso. Nonostante il risultato, era la prima volta che qualcuno all'infuori della mia famiglia, o comunque non pagato, cercava di risolvere il mio problema. 

«Ti piacciono questo genere di cose?» domandai a Juno, sempre sorridendo.

«Quali cose?»

«I poteri delle pietre, gli amuleti, le bambole vodoo... e questi». Le avvicinai l'acchiappasogni per mostrarglielo, ma lei indietreggiò velocemente.

Ritornò sulla scrivania e parò davanti a sé entrambe le mani, ancora nascoste dentro i guanti. «Premettendo che odio il vodoo e che non credo nella magia, ti consiglio di prendere seriamente quell'affare piumoso. Lo sai quello che dice la sua storia». 

La mia faccia disse tutto, lei sospirò e scosse la testa. «È piuttosto elementare. Gli acchiappasogni hanno principalmente due funzioni, una per i sogni e una per gli incubi. Intrappola entrambi nella sua tela, ma incanala nelle piume solo i primi, che poi diventeranno i sogni della persona la quale testa riposa sotto di esse. I secondi, invece, rimangono bloccati tra i fili e la loro sorte è decisa dalla pietra che sta al centro. Alcuni vengono purificati e diventano sogni, ma la maggior parte vengono distrutti dalle prime luci dell'alba».

Riguardai la pietra al centro dell'acchiappasogni. Non credevo che la storia dietro a quell'oggetto apparentemente semplice fosse invece così complessa. Ma soprattutto, non immaginavo che Juno avesse preso quella storia così a cuore.

«Hai ragione, scusa». Mi rigirai una piuma tra le mani, mortificata. «Non credevo ti fossi presa così tanto disturbo per me... Grazie mille». Terminai rivolgendole un sorriso.

Lei mi rispose con un sorriso ancora più radioso, con una incredibile soddisfazione impressa in volto. Stavo per buttare la borsa di plastica bianca nel cestino, ma Juno mi fermò subito.

«Ti sei dimenticata qualcosa dentro, guarda meglio».

Frugai tra le pieghe della borsa e dopo pochi istanti finalmente le mie dita incontrarono qualcosa di rigido e piccolo. Subito pensai a un anello e quando fu davanti ai miei occhi riconobbi di avere ragione. Era abbastanza vistoso, qualcosa che mai avrei indossato di testa mia, ma anche carino e non elaborato. Riportava solo una pietra all'apice di esso, a forma cilindrica non lavorata, dello stesso colore di quella dell'acchiappasogni.

«È sempre tormalina» commentò Juno, dondolando le gambe avanti e indietro. «Ho notato che prendi sonno un po' ovunque, credo sia scomodo portarsi sempre dietro l'acchiappasogni. Prendimi per una scaramantica, ma dovrebbe allontanare i tuoi incubi».

Lo provai senza esitazione. Dovetti indossarlo sul medio della mano destra, essendo abbastanza largo e ingombrante volevo evitare che mi desse fastidio durante le ore scolastiche.

Juno aveva osservato attentamente ogni mia mossa. «Ah giusto, tu sei mancina» osservò lei, con gli occhi puntati nulla mia mano. «Com'è? Ti piace? È nero, quindi dovrebbe rientrare nei tuoi gusti».

Squadrai la mia mano, portandomela all'altezza dei miei occhi. Non ero abituata ad anelli o gioielli vari, in diciotto anni non mi ero mai fatta nemmeno i buchi alle orecchie.

«È bello». Le dissi la verità, omettendo il dettaglio del fattore grandezza ingombrante, già pensando alla soluzione di infilarlo in un filo qualsiasi e farlo diventare una collana. «Perché ti stai dando tanto disturbo per me? Ci conosciamo da appena tre settimane, eppure...»

Spostai l'attenzione dall'anello a Juno, che mi fissava incuriosita. «Che domande. Siamo amiche, no?»

A quell'affermazione sentii una scarica di brividi attraversarmi il corpo da capo a piedi. Di regola non mi permettevo di considerare qualcuno un amico finché egli non me l'avesse detto chiaramente, ma nonostante la semplicità che usò per quelle parole, la fermezza con cui le pronunciò mi spiazzò comunque.

Amiche. Noi eravamo amiche, lei mi considerava un'amica. Aveva deciso su due piedi di farmi un regalo e la sera dello stesso giorno ce l'avevo tra le mani. Passava le ore libere con me, mi confidava le sue più assurde teorie e i suoi malati complotti, condivideva con me i suoi pensieri e non si arrendeva al mio brutto carattere, ai miei rifiuti e alle mie barriere in passato erette proprio per allontanare i cosiddetti amici.

Ero stata maledettamente fortunata ad essere in ritardo la mattina del primo giorno di scuola, dovevo rendermene conto.

«Volendo, considerali un regalo di Natale anticipato. O un premio per aver preso il vestito. Decidi tu» continuò facendo spallucce con nonchalance. «Basta che tu tolga quell'espressione da cane bastonato dal tuo viso. È un anello, non una lettera di condoglianze» grugnì in disappunto, facendomi notare la faccia da culo che avevo in quel momento.

«Hai ragione» ridacchiai nervosa, coprendomi un istante il viso con la mano destra, per poi scoprirlo quando su di esso era comparsa un'espressione serena. «Grazie, davvero».

Lei con una mossa felina saltò giù dalla scrivania, piazzandosi poi davanti a me e appoggiando i pugni sui fianchi. «Basta ringraziarmi, so di essere un Dio generoso. Faresti meglio a portare quell'... affare... in camera tua, adesso. Lo testerai già questa notte».

Presi in mano l'acchiappasogni e, con l'anello stretto nell'altra mano, mi diressi verso la porta. Mi sarei accorta della sua efficacia le notti seguenti, con mia grande sorpresa e stupore.

Il suono della sveglia mi trascinò a fatica nel mondo reale anche quella domenica mattina.

Trovare il mio telefono seminato a terra e disattivare l'allarme fu complicato, avevo gli occhi chiusi e impastati dal sonno che mi ridussero in ginocchio sul pavimento a tastare la moquette in cerca dell'infernale aggeggio.

Una volta tornato il silenzio nella mia stanza, mi massaggiai la faccia indolenzita per la posizione scomoda mantenuta tutta la notte.

Tutta la notte. Pensai, appoggiandomi con le scapole al bordo del letto. Tutta la notte.

Ancora non capivo come fosse possibile che da qualche giorno a questa parte i miei incubi fossero spariti nel nulla. Non avevo avuto un singolo brivido, un accenno di brutto sogno. Solo ore e ore passate in compagnia del mio inconscio, sopito e non più capace di tormentarmi durante la notte.

Con gli occhi ancora semichiusi rivolsi lo sguardo circospetto sull'acchiappasogni, appeso a un chiodo esattamente sul capo del letto, a due decine di centimetri di altezza rispetto al cuscino.

Non sapevo se fosse solo una coincidenza o se stesse realmente succedendo qualcosa di strano, ma quella storia mi puzzava di bruciato. Avevo preso le parole di Juno con le pinze e invece ormai mi trovavo ad avere paura di un cerchio con le piume.

Il telefono stretto nella mia mano destra vibrò violentemente. Sullo schermo comparve il promemoria che avevo fissato il giorno prima, 'Visita a casa'. Non sapevo perché l'avessi messo, dopotutto di domenica non avevo mai nulla da fare, mi sarebbe comunque venuto in mente da solo durante il corso della giornata.

Ma c'era un dettaglio che sì, mi venne in mente solo grazie alla descrizione del promemoria e che mi fece sudare freddo sin da quel momento. Mi alzai a fatica dal pavimento e mi trascinai verso il corridoio, dove poi svoltai e mi fermai davanti alla porta appena a destra.

Picchiettai leggermente sul legno scuro. «Juno?»

Aspettai, ma dall'altra parte della porta mi rispose solo il silenzio. Riprovai, più forte, quasi urlando. «Sei sveglia?»

Finalmente un rumore di passi si fece sentire nella stanza, si stavano avvicinando alla porta. Sull'uscio comparve la faccia assonnata e assente di Juno, con i capelli pervinca semi raccolti in una coda disordinata che la sera prima doveva essere stata alta.  Metà dei ciuffi le ricadevano sul volto e una ciocca era rimasta appiccicata con la saliva ad un angolo della bocca.

«Immaginavo che non avessi sentito la sveglia. Ti conviene prepararti, tra poco usciamo». Cercai di formulare il discorso con parole facili, Juno non mi sembrava così sveglia da comprendere qualcosa di troppo complicato.

Lei inspirò rumorosamente, portandosi una mano sul volto e spostando la ciocca impiastricciata di bava. «Perché, dove andiamo?»

«Dai miei. Sei stata tu a chiedermi di portarti con me».

Il suo volto si illuminò appena, ma il sonno impresso sul suo volto persisteva a darle l'aria svampita che cominciava a farmi preoccupare.

«Giusto». Pronunciò appena quella parola, poi mi chiuse la porta in faccia. 

Non avevo idea se avesse compreso o meno ciò che le avevo detto, ma tornai lo stesso nella mia stanza. Nosferatu mi accolse con un miagolino affamato, saltando giù dal letto e zampettandomi incontro.

Feci appena in tempo a riempirgli la ciotola di crocchette e a fargli una carezza, che qualcuno irruppe nella mia stanza senza bussare alla porta.

La ragazza addormentata e in pigiama di pochi minuti prima mi si presentava ora davanti perfettamente in tiro, con indosso un maglione di lana color arancia, lungo e largo, un paio di leggings neri e un paio di stivali alti beige. Con le sue mani strette a pugno sul cordone della tracolla cerulea mi fissava impaziente, fremendo per l'agitazione.

«Quindi?» Mi intimò lei, sempre sulle spine.

«Sei stata troppo veloce». Mi tirai in piedi a fatica, dirigendomi subito verso il bagno. «Dammi cinque minuti».

In un tempo superiore a quello di Juno riuscii a fare la metà delle sue cose. Se lei era riuscita a truccarsi e a vestirsi di tutto punto, io avevo fatto appena in tempo a lavarmi e ad infilarmi nei primi vestiti che trovai in giro per la stanza. Per mia fortuna non ero tipa che dava troppa importanza all'aspetto, così dieci minuti dopo eravamo già fuori dal dormitorio, dirette in città.

Vista la decisione di percorrere la strada a piedi e l'irrefrenabile impulso di Juno di appiccicarsi ad ogni vetrina lungo la via, impiegammo quasi un'ora prima di ritrovarci davanti alla porta di casa mia.

Juno mi precedette lungo il piccolo viale lastricato, guardandosi intorno con curiosità. «Carina... anche se un po' spoglia». Si lasciò sfuggire riferendosi alle aiuole prive di piante.

«Oserei dire silenziosa» continuai io dopo averla raggiunta. «Ma alla fine è presto, magari stanno ancora dormendo».

Con la mia copia delle chiavi in mano puntai alla vecchia serratura, ma una volta che le ebbi inserite queste non vollero saperne di girare. Provai un paio di volte, ma senza risultato.

«Sono un po' dure, mia madre me l'avrà ripetuto qualcosa come mille volte» mi giustificai, sferrando intanto un ultimo invano tentativo.

«Secondo me sei solo impedita. Dai qua».

Juno si fece spazio tra me e la porta e dopo un unico colpo secco sentii finalmente una risposta dalla porta ai tentativi di aprirla. Avrei esultato, se solo dopo un attimo di indecisione Juno non si fosse girata allarmata, stringendo nella mano destra l'intera serratura della porta.

Ci fu qualche istante di silenzio, al termine dei quali Juno riuscì solo ad imprecare con molto entusiasmo.

«Di che diavolo sono fatte le porte a Winchester? Di burro?» Quasi urlò al seguito della raffinata reazione alla situazione, rigirandosi tra le mani tutto il corredo della maniglia ancora incastrato nella chiave.

«Non preoccuparti, l'aggiusteremo» cercai di tranquillizzarla, togliendole quell'arnese dalle mani. «Sarebbe anche ora».

Riuscii a calmarla, ma nel frattempo fui io ad agitarmi leggermente.

Mentre spingevo la porta ormai sfasciata e mi facevo strada nel corridoio, mi chiedevo come fosse stato possibile che un rumore del genere non avesse svegliato qualcuno in casa. 

Hi guys, I'm back.

Scusate davvero per questa lunghissima assenza, ma sono stata due settimane in un villaggio a fare volontariato, e non scherzo quando vi dico che non avevo nemmeno tempo per dormire.

Avevo appena le forze per alzarmi ogni mattina e mettermi al lavoro, quindi il telefono l'ho toccato tre volte in croce per chiamare i miei.

La prima batteria mi é durata una settimana, la seconda anche di più, questo la dice lunga.

Insomma, alla fine sono qui, raggiante e con il mal di schiena, con i compiti da iniziare. Non disperate, in questa settimana non mi farò piegare al loro volere, e continuerò con i prossimi capitoli.

Grazie per aver aspettato così tanto T-T

Byee (^w^)/"

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