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8. Ancora tu

Sbuffai per l'ennesima volta, guardandomi nuovamente attorno e ripetendo ancora le stesse precedenti azioni senza un briciolo di energia.

Il negozio a quell'ora era pieno di gente che scorrazzava di qua e di là abiti e accessori di ogni tipo, dalla bigiotteria ai trucchi, fino anche alle scarpe e agli zaini. Ero riuscita a ritagliarmi un piccolo minuscolo angolino che mi tenesse lontana da quel confuso andirivieni e da lì riuscivo a tenere sotto controllo tutto ciò che mi circondava.

Non mi ero mai sentita a mio agio nei luoghi pubblici, specialmente nei negozi e in particolare negli orari di punta. Se mi trovavo lì dentro, rintanata nell'ombra e con l'ansia che mi annebbiava la vista, era perché Juno mi ci aveva trascinata di forza.

Non avevo afferrato molto le sue intenzioni, sapevo solo che da quando aveva messo mano nella mia valigia ancora intatta mi aveva tenuto il muso, durante tutta la mattina mi aveva brontolato addosso per qualsiasi cosa e aveva sibilato tra sé a denti stretti pochi enunciati.

Non mi aveva dato spiegazioni, finite le ore di lezione mi aveva semplicemente trascinata in città e obbligata di prepotenza ad entrare da Primark, dove poi mi aveva lasciata con la raccomandazione accompagnata da uno sguardo severo di trovare qualcosa di decente e aspettarla.

Quando la rividi sbucare da dietro uno scaffale di trucchi erano passati più di venti minuti da quella sua ultima frase.

Mentre si avvicinava con un passo lesto e un paio di borse di carta nella mano destra, io strinsi al petto il pullover grigio e i jeans scuri che avevo preso e provato già da parecchi minuti, con uno strano presentimento che gli occhi severi di Juno mi suscitavano.

Le sue pupille saettavano a destra e a sinistra puntando alle mie braccia e quando fu a pochi passi da me espresse la sua disapprovazione in un brontolio, molto simile a quelli di Nosferatu quando per sbaglio mi sdraiavo su di lui.

«Così non va». Incrociò le braccia al petto e studiò i vestiti che stringevo tra le mani.

«C-che cosa?»

«Tutto quanto, dall'inizio alla fine, dal principio al termine di ogni cosa, dall'origine alla conclusione» esagerò lei, estremamente pensierosa. «Mi hai già abbattuta questa mattina, non credevo fossi così subdola da volermi dare il colpo di grazia».

Non avevo idea di cosa stesse parlando, la sua reazione mi aveva lasciata perplessa e senza parole, ma lei mi venne incontro prima che io dovessi formulare nuovamente una domanda.

«Il tuo stile nel vestire». A quelle parole rimasi ancora più stupita e non potei fare a meno di abbassare lo sguardo sui vestiti appoggiati al mio avambraccio. «Mi ha depressa, questa mattina. Aprendo la tua valigia mi è sembrato di tornare in una televisione dei primi decenni dello scorso secolo, tutto era maledettamente in bianco e nero. Che diavolo dovresti essere? Una zebra? Una suora? Un pinguino? Esistono anche altri colori, diamine».

Juno era fuori di sé, teneva ancora il volume della voce normale, ma stava già cominciando a parlare a vanvera.

Io non sapevo cosa rispondere, quei colori per me erano la quotidianità, perciò in quel momento non compresi appieno lo sconforto che Juno provò ritrovando il bianco e il nero ancora tra le mie braccia.

«E non c'era traccia di gonne, solo jeans e pantaloni della tuta» riprese a lamentarsi lei e per un momento mi sembrò di vederla barcollare.

Nascosi velocemente i jeans sotto al pullover, senza distogliere lo sguardo da Juno, che intanto si era appoggiata ad uno scaffale di pennelli.

Non capivo come mai avesse tanta avversione per quei due colori, eppure chiunque intorno a noi aveva una traccia di nero o di bianco sui vestiti. Appresi la sua difficoltà nel digerirli controllando se stesse bene. Il mio sguardo si rivolse inevitabilmente sugli indumenti di Juno, che rasentavano tutto ciò che mai avrei indossato, non perché fossero brutti ma semplicemente perché non ero abituata.

Da sotto il cappotto di lana lilla, stretto in vita ma che si allargava alla fine in un'ampia gonna, sbucavano le pieghe di una mini rosa corallo, le gambe erano coperte da pesanti parigine in lana bianche che le arrivavano fin sopra alle ginocchia e ai piedi aveva un paio di anfibi a specchio.

Ormai ero così abituata al suo appariscente modo di vestire che non avevo mai fatto troppo caso a quanto fosse diverso dal mio.

Vedendomi con indosso il mio solito montgomery grigio, i jeans neri e le converse grigie, probabilmente il confronto che aveva fatto si era rivelato più drastico del previsto.

Provai ad avvicinarmi a Juno, ma lei si tirò in piedi di scatto, facendomi sobbalzare.

«Ma io non mi arrendo così facilmente» annunciò con aria di sfida, puntandomi l'indice contro. «Hai un'ora di tempo prima che i negozi chiudano. Io ho bisogno di recuperare quella cosa che ti ho promesso, quindi, ora, ripongo tutte le mie speranze nel tuo buonsenso e nella voglia che dimostrerai di volermi venire incontro e ti lascio qui in negozio. Il resto è semplice, trovi qualcosa che sia leggermente meno androgino e più colorato, lo compri e mi raggiungi in stanza, dove valuterò se un qualsiasi cane ha più stile di te nel vestire. E tieni conto che tra meno di tre settimane è Natale e che hai bisogno di qualcosa di carino da indossare. Ci siamo intese?»

Juno concluse il suo lungo monologo con quella domanda retorica, senza aspettarsi una risposta. Prima che potessi anche solo permettermi di ribattere, lei girò i tacchi e si diresse verso l'uscita.

Non ebbi il tempo di elaborare completamente il suo ordine e anche quando questo successe non potei seguirla fuori dal negozio per via della merce non pagata tra le mie mani, che in pochi secondi mi ritrovai più sola di quanto pochi minuti prima già non fossi.

Riportai i due capi ancora tra le mie braccia al loro posto. Avevo ormai capito che quando Juno voleva qualcosa l'avrebbe ottenuta, in un modo o in un altro. Dal momento che probabilmente avrei dovuto comprare un vestito che soddisfacesse un minimo quella pretenziosa ragazza dall'esuberante stile, i soldi non mi sarebbero bastati per tutto quanto.

Ripresi a girare tra i vari scaffali di vestiti, nessuno però mi diceva qualcosa.

La mia voglia nel cercare indumenti appariscenti era così poca che ormai qualsiasi cosa era diventata per me motivo di distrazione.

Nel reparto trucchi avevo trovato una pinzetta a forma di orsetto, la confezione diceva che però era anche una limetta e un tagliaunghie, ma nonostante ci persi dietro dieci minuti ancora non capivo dove il fabbricante vedesse gli altri due complicati accessori.

Finii per sbaglio nel reparto biancheria e in una bacinella di plastica sopra ad un rialzo notai delle strane palline colorate. Sembravano quelle che racchiudevano i giochi che potevi vincere alle macchinette che ogni tanto trovavo dal benzinaio, ma dubitavo fortemente che fossero le stesse.

Avvicinai una pallina rossa all'occhio destro per sbirciare nei buchi della plastica, ma il pezzo di stoffa bordeaux che ero riuscita ad intravedere era ancora per me un mistero.

«Non credevo fossi la tipa a cui piacciono 'ste cose».

Mi girai di scatto, trovandomi davanti allo sguardo incuriosito di un ragazzo dai ciuffi scuri ribelli e dalla pelle candida.

Per poco a causa dello spavento non lasciai la presa sulla pallina, ma fortunatamente mi ripresi in tempo per riconoscere Edward e per tirare un sospiro di sollievo. La preoccupazione che a parlare fosse stato un completo estraneo mi aveva fatta sudare freddo.

«'Ste cose?» chiesi incuriosita, mentre cercavo di non dare a vedere i postumi dello sventato infarto.

«Sì». Lui accennò a un sorriso divertito. «Parlo del tanga che stai osservando con attenzione da un paio di minuti» continuò indicandomi la pallina rossa che ancora stringevo tra le dita.

...tanga?

Lasciai cadere velocemente la sfera di plastica nella boccia, come se scottasse. Sentii le mie guance andare a fuoco: non avevo idea che una simile innocua pallina celasse un tale oscuro contenuto.

Che fossi venuta a conoscenza di quel curioso modo di vendere la biancheria non era un problema, lo era invece il fatto che fosse successo in compagnia di Edward.

«Ma perché quando appari dal nulla ti porti sempre dietro i guai?» grugnii in direzione del ragazzo, allontanandomi con un passo discreto dal reparto intimo. «Ma soprattutto, che ci fai qui?»

«Ci vivo. Ogni tanto capita anche a me di fare un giro, fortunatamente oggi ho assistito a un bel teatrino» continuò lui, sempre con il suo solito sorrisetto divertito stampato sulle labbra chiare.

L'effetto che puntualmente mi provocava quel ragazzo era indescrivibile, sembrava quasi che comparisse ogni tanto solo per farmi saltare i nervi.

«Non avevo idea di cosa fossero, ero lì solo per acculturarmi» sussurrai imbarazzata.

Gli sguardi della gente si stavano facendo indiscreti, avevamo attirato troppo l'attenzione. Senza pensarci due volte presi Edward per la manica del suo parka verde militare e lo trascinai nella parte opposta del negozio.

Dovunque andavamo, però, mi accorsi presto che l'attenzione su di noi non diminuiva affatto. Per l'esattezza, era l'attenzione delle ragazze su Edward, ma come una angosciosa conseguenza, gli occhi curiosi e brillanti che cercavano il ragazzo moro scivolavano anche su di me.

«Attiri troppo l'attenzione, accidenti» lo rimproverai, nascondendomi dietro a una fila di vestiti appesi.

Non che mi stupissi più di tanto, perfino un'insensibile come me si era accorta del fascino del ragazzo sin dal primo momento.

«La prossima volta mi ricorderò di nascere meno bello» rispose lui, ma nella sua voce non notai nemmeno un briciolo di ironia. «Ti danno fastidio gli sguardi della gente?»

«Sì. Molto».

«Per via del tuo occhio?»

Gli rivolsi un'occhiataccia, squadrandolo da cima a fondo. Lui invece non sembrava affatto dispiaciuto degli apprezzamenti che gli sguardi della gente gli riservava.

«No, in generale. Odio la gente che non sa farsi gli affari propri» risposi schietta.

«E allora che ci fai qui, se non ti acculturi studiando i tanga?» domandò incuriosito.

Sembrava davvero nato con l'unico scopo di stuzzicarmi. Sospirai e mi appoggiai all'asta di ferro che reggeva gli appendini. Forse era solo una mia impressione, ma dentro a quel negozio cominciava ad accumularsi aria viziata, che mi toglieva il fiato e aveva reso la temperatura più alta.

«È stata una mia amica a portarmi. Vuole che io compri vestiti più femminili, o qualcosa del genere, ma data la mia inesperienza sto girando a vuoto da quando mi ha scaricata qui».

Sebbene non mi fosse davvero simpatico, ero sollevata dal fatto che Edward fosse lì con me. Anche se aveva solo attirato l'attenzione e non faceva altro che tirare fuori dal cappello battutine, consideravo il stare da sola un'opzione peggiore.

«Non ho idea di cosa intenda per 'più femminile', è fuori discussione che io compri vestitini svolazzanti dai mille colori, non fanno per me. Non so che fare». Giocherellai con la manica di un maglione beige che mi capitò sottomano, tenendo lo sguardo basso sulle mie converse androgine.

Qualunque persona nelle mie condizioni si sarebbe rivolta ad un commesso per un consiglio più professionale, ma non avrei sopportato che qualcuno mi squadrasse per capire lo stile e la taglia di un probabile vestito e avrei fatto sicuramente fatica a esprimere la mia disapprovazione riguardo a un indumento che non avrei apprezzato.

I commessi erano off limits. Accompagnati dalla mia inesperienza nel campo, stavo letteralmente navigando in un mare di merda.

Alzando lo sguardo, notai con stupore gli occhi di Edward essersi fatti pensierosi, mentre con una calma discrezione perlustravano gli scaffali colmi di vestiti. Per poco non mi incantai per l'ennesima volta sui suoi occhi magnetici, scuri come la pece e incorniciati da ciglia lunghe e corvine. Aveva le guance leggermente arrossate dal freddo, trovai quel particolare maledettamente carino. Poi però mi resi conto di cosa stesse cercando e mi paralizzai.

Non potevo credere che lo stesse facendo davvero.

«Vieni con me» mi intimò infine, afferrandomi per il polso e portandomi con lui.

Schivò con un'eleganza ammirevole i vari clienti, sui quali io invece sbattei altrettanto elegantemente. Non feci in tempo a scusarmi, che Edward svoltò dietro ad uno scaffale e si fermò.

Prese in mano il vestito che aveva adocchiato da lontano e me lo appoggiò al petto. Dopo un secondo di incertezza, rivolse al vestito un'espressione soddisfatta.

«Perfetto, anche la taglia. Provalo» concluse senza aspettare una mia opinione, lasciandomi il vestito tra le mani.

«Aspetta, io non...»

«Prima che il negozio chiuda» Distrusse in un istante la mia tentata protesta coprendomi la bocca con una mano. «Sbrigati».

Sbrigati lo dici a tua sorella. Questo avrei voluto dirgli, se non mi avesse già presa per le spalle e condotta di forza verso i camerini.

Recuperò il cartellino che contrassegnava il vestito da provare da una commessa, una donna di mezza età bassa e bionda truccata pesantemente, poi mi accompagnò fino al primo camerino libero.

A quel punto non ressi più e mi liberai con uno strattone dalla presa ferrea del ragazzo.

«So come si arriva» sbottai inacidita, voltandomi verso Edward. «Grazie».

Lui alzò un sopracciglio, mi squadrò sospettoso, poi si appoggiò con fare stanco al muro dietro di sé. «Se permetti, non mi fido di una che cade dagli autobus e perde il gatto».

«No, non permetto» ribattei solo per ripicca, entrando nel camerino e tirando bruscamente la tenda dietro di me.

La stoffa blu che ci separava era pesante, tuttavia non riuscii a non guardarla con un leggero timore. Provavo un assurdo disagio nel sapere che mi sarei dovuta cambiare con un ragazzo che mi aspettava a pochi metri di distanza. Ero abituata a girare in intimo in casa con mio fratello in circolazione, ma non era assolutamente la stessa cosa.

Alzai il vestito all'altezza dei miei occhi e lo guardai per la prima volta.

Era un tubino nero, con le maniche lunghe con motivi floreali in pizzo. Niente scollo a cuore, nessuna gonnellina a sbuffo imbarazzante. Era corto, probabilmente mi sarebbe arrivato più in su della metà delle cosce, ma almeno non era di nessun colore strano.

Mi tolsi titubante la giacca e il maglione, restando in canottiera e con gli skinny jeans. La presenza di Edward mi vietava di sfilarmi altro, mi imbarazzava nonostante lui non mi potesse vedere.

Recuperando nuovamente il vestito dallo sgabello, mi accorsi di non sapere da che parte prenderlo. Avrei dovuto infilarmelo da sopra o indossarlo da sotto?

Dopo alcuni secondi di ragionamento, mandai a cagare le buone maniere ed entrai nell'abito partendo dalle gambe. Finché nessuno poteva vedermi, avrei potuto infilarmi nella manica per indossarlo.

Per allacciare la cerniera dovetti rompermi tre vertebre e farmi venire il colpo della strega, ma almeno quando la voce di Edward risuonò nel corridoio io avevo già finito.

«Chiudono tra dieci minuti» fece lui, piuttosto seccato. Nessuno gli aveva detto di restare.

Mi guardai allo specchio e l'agitazione mi costrinse a mandare giù a fatica un fiotto di saliva.

Più lo fissavo e più mi sembrava di vederci riflesso uno spaventapasseri, uno di quelli di campagna su cui butti i vestiti che tanto non avresti più indossato, così che i corvi se la diano a zampe levate.

Non avevo di certo problemi di fisico, non mi lamentavo assolutamente per quello. Semplicemente, indossando sempre abiti comodi che non uscivano dallo schema felpa-jeans, vedermi con una gonna elegante era per me come rendersi conto che mio fratello aveva una ragazza.

In una parola, stranissimo.

Sostanzialmente non ero fatta per quei vestiti, mi sentivo fuori posto.

«Non lo so» borbottai sovrappensiero, ancora con lo sguardo puntato sul mio riflesso. «Sembra quasi una forzatura. Tra l'altro mi chiedo se abbia un'utilità, non tiene caldo ed è pure scomodo».

Improvvisamente il mio riflesso nello specchio diventò più luminoso e accanto ad esso comparve la figura slanciata di Edward.

Il mio volto si fece più pallido del solito, ma le guance si colorarono di un deciso rosso carminio.

«Ma che, sei scemo? Pensa se avessi deciso di togliermelo ora!» Mi girai, pronta per sferrargli un pugno alla bocca dello stomaco, ma lui fermò la mia mano e la bloccò nella sua.

Era visibilmente perplesso. «Che volevi che vedessi, hai tenuto i jeans e perfino la canottiera» borbottò deluso. «A dirla tutta, non hai nemmeno un filo di seno. Non sono interessato alle scope».

«Allora esci, se non sei interessato».

Cercai di spingerlo fuori approfittando della mano braccata dalla sua, lui però scivolò fuori dalla mia portata e si sedette sullo sgabello.

«Resto, grazie». Mi lasciò la mano e con quei suoi dannati occhi penetranti cominciò ad ispezionare ogni piega del vestito.

In quel minuscolo spazio chiuso cominciava a fare davvero troppo caldo.

«Certo, starebbe bene sopra a qualche curva, ma non è niente male». Finalmente aprì bocca, ma non sapevo se esserne felice o meno.

«Mi sento carne al macello» bofonchiai imbarazzata. Era la seconda volta in mezz'ora che mi veniva detto di essere androgina, ma se ciò che voleva era esclusivamente petto e cosce, tanto valeva che si comprasse un pollo.

«Tanto non c'è carne da vendere». Colpì di nuovo a morte il mio orgoglio, allora lo cacciai dal camerino quasi a calci.

Mi cambiai velocemente, tornando nei miei soliti rassicuranti panni.

Fuori, Edward mi stava ancora aspettando. Quel ragazzo non aveva seriamente nulla da fare in tutto il giorno.

«Lo prendi?» Mi chiese, seguendomi mentre mi dirigevo alla cassa.

Annuii leggermente. «Ne approfitto perché è in saldo. Almeno, Juno si mette il cuore in pace».

Pagai e uscii, sempre con Edward alle calcagna.

«Io devo andare al dormitorio, ora» gli dissi una volta che mi fu davanti. «Grazie... per i consigli». Nonostante mi avesse fatto piacere non restare da sola nel negozio, la presenza di Edward mi aveva sempre provocato un'agitazione che non ero riuscita a togliermi di dosso, preferivo fare la strada del ritorno senza quel magone che mi toglieva il respiro.

«E pensi di andare da quella parte?»

Mi girai per guardare la via che avevo imboccato. Non mi diceva nulla, eppure mi sembrava che fosse la strada giusta.

«Il dormitorio è di qua». Così dicendo, mi indicò con lo sguardo la direzione opposta rispetto a quella che avevo preso. Mi sentii sprofondare. Quando ero scesa in città con Juno, un paio di ore prima, ero stata così presa nel cercare di capire perché tenesse il muso che non avevo prestato per nulla attenzione alla strada che avevo percorso.

Guardai la direzione corretta e mi morsi il labbro inferiore. Più avanti la strada si sarebbe biforcata ed entrambe le vie ai miei occhi apparivano dannatamente uguali. Non avevo la minima idea di dove andare.

Voltai lo sguardo verso Edward, che ancora attendeva una mia risposta e sospirai. «Anche tu devi tornare nella tua stanza?»

Lui capì al volo e sorridendo divertito mi fece cenno di seguirlo.

Lo affiancai facendo una piccola corsa, con il morale sotto le scarpe. Mi ero ripromessa di allontanarmi da quella sensazione di ansia che nasceva dentro di me ogni volta che ero in compagnia di Edward, eppure non mi ero ancora separata da lui.

Sbirciai con la coda dell'occhio la figura di Edward. Nascosta dalla barriera di capelli che mi cadevano davanti, mi sentivo libera di osservarlo senza che se ne accorgesse.

Era davvero alto, forse un metro e novanta, perfino il mio metro e settanta sfigurava accanto a lui. Inoltre non era particolarmente piazzato a livello muscolare, aveva piuttosto una figura esile e sottile e sotto il parka un po' troppo grande lo sembrava ancora di più.

Mi permisi di alzare lo sguardo fino al viso e mi sentii intenerire vedendo che le guance e la punta del naso dritto erano ancora arrossate a causa del freddo.

Osservando per l'ennesima volta quel volto, bello come mai avevo visto, mi domandai per la prima volta cosa ci facesse quel ragazzo in mia compagnia. Ragionando in base all'esperienza che avevo accumulato grazie al quantitativo notevole di libri che avevo letto, in teoria lui sarebbe dovuto essere il classico figo della scuola, accerchiato da decine di amici e centinaia di ragazze, tuttavia nella mia breve permanenza non avevo mai sentito il suo nome nei corridoi e soprattutto non mi era mai capitato di incrociarlo, almeno fino a quella mattina.

Che avesse un carattere di merda me n'ero accorta, ma ero sicura che non bastasse solamente quello per farlo completamente sparire dalla circolazione.

In quel momento lui girò lo sguardo nella mia direzione e io puntai gli occhi sulle mie scarpe, facendo finta di niente.

«Non conoscendo il posto, immagino che ti sia trasferita qui da poco» azzardò lui. Sebbene fosse una curiosità il suo tono di voce era laconico, probabilmente in realtà si trattava di un argomento per rompere il silenzio.

«Sono qui da due settimane, ci siamo trasferiti per via del lavoro di mio padre. Prima abitavo a Lincol».

«Tu e i tuoi genitori?»

«No, ho anche una sorella e un fratello».

Pensavo che alla mia risposta sarebbero seguite altre domande di repertorio, come se avessi altri animali oltre a Nosferatu o quale fosse il mio colore preferito, invece ci fu uno strano silenzio tra noi due. Lui sembrava molto pensieroso.

«Non ti mancano, adesso che sei al dormitorio?» Chiese dopo un po'. Era una domanda particolare, ma io risposi senza pensarci troppo.

«Non li vedo solo da un giorno, quindi mi sembra quasi di non essere mai andata via di casa».

Lui pensò un po' alle mie parole, poi liquidò la mia risposta con un «Okay» asciutto e semplice.

La conversazione stava prendendo una strana piega, cercai quindi di salvare la situazione. «E la tua famiglia, non ti manca?» Domandai, forse più curiosa di quanto con la mia domanda sarei dovuta essere.

Lui scosse la testa. «No».

Il suo drastico cambiamento di umore mi fece chiudere la bocca, così incentrai la mia attenzione sulla strada. Non credevo di aver detto qualcosa di male, eppure si era fatto improvvisamente silenzioso dopo la mia risposta riguardante la mia famiglia.

Anche la strada in salita contribuì ad impedirmi di fare altre domande, non essendo una persona atletica dovetti combattere tutto il tempo per non esternare il mio respiro affannoso.

Edward mi accompagnò fino alla porta della mia casa, aspettando con la testa appoggiata al muro che io trovassi le chiavi, che come un classico si persero proprio nel momento meno opportuno tra le centinaia di cose che avevo nelle tasche. Quando riuscii ad aprila e gli rivolsi lo sguardo lui mi salutò con un sorriso, allontanandosi poi con quell'aria persa che lo seguiva sempre.

Mi obbligai a non fissarlo ulteriormente e a entrare nella casa, ma nonostante mi sforzassi di farlo, non riuscii a togliermi dalla testa l'immagine di quel ragazzo, insieme alle mille domande che nascevano nella mia testa sul suo conto.

Sì, sono un po' in ritardo, I know. Sono stata in Inghilterra fino a cinque giorni fa, e ora sono già in Spagna a fare la barbona tra le strade di Barcellona (ew).

L'ostello fa invidia a quelli infestati dagli scarafaggi, fa un caldo torrido, però almeno c'è wi fi gratis ovunque (yeah!)

Solo un'informazione, i luoghi decritti nella storia da ora in poi saranno posti che ho visto davvero :3 e niente, era solo per gasarmi.

Ps. La copertina strafiga é opera di Skadegladje :3 (e anche il banner *^*)

Bye c:

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