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4. Spring Waltz

Per arrivare all'aula di musica dovemmo attraversare l'intero edificio scolastico, lasciandoci alle spalle lungo il corridoio le aule dedicate ai corsi regolari, per dirigerci verso quelle dei corsi extrascolastici.

La scuola era immensa, i corridoi spaziosi e larghi e il brusio dovuto alla pausa dalle lezioni non copriva il ticchettio, in parte rilassante, delle nostre suole a contatto con il pavimento scuro in ardesia.

Il mio sguardo si perdeva continuamente, vagava dalle arcate a crociera sopra la mia testa, che contribuivano ad aumentare l'effetto dell'eco, fino ai lavori del corso di arte, sia quadri che statue in ceramica o in pietra a tutto tondo esposte su colonnati in plastica bianca ad intervalli irregolari lungo il corridoio.

I miei occhi riconobbero una riproduzione incorniciata de 'Il sonno della ragione genera mostri' di Goya, un'opera a cui mi ero interessata un paio di anni prima e la seguii con lo sguardo fino a quando non le diedi completamente le spalle.

Per un periodo era stato il mio disegno preferito.

«...solo convincerlo a lasciar perdere le prove».

«Come?» domandai ancora assorta, mentre la mia mente ritornava a far parte del mondo reale.

Per quello che sapevo, Juno poteva star andando avanti con il suo discorso da quando eravamo uscite dalla mensa, ma dal primo momento in cui avevo messo piede nel corridoio la mia attenzione era volata via e non avevo sentito più una sua sola parola.

Juno si fermò un momento, si guardò intorno e mi sorrise. «È per la scuola, vero? È davvero bella, hai ragione». Colse al volo il mio pensiero, poi però mi rivolse un'espressione di rimprovero. «Insomma, non mi hai ascoltata proprio per nulla. Ho detto che manca poco al concerto di Natale e per questo sarà difficile smuovere Jimi dall'aula di musica. Sono indietro con le prove, ma tenterò di convincerlo lo stesso. Ho i miei metodi». Affiancò a quell'ultima sua affermazione un occhiolino complice, che inevitabilmente mi fece pensare male.

Non c'era nulla di sbagliato nelle sue parole, era la sua spontaneità a spiazzarmi fino a farmi imbarazzare.

«Quindi, tu aspetti qui, te lo porto fuori in un attimo» concluse e solo in quel momento mi accorsi che eravamo arrivate a destinazione.

Davanti ai nostri occhi, l'auditorium dedicato al corso di musica. La porta, di legno chiaro, era larga e composta da più ante, la prima giustificazione che mi venne in mente era che fosse per spostare comodamente anche gli strumenti più ingombranti dentro e fuori dall'aula.

«Okay, ti aspetto fuori» e così dicendo mi sistemai in parte, vicino a una pianta d'acanto, per non risultare di possibile intralcio.

«Ci metto un minuto, non muoverti da lì. Mi dai l'idea di una che si perde nel suo mondo e nel frattempo fa lo stesso anche in quello reale».

Non avevo da obiettare, dopotutto mi aveva inquadrata bene, ma mi faceva sorridere e disperare allo stesso modo il fatto che avesse messo le mani avanti sin dal minuto zero. Dovevo dare l'idea di una poco affidabile per davvero.

Con molta tranquillità appoggiai la schiena al muro e la lasciai scorrere verso il basso, fino a quando non mi ritrovai seduta sul pavimento.

Quella notte a causa dell'incubo avevo dormito poco o niente e nonostante fossero passate appena sei o sette ore dal mio risveglio le palpebre cominciavano a farsi sentire piuttosto pesanti.

Chiusi gli occhi, mettendomi in ascolto inizialmente del rassicurante silenzio, poi della melodia che ne prese il posto.

Mi ero accorta solo da pochi secondi del sottofondo rilassante composto dalle note di un pianoforte e dovevo ammettere che era caduto perfettamente in un momento in cui necessitavo di alleviare lo stress.

Ero infinitamente in debito con Juno per essere stata così gentile con me, ma il suo entusiasmo e la sua sfrontatezza erano come una forma di vita aliena per me e sintetizzarle durante il primo giorno di scuola stava risultando stancante.

Seguii le note con il pensiero, collocandole una dopo l'altra sullo spartito che si era insinuato piano piano nella mia mente, e quando ebbi a disposizione una buona parte del brano mi resi conto che sapevo benissimo di che componimento si trattasse.

'Spring Waltz'.

Come un lampo a ciel sereno, sbarrai gli occhi e rimasi a fissare il muro davanti a me, con la testa da tutt'altra parte.

Ero stata una stupida a non accorgermene prima, doveva essere stato l'enorme quantitativo di emozioni compresse in quella giornata a impedirmi di riconoscere un pezzo che avevo suonato per anni.

Tuttavia la melodia non veniva dall'aula di musica.

Staccai la schiena dal muro e ripresi a camminare lungo il corridoio, tendendo l'orecchio per capire dove la musica fosse più forte.

Il mio udito mi portò qualche decina di metri più avanti, i miei piedi si fermarono davanti a ciò che una targhetta sulla porta mi confermava essere la biblioteca.

Voltai lo sguardo verso la porta dell'aula di musica, ma di Juno non c'era ancora nemmeno l'ombra.

Avrei dato solo un'occhiata veloce, per soddisfare la mia curiosità, poi sarei tornata dove sarei dovuta rimanere, prima che mi dessero per dispersa.

Spinsi la porta di vetro e mi feci strada nella stanza.

La biblioteca era enorme, le librerie erano illuminate appena dalla luce fioca rilasciata da piccole finestre poste in alto sulle pareti, per il resto tutto era mascherato da una lieve penombra, spezzata solo dalla luce giallognola di qualche lampada da scrivania.

Lì dentro la temperatura era più alta rispetto all'esterno e una volta chiusa la porta i suoni risultavano piacevolmente ovattati.

Il bibliotecario, un anziano dalla corta capigliatura canuta e candida, non fece nemmeno caso alla mia figura che scivolava tra uno scaffale e l'altro e non prestò attenzione nemmeno quando, dopo svariati giri della stanza, gli chiesi se per caso lì dentro ci fosse un pianoforte.

Perché ci sarebbe dovuto essere uno strumento musicale in una biblioteca? Per un momento avevo pensato che potesse trattarsi di un disco riprodotto, ma il suono registrato non avrebbe mai reso giustizia ad un'esibizione dal vivo.

La mia teoria faceva acqua da tutte le parti, almeno finché non notai uno stanzino appartato, nascosto dietro una libreria occupata da una fitta serie di libri, che fino a quel momento mi avevano impedito di notarlo.

La targhetta occupato mi fece esitare per un momento, ma alla fine allungai la mano verso il pomello senza pensarci troppo.

Ormai ero arrivata fino a lì, dopotutto avevo appurato che l'artefice di quella melodia fosse dietro quella porta. Sarei potuta essere più discreta, ma il mio obiettivo si limitava a dare una semplice occhiata, nulla di più.

Non appena l'uscio acquisì volume, le note acquistarono una potenza che mi travolse in pieno, e che mi portò a chiudere immediatamente la porta alle mie spalle.

Lo stanzino era piccolo, conteneva appena un pianoforte a coda laccato del colore dell'avorio e una decina di scatoloni accuratamente appoggiati l'uno sull'altro per lasciare il percorso libero.

Seduto su un modesto sgabello in legno girevole c'era un ragazzo, concentrato al punto di tenere gli occhi chiusi e le labbra sottili ermeticamente serrate.

Aveva lunghe ciocche corvine che gli incorniciavano il viso, dalla pelle chiara e perfetta, come di porcellana e alcune di esse cadevano morbidamente sugli zigomi leggermente pronunciati e sul naso sottile e dritto, celando appena lo sguardo.

Le sue dita, lunghe e affusolate, danzavano veloci sui tasti, riproducendo 'Spring Waltz' di Chopin, la melodia che mi aveva attirato come una lampada calda faceva con un insetto.

Pochi secondi dopo mi accorsi che non era altri che il ragazzo di quella mattina e dovetti addentarmi di forza la lingua per non esternare la mia sorpresa.

Era ormai la terza volta che ci incontravamo nell'arco di una sola mattinata, di solito incrociavo meno spesso qualcuno della mia famiglia per casa in un giorno intero.

Non mi sarei mai immaginata che fosse lui a suonare, ma dopotutto non avrei mai pensato di poterlo incontrare di nuovo così presto.

La tentazione di andarmene era pari a quella di sedermi su uno dei tanti scatoloni e godermi l'esibizione fino alla fine, ma ogni mia azione venne bloccata sul nascere dalla sua voce bassa e calda.

«Il cartello fuori dalla porta l'ho messo per un motivo».

Il ragazzo smise di suonare e rivolse il viso nella mia direzione, puntando i suoi occhi scuri come la pece nei miei. Riconobbi all'istante lo sguardo che avevo già visto poche ore prima e l'effetto che mi provocò fu lo stesso. Mi sentii in soggezione, forse perché era la seconda persona che mi aveva rivolto la parola da quando mi trovavo a scuola.

«Mi dispiace, non volevo disturbare, ero solo curiosa di vedere chi stesse suonando» balbettai impacciata, sotto il suo pressante sguardo indagatore. «Se vuoi me ne vado».

Mi lasciò qualche secondo in silenzio, alla fine si girò verso il pianoforte e sospirò.

«Ci vuole ben altro per distrarmi. Fai quello che vuoi». Mi liquidò con tono apatico, per poi riportare le mani sulla tastiera, che prese ad accarezzare con le punte delle dita come per ritrovare il segno perso.

Le sue parole erano state fastidiose, ma non reagii male.

Davanti a quel ragazzo la mia curiosità aumentava con i secondi che passavano.

«Perché suoni qui dentro? L'auditorium avrà sicuramente altri pianoforti, che sono sempre a disposizione per gli studenti del corso di musica...». Colta da uno strano impulso cominciai a girare lungo la piccola stanza, perlustrandone ogni centimetro per non incrociare lo sguardo di quel ragazzo. Gli scatoloni erano pieni di polvere e puzzavano di vecchio. «Come mai invece questo è rinchiuso in uno sgabuzzino?»

Alla mia domanda, quella volta, non seguì nessun silenzio.

«Non seguo il corso di musica, suono perché mi piace suonare» cominciò, sempre con la sua voce piatta. «Il pianoforte è mezzo rotto, alcuni tasti non funzionano ed è scordato, l'avranno relegato qui dentro con il proposito di aggiustarlo, ma si sono dimenticati della sua esistenza. L'ho trovato e dato che non sopporto in alcun modo avere il pubblico mentre suono, mi nascondo qui dentro».

Ancora con le sue risposte fastidiose.

Gli rivolsi un'occhiataccia, ma lui era concentrato sul pianoforte e non mi prestò attenzione.

Quando l'avevo incontrato la prima volta, quella mattina sull'autobus, avevo capito subito che non fosse la persona più affabile del mondo, ma visto meglio sembrava proprio che non riuscisse a fare altro che ripetere quanto mi volesse fuori dalle scatole.

«So che per suonare ci vuole silenzio, soprattutto per brani come 'Spring Waltz', ma nemmeno io nell'eseguirlo venivo infastidita dalla gente. La tua concentrazione è un po' scarsina».

Le sue mani si bloccarono a mezz'aria e i suoi occhi saettarono seccati verso i miei.

Sostenni lo sguardo, il fatto di averlo messo in difficoltà mi affascinava. Non mi importava di quanto le mie parole solitamente risultassero fastidiose anche a me stessa.

Non avevo intenzione di attaccar briga, ma non volevo di certo farmi mettere i piedi in testa da quello scorbutico apatico senza nemmeno provare a ribellarmi.

«Vuoi provare a dimostrare di essere più brava di me?»

Il mio entusiasmo si smorzò all'istante.

La situazione si capovolse, il suo viso si vestì di un velo di arroganza, il mio impallidì per la mia avventatezza.

Erano passati anni dall'ultima volta che avevo toccato un pianoforte e nonostante precedentemente fossi stata discretamente brava, non avrei mai avuto la stessa destrezza di qualcuno che ancora si esercitava.

Semplicemente, accettare la sua sfida significava buttarmi direttamente in pasto alla sconfitta.

Alla fine, per uscire da quella situazione non serviva altro che io dicessi la verità, omettendo discretamente gli altri motivi per cui volessi uscire da quello sgabuzzino il prima possibile.

«Una persona mi sta aspettando» mi giustificai e per rafforzare il mio alibi mossi qualche passo nella direzione della porta. «Si starà chiedendo dove sono finita».

Sarei dovuta uscire senza aspettare la sua risposta, ma di riflesso, una volta arrivata alla porta, voltai lo sguardo verso il ragazzo per vedere come avesse reagito alla mia scusa fugace.

Le sue gambe erano ancora davanti allo sgabello, ma il busto tendeva nella mia direzione. Il braccio sinistro poggiava teatralmente sulla tastiera, senza pesare sui tasti e con la mano sosteneva la testa, con il viso rivolto verso di me.

La sua espressione era semplicemente divertita e le sue labbra piegate in un sorrisetto soddisfatto.

«Hai paura del confronto? Non dirmi che sei tutta fumo e niente sostanza». Ogni parola, ogni singola lettera che usciva dalla sua bocca, si conficcò come una lama affilata nella mia carne, nel mio petto, sfregiando orribilmente il mio orgoglio.

Da quando avevo messo piede in quella stanza, dal primo momento in cui mi aveva rivolto la parola, tutta la nostra conversazione era stato un botta e risposta.

Non avevo mai desiderato così ardentemente battere qualcuno sul piano oratorio, ma in presenza di quel ragazzo mi era impossibile soffocare quel mio inconscio volere.

La sua ultima mossa era stata forte, mi aveva lasciata per un momento disorientata, ma ormai il mio istinto combattivo si era risvegliato e non avrei fatto nulla per tenerlo a freno.

Il ragazzo colse al volo il mio intento, si alzò dallo sgabello e avvicinò ad esso uno scatolone dove si sedette, facendomi poi cenno di prendere posto.

La tranquillità con cui mi aveva invitata a suonare esibiva la sua superbia e assoluta arroganza, ovvero ciò che mi stava facendo odiare quel tipo ogni secondo sempre di più.

Tutto fumo. Ripensai a quelle parole mentre mi sedevo sullo sgabello, in equilibrio così precario che sarei stata più al sicuro in bilico su un filo di una ragnatela e il dubbio che fossero vere, per un momento, mi fece esitare.

No, non ero così. Non ero così e l'avrei dimostrato.

Davanti ai miei occhi lo spartito divenne in pochi istanti da illeggibile a ben noto e confortata da ciò posizionai le mani sulla tastiera.

Da lì le mie dita presero a muoversi da sole, sapevano già tutto, quindi non osai intromettermi nella questione. Volevo dimostrare di non fare completamente schifo, di saper concludere qualcosa, ma la vita che mi ero fatta scorrere passivamente addosso da quando avevo deciso di distaccarmi da essa non me l'aveva più permesso.

I miei incubi mi avevano seguita fino a Winchester, ma non avrei più concesso loro di condizionare la mia vita.

Avrei deciso io cosa fare del mio futuro e il primo passo era avvicinarmi a quel ragazzo, che tanto mi affascinava e attirava, nonostante il suo lato scorbutico lo rendesse odioso.

Nella mia testa, intanto, regnava la confusione più totale.

Ai momenti in cui il mio unico obiettivo era quello di far rimangiare le parole di scherno a quel ragazzo, sia per schiacciare la sua arroganza, sia per farmi apprezzare da lui, seguivano attimi di lucidità, che mi riportavano alla normalità.

Che diavolo stavo facendo lì? Perché non me n'ero andata da quella stanza, invece che fare la spavalda e buttarmi in un'impresa più grande di me?

Non dovevo dimostrare nulla a quell'estraneo, l'unica persona a cui mi sentivo di dovere qualcosa era Juno, che avevo piantato in asso e che probabilmente, proprio in quel momento, mentre io ero lì a combattere con me stessa, mi stava cercando.

Alla fine, quando il mio mignolo abbassò un tasto e questo non produsse alcun rumore, vinse la mia parte razionale, quella che sapevo come spiegare. Le mie mani si bloccarono di colpo.

La mia metà curiosa venne spazzata via in un secondo, lasciandomi sola con quel ragazzo che non aveva smesso un secondo di fissarmi, consapevole che non avrei mai più permesso a quella parte emotiva di me di emergere.

Il controllo di me stessa lo perdevo già ogni notte, non avevo intenzione di perdere la lucidità anche ad occhi aperti.

Esitai un momento, poi ritrassi bruscamente le mani dalla tastiera, come se quest'ultima mi avesse scottata.

Mi sentii gli occhi del ragazzo addosso, ma mi imposi di non rivolgergli lo sguardo.

«Lo ammetto, non credevo fossi il tipo da riuscire a suonare un brano così». Nonostante la parte di me che aspirava alla vittoria fosse stata relegata in uno degli angoli più remoti della mia mente, non riuscii a fare a meno di sentirmi un minimo soddisfatta dalle sue parole. «Anche se il modo in cui abbassi i tasti è rozzo e grossolano e il tuo senso del tempo è parecchio discutibile».

Non mi sentii offesa, non come poco prima.

Quell'osservazione era stata fatta da un estraneo e ormai avevo preso coscienza che quelle parole poco mi tangevano.

«Ti ringrazio». Il mio tono era apatico, come sarebbe dovuto essere.

Era tardi, terribilmente tardi, io dovevo tornare da Juno immediatamente. «Adesso però devo andare, mi aspettano». Lo liquidai velocemente, voltandomi verso la porta e raggiungendola di fretta. Non dovevo guardarlo, non dovevo incrociare il suo sguardo, perché sapevo che la mia assurda curiosità avrebbe di nuovo preso il sopravvento. «Scusa ancora...»

Le mie parole lasciate in sospeso risultarono, senza che volessi, fin troppo invasive e presero una sfumatura un po' troppo evidente di curiosità.

Non sapevo il suo nome, ma non era di certo mio intento chiederglielo.

«Ci conosciamo da poche ore e vuoi già sapere come mi chiamo? Non credevo che fossi così temeraria. Hai fatto tante storie, ma alla fine volevi solo presentarti, che carina».

«Non sono carina» sbraitai di riflesso, girandomi e incrociando il suo sguardo strafottente. Perché ogni sua maledetta parola era così irritante? «E non voglio sapere il tuo nome. Sai quanto me ne frega». Riportai la mano sul pomello in ottone, ma quando ormai ero sul punto di andarmene venni interrotta nuovamente.

«Edward Marshall». Quel nome, con la sua voce calda e limpida, mi fece per un momento esitare.

Perché, davanti a quell'individuo così odioso, ma non per questo meno affascinante, riuscivo ad incazzarmi come una iena e allo stesso tempo confondermi? Perché ero così debole? Ormai non riuscivo nemmeno a controllarmi da sveglia?

«Karin Price» sussurrai, arrabbiata con me stessa per aver ceduto. «Spero che non mi servirà ricordare il tuo nome, in futuro» e uscii da quella stanza, consapevole che le mie parole non fossero del tutto vere.

«Karin... Mi senti? Dai, su, svegliati».

Salve popolo-

Scusate per il ritardo, ma come potete capire, sono gli ultimi giorni di scuola anche per me.

Ciò significa ultime verifiche, matematica da recuperare, valanghe di interrogazioni, etc.

So, scusate >.<

Che ne pensate della nuova versione di Nightmare? c:
Avete avuto problemi con la storia?
Narratemi tutto!

Ps. Se volete leggere qualcosa, cercate Saudade di _Deianira_

Bye (-)

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