¥capitolo 3¥
**Jain**
É passata una settimana dalla notizia catastrofica, che mi é scoppiata tra le mani come un’esplosivo pentaeritrite.
Sono riuscita a racimolare, insieme ai soldi che avevo da parte, solo cinquecento dollari, e di questo passo andrò lontano.
Di questo passo la situazione ho paura che si aggraverà sempre di più, e non posso permettermelo.
Ci sono giorni in cui é partecipe, altri che invece dorme, sfinita dalla malattia che la sfianca.
La lieve stempiatura sul cuoio, e il viso più scarno e pallido, quasi a far risaltare solo gli occhi ingrigiti da occhiaie.
Mi ritrovo in questo stato comatoso, se così posso definirlo.
Non sento e vedo niente. Solo schizzi indefiniti, come acquarelli. Perché i miei occhi sono pieni di lacrime che non devo e non voglio versare.
Mi inumidisco gli angoli delle labbra secche e screpolate, con la lingua, sospingendo le perle che vorrebbero scivolare sul mio volto ovale, di rientrare dentro.
Alzo gli occhi al cielo, ma pungono come spilli.
Bruciano come ossido di carbonio. So che mi lesioneranno la pelle tra poco.
Mi soffermo a guardare la gente che mi sfreccia accanto e ride. Si sbellica. Mi beffeggia. Lo so che non mi stanno fissando, ma io voglio vedere ciò che il mio cervello malato vuol credere.
Come se fossi un divertente pagliaccio, ridono di me. Perché questa vita é esattamente una pagliacciata.
Il cielo plumbeo è in procinto di tuonare, e mi rispecchio così tanto, che camminare mentre tutti rincasano, diventa una benedizione.
Se non fosse che devo dirigermi a lavoro, propensare sorrisi di circostanza e una finta cordialità che oggi pare divenuta un lusso per pochi.
Emetto uno sbuffo dolente, prima di sospingere la porta in vetro, e immettermi nella caffetteria.
Il solito gruppetto di ragazzi del college, che si radunano, con le stesse cheerleader accomodate sulle loro ginocchia.
Ridono ogni volta che mi vedono.
Mi squadrano con quell’aria altezzosa.
Perché? Per il mio modo scialbo di vestirmi.
Perché ho dovuto interrompere gli studi per seguire completamente mia madre, e loro sono solo un contorno della mia vita.
Fingo indifferenza avviandomi nel retro, per lasciare la tracolla nel camerino, proprio come mi lascio le loro risate alle spalle.
«Hola linda.» La voce frizzante di Ricky, il mio collega, arriva forte come una tromba al mio udito mentre mi allaccio il grembiule.
Mi volto verso di lui, e il sorriso che incornicia il volto spigoloso e dalla carnagione dorata, svanisce lentamente nel notare il mio.
Odio essere un libro aperto.
Odio che nonostante finga, qualcuno riesca sempre a capirmi.
«Cos’è questa faccia?» Si avvicina dolcemente come il tono che usa, e scuoto la testa.
«La mia faccia.» Replico fin troppo secca.
Ma so che non abbocca a queste risposte. Difatti piega la testa lateralmente, dove il ciuffo pece si sposta dalla fronte.
«Ascolta, se è per i ragazzi del college, frega...»
«Cosa vuoi che mi freghi di loro, Ricky?» Sbotto aggressiva, contro colui che non ha colpa di niente.
«E allora, cos’hai? Cazzo, Jain. A me puoi dirlo. Siamo colleghi da quanto? Un anno e poco più.» Aggrotta la fronte e le sopracciglia, e leggo quanto sia contrariato del mio mutismo.
Del mio non aprirmi.
Chiudo un secondo le palpebre, perché non riuscirei a spiegare tutto.
«Mia madre. Ha un... -Ingoio la bile che mi stringe la trachea- Un cancro, al seno.» Riesco a dar voce al dolore che non mi fa dormire, e come riapro le palpebre, i suoi occhi sono dentro i miei.
I suoi palmi sono sulle mie spalle.
Il suo corpo si spalma contro il mio, circondandomi senza dire niente.
Mi consola, donandomi calore, dove dentro il gelo mi consuma.
«Le cure? Insomma...potrebbe andare a buon fine.» Impacciato cerca di risollevare lo sconforto che mi schiaccia.
«Potrebbe ma...mi servono quattromila dollari. Il dottor dice che asportandolo sarebbe la soluzione migliore, e io ne ho bisogno. Io dev...» Non riesco a proseguire, poiché sentiamo la voce di uno dei ragazzi odiosi, e ci rendiamo conto che abbiamo lasciato il bancone scoperto.
«Ricky!» Lo riprendo come una sorta di rimprovero, mentre si morde la lingua prima di imprecare.
Mi avvio verso il tavolo degli stronzi, con un sorriso ad alto collante, e il blocchetto che stringo tra le dita.
«Ciao. Cosa vi porto?» I ragazzi si voltano verso di me, mentre le cheerleader sembrano essersi volatilizzate.
«Il tuo culo sodo, sulle mie gambe o sopra il mio letto.» Lo sguardo lascivo di uno dei ragazzi, mi lascia paralizzata, con la penna appuntita che trema sul foglietto, disegnando una specie di cardiogramma.
«Allora? Hai paura di esaurire la voce, per dopo?» Continua a beffeggiarmi con quegli occhi azzurri, mentre i suoi amici sogghignano.
«Io...» Vorrei trovare la forza di replicare. Urlare. Servirebbe a perdere il lavoro, oltre alla dignità che ho già perso.
«C’è chi usa ancora queste frasi scadenti, per abbordare una ragazza che sta facendo il suo lavoro?» Una voce pungente, giunge alle mie spalle, e mi volto verso un ragazzo dai capelli castani tirati indietro con meticolosità dal gel, e due occhi neri che stanno bruciando il ragazzo.
«Stavo scherzando.» Lo stronzo replica, senza ribattere con le solite frasi che avrebbe detto, del tipo: Che cazzo vuoi?
Si limita a quello, mentre io osservo inebetita la scena, prima che il ragazzo sposti l’attenzione su di me.
«G...grazie...» Balbetto limacciosa, sfregandomi il labbro inferiore con i denti, dove un dolce sorriso si stende sulle labbra sottili del ragazzo.
«Lucas. E tu sei, Jain, giusto?» Come?!
«Il nome sul cartellino.» Getta un’occhiata divertita prima nelle mie pupille dilatate, e poi sul cartellino dove poggio l’indice, e controllo addirittura se c’è riportato il mio nome, nonostante sia così.
《Penso che non ti daranno più fastidio. Ci vediamo, Jain.》 Non riesco neanche a ringraziarlo di nuovo, che la porta del locale si richiude portando dentro un refolo di vento fresco.
Un vento meno pungente di quello che mi avvolge.
Ma tutto ciò che penso é: Non ci rivedremo e lo spero.
Il pomeriggio passa fortunatamente tranquillo, dopo il piccolo disguido.
Ricky resta al bancone, mentre mi godo i miei cinque minuti di silenzio.
Azzittisco ogni voce nella mia testa, poggiata contro il muro freddo del camerino.
Scorro con l'indice che trema, le foto mia e di mia madre quando ancora stava bene.
Alcune anche con mio padre, che ho ripreso da delle fotografie impilate in un album vecchio, lasciato ad ammuffire nel ripostiglio.
Le lacrime non riescono più a scivolare e resta solo la patina a velare fastidiosamente la retina dell'occhio.
Lo sbuffo che rifaccio fuori mi svuota i polmoni e chiudo per due secondi gli occhi.
Vorrei trovare una soluzione. Non riuscirò mai ad avere quattromila dollari, specialmente con tutte le bollette arretrate che devo ancora saldare. Non voglio vedere la casa pignorata e posso contare solo sulle mie forze ora.
Mi rendo conto che la mia pausa é finita, quando il suono della sveglia mi riscuote.
Se non l'avessi impostata sarei rimasta qui nascosta, per l'eternità.
Mi stropiccio le palpebre e quando getto un'occhiata distratta sulla panca, mi accorgo di un volantino.
Forse uno di qualche pubblicità scadente, ma la mia curiosità mi spinge a prenderlo tra le dita e rigirarlo tra di esse.
C'è la foto di due moto in mezzo ad una pista sabbiosa, ma ciò che attira davvero il mio interesse é la scritta sotto evidenziata di giallo: "Sabato 20, Ricky Suàrez e Austin Ryler, Sfidanti nella prossima gara di "Roaring Bikes". In palio 5.000 bigliettoni, ingresso gratuito solo ai membri del club."
Ricky? Il mio collega Ricky Suàrez?
E da quando cavolo avrebbe un'interesse per le moto?
Addirittura mettendo a repentaglio la sua vita in una gara spericolata!
Lo stringo forte nel pugno della mano, ma non tanto da ridurlo a brandelli.
Forse potrei farlo davanti ai suoi occhi, per fargli comprendere il tutto.
Sono quasi in procinto di sbatterglielo con veemenza su quella faccia da bravo ragazzo, quando la scritta si ripete nella mia testa in loop.
5.000 bigliettoni. 5.000 fottutissimi dollari.
E tutto si fa lampante, sconsiderato, avventato, pericoloso e assolutamente vietato per una come me.
Per una che neanche é mai salita sopra un due ruote, se non consideriamo la bicicletta arrugginita nel vialetto di casa.
Sono a pochi passi da Ricky quando si gira con il suo solito sorriso caldo, prima di lasciarlo scivolare lungo la mano dove tengo il volantino.
Lo sento imprecare a mezza bocca, convinto che gli farò una ramanzina e gli elencherò una lista infinita dei rischi che potrebbe correre.
Lo avrei fatto, lo ammetto, invece sono io che devo stilare una bella lista sulla mia stupidaggine.
"Che cavolo ti salta in mente, Jain?"
Mi riprende piccato l'angioletto.
"5.000 dollari, per la cura di tua madre e per gli arretrati. Fallo!"
Enfatizza e mi tenta il diavoletto.
《Ascolta, non é come sem...》 Abbasso i suoi palmi davanti al mio viso, prendendo parola.
《Voglio partecipare.》 Nessun cedimento. La convinzione totale che non ho mai avuto su niente, ma per mia madre sarei disposta a tutto.
L'afflizione e la paura ti portano a compiere atti che mai avresti preso lontanamente in considerazione.
Osservo le pupille di Ricky, sgranarsi di stupore e aprire le labbra come un pesce che boccheggia in cerca d'ossigeno.
《Ma che...che cazzo dici, Jain. Punto primo: I gareggianti sono già stati scelti da mesi. Punto secondo: Sei una donna, e sono vietate le donne. Punto terzo, ma non meno importante: Non sai un cazzo di moto.》 Oh ma grazie Ricky, per avermi ricordato questo particolare.
《Abbiamo due settimane per insegnarmi, visto che tu avresti dovuto partecipare alla gara.》 Insisto imperterrita nel vederlo scuotere la testa, mentre pulisce furiosamente la macchina del caffè.
《Io parteciperò.》 Ribatte convinto ancora volto di spalle, le stesse su cui porto il mio mento e il palmo con il volantino che gli solletica il petto.
A vederci così, potremmo sembrare degli innamorati che si fanno effusioni sul luogo di lavoro.
《Parteciperai ovvio, ma in veste mia e con il tuo nome.》Ecco la soluzione che sciorino con tono mieloso, mentre si rigira e mi spinge nell'angolino dove non possono vederci.
《Jain, ascoltami é pericoloso e io non potrei accettarlo se ti succedesse qualcosa.》 Il suo tono preoccupato vorrebbe farmi desistere. I suoi palmi mi racchiudono il volto a coppa, centrando le mie iridi con le sue piene di apprensione.
Poggio un palmo sul suo dorso, carezzandoglielo.
《Ti prego, Ricky.》 Sembro disperata e lo sono infatti.
《Te li darò io, dopo la gara, se vincerò.》 No, non potrei sopportarlo.
Scuoto la testa per dissentire, forse troppo debolmente, mentre il suo naso si strofina contro il mio, salendo con le labbra che preme dolcemente sulla mia fronte.
《Ricky, no. Voglio vincerli io per mia madre e tu mi aiuterai. Sarà il nostro segreto e quando annunceranno il vincitore comparirai per magia.》 Provo ad alleggerire la situazione e il suo sospiro mi solletica l'attaccatura dei capelli.
《É una follia.》 So che ha ceduto, lo sento dal suo tono che vuole infondermi sicurezza.
Lo so, Ricky, vorrei dirgli.
《Non m'importa.》 Rispondo invece.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro