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Capitolo 8 - Charleston

Quattro ore prima.

Eve restò per un attimo disorientata quando si svegliò a causa di un bisogno impellente di andare in bagno. Fino a quel momento, durante le tappe di quel suo folle viaggio, aveva sempre diviso la tenda con la sua amica Jordan ma quella mattina a dormire beato accanto a lei c'era Niall, e lì per lì si chiese come ci fosse finito. Poi però si rese conto di essere lei l'ospite, dato che quella tenda in effetti non era la sua. Ricordava che c'era stata una festa la sera prima e che aveva bevuto molto, e non solo bevuto. Guardò il biondino e sorrise, i ricordi cominciavano ad affiorare ed erano tutt'altro che spiacevoli. Indossò la felpa di Niall e, cercando di fare piano per non svegliarlo, aprì la cerniera e uscì dalla tenda.
L'aria era fresca a quell'ora e aveva un bel profumo di pulito. Stava per avviarsi nel boschetto alla ricerca di un po' di privacy quando scorse una figura che si muoveva furtiva vicino ai resti del fuoco. Stava trafficando con una borsa appoggiata a terra e sembrava avere una certa fretta. Non voleva certo impicciarsi, ma la figura dovette sentirsi osservata perché si voltò e la vide. Si portò l'indice alla bocca per farle segno di fare silenzio, la salutò con un gesto della mano e si avviò verso la strada.
Per un attimo Eve si domandò distrattamente dove potesse mai andare Harry a quell'ora del mattino, senza però preoccuparsi di un'eventuale risposta; ricambiò il saluto e andò alla ricerca di un posto dove sbrigare i suoi bisogni.

****

Harry non aveva chiuso occhio per tutta la notte, la mente tempestata da un turbine di pensieri.
Louis era ancora addormentato tra le sue braccia; aveva la bocca leggermente aperta e il suo respiro gli scaldava il petto, mentre con un braccio gli circondava il torace, come se volesse aggrapparsi a lui.
Studiò i segni che gli aveva lasciato sul corpo e ripercorse per la milionesima volta ogni istante di quelle ultime ore.

Io credo di amarti.

Sì, sono tuo.

Le parole gli risuonavano in testa come un disco che non riusciva a far smettere di girare. Non era riuscito a prendere sonno per tutta la notte, ma non aveva osato alzarsi per non svegliare Louis. Era rimasto lì a contemplarlo per tutto il tempo, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso, era troppo carino quando dormiva. Com'era strana e imprevedibile la vita, si ritrovò a riflettere; ventiquattro ore prima, al motel a Daytona Beach, lo aveva fotografato nell'incertezza dell'alba con la triste consapevolezza che non sarebbe mai stato suo. Ora Louis era di nuovo avvolto dalla luce indefinita dell'ora dei sogni, ma questa volta riposava tra le sue braccia, stremato e felice. Gli sembrava impossibile che tutto quello fosse successo davvero.

Io credo di amarti.

Sì, sono tuo.

Guardò l'orologio. Non aveva intenzione di svegliarlo ma non poteva più rimandare, o sarebbe stato troppo tardi. Aveva pensato e ripensato alle conseguenze di ciò che stava per fare, sapeva che era la cosa giusta. E comunque non aveva altra scelta.
Molto lentamente spostò il braccio di Louis che giaceva pigro sul suo petto e districò le loro gambe ancora aggrovigliate. Provò una piccola sensazione di freddo nel momento del distacco ma, facendo il minor rumore possibile, scivolò via dal materassino e si affrettò a ricoprire Louis usando anche il suo sacco a pelo come coperta. Il liscio gli aveva confessato di essere un tipo freddoloso e volle assicurarsi che fosse ben protetto e al caldo. Guardandosi intorno non si stupì di vedere tutte le cose del ragazzo sparpagliate in giro per la tenda; scosse la testa con un sorriso, le ripiegò e mise tutto in ordine, poi raccolse i suoi vestiti e la sua borsa e finalmente uscì.
Una volta fuori rabbrividì, investito dall'aria frizzante del mattino. Il campeggio era ancora nel pieno del sonno, tutto era immerso nel silenzio e si udivano solo i versi degli animali notturni più ritardatari, che proprio non si decidevano ad andare a dormire dopo aver fatto il turno di notte.
Tutt'intorno c'erano i resti della sera precedente, bottiglie vuote, bicchieri sporchi, qualche seggiola da pic nic rovesciata, avanzi di cibo. Pensò che ci sarebbero volute ore per rimettere tutto a posto e gli dispiaceva, ma lui non sarebbe rimasto ad aiutare, aveva altro a cui pensare.
Con un telo sulle spalle per non prendere freddo andò al laghetto a darsi una lavata poi, rinvigorito dall'acqua ghiacciata, tornò saltellando accanto alla brace ancora calda, si asciugò e si vestì in tutta fretta.
Una volta pronto prese la Reflex dalla sua tracolla, ne estrasse la scheda di memoria e la ritirò con cura nel portafogli, tornò a riporre la macchina fotografica nella borsa e fece per incamminarsi quando un rumore alle sue spalle attirò la sua attenzione. Si girò e vide Eve ancora mezza addormentata in piedi fuori dalla tenda di Niall, che lo guardava. Harry si portò il dito indice alle labbra per chiederle di non fare rumore, la salutò con un cenno della mano e si incamminò verso la strada.

La provinciale a quell'ora era quasi deserta, sapeva di non avere molta speranza di trovare un passaggio. Dall'oceano arrivava un'arietta carica di umidità che gli entrava nelle ossa, per cui pensò che una bella passeggiata corroborante non potesse fargli che bene.
Dopo aver camminato per una buona mezz'ora finalmente il sole iniziò a intiepidire l'aria fino a che fu costretto a togliersi il maglione e, mano a mano che si avvicinava l'ora di punta, cominciò a vedere le prime automobili sfrecciare dirette verso la città. Presto il traffico si fece sempre più sostenuto e la strada prese vita.
Aveva urgente bisogno di chiamare Peter Warne, il suo capo al giornale, ma conoscendolo preferì aspettare ancora un po' ed evitare di partire già col piede sbagliato.
Sapeva che sarebbe stato accolto da una tempesta furiosa, era inevitabile, ma sapeva anche quanto fosse una cattiva idea dare le cattive notizie a Peter di prima mattina. O perlomeno prima che avesse bevuto il suo caffè.
Mise fuori il pollice e si accinse a fare l'autostop.
Ci volle un po' prima che qualcuno si fermasse, a quell'ora la maggior parte degli automobilisti passavano di lì per andare al lavoro in città e nessuno faceva caso a un autostoppista. Alla fine però fu caricato da una coppia di anziani che erano appena diventati nonni e che per tutta la durata del viaggio non fecero che raccontargli quanto fosse bello il loro nipotino.
Harry fece finta di ascoltare per educazione, ma la sua testa era da tutt'altra parte. Non riusciva a smettere di pensare al corpo di Louis tra le sue braccia.

Io credo di amarti.

Sì, sono tuo.

Si fece lasciare a Charleston, nella centrale Broad Street, ma era ancora presto per quello che doveva fare.
Fece una passeggiata per il centro che a quell'ora era molto tranquillo, contò le monetine che aveva in tasca e ne raccolse abbastanza per un caffè in attesa dell'orario di apertura dei negozi; lo bevve con calma, seduto in un baretto sulla strada, guardando passare chi ha la testa più grossa, come diceva sempre Peter. Aveva una gran fretta e, come sempre succede in questi casi, il tempo sembrava non passare mai.
Una volta che ebbe finito il caffè chiese indicazioni a una signora già carica di borse della spesa nonostante l'ora, e si avviò verso King's Street, non molto lontano da lì.
Camminò per un'altra decina di minuti ammirando la città di Charleston tutta dipinta di azzurro e bianco, vecchia quanto gli Stati Uniti d'America, ancora intrisa del profumo di riso e tabacco di un'epoca passata, l'epoca degli assalti dei pirati, dei commerci con le Indie, della tratta degli schiavi e della Guerra Civile. Attraversò il centro storico, elegante con le sue stradine acciottolate su cui si affacciavano i bei palazzi degli anni venti con i balconi in ferro battuto, e con i suoi giardini nascosti di cui si vedevano solo le cime delle palme che, insieme alla vegetazione tropicale, contribuivano a donare alla città la sua tipica atmosfera caraibica. Anche a quell'ora del mattino, dai locali che costeggiavano la strada si sentivano qua e là le note allegre del ballo che prendeva il nome dalla città.
Gli dispiaceva non poterla visitare meglio. Si ripromise di tornarci, un giorno.

Una volta giunto in King's Street non ebbe difficoltà a trovare quello che cercava. L'insegna era ben visibile, impossibile sbagliare.

Pawn's Shop. Banco dei pegni.

Emise un sospiro ed entrò.
Il negozio era vuoto, probabilmente si animava nel tardo pomeriggio, e Harry ne fu contento perché così si sarebbe sbrigato prima. Al suono del campanello, da dietro il banco comparve un omino con gli occhiali spessi che lo guardò per un attimo incuriosito, finché Harry non si decise e si avvicinò. Aprì la sua borsa, prese la machina fotografica e la posò sul banco.
Si schiarì la gola, nervoso.
"Ehm, salve."
"Salve a lei" rispose l'impiegato, gentile.
"Quanto può darmi per questa?" chiese il riccio con un tono carico di speranza.
L'uomo esaminò la Reflex con minuzia, controllò che tutto funzionasse, cercò eventuali graffi o bolli ed infine emise la sua sentenza: "È una bella macchina, ben tenuta. Diciamo... Quattrocento dollari".
A Harry mancò quasi la voce.
"Quat- quattrocento dollari? Solo?", disse sconsolato.
L'omino annuì.
"Oh la prego!" - esclamò il riccio poi - "È praticamente nuova!!"
Ripensò alla fatica che aveva fatto per risparmiare abbastanza da poterla comprare, e all'avviso di sfratto che lo aspettava nella cassetta della posta, a Miami, che non era del tutto scollegato dall'acquisto di quella macchina.
L'omino lo guardò benevolo ma non si impietosì. Chissà quanti ne doveva vedere ogni giorno, anche più bisognosi di lui.
"Se li vuole subito e in contanti sono quattrocento dollari. Altrimenti può provare a venderla su Ebay!"
Harry emise un grugnito, rassegnato. Inutile discutere. Non c'era da pensarci.
Sapeva di comportarsi in modo superficiale a volte, d'accordo, Peter non faceva che ripeterglielo; e tendeva a vivere un po' troppo alla giornata, senza pensare mai al futuro. Non rispettava gli impegni e ogni tanto si inventava delle palle colossali per cavarsi dai guai. E in più aveva lo sfratto.
Ma suo padre prima, e Peter Warne dopo, gli avevano trasmesso dei valori, che segnavano la linea di confine tra essere un uomo ed essere un cialtrone, e lui intendeva trarne insegnamento. Era sempre stato un ragazzo per bene dopotutto, e voleva fare le cose per bene. Non aveva molto da offrire a Louis, a parte il suo amore infinito, ma non gli avrebbe fatto una proposta di matrimonio senza un soldo e senza un anello. E aveva anche intenzione di parlare con Mark Tomlinson, dirgli che avrebbe fatto qualunque cosa per rendere felice suo figlio, e ottenere la sua approvazione. Avrebbe fatto ogni cosa esattamente come andava fatta, da vero gentiluomo.
E se il prezzo da pagare era la sua Reflex beh, ne sarebbe valsa la pena.

Accettò l'offerta e uscì dal negozio con una bomba a orologeria al posto del cuore, pronta a scoppiare di felicità da un momento all'altro.

****

Peter Warne stava ascoltando il notiziario alla radio mentre beveva il terzo caffè della giornata quando il vecchio telefono sulla sua scrivania squillò, facendogli fare un salto sulla poltrona.
"Warne!" disse sollevando la cornetta, con il suo solito tono burbero, e indispettito per essere stato interrotto. Quando sentì la voce dall'altra parte sputò il caffè schizzando di macchie tutto il tavolo e anche un po' di muro, mentre la fedele Ellie, dall'altro lato del vetro, tirando un sospiro di sollievo, dedusse che Harry era vivo e aveva finalmente deciso di farsi sentire.
"STYLES!! FOTTUTO TESTA DI CAZZO MA SI PUÒ SAPERE CHE FINE HAI FATTO?! SEI SCOMPARSO NEL NULLA!!"
Peter Warne era una di quelle persone che non aveva ancora capito che lo scopo di quella diavoleria moderna conosciuta come telefono era di annullare le distanze, e si ostinava quindi a parlare come se le parole dovessero arrivare a destinazione via aria, anziché attraverso delle onde elettromagnetiche. Era inoltre convinto che più lontano fosse l'interlocutore, più alto doveva essere il tono di voce, e non sapendo di preciso dove si trovasse Harry in quel momento, per sicurezza urlò con tutta l'energia che aveva in corpo. Il tutto condito dalla furia per non averlo più sentito dopo che aveva lasciato il suo ufficio, alcuni giorni prima.
Harry dovette allontanare il telefono dall'orecchio per non rischiare di rimetterci un timpano.
"Ehi vecchio!! Come stai?", tentò poi con un tono esageratamente gentile, che normalmente non avrebbe mai e poi mai usato con Peter; il quale infatti capì subito che c'era qualcosa di strano. Il suo tono cambiò, diventando una via di mezzo tra il rassegnato e il preoccupato. "Molto bene. Avanti, cosa hai combinato stavolta?" - disse esasperato. "Sei in prigione?"
Harry si preparò a rispondere tirando un respiro bello lungo, che si mozzò a metà strada.
"Beh... Ecco... Cosa?!? No!! Quale prigione!! Per chi mi hai preso?" disse facendo una smorfia.
Peter non si arrese. "Qualcosa dev'essere successo. Mi sembra di vedere la tua faccia. Dai, sputa!" disse.
Harry si ripeté mentalmente che ce la poteva fare, cercando di non pensare al fatto che Peter sembrava sempre aspettarsi che prima o poi sarebbe finito dentro. Si fece coraggio.
"Ok. Hai presente quello scoop di cui ti ho parlato... Quello che- " il vecchio non lo lasciò finire.
"Ecco. Lo sapevo che era una balla." disse scuotendo la testa.
Harry si era aspettato quella reazione, ma l'aveva messa in conto e a questo punto non cercava giustificazioni. "Già!" - ridacchiò fingendosi imbarazzato - "Ti ho fregato eh! Ci sei proprio cascato!" ringraziò chi di dovere per essere a miglia e miglia di distanza da Peter.
Gli insulti e le urla dell'uomo fecero diventare bollente il cellulare di Harry, che per non sentirlo lo infilò così com'era nella tasca dei jeans e si incamminò verso la strada del ritorno. Quando fu sicuro che Peter si fosse sfogato per bene, riportò il telefono all'orecchio.
"Ok. Finito?" Dall'altra parte si sentì solo un borbottio di disappunto. Harry continuò. "Senti vecchio ti restituirò i soldi fino all'ultimo centesimo, credimi, dammi solo un po' di tempo. Ok, mi sono sbagliato d'accordo? Credevo di avere uno scoop ma non era così. Che ci vuoi fare?".
Ok la parte difficile è finita, pensò sfoderando il suo sorriso migliore nella speranza che funzionasse, come se ci fosse questa possibilità con Peter Warne e perdipiù al telefono.
"Non voglio più vederti per almeno un anno Harry, e non sto scherzando!", concluse il vecchio con decisione.
Harry decise che era il momento di giocare l'asso di briscola. "Un anno??? Cazzo! E io che volevo chiederti di essere il mio testimone di nozze!"
Era certo che quello avrebbe sciolto definitivamente il cuore di Peter.
Il vecchio ammutolì per qualche minuto, tanto che Harry temette che fosse morto dallo spavento.
"Pete? Ci sei?"
Con una voce tremolante e più bassa di almeno due toni, finalmente riuscì a rispondere. "Mi... Mi stai prendendo per il culo, Harry? Perché non lo sopporterei alla mia età... ". Aveva già dimenticato la rabbia di cinque minuti prima e il motivo che l'aveva causata.
"Allora accetti o no? Altrimenti dovrò cercare qualcun'altro! Ah, e mi serve un lavoro fisso, anche! D'ora in poi avrò una famiglia a cui pensare!". Anche se Louis era molto ricco lui non sarebbe venuto meno alle sue responsabilità di marito, e non gli avrebbe mai fatto mancare niente, a costo di lavorare giorno e notte.
Per tutta risposta Peter Warne scoppiò in lacrime; aveva dedicato tutta la sua vita al lavoro e non aveva mai avuto il tempo di pensare a farsi una famiglia. C'era stato un momento in cui aveva pensato di sposare Ellie, ma le voleva troppo bene per infliggerle una tale condanna, con il caratteraccio che si ritrovava. Ma l'aveva amata dal primo giorno in cui si era presentata al suo ufficio per chiedergli un lavoro, e lei non aveva mai chiesto niente di più di quell'amore. Quando il suo più fedele collaboratore era morto, lasciando un adolescente ricciolino con la faccia da schiaffi solo al mondo, loro due lo avevano praticamente adottato.
Ora il suo Harry si era fatto adulto e gli sembrava già di vederlo, vestito in abito da cerimonia, sorridente e felice accanto all'uomo che gli aveva rubato il cuore.

Harry trovò quasi subito un passaggio per tornare al campeggio e durante tutto il tragitto non fece che immaginare e a provare mentalmente il modo migliore per proporsi a Louis, con quali parole, e alla faccia che avrebbe fatto il suo piccolo alla vista dell'anello. Un anellino semplice, senza troppe pretese, tutto ciò che si era potuto permettere in cambio della Reflex calcolando anche qualcosa per il viaggio di ritorno, ma a Louis sarebbe piaciuto. Non era per niente il ragazzino viziato che sembrava. Ok un po' si, era viziato. Ed era anche petulante e capriccioso, insolente, sfacciato e un po' rumoroso, ed era anche disordinato e un gran casinista. E faceva i dispetti. Ma aveva il sorriso più luminoso e gli occhi più azzurri che si fossero mai visti. Era dolce e generoso, era acuto, allegro e divertente. E bellissimo. Era la creatura più perfetta e adorabile del mondo e presto sarebbe stato suo. Anzi lo era già. E lui non stava più nella pelle.

****

Alle 11,45 di quella calda mattina d'autunno, nell'ufficio dello Sceriffo della Contea di Charleston in Broad Street, a pochi metri dal banco dei pegni Pawn's Shop, Louis Tomlinson, con il cuore gonfio di tristezza, telefonava a suo padre per dirgli che voleva tornare a casa. Alla stessa ora, dodici miglia più a sud, il sogno d'amore di Harry Styles si infrangeva di fronte a un campeggio ormai deserto, lasciando il posto a un vuoto che poco a poco prese la forma di una creatura viscida e strisciante, che iniziò a divorarlo piano piano, distruggendo tutto ciò che anno dopo anno, con fatica, aveva costruito per proteggersi, e lasciandosi dietro solo le macerie di quello che un tempo era stato il suo cuore.

Io credo di amarti.

Sì, sono tuo.


Molto bene, eccoci qua con un nuovo capitolo. Continuo a ringraziare di cuore tutti quelli che leggono, votano e commentano la mia storia, in particolar modo a YabriStyles94 ClodiaMars MeriemDabdoub e Hug_Me_Hazz che sono sempre tanto dolci. Vi amo moltissimo. Buona lettura.

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