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Ottobre 2007

Dove viene scoperto lo Snoopy di Matilde e soprattutto dovea casa di Matilde, io divento persona non gradita


Venerdì 5 ottobre 2007

La visita della sorella di Rinald, che si chiamava Belita, non si era più riproposta. Ma a volte ci capitava, spostandoci nei laboratori o in palestra, di incrociare la sua classe e quindi anche lei.

E anche certe sue compagne, che ormai, fisicamente, avevano tutto al posto giusto o quasi. Io e Cate, a volte, non avevamo quasi il coraggio di guardare perchè questo ci metteva davanti al fatto di essere passate dal sentirci le tipe più fighe della scuola elementare a essere due nanerottole anonime in mezzo a mille ragazze veramente ragazze.

Ma la classe che metteva più in difficoltà il mio amor proprio era la 3D: quando la loro porta si apriva, ne uscivano tipe che mi superavano di una testa e mezzo, a cui arrivavo più o meno al seno, puntualmente generoso quasi come quello delle nostre madri. Capelli perfetti, unghie fantastiche, viso truccato.

E io con il brick dell'Estathé in mano.

Era ovvio che fosse così, perché gli anni in adolescenza sono lunghissimi e pesano come macigni. Ma quello era stato un momento veramente buio della mia vita e se mi considerate superficiale è perché forse non vi ricordate bene come eravate voi alle medie. Non mi potevo dire sicura neppure di essere tra le più fighe della classe perchè Martina, al di là dell'accento era veramente carina, Noemi non era da meno, e le tre ginnaste beh, lo sport faceva loro molto bene.

Caterina aveva risposto a questa degradazione alla sua maniera: sprezzante. Era sempre stata un'appassionata di musica sin dalle elementari, ma in quel primo mese di scuola aveva rapidamente preso a usarla come bolla protettiva e come suo modo di differenziarsi, anche come abbigliamento e atteggiamento.

«Ehi Cate ormai sei diventata una ema» aveva detto quasi per scherzo Noemi, una mattina di in cui non era più tanto caldo e Cate s'era presentata con dei jeans neri strettissimi e una maglietta a righine orizzontali rosa e nere.

«E a te, cazzotene?!» era stata la risposta lapidaria.

Fine delle comunicazioni tra Noemi e Cate per l'anno 2007.


Lunedì 15 ottobre 2007

Un lunedì di metà ottobre, tanto per farvi capire con chi avevamo a che fare in classe, era successo un guaio piuttosto serio. Matilde, sin dall'inizio della scuola aveva portato il suo cane di pezza Snoopy dentro lo zaino. Era convinta che fosse "normale" portarsi un animale rassicurante. Ma quando al decimo minuto del primo giorno di scuola, aveva capito che era l'unica ad avere un tale oggetto, lo aveva lasciato sepolto nello zaino, accarezzandolo alla bisogna.

Eppure non lo aveva lasciato a casa, aveva continuato a portarlo. Solo io, Cate e Emma, compagne dalle elementari, sapevamo l'esistenza di questo pupazzo nel suo zaino. Cate più volte le aveva detto di lasciarlo a casa per evitare che potesse essere ritrovato dalle persone sbagliate, ma lei aveva fatto finta di nulla e puntualmente Snoopy era stato scoperto da Aaron, che non aveva esitato a trasformarlo nel divertimento dell'intervallo assieme agli altri del suo gruppetto. Era uno scherzo crudele, di quelli che si vedevano a decine durante quei giorni. Ma Snoopy, per Matilde non era l'astuccio o il diario, era qualcosa di più importante, era un pezzo del suo mondo fatato. Una specie di portale per rimanere sempre connesso al suo universo.

Provate a immaginare una ragazzina dalla voce ancora troppo acuta e sul punto di rompersi, dall'aspetto paffuto, che insegue cinque scemi che si tirano il suo cane di pezza preferito. Da un angolo, Alessia Collinelli sbraitava a mezza voce su quanto fossero dei minorati mentali. I suoi occhi, dietro la montatura leggera, saettavano tra i bulletti, soprattutto Gabriele e Tommaso.

Io e Cate eravamo state a guardare, senza nemmeno parlare, finchè non era entrata la professoressa di italiano e aveva semplicemente fatto finire quell'odioso siparietto. L'impressione che Matilde aveva dato di sé stessa però era rimasta scolpita un po' in tutti.

La mattina dopo, per una sfortunatissima coincidenza, Matilde si era presentata a scuola con una felpa di Snoopy che forse la madre aveva scelto senza poter immaginare le conseguenze, e questo aveva rinfocolato l'ironia su di lei, che da quel momento, per un po' di tempo, era stata soprannominata da Aaron e compagnia "Snupa".

Io, per quanto possibile nel mio piccolo, avevo cercato di dissuadere i maschi da usare quel soprannome stupido che le si era appiccicato addosso, ma era diventata una causa persa.

Sapete perchè? Perché la nostra classe era una manica di pezzi di merda. C'era Aaron che faceva il capopopolo e Gabriele che, a arroganza, gli contendeva involontariamente lo scettro, spalleggiato da Tommaso in grado di trasformare qualsiasi quisquilia in un tormentone degno di un pezzo estivo di Enrique Iglesias. Ma non sarebbe stato un grosso problema se non ci fossero state così tante persone pronte a ridacchiare delle loro battute. Thomas, Mirco, Edo, Andrea, ma anche Noemi e la Marty: tutti pronti a sghignazzare, e spesso sghignazzavano per battute non solo sugli altri gruppetti ma anche, sul vestiario, sui difetti fisici, sulle difficoltà varie.

E Matilde, in un modo nell'altro, spesso ci finiva in mezzo.


Martedì 23 ottobre 2007

Al primo consiglio di classe, che si era svolto nei giorni successivi, gli insegnanti avevano proprio calcato sull'argomento dei gruppetti in classe, che secondo loro minavano la serenità generale. Mia madre era andata alla riunione, e quando era tornata a casa si era limitata a farmi un resoconto stanco, raccomandandomi di «Fare amicizia con tutti e tutte.»

E io avevo annuito, pensando che con certi tizi, non ci avrei fatto amicizia nemmeno se mi avessero donato un rene.

«Ma è vero che ci sono i gruppetti in classe?» mi aveva chiesto qualche giorno dopo la mamma della Maty mentre ero da lei a copiare i compiti, «Matilde non mi dice mai nulla.».

Sì, copiavo i compiti, ogni tanto, mica sempre. Però non è che dicevo "Mi fai copiare i compiti?", era più un "Mi fai controllare come hai fatto tu?".

La madre di Matilde era una che amava sapere tutto di quello che succedeva a scuola. E quando dico "tutto" è "tutto". Giustificava questa sete di informazioni con il fatto che intendeva diventare, anche per le medie, rappresentante dei genitori: era necessario che fosse informata puntualmente delle dinamiche di classe.

«No, non ci sono tutti questi gruppetti» avevo mentito spudoratamente, «Ci sono solo due o tre ragazzi un po' stronzi.»

Malissimo.

Ma proprio malissimo malissimo. Non dovevo dire quella parola. Non dovevo dirla in quella casa.

Matilde disegnava angioletti, incurante, tanto mi aveva sentito altre volte dirla, e da Cate sentiva di ben peggio. A scuola, rispetto alle elementari, le parolacce erano un divertente intercalare. A ben pensarci penso che abbia detto più volte "stronzi" che "compagni di classe" in riferimento a certi tizi conosciuti alle medie.

Sua madre non mi aveva mai sentito dire quelle cose. Sua madre aveva persino smesso di affettare quello che stava affettando, per porre tutta l'attenzione verso di me. O per meglio dire, tutto il suo sconcerto: aveva appena assistito allo stupro della verginità letteraria di casa sua. Una bambina (tale ero io ai suoi occhi) che si permetteva di profferire quelle parole tra quelle mura. Il suo sguardo di gelo penso che me lo ricorderò per tutta la vita, e ancora oggi, quando ci ripenso, sento il freddo alla nuca.

Credo che quel momento sia uno di quelli che ha marcato la modifica del nostro mondo, anche se fortunatamente non ha cambiato la nostra amicizia. Quello "stronzi" lasciato risuonare per le stanze di Casa Castelli mi aveva trasformato in un istante da Amica Del Cuore in Quella Finisce Male.

Da quel momento, la mia presenza in quella casa non è più stata vista con occhio così benevolo e ho pochi dubbi che se non ci fosse stata una cementata intesa tra la madre di Matilde e quella di Caterina con la comune base parrocchiale, Matilde a quest'ora sarebbe solo un pallido ricordo per noi. Ma soprattutto noi per lei.

Perché anche Cate, con l'avanzare dei giorni, sembrava non essere più la Splendida Piccola Caterina che cantava in chiesa e andava dai Castelli a giocare con gli unicorni, quanto un'ombra inquieta perennemente chiusa dietro a una frangia che le copriva il viso, con un auricolare perennemente infilato in una delle orecchie, possibilmente quella dalla parte del ciuffo.


Martedì 30 ottobre 2007

«Chiara, dall'oggi al domani sei diventata deficiente? Ma come puoi portare a casa questi voti orrendi? Ma come puoi?!» mi aveva detto mia mamma.

«Ma mamma lo dici anche te che le maestre delle elementari-»

«Smettila di trovare scuse! Sono passati sei mesi da quando stavi con le tue maestre alle elementari! Adesso sei alle medie, e devi impegnarti di più.»

«Ma passo un sacco di tempo sui libri, un sacco!» avevo miseramente mentito.

«Ma smettila di dire bugie! Stai sui libri pochi minuti al giorno, e non va bene! E non va bene! Ti metto in punizione! Giuro che ti metto in punizione!» aveva sbraitato mia mamma, sempre più agitata.

«Mamma ma non puoi mettermi in punizione sempre! Ma cazzo!»

«Chiara parla bene! Adesso pure le parolacce? L'unica cosa che stai imparando alle medie sono le parolacce! Mi mandi ai matti!»

«Mamma piantala di fare la mamma isterica!»

«Isterica a me?! Fila in camera tua!» aveva ruggito.

Parlavamo poco. Non che avessimo mai parlato tantissimo, ma per lo meno un po' riuscivamo a interagire. Quell'inizio così incasinato nelle medie beh, non è che ci aveva dato una mano. Lei saltava sempre su così, come i fuochi d'artificio. Io non riuscivo mai a starmene calma per rispondere, non mi andava di lasciarla imperversare, non mi andava che pensasse di avere ragione, perchè non ce l'aveva. Non era colpa mia se la scuola andava così di merda.

Cioè, sì, in parte era colpa mia, ma cazzo! Ero una bambina di prima media, mica una di quarta liceo! Era lei che doveva fare l'adulta e trovarmi una soluzione.

Invece solo «Tu sei in punizione!» o «Tu non esci!» o «Tu non guardi la TV oggi!» e a me montava una roba dentro che non avete idea.


Cosa ho imparato a Ottobre 2007: che dire le parolacce nei momenti sbagliati porta un sacco sfiga


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