Novembre 2007
Dove le mie amiche non è che vengono proprio proprio trattate bene
e io non è che proprio proprio mi dimostro una gran amica
Sabato 10 novembre 2007
Quindi, proviamo a fare un piccolo riassunto: le aspettative in vista delle medie, erano andate a funghi appena avevo cominciato la scuola. Non dico che mi considerassi una persona geniale, ma pensavo di poter sopravvivere easy. Non dico che mi vedessi come Jessica Alba, ma pensavo di poter essere una tipa carina.
Invece mi ero ritrovata una tra le tante, e con una gran difficoltà a stare al passo. E forse, anche per tutto quello che sentivo attorno a me, per la negatività che tutti i compagni riversavano sui prof, avevo iniziato a pensare che gli insegnanti ce l'avessero con me.
Pensavo a me stessa, a come salvarmi, e quale poteva essere la soluzione se non aggrapparmi a Matilde? Non potevo andare da lei a studiare, ma potevo sfruttarla per fare i compiti, o meglio, per copiarli. Come puntualmente facevo la mattina.
La sfruttavo, è vero, non lo nego. Perché lei non era il mio modello di riferimento e anzi, era praticamente all'opposto. In quel periodo non la cercavo spesso per il gusto di starci assieme, perché mi ero convinta che non mi sembrasse "adatta" al contesto delle scuole medie. Se non l'avete notato, questa è una confessione, senza mezzi termini. Una presa d'atto del fatto che con lei, in quel periodo non sono stata limpida.
Vedevo anche io perfettamente che le facevano un po' di bullismo psicologico ma siccome lei non reagiva, pensavo che non le importasse e non le facesse nulla, e quindi non intervenivo.
Anzi a volte quasi mi innervosiva quando prendeva quei voti bellissimi, e io mi chiedevo "Perchè lei sì e io no?!". E, a dirla tutta, non non mi ero neppure strappata i capelli quando la sentivo chiamare Snupi anche quelli delle altre classi che in realtà non la conoscevano.
Il sabato dopo la litigata con mia madre, non c'era la prof di musica. Era la penultima ora e col piffero che avevano trovato qualcuno per sostituirla. Così l'insegnante dell'ora prima, la De Rossi di matematica, ci aveva divisi in quattro gruppi e ci aveva schiaffato nelle altre prime medie. Io, Matilde, Martina e Gabriele eravamo finiti in 1C.
Gabri, senza Tommaso, era privo della sua principale fonte di disturbo. Ma era uno che non si arrendeva facilmente: dopo dieci minuti in quell'aula, era già alle prese con Anthony, uno dei nostri ex compagni delle elementari, che nel frattempo aveva messo su una gran faccia da sberle. Dopo aver bisbigliato per per vari minuti, sghignazzando, con un cenno mi aveva richiamata.
«A Ferroni piace Snupi» mi aveva detto.
«Non fare scherzi di merda» gli avevo risposto.
«È vero, a lui piacciono le tipe chiatte.»
«Quanto sei scemo Gabri.»
«Ma non sto scherzando! Diglielo, oh, poi se non vuoi crederci, a me non frega un cazzo» aveva risposto, sostenuto.
Ci avevo pensato su. Era ovvio che fosse uno scherzo di merda. Volevo bene a Matilde ma a Ferroni, che era anche carino per essere, non poteva piacere veramente. Vero?
No dai, non poteva non essere uno scherzo. Ero quasi offesa del fatto che ci fosse la possibilità, seppur remota, che non si trattasse di uno scherzo. Ma veramente poteva non esserlo?
Sospirando, avevo detto a Gabri che lo avrei riferito a Matilde. Era una stupidaggine, lo so, perchè era ovvio che era uno scherzo, ma in quel momento avevo pensato di dirglielo, che al massimo, se non fosse stato vero, sarebbe stata una questione tra lei e Gabri.
«Maty, mi ha detto Gabri che c'è uno che si è interessato a te.»
«Dai Chià, è uno scherzo. Sicuramente» aveva risposto lei, quasi sospirando.
«Ha insistito. Boh, mi sembrava serio.»
«Non mi interessa tanto non ci credo» aveva tagliato corto.
Però la vedevo che si rigirava la penna nelle mani, che lanciava sguardi di sottecchi.
«Però non è nemmeno male» le avevo detto.
«Ma che dici?» mi aveva risposto, guardandomi con uno sguardo un po' tormentato. Ero convinta che la stuzzicasse l'idea di poter piacere a qualcuno.
Gabri si era girato verso me chiedendo informazioni, io avevo fatto una mezza smorfia, poi gli avevo mimato di scrivermi il suo numero.
Cosa volevo fare? Tastare il terreno per Matilde.
«Tu, hai finito di chiacchierare?» mi aveva apostrofato la prof di quella classe, nervosissima, «vuoi riuscire nell'impresa di prendere una nota anche in una classe diversa dalla tua?»
Me ne ero stata zitta maledicendola in ogni maniera. A quanto pare questi prof si passavano la voce anche con quelli delle altre classi per prendersela tutti con me.
Nel pomeriggio, avevo trascinato Matilde a casa mia, dicendole che avevo il telefono di Ferroni, e magari potevamo chiamarlo e capire se era vero. Lei non sembrava molto intenzionata ma alla fine aveva ceduto.
«Però ti prego parlaci te» mi aveva detto, e io avevo affrontato quella storiaccia.
Composto il numero, avevo aspettato. Il pronto maschile, ma giovane, mi aveva fatto capire che era proprio lui.
«Alessandro?»
«Sì, chi sei?»
«Sono, mhm, sono Matilde, della 1B, sono stata in classe tua stamattina.»
«Ah. E chi ti ha dato il mio numero?»
«Gabriele.»
«Ah, ho capito. Lo ammazzo quando lo vedo» poi aveva fatto una pausa, sbuffando, «senti, di sicuro è uno scherzo di merda.»
«Ma tu hai presente chi-?»
«Sì, ho presente, penso di sì ma non mi interessa e per piacere cancella 'sto numero perchè già sono incazzato con il tuo compagno di merda, non peggiorarmi la giornata, ok?»
«Ok, ciao.»
Avevo chiuso la chiamata, guardando Matilde con costernazione. Chiara, ma porco cane, ma lo sapevi perfettamente che era uno scherzo di merda, eppure avevi alimentato le speranze, per quale motivo? Poiché ero una amica di merda, non potevo sopportare che ci fosse la possibilità che quella storia fosse vera.
Subito avevo pensato al giorno dopo, prima dell'entrata, a Anthony che chiede a Ferroni se l'ha chiamato Snupi, se le ha offerto un Maxibon, o un Magnum doppio caramello. E giù a ridere.
Dovevo stopparlo io quel coglione di Gabri e invece ero andata avanti, come una scema.
«Sono una scema Maty, sono una scema totale. Scusa» era l'unica cosa che avevo detto, ma lei mi aveva abbracciata e aveva detto che non importava e erano solo degli stupidi.
Sabato 24 novembre 2007
Alle porte di dicembre, senza che me ne rendessi veramente conto, le mie visite a casa Castelli si erano quasi azzerate. Matilde andava ancora a pallavolo ma molto controvoglia. La madre, sfruttando l'amore della figlia per le parole, l'aveva anche iscritta a un corso di scrittura creativa organizzato dalla biblioteca, mentre il giovedì pomeriggio una sua cugina che conoscevo giusto di nome, veniva a farle recupero di varie materie. Sospettavo che non fosse perché ne avesse bisogno, ma perché così era più facile dirmi che quel giorno Matilde non poteva invitare nessuno a casa.
Anche riguardo ai compiti, dopo la storia di Ferroni, non so perché ma mi vergognavo a chiederle di copiarli. Cercavo di vivacchiare alla giornata, chiedendoli a Emma a volte. O a Cate.
E così, lentamente, ci eravamo ritrovate io e Cate, sempre più spesso da lei, un po' orfane della nostra terza componente, quella fantasiosa, quella creativa. Ma anche quella più "bambina", quella in grado di disinnescarci quando iniziavamo a correre in avanti, a parlare come se fossimo delle liceali. Anche se in due modi diversi
Lei stava abbracciando in toto lo stile emo e questo forse un po' mi dava fastidio, perché poi ci abbinava i suoi filosofeggiamenti che mi sembravano tanto fuori contesto per gente di prima media.
«L'emo non esiste, Chià. Quelli che si definiscono "emo" sono solo dei cazzo di "poser" che si fingono emo prendendo e mischiando elementi banali tipo una frangia o un polsino, ascoltano due pezzi dei Fall Out Boys, si fanno due taglietti con lamette e ecco qua sono emo. È tutta una cazzata da bimbominkia. Io mica ascolto solo quello!»
E aveva iniziato a elencarmi tutto quello che ascoltava che, beh, per quello che ne capivo io era un po' tutto nell'area dell'emocore ma vabbè, c'era gente che manco conoscevo.
«Sì ma allora non capisco perché hai bisogno di vestirti così in una maniera che finisce che maschi e femmine praticamente sono identici» avevo aggiunto, ritornando al tema del genere non troppo definito.
«Chià, vuoi che ti dica che sono emo? Sono emo, sei felice? E vuoi che ti dica che siccome sono emo, mi piacciono anche le femmine? Ti faccio felice: sono emo e mi piacciono tutti, anche i gatti, i polli o i cazzo di castori.»
«Cate dai, non ti scaldare. Semplicemente non ho mai pensato che se ascolti un tipo di musica ci sia bisogno di vestirsi in una certa maniera. Vabbè, a parte i rapper.»
Che scema ero, in prima media, vero?
«Senti» aveva sbuffato, «Non mi taglio i polsi con le lamette e non piagnucolo. E non sono depressa e non sono bisessuale o... altro. Semplicemente mi limito a riflettere su questioni che i ragazzi di oggi non si pongono. C'è un sacco di superficialità. La gente giudica senza sapere, dice che tutti quelli che ascoltano i Tokio Hotel sono "froci" e tutte le tipe che ascoltano i 30 Second To Mars sono delle finte depresse che vogliono stare al centro dell'attenzione. A parte che i gay non fanno male a nessuno, i loro sono tutti giudizi che dimostrano una cazzo di immaturità assoluta.»
Non potevo dire che Cate non fosse preparata sull'argomento, delle tre sicuramente era quella più preparata riguardo alla musica. Ma non potevo nemmeno dire che ne parlasse serenamente, anzi, tutt'altro: ormai parlava solo in modo aggressivo di sé stessa e delle differenze tra lei e "gli altri". L'avevo abbracciata perché mi sembrava giusto, e le avevo detto che avrei cercato in tutti i modi di starle vicino e di cercare di difenderla.
«So difendermi da sola» mi aveva risposto.
Ma anche quella situazione era durata poco. Cate, a differenza di me, era meno propensa a copiare i compiti perché era una molto orgogliosa, e sua madre non aveva tollerato quella partenza così difficoltosa in prima media. Era corsa ai ripari mandando la figlia a ripetizione da una ragazza più grande, che si chiamava come me e che era a dir poco rigida.
Caterina non la poteva sfangare, ne parlava malissimo e le augurava morti tremende e dolorose, ma avendogliela imposta il padre, l'aveva accettata ufficialmente senza fare una piega.
E io? Le mie difficoltà a scuola?
Arrangiati Chia. Arrangiati come sempre.
Cosa ho imparato a Novembre 2007: che se una cosa che ti dice un undicenne sembra uno scherzo, allora di sicuro è uno scherzo
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SPAZIO "DILLO A CHIARA"!
Le piccole meschinità in un momento complicato come l'arrivo in una scuola nuova. Cosa ne pensate di quello che è successo con Matilde?
E soprattutto, quanto vi sta simpatico Gabri?
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