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Maggio 2008

Dove tutte e tre passiamo la cresima (come se fosse un turno della Coppa Davis) e una impersona Elton John


Domenica 4 maggio 2008

La Cresima è un momento importante per molti, un rito di passaggio che segna l'ingresso nella piena comunione con la chiesa cattolica.

E bla bla bla. A me interessavano giusto i regali. Per il resto, guardavo a quell'evento con una certa indifferenza. Crescendo in una famiglia dove la fede non era al centro delle nostre vite, la Cresima sembrava essere solo un altro rituale da seguire, senza un reale significato per me. Non ho mai sentito quel richiamo spirituale che spinge molte persone a impegnarsi pienamente nella loro religione, come succedeva alla Maty, che ci credeva un sacco, nel solco della madre, da sempre preoccupata per questa società che andava perdendo valori fondamentali.

La prospettiva della mia Cresima inizialmente mi ha semplicemente dato sensazione di fastidio nel momento in cui dovevo uscire di casa la domenica mattina per andare a seguire il catechismo, come negli anni precedenti. Ma era bruscamente passata al disagio quando mia madre aveva iniziato a cercare dove fare il pranzo con i parenti e, soprattutto, chi invitare.

Per fortuna, memore di ciò che era successo per la Comunione, mi salvava il pensiero dei regali, come ho già detto. Ma all'avvicinarsi del momento mi ero chiesta se avessi dovuto provare qualcosa di diverso. Se non fosse una colpa la mia totale mancanza di fede che non fosse quella di pregare per prendere un buon voto in una verifica.

Invece mi ero ritrovata a rinforzare le mie idee, perché la maggior parte dei ragazzi, da un certo punto in avanti, si erano messi a parlare dei regali che avrebbero ricevuto, e le ragazze aggiungevano ai discorsi anche quello che si sarebbero messe.

Caterina, pur essendo con le mani in pasta negli affari di chiesa, rimaneva a margine di queste discussioni, come se si trovasse a disagio nel parlarne. In quei giorni discuteva ferocemente a casa per mettersi dei jeans neri e pur di metterseli era disposta persino a prenderne un paio non strappati.

Alessia e Matilde avevano parlato dell'evento in lungo e in largo prima e dopo catechismo, tra i pochi momenti che ancora passavamo assieme. Per loro, ma soprattutto per la mia amica del cuore, era una sorta di "ballo delle debuttanti". Pur esagerando, le avevo viste un po' come delle ipocrite, che si ritenevano religiose ma parlavano di come vestirsi con le spalline e giacchetti coprenti, per poi magari uscirsene con «Magari in chiesa non sta bene.»

Io, tanto per rompere un po' le palle, mi ero ritrovata a litigare con mia madre perché avevo abbandonato l'idea delle Max 90 e volevo comprarmi le Dunk Mondrian. Lei aveva di nuovo attaccato con la storia del capriccio e mi aveva detto che non erano da "signorina". Perché dovevo essere una signorina, e come tale, mi aveva costretto in uno spezzato con la giacchetta e la camicia chiara, e le scarpe di vernice con un tacco "giusto per una signorina".

«Che poi viene la nonna e vengono anche le zie e è meglio vestirsi così.»

Lascio a voi qualsiasi considerazione a riguardo.

La cerimonia stessa mi aveva lasciato perplessa: seduta nella chiesa, vestita in modo scomodissimo, circondata da familiari e amici, mi ero sentita sopraffatta dall'effetto Ma-che-bella-ragazza-ti-sei-fatta. Due file più avanti della mia, dove ero accoppiata casualmente al mio compagno di classe Edo Marzelli, c'era Matilde in un sobrio abito perlato.

Edo, e anche quell'idiota di Anthony che stava a dietro a lui, come la maggior parte degli altri maschi, sembravano in gran parte dei bimbetti a cui era stato imposto un abito disagevole: camicie rubate a qualche cugino, papillon improbabili, giacche color panna prese maldestramente a prestito da un manichino di Mazzeo a Cesenatico. Qualcuno, osando sfidare l'ira divina, si era fatto i capelli a crestina con qualche spalmata di gel.

Ancora più avanti, c'era il vero colpo di scena di quella cresima: la Cate era in uno sgargiante abito fucsia particolarmente fasciante, che copriva una camicetta molto slim e un pushup disperato. Il ciuffo era sparito, sostituito da una cascata di boccoli che sembravano fatti uno a uno da Bernini. Il trucco e la gioielleria l'avevano trasformata in una donna dall'aspetto quasi aggressivo. Per un attimo avevo avuto l'impressione che si fosse fatta gonfiare le labbra con del botulino, ma lei ha sempre negato vigorosamente, dicendo che era solo merito del rossetto giusto.

Avevo capito il motivo di quel tiro in ghingheri quando, chiamata all'altare, si era messa al pianoforte e aveva accompagnato un canto di chiesa, con lo sguardo fisso ai genitori, soprattutto alla madre che letteralmente fremeva nel guardarla.

Mentre il vescovo pronunciava le sue parole e centomila macchine fotografiche scattavano, io lottavo con una crescente sensazione di alienazione: quanti di noi ragazzi credevano in ciò che stavano facendo? O stavano pensando a quanto stavano bene con il tal vestito o la tal acconciatura, o a quanto ci sarebbe stato dentro alle buste che avrebbero sganciato i nonni?

Poi, una volta terminata la cerimonia, era iniziata la girandola di commenti dei parenti, e dei parenti degli altri, fino alle battute che avevo sentito uscire dalla bocca del fotografo ufficiale della cresima

«Siete proprio delle belle ragazzine, va a finire che stasera vi portano a ballare!»

«Non stare tutta così gobba, fatti vedere bene davanti!»

Forse non aveva capito che avevamo undici o dodici anni, non diciotto.

«Ma ce l'hai il fidanzatino?» mi avevano chiesto esattamente sette persone diverse.


Domenica 4 maggio 2008

Viola aveva fatto la cresima con noi. Aveva visto anche lei come si era presentata la Cate, che tipo di aspetto potesse avere. Mi era capitato di parlarne mentre copiavo dei compiti quella mattina in un angolo del baretto.

«Sembrava dovesse andare in discoteca. Troppo, dai!» mi aveva confidato, riprendendo le idee del fotografo, evidentemente.

Poi aveva assunto l'espressione di chi si aspetta una replica. Non necessariamente una conferma di quanto aveva detto. Mi rendevo conto che, nel momento della cerimonia, anche a me Cate aveva dato quell'impressione, ma era la mia amica del cuore e sicuramente c'era lo zampino dei suoi parenti in tutto quello. E poi non avevo voglia di parlarle alle spalle.

«La cresima non fa testo. E poi molte erano "troppo".»

«Sì ma lei è una che deve fare per forza la diversa dalle altre, non puoi negarlo. Cioè, lo so che è una tua amica, ma non puoi negarlo. Durante la settimana fa la emo e poi la domenica pum! Diventa Miss Fucsia e fa la sfilata per suonare al pianoforte!»

«Non è una cattiva ragazza. Sta solo passando un periodo un po' incasinato.»

«In che senso?» mi aveva chiesto.

«È convinta che non stia crescendo come dovrebbe. E quindi magari accetta di mettersi così per nascondere» poi mi ero interrotta, rendendomi conto che quello era proprio parlare alle spalle.

«Vero, a sviluppo è indietro. Basta vedere in spogliatoio a motoria. Però fare la emo... vabbè, non voglio parlare male di lei, se è una tua amica.»

«La vedo pochissimo ora» avevo sospirato, «però le voglio bene.»

Viola era rimasta distaccata, e io non mi ero nemmeno posta il problema del fatto che si mettesse a guardare i fisici delle compagne negli spogliatoi di motoria. I miei pensieri erano tutti proiettati al fatto che sarebbe stato carino far avvicinare Cate al gruppo delle ginnaste. Magari poteva uscire da quello strano angolo in cui si era messa da sola, pensavo, e nello stesso tempo avrebbero smesso di parlare male di lei.

Così, in un paio di occasioni, soprattutto prima dell'inizio delle lezioni, le avevo lanciato la battuta e lei aveva risposto. Tuttavia si vedeva che era a disagio, perché comunque alla fine il suo aspetto attirava qualche commento, soprattutto dai ragazzi che ci stavano attorno.


Venerdì 16 maggio 2008

«Chiara, puoi chiuderti un po' la zip per piacere?» mi aveva detto pochi giorni dopo il prof di educazione motoria.

Mi ero guardata, che c'era di strano? Era un abbigliamento che altre avevano. La differenza me l'aveva mimata la Cate che avevo spiato con la coda dell'occhio: aveva disegnato con le mani un seno e aveva detto col labiale «Tette.»

Si, le tette. Mi erano spuntate, l'ho già detto, he he he, e ne ero orgogliosissima. Me le guardavo quasi tutte le sere. E mi immaginavo che me le toccasse Channing Tatum, anche senza bisogno di ballarci, ma all'occorrenza per lui avrei ballato, avrei cantato, avrei persino mangiato la crosta della pizza.

«Tu non capisci un cazzo, la pizza si mangia tutta!» (cit. Cate)

A proposito di tette, dopo l'exploit imbottito della cresima, era tornata a essere la piatta ragazzina dalle magliette slim, possibilmente sul nero. Era ancora ai blocchi di partenza, e quella magrezza non le dava una mano di certo. Se ci ripenso, chissà che demoni doveva avere in testa. E i ragazzi non aiutavano di certo, perchè si facevano odiare a causa delle battute che le facevano.

Li schifava per quello, e perché li vedeva così diversi da quelli che vedeva "avere a che fare" con le ragazze che guardava nei video. Quegli stessi video pieni di scene più assurde, con maschi dai membri enormi e turgidi, che spingevano dentro inguini di tipe che lei sempre più spesso desiderava sostituire con sé stessa.

Nelle mie fantasie, invece, avere a che fare con i maschi era chiudermi in un bagno più stretto possibile, con un tizio che ne occupasse più spazio possibile, limonare e farmi toccare ovunque lui volesse.

Una specie di 7 minuti in paradiso ma con molti più minuti a disposizione.

Mi capitava di parlare di queste cose con lei, ma anche con Ashley o Viola. Facevamo commenti spesso ironici sui ragazzi della nostra scuola, bilanciando pregi e difetti, ma tendevamo ad omettere i gesti che compivamo nella nostra solitudine quando pensavamo a queste cose.

Non so se fosse pudore, ma non trattavamo l'argomento sfioramenti.

Solo dopo ho capito che la Cate non voleva toccare l'argomento perchè lei si toccava solo con i porno, e si vergognava a dirlo sentendosi sporca ad averne abusato così tanto. Io facevo fatica ad ammettere i miei sfioramenti, anzi, non lo ammettevo proprio. Peraltro non riguardavano quasi mai l'organo sessuale ma tutto il resto del corpo che mi accarezzavo e accarezzavo e accarezzavo. Pensavo che sarebbe stato imbarazzante raccontare di me a maglietta alzata che cercavo di sfregare il seno contro il cuscino immaginando fosse il petto del figo di turno.

Avevamo la calamita per i complessi, vero?


Lunedì 19 maggio 2008

Io, Cate e Matilde arrivavamo a scuola più o meno assieme. Il padre di quest'ultima lavora nella zona artigianale della Malva Sud e tutti i giorni ci accompagnava per poi proseguire da solo. Sua figlia arrivava con noi, scambiava quattro parole, poi pian piano scivolava verso le Gaia e Alessia e si metteva a parlare... boh, Eragon o qualcosa del genere.

Era come se, uscite dalla macchina, non avessimo più l'obbligo di parlare di qualcosa di comune a tutte e tre.

Cate invece stava dalle nostre parti eppure non particolarmente addentro. Tamburellava le dita contro la coscia, e appena c'era qualcosa che non le interessava o da cui voleva stare lontana, si metteva le cuffie, faceva partire le sue playlist e aspettava che le si allungasse di nuovo il ciuffo, brutalmente decapitato dal parrucco da cresimanda. Più volte avevo detto che mi sembrava distante e che forse era il caso di lasciare da parte la musica per un attimo, per essere più "sociale".

«A me piace la mia musica. E poi le cuffie mi fanno sentire protetta.»

«Protetta? Da chi?» le avevo chiesto, stupita da quella sua affermazione.

«Così, in generale» mi aveva risposto, asciutta.

A metà maggio ci eravamo liberate di giubbotti pesanti, giubbottini leggeri e felpe oversize. Mi portavo addosso il minimo indispensabile in modo da non nascondere tutto quello che mi era cresciuto in quei mesi e di cui ero contentissima. Vedevo che i ragazzi mi guardavano e una volta avevo beccato persino il padre di Matilde a fissarmi il seno mezzo imbambolato.

Non potevo che attirare alcuni ragazzi, principalmente amici di Aaron, come Ludo Mazzotti o Fede Lontani, ma anche nostri compagni come Thomas e Mirko, i meno bambocci del gruppo.

Ma quelle presenze causavano un po' di nervosismo, sia in Ashley che era finita in secondo piano, sia in Cate, che si sentiva a disagio con la loro invadenza un po' sciocca. Averli vicini, averci a che fare, doverci parlare, perché in realtà non sapeva letteralmente come fare se non tenerli lontani dalla sua bolla musicale oppure rispondere bruscamente a monosillabi, che erano poi le modalità con cui di solito comunicava con il padre. Ma io non capivo questa cosa, pensavo solo che avesse i suoi cazzi per la testa, le sue fisse sui gusti musicali, che la facevano vestire in una certa maniera o che ne so.

La bloccava sempre di più la roba che guardava, le vorticavano in testa un sacco di pensieri, compresa l'impressione, sempre più pressante, di non avere il corpo adatto per poterlo fare, né in quel momento, né in futuro, se continuava quella crescita così lenta.

E poi, quando veniva toccata, anche solo accidentalmente, da un ragazzo, la sua risposta era tesa, scostante, quasi brusca.

Non deve essere stato facile.


Cosa ho imparato a Maggio 2008: non c'è riunione di famiglia senza  «Ma ce l'hai il fidanzatino?»


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SPAZIO "DILLO A CHIARA"!

No, questa è una domanda seria, giuro.

Ma anche nelle altre religioni si usa il bieco trucco di rifilare i sacramenti a gente
che non è ancora in grado di intendere e volere?

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