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Loading Summer 2009 - 5 of 8

Quando involontariamente creo disagio alla Cate ma poi ci esco assieme
e quando sparisce, io finisco a giocare alla bottiglia con Viola, Diego & Co.


Domenica 12 luglio 2009

Il giorno dopo avevo fatto un danno. Mi ero sentita con Cate per andare al mare ma lei, tanto per cambiare, aveva detto che proprio non aveva voglia di andare in mezzo alla confusione domenicale. Meglio la sua piscina.

Mi sentivo un po' a disagio a andare nella piscina di Cate, perché dovevo stare attenta a quello che dicevo e quello che facevo perché la madre era sempre nei paraggi. Era difficile quella situazione, anche perché la mia amica doveva sottostare alla stessa procedura, e quindi io non sapevo mai se stavo parlando con la Cate vera o quella finta.

Con un po' di broncio, mi ero presentata a casa sua e dopo pochi convenevoli lei mi aveva trascinata su in camera a scegliere il costume. Mi sembrava abbastanza ridicolo che non avesse già scelto il costume, ma mi ero adeguata e ero salita.

Per diluire l'effetto "bimba delle elementari" che la madre continuava a vedere in lei, si era fatta comprare un paio di costumini impegnativi su cui chiedeva consiglio.

«Mia mamma ha fatto un sacco di storie, ma con questi, col cazzo che sembro una bimba delle elementari.»

"Decisamente no" avevo pensato, ma mi ero limitata a farle il pollice in su per un costume a triangolini arancio a strisce trasversali dorate che, se avessi osato chiederlo a mia madre, me lo avrebbe preso per poi scaricarmi in una piazzola della statale per ripagarmelo.

Si era fatta varie foto davanti allo specchio con una faccia da bimba cattiva, occhi cerchiati di matita e lingua di fuori. E non solo la lingua: buttava tutto il corpo in avanti, verso l'obbiettivo

Finalmente, dopo quel supplizio, eravamo andate a buttarci nel piccolo specchio d'acqua immacolata, in mezzo a un giardino grande come tutta casa mia e gli interessi. Dopo il primo momento di divertimento nell'acqua, eravamo uscite per piazzarci a fare le lucertole al sole.

Attorno alla piscina c'erano anche sua madre e un paio di amiche. Il disagio si era fatto un po' evidente quando avevo le avevo salutate.

«Chiara, mamma mia, cresci a vista d'occhio, sei una donna ormai, tu» mi aveva detto la signora Portanova.

Quel "tu" mi aveva un po' messo a disagio, sensazione che era aumentata quando mi ero presentata anche alle signore amiche che avevano fatto facce un po' imbarazzate quando avevo detto di essere una compagna di classe di Cate. Avevo avuto l'impressione che l'imbarazzo derivasse dal fatto che, rispetto alla mia amica, sembrassi ai loro occhi, che ne so, una bocciata, di un anno più avanti. Avrei voluto specificare che non ero bocciata, e stavo pensando a come rispondere senza fare danni.

«Lei e Cate sono assieme dalla prima elementare» aveva detto la madre, e gli occhi delle signore si erano spostati di colpo da me alla mia amica. Occhi quasi pietosi, che mi ero sentita alle spalle mentre tornavamo sul lato opposto della piscina rispetto alle adulte, che poco dopo avevano iniziato a parlottare tra di loro. Le furtive occhiate al nostro indirizzo ci avevano fatto subito capire che l'oggetto della discussione eravamo noi.

«Chia, andiamo dentro» mi aveva detto lei, dopo aver capito l'argomento delle madri.

Non avevo fatto in tempo nemmeno a rispondere che la padrona di casa aveva detto, dall'altra padre della piscina «Ragazze, noi andiamo dentro, qui fuori è veramente troppo caldo e... queste zanzare danno veramente il tormento.»

Rimaste sole, nel silenzio del giardino, la Cate aveva esordito col botto.

«Quella merda di mia mamma ha bisogno di privacy per parlare di sua figlia venuta così male.»

«Cate, ma che cazzo dici?!» avevo risposto, stordita dalla sua uscita così violenta.

Non era alta uno e settanta ma il suo corpo, pian piano, stava uscendo dal guscio. Era innegabile.

«Dai Chia, guardale! Oh ma Caterina è così piccola, così indietro! Cazzo, loro non sanno niente di me!» aveva sbuffato, «Persino il moroso è piccolo, per loro.»

«Ludo non mi sembra poi così piccolo.»

«Mio padre ha avuto il coraggio di dire che Ludo è infantile!»

«In che senso "infantile"?» le avevo chiesto.

Ludo era un ragazzino che aveva appena finito le medie, non so bene cosa si potessero aspettare i suoi.

«Mia mamma ha visto certi selfie che ci siamo fatti e glieli ha fatti vedere. È ovvio che fossero selfie scemi, e ha detto che sembriamo due bimbetti! Che cazzo voleva che mettessi un video porno di noi due?! Che devo fare i video porno secondo te?!»

La parola "Porno" le era uscita talmente sforzata da sembrare uno stridio.

«No, ma che porno, Cate!» avevo cercato di disinnescarla un po' in imbarazzo, «Magari cambia idea.»

«Ma che cambia idea mio padre, quando mai? E Ludo non mi aiuta, non mi aiuta nessuno!»

«In che senso che Ludo non ti aiuta?»

«Con Ludo, non va sempre perfettamente. Mi sembra che si comporti come un bambino di otto anni. Sta lì, fa le battute, mi tiene la mano. Basta!»

«Ma allora hanno ragione i tuoi» avevo provato a dire, ridendoci sopra.

«Ma per nulla! Mia mamma è solo una stronza che vorrebbe una figlia già sposata e con due figli! Se senti i suoi discorsi deliranti! Giuro, delle volte deliranti!» poi aveva sospirato, «Guarda, ha ragione Ashley: prendi uno grande e non hai nessun problema, ti fa da fidanzato che i nostri coetanei non sanno fare, e pure da genitore, che quelli che ho fanno schifo.»

«Cate» mi ero presa un momento per rispondere, «non dire scemenze. Ashley è fuori di testa a fare la fidanzata virtuale con uno grande, e te non le devi dare corda come ieri sera!»

«Chia, dimmi quello che vuoi, ma io comincio a pensare che abbia ragione. Non devi avere a che fare con bambocci che sembra che ti fanno un piacere a abbracciarti o a portarti a mangiare un cazzo di gelato! E non devi avere a che fare con dei genitori fuori di testa che non sanno un cazzo di noi.»

«No, Cate, 'sta cosa non la devi dire. Anche io giuro darei le testate a mia madre, ma andare con uno di quaranta che, bleah, ti tocca e ti vuole fare... bleah, mai al mondo!»

«Perché, ci hai provato? Sai che è veramente così bleah?» mi aveva chiesto, facendo una delle domande più idiote che le abbia mai sentita fare.

«Non ci ho provato, ma lo so! Non c'è bisogno di provare» avevo chiuso seccamente il discorso.

«Secondo me fai troppo la maestra di vita. Ma finora ci hai ricavato solo di far incazzare dei terroni arroganti e degli zingarelli idioti.»

Il riferimento a Clemente e Mirkino era evidentissimo, me ne ero stata zitta, fingendo di prendere il sole. Poi ero rientrata un po' prima del solito.


Lunedì 13 luglio 2009

Cate con un mezzo litigio in atto, Viola irreperibile, Sophie al lavoro, Bea in punizione. Il mio lunedì pomeriggio era partito in maniera schifosa. Così avevo provato con la carta Matilde.

Era a casa, con tutte le finestre aperte e le tapparelle abbassate. Vi dirò, girava anche un po' di arietta in quella penombra. Mi aveva accolto con un libro in mano da cui pendevano circa cento post-it. Vedendo la mia curiosità verso tutti quei fogliettini colorati, lo aveva alzato orgogliosamente.

«I Diari del Vampiro! Questo è il quinto, appena pubblicato!»

Ovviamente, avevo passato la successiva ora ad ascoltarla mentre faceva l'esegesi di una collana di romanzi di cui quello era il quinto. Ne parlava in maniera così appassionata che ero finita per essere coinvolta nel turbine del suo entusiasmo e mi ero fatta rifilare il primo tomo da portare a casa e leggere il prima possibile, perchè la sua idea era che io mi mettessi in pari con lei e poi ne potessimo discutere.

«E poi» aveva aggiunto, «mi sono iscritta a una app di social reading, e ci sono delle storie fantastiche e... ok, alcune sono in inglese e non è che lo legga proprio perfettamente, ma mi piace!»

Poi aveva fatto una pausa, cercando di organizzare i pensieri, o chissà che altro.

«Senti, possiamo andare di là?» mi aveva chiesto, portandomi fuori dalla stanza, e io non avevo capito bene il perchè, ma una volta fuori, eravamo andate in cucina e lì lei mi aveva terminato il discorso.

«Ti chiedo un piccolo piccolo piacere, ok?»

«Se posso, si.»

«Senti, non dire a mia mamma che mi sono iscritta a quel sito, ok?»

«Ok, certo, ma perchè?» avevo chiesto, rosa dalla curiosità di sapere perché la lindissima Matilde mentiva, mentiva! mentiva!! alla madre.

«Eh, alcune storie non è che sarebbero proprio proprio adatte alla nostra età» aveva risposto, con aria un po' colpevole. Anzi, molto colpevole.

«Ah, leggi i libri porno eh?» avevo ridacchiato, ma lei si era fatta subito rossa in volto.

«No, non è quello! Cioè, è anche un po' quello ma non è quello. I libri hanno anche temi horror, e anche temi, ehm, ellegibiti.»

«Ah, ragazzi gay! Che carini!» mi ero affrettata a chiarire, giusto per dire qualcosa che dicevano tutte. A me dei ragazzi gay non me n'era mai fregato molto a dire la verità. Meglio quelli etero.

Ma il fatto era che Matilde aveva dei segreti rispetto ai suoi genitori, e questa era una novità.

«E poi, vabbè, sto provando a portare i miei testi sulla piattaforma, non è facile, però ci provo, è la prima volta che faccio leggere le mie cose a, ecco, tutta la rete.»

«Oh, ma che bello! Magari me li fai leggere» avevo tagliato corto, «Senti, però io ieri ho mezzo litigato con Cate perché dice che non sopporta sua mamma e vorrebbe farsi un vecchio perché così le fa da fidanzato e da genitore.»

«Bleah.»

«Bleah! Esatto! Comunque dammi una mano a farla ragionare!»

«Ci proverò» mi aveva detto, «Ma non è che ultimamente l'ho vista molto.»

«Magari, che ne so, per le messe o quella roba lì.»

Lei mi aveva guardato con un'aria desolata.

«Io non credo di essere la persona più adatta per provare a farle cambiare idea. In questi ultimi tempi, beh, non siamo molto legate, e forse lo saremo sempre di meno.»

«No, ma che dici?! Dipende solo dal fatto che è estate, poi lei è stata in vacanza» avevo provato a sminuire il problema.

«Chia, guarda la realtà, io con Cate non ho quasi nulla in comune se non che ci vediamo a messa la domenica mattina. Siamo diventate quasi estranee. Mi dispiace tanto, ti giuro, tantissimo! Ma mi rendo conto che stavo con lei, e ci stavo tanto, quando ci stavi anche tu. Ora siamo sfilacciate.»

Era la prima volta che Matilde mi faceva un discorso anche solo vagamente pessimista. Lei non era mai pessimista, anzi, era una che difficilmente si lasciava prendere dallo sconforto.


Cosa ho imparato fino al 13 luglio: non è facile per niente tenere assieme le amicizie


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