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Gennaio 2009

Quando Gesù Bambino mi regala un PC
e i ragazzi cominciano a creare più casini di quanto avrei voluto


Domenica 11 gennaio 2009

Cate era stata via anche tutta la settimana dell'epifania, tornando venerdì in tarda serata. Ci eravamo sentite per messaggio su Facebook sabato, quando finalmente avevo potuto dirle che esordivo nel mondo del web.

Infatti, a mio cugino avevo detto una balla, per liberarmi di lui: per per Natale Gesù Bambino mi aveva portato il cellulare e un vecchio PC portatile in dismissione, che mia cugina maggiore era riuscita a farsi dare da una azienda in cui il padre lavorava come informatico.

Per un momento avevo amato i miei genitori che avevano permesso tutto quello. E loro se ne erano accorti. Ok, non mi piacciono le cose strappalacrime ma avevo abbracciato quei due, e poi loro avevano profferito la magica frase <Stai crescendo e siamo sicuri che userai il cellulare in maniera corretta. Mi raccomando!>

Fiducia ben riposta, ovviamente. A gennaio ero una quasi tredicenne spigliata e sicura di sé: mi era sembrato il minimo iscrivermi a qualsiasi tipo di social network esistente in quel momento: Netlog, Badoo, Facebook, Flickr, MySpace...

Mi piaceva! Era divertente andare online, scegliere le foto e scegliere cosa scrivere, cercare frasi ad effetto, citazioni e cose del genere. Quando avevo fatto partecipe Cate di questo mio entusiasmo, da un angolo della biblioteca dove scroccavo la connessione wifi, lei era stata un po' asciutta. Speravo in qualcosa di più da una che non mi vedeva da venti giorni, e così mi ero sfogata con Sophie ma lei mi aveva dato una visione diversa di quel silenzio.

«Secondo me è successo qualcosa, non mi dicevi che l'anno scorso era successo un casino con sua madre su in montagna?»

«Hai ragione» avevo detto, pensando a alta voce, «ma sapevo che non erano andati in albergo quest'anno. O almeno, Cate non era in albergo.»

In effetti, aveva insistito con la madre per evitare le penose scene dell'anno prima. Così avevano optato per una specie di residence dove, nella settimana tra capodanno e l'epifania, dovevano esserci anche degli amici o parenti dei suoi con annessi figli.

I ragazzi si sarebbero più o meno arrangiati, e Cate non si sarebbe sentita a disagio come l'anno precedente quando le altre madri l'avevano scambiata per una delle elementari.

«Sì ma te Chia, certe cose non le avverti. Ho guardato i video musicali che ha condiviso su facebook: roba da malessere» aveva detto pensosa, «O meglio, più malessere del solito.»

Così l'avevo chiamata.

«Ohi, come va?»

«Bene.»

«Wow! Ben due sillabe!» avevo scherzato.

«Chià, non c'ho voglia per un cazzo di scherzare, adesso.»

«Ti va un giro all'Iper con la Sophy magari? Senza battute, dai» le avevo proposto.

Lei aveva sospirato e poi aveva chiesto se mi andava di dormire da lei.

Quando la sera alle otto mi ero presentata da lei con lo zainetto corredato di beauty e pigiama Hello Kitty tarocco, e una vaschetta di gelato, mi aveva presa per mano e condotta nella sua camera, piantandomi lì e andando a prendere due ciotole e i cucchiaini.

«Che succede?»

«Non è stata una gran vacanza, Chia» aveva esordito, «tipe mezze stronze e tipi fissati con la play. M'hanno messo in stanza con una che aveva tipo... dieci anni, cazzo!»

Dopo un attimo di silenzio si era ripresa.

«Che poi non ho niente contro di lei, è pure simpatica e ascolta anche della musica decente. A parte Cremonini.»

«A me piace Cremonini.»

«Infatti ti voglio bene nonostante Cremonini» mi aveva sorriso, ma era stato un attimo, era tornata ad avere quello sguardo desolato.

«Dai Cate, che è successo, non ci credo che stai così solo perché eri in stanza con una più piccola di te.»

«I ragazzi, con il fatto che non c'erano i genitori troppo in giro, hanno fatto tantissime battute sul sesso. Le ragazze rispondevano dicendo che erano solo dei bambocci pervertiti. Però una era la fidanzata di un tipo, Samu, che è un mio terzo cugino, credo.»

«Sì, ok, ma vai avanti» l'avevo spronata.

«Beh, lei ci stava nelle battute e si faceva toccare da lui, e rispondeva. L'avevo vista solo a un pranzo una volta e non pensavo fosse così.»

«Un po' zoccola» avevo detto, cercando di strapparle una risata.

«Non lo so, ma con loro mi sembrava di essere sempre dentro a quei discorsi. Io quando penso a gente che sta assieme, penso a altro. Forse ho una visione molto idealizzata. Ma poi mi sono anche sforzata» e poi si era interrotta.

«In che senso?»

Lei ci aveva pensato parecchio prima di iniziare a parlare.

«Parlavano di box doccia, di fare cose nel box doccia. Si vedeva che scherzavano, però erano battute su quelle cose lì. E a me è venuto di dire che andavo a fare la doccia.»

«Seria? E loro?»

«Era come se li avessi zittiti con quella cosa, poi un amico di Samu ha detto una cosa tipo "col tuo fisico ci stiamo anche in tre nel box" e molti hanno riso o ridacchiato. Ho preso le mie robe e sono andata in bagno, ho chiuso e mi sono scesi dei cazzo di lacrimoni che non finivano più.»

«Povera Cate» avevo detto semplicemente, abbracciandola.

Aveva provato a essere più adulta, in quel la bolla particolare dove il sesso a parole, molto diffuso tra i ragazzi, era una cosa spiccia. Quello che aveva ottenuto erano solo battute stronze e risatine.

«Io non ne posso più di queste cose, Chia» aveva detto piangendo.

E io in realtà non avevo saputo come rispondere.


Venerdì 30 gennaio 2009

Condividere canzoni che mi consigliava la Cate e guardare le foto dei truzzetti che facevano a gara a chi era più truzzetto: i miei passatempi preferiti con la mia nuova dotazione informatica.

C'erano un paio di problemi. Il primo era che a casa non avevo la connessione internet e quindi qualcuno avrà pensato che fossi diventata una assidua studiosa, vedendomi un paio di volte a settimana in biblioteca dove mi mettevo in fondo all'ultima stanza. In realtà mi sentivo un po' a disagio nel ridacchiare da sola quando chattavo con i tipi. Ma sticazzi.

L'altro problema era un po' più serio e riguardava la relazione con Clemente, che stava diventando un po' più complicata a causa della sua gelosia e di una certa dose di possessività. Attiravo spesso l'attenzione degli altri ragazzi, ma non perché avessi le tette.

(In realtà anche per quello) Ma perchè ero a mio agio nell'interagire con le persone. E da quando con Matilde facevamo pure social reading di certi testi tipo Twilight, avevo anche qualche argomento in più per non sembrare una deficiente totale.

Persino in italiano avevo preso un sei e mezzo pulito, che suonava più o meno come un miracolo. E mia madre mi aveva abbracciata per la seconda volta nel giro di pochi giorni.

Scusate, divagavo. Dicevo: le litigate con Clemente erano diventate sempre più frequenti, veniva a salutarmi alla mattina ma faceva sempre considerazioni su come ero vestita, ad esempio. Lui non riusciva a lasciarmi spazio necessario, spazio che nei mesi precedenti stupidamente gli avevo ceduto e che ora rivolevo indietro.

«Sei proprio scema Chia, cioè, questo viene a vedere come ti vesti. Ti rendi conto?!» mi graffiava la Cate, e pure la Sophy eh, dai, mi guardava come se fossi una povera scema.

Che in realtà poi era esattamente quello che ero.

Poi lui mi chiedeva cosa avevo fatto il giorno prima, o dove ero andata, e se lo faceva dire pure da certi suoi amici che ancora facevano le medie, tipo Christian, un tizio che rischiava di finire il triennio in cinque anni. Imbarazzante.

Reagiva in modo eccessivo anche alle situazioni più stupide, se non andavano come diceva lui, e io mi sentivo in difficoltà a condividere spazi di intimità con uno che l'attimo prima si era lamentato dei miei leggins troppo aderenti («Troppo in mezzo al culo»). A me piaceva stare con lui quando era sano, ma quando faceva il paladino della Chiara Illibata mi sentivo soffocare. E succedeva sempre più spesso.

«Clemy, basta!» mi ero trovata a dire un pomeriggio, l'ennesimo, in cui lui aveva questionato sul reggiseno sportivo che avevo usato per educazione motoria, «Questa cosa della gelosia. È diventata davvero... troppo!»

«Bimba ma io ti amo. Non capisci quanto sei importante per me. Sono geloso solo perché non posso sopportare l'idea di perderti!»

«Ma non me ne vado mica! Tu sei così geloso che mi fai sentire soffocata. Non posso nemmeno scambiare due parole con un mio compagno di scuola senza che ti arrabbi!»

«È perché mi importa di te più di ogni altra cosa al mondo. Non voglio che tu ti avvicini a nessun altro. La gente è stronza.»

«Ma che pensi, che se mi avvicino, ti mollo? Mi consideri così poco? Ho bisogno di avere spazio per le mie amicizie e per... quello che mi pare! Senza dovermi sentire in colpa o giustificare ogni mio gesto.»

«Io lo faccio perché ti amo, Chiara, e punto. Non voglio che tu vada a cercare qualcun altro, perchè potrebbe, che ne so, farti del male.»

«Ma chi?! I miei compagni di classe?!» avevo chiesto, incredula.

Era lui stesso che li considerava, non a torto, dei bambinoni, infantili e stupidi.

«Oggi sono loro, domani non lo so, non lo posso sapere.»

«No, così non va. Questa gelosia non è una dimostrazione d'amore. È un controllo, e mi fa sentire prigioniera.»

"Prigioniera" era un termine che aveva usato la Cate, quando aveva iniziato a comporre i pezzi della mia storia con Clemy.

«Ti assicuro che non è così. È che non posso immaginare la mia vita senza di te.»

«Ma nella mia vita deve esserci anche... altro! Non posso rinunciare a tutto per te» poi avevo azzardato un reciso «Finiscila.»

«Ma se sei tu che hai iniziato a volermi vedere tutti i giorni! E ti andava bene! E adesso vuoi fare qualcosa di diverso e io dovrei dire ok? E non può venirmi qualche dubbio? Sei seria?»

«Tu sei serio?! I dubbi?! Clemy rimangiati quello che hai detto, altrimenti-»

«Altrimenti cosa?!» mi aveva aggredita

Non volevo un litigio, sebbene non mi fossi mai spinta così avanti nel contestare il suo comportamento. Clemy aveva abbaiato che ero una tipa bipolar, che non mi dovevo azzardare a tormentarlo con stupidi cambi di umore. Mi ero scusata e lui aveva sbuffato, facendomi capire che la tensione tra noi non se n'era certo andata, e che il pomeriggio era rovinato. Non più tardi di venti minuti dopo aveva tolto le tende.

Mi ero detta che avevo rovinato io quel pomeriggio. Ero tornata a casa desolata.


Cosa avevo imparato a Gennaio 2009: che i maschi, con la scusa che ti amano, sono in grado di dire e fare le peggio cose


🌕🌖🌗🌘🌑🌒🌓🌔🌕

SPAZIO "DILLO A CHIARA"!

Sì, dai, potete infierire. Me lo merito.

Ma vi sfido a non conoscere nessun* che non si sia trovat* in una situazione simile e abbia fatto più o meno come me.

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