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Gennaio 2008

Dove la Cate torna dalla montagna preoccupata per il corpo che non cresce e la Maty si fa voler male da tutta la classe per il bookclub


Sabato 12 gennaio 2008

Caterina era tornata dalla montagna poco abbronzata rispetto al solito ma eccitata dall'esperienza di aver provato lo snowboard, di cui si diceva già innamorata. Avevamo fatto un pomeriggio a guardare tutte le foto di lei impegnata sulla tavola, stesa nella neve, oppure mentre si strafogava di cioccolata in tazza con panna.

Ma già all'orizzonte si profilava il ritorno ai ritmi delle normali settimane scolastiche. Presto le vacanze di natale sarebbero state solo un pallido ricordo. Mia madre aveva già iniziato a urlare dicendo che avrei dovuto studiare in vista dell'ultimo mese di primo quadrimestre.

Matilde avrebbe ricominciato subito la settimana cadenzata da vari appuntamenti che non le permettevano di vederci così spesso. La Cate si sarebbe presto ritrovata addosso, oltre alle sessioni di pianoforte, il pitbull Chiara che l'avrebbe torchiata più pomeriggi a settimana, lasciando l'opzione del ritrovo a casa mia come quella più remota.

La possibilità di vedere le mie amiche al di fuori della scuola sarebbero diminuite drammaticamente, se si aggiungevano anche le punizioni che da novembre prendevo regolarmente e per i più futili motivi.

Ma per lo meno quel giorno io e Cate potevamo goderci la sua enorme camera da letto, commentando il fatto che ci aspettavano ancora mesi di ansia prima di chiudere quella prima media.

«Ti va di rimanere a dormire? Facciamo un pigiama party» mi aveva chiesto, così, all'improvviso.

Mi ero guardata attorno: non vedevo altre tipe, così le avevo chiesto «Con chi?» e lei s'era rotolata per le risate dicendo «Me e te e basta, zoccola di una minus!»

Un po' ne ero felice, perchè ormai quasi mi ero dimenticata di come si facevano i pigiama party, dato l'ultimo periodo particolarmente movimentato. Avevo accettato senza nemmeno pensarci.

«Mamma, Chiara rimane a dormire, ok?» aveva ululato alla madre.

Ovviamente c'erano stati alcuni attimi di bagarre tra madre e figlia, ma la Cate sapeva come convincere la genitrice, elencandole tutte le cose che la madre le aveva chiesto, e che lei aveva eseguito senza fiatare.

Ero corsa a casa e ero tornata da lei con un pigiama e una gran voglia di fare quella serata. Mia madre mi aveva urlato dietro «Non mi sembra proprio il caso!» ma non mi ero preoccupata e avevo preso la porta.

Mi scocciava che Matilde non ci fosse, ma mi ero arresa al fatto che non potessimo farci molto, perchè per tutta quella settimana, avevo l'avevo vista parlare più volte con quelle stesse che avevano fatto fatica a salutarci in biblioteca.

La Cate aveva chiuso la porta nel momento in cui dovevamo metterci il pigiama, si era tolta la felpa, poi la maglietta, poi la canotta. Era sempre stata magra, mi aveva fatto un po' invidia, perché io non ero così slanciata, ma nel frattempo mi sembrava ancora dimagrita. E delusa.

«Sai, mi sento un po' giù ultimamente.»

«La voglia di vivere emo» avevo scherzato.

Lei mi aveva incenerito con lo sguardo, allora avevo mormorato un mezzo «scusa» e lei, sospirando, aveva ripreso.

«Non so, guardandomi allo specchio mi sembra che tutte le altre ragazze stiano crescendo e io no.»

«Ma dai, non dire sciocchezze! Ognuno ha il proprio tempo-»

«Quindi secondo te sono indietro?» mi aveva stoppata.

«Ma chi ti ha messo in testa questa cosa?!» le avevo chiesto.

Doveva esserci sotto qualcosa per forza. Lei aveva sospirato, prima di lasciarsi andare.

«In beauty farm, all'hotel, ho sentito mia madre parlare con altre nostre conoscenti. E una... una ha chiesto a mia madre se avevo già scelto l'orario e la lingua per il prossimo anno. Capito? Pensava facessi la quinta elementare! Cazzo, Chiara, cazzo! La quinta elementare! Ma ti rendi conto?!»

Aveva la voce quasi rotta. Io non sapevo cosa rispondere, perché non avevo mai visto Cate sotto questa luce.

«Ma non c'è niente di strano se sei un po' più in ritardo rispetto ad altre.»

«Quindi sono in ritardo!»

«No, no, aspetta. Vivi serena! È solo questione di tempo.»

«Lo so, ma è così frustrante. Tutte sembrano avere qualcosa che io non ho. Mi sento un po'... fuori posto, capisci?» e mi aveva guardato il petto, che iniziava a riempirsi, «Nella mia famiglia, mamma, zie, pure nonna... beh, hanno il seno! E ne hanno!»

«Ma ti assicuro che non c'è nulla di cui preoccuparsi. Dai Cate, cazzo, non farti troppi viaggi, sei bella così come sei, e il tuo corpo beh... si farà!. Non lasciare che queste piccole differenze ti abbattano, siamo tutte diverse, e speciali, a modo nostro.»

«Tu fai presto a parlare, hai già le tette, guarda, cazzo! Sì, forse hai ragione, dovrei smettere di stressarmi per queste cose, ma non ce la faccio!»

L'avevo abbracciata dicendo «Su, dai, tranquilla, su! C'è chi sta peggio» ma l'avevo sentita quasi sussultare al contatto con il mio seno, che io mi vedevo tutto tranne che prosperoso.

«Io non voglio farmi rodere dall'ansia. Ma, lo so che sono cose schifose, ma ho visto nei camion dei tizi di mio padre. E in certe officine.»

«Cosa?» le avevo chiesto.

«Le ragazze. Nude. I calendari.»

Ero scoppiata a ridere.

«Che guardi, i calendari con le donne nude? hahaha! Ma allora è vera quella cosa degli emo bisex!»

«Ma piantala con 'ste battute di merda! E poi non è che li guardo, ma li ho visti. E le ragazze, dai.»

«Cate, basta con 'ste discussioni. Non vorrai mica fare un calendario pure te?! È roba da maschi pervertiti!»

Magari fosse stata solo roba da pervertiti. Il mondo del lavoro di suo padre pullulava di uomini che amavano guardare e parlare di donne come se fossero corpi e basta. Cate aveva visto il primo calendario di ragazze nude ormai diversi anni prima, "giocando" a guidare il camion di un operaio del padre. Quelle immagini le erano rimaste impigliate nel cervello, e ora esigevano attenzione.

Ma io non lo potevo sapere, e non potevo immaginare che aver minimizzato il suo problema era stato, da parte mia, una leggerezza.

Quella sera ci eravamo addormentate con una sorta di solitudine che aleggiava su di noi.


Lunedì 28 gennaio 2008

A causa del corso di scrittura creativa, Matilde aveva finito per immergersi nel mondo dei libri. Forse perché il laboratorio si teneva in biblioteca, o forse perché la sua creatività non poteva trovare miglior modo di nutrirsi se non con i libri, si era trasformata pian piano in una topolina di biblioteca.

Prediligeva i fantasy, ne teneva sempre un paio nello zaino che puntualmente tirava fuori appena c'erano tempi morti.

Per questo motivo, come detto, inspiegabilmente si era avvicinata a Gaia e Alessia, che facevano cadere dall'alto la loro preparazione letteraria facendo sentire tutti dei deficienti. Citando personaggi e scene cult che tutti ignoravano.

Tutti tranne Matilde, che sui fantasy, di gran moda in quel periodo, era quasi imbattibile.

La prof di italiano, la Zamagni, stravedeva per questa cosa, la esortava con consigli di lettura e la cosa sembrava molto positiva per la Maty, che le aveva spiegato come amasse la lettura dai tempi della Bibliomobile, un pullmino dei libri che veniva una volta al mese a scuola e dove io puntualmente prendevo le Banane Gialle.

Ma ovviamente la tragedia stava sempre dietro l'angolo. La nostra professoressa di italiano, per carità un donnino che aveva il suo perché nell'insegnarci, se n'era venuta fuori dicendo «In questa classe ho visto che c'è ancora l'interesse alla lettura, quindi pensavo che potremmo iniziare una bella attività di book club dove ogni mese racconteremo ai compagni il libro che abbiamo letto!»

Ovviamente l'attività era obbligatoria e, per essere sicuri che non prendessimo libri idioti, aveva detto che ci avrebbe portati lei stessa nella biblioteca scolastica una volta al mese.

Matilde si era dimostrata entusiasta di questa cosa, assieme alle solite Gaia e Alessia, con cui in effetti aveva preso a parlare molto di libri anche per averle incontrate al laboratorio di scrittura. Quell'entusiasmo aveva quasi infastidito anche me e la Cate, che non avevamo una gran voglia di compiti supplementari, figurarsi Ashley and Friends, figurarsi i calciatori! che erano disperatamente ignoranti.

Anche io avevo fatto un paio di battute ironiche sulle nostre entusiaste compagne che non avendo nulla di meglio da fare, volevano fustigarsi con ulteriori compiti. Pur volendo sempre bene alla nostra terza, avevo commesso quella leggerezza al pensiero di ulteriori compiti.

Ma poi per me era finita lì, mente altri erano andati avanti con battute e qualche scherzuccio alle tre compagne promotrici di tutto questo.

Erano anni di stupidità e io avevo iniziato a preferire i giri in corridoio, non mi ero accorta che Matilde subisse questi piccoli atti di bullismo. Avevo i paraocchi perché il mio interesse era tutto rivolto a chi poteva farmi uscire dall'anonimato, quel pantano informe fatto di disinteresse e battute come se fossi una bambina.

Non nego che avessimo tutte i nostri problemi: io un terribile rendimento scolastico, Caterina l'ansia di un corpo che non cresceva e le battute sul suo stile d'abbigliamento. Ma Matilde, rotondetta, un po' infantile, di noi tre era l'elemento più debole. E noi, ahimè, l'avevamo lasciata a sé stessa, e lei si era calata in maniera totalizzante prima nel mondo della lettura e poi in quello della scrittura. Il suo diario di scuola, nelle pagine dei giorni già passati, era pieno di scrittura e disegni.

Ma aveva preso a scrivere anche un diario suo personale, che però io potevo leggere liberamente nei pochissimi pomeriggi in cui ci era consentito stare assieme. Il diario non era particolarmente interessante, perché rifletteva il suo essere un po' sulle nuvole e tutti i suoi commenti ai libri che leggeva e ai racconti che scriveva, ma ero sempre felice di poter essere l'unica che leggeva quei suoi pensieri così personali.

Quando lo avevo per le mani, lei mi stava appiccicata tanto da sentire il suo calore addosso. Questo abbinamento tra le sensazioni tattili e l'idea di leggere qualcosa di così segreto, era per me una piccola droga.

Tuttavia il diario per lei era residuale, perché ormai quello che le riempiva il tempo erano le sue storie, sempre costellate di meraviglia, magia, soprannaturale. Eppure rifletteva questa impressione di essere una ragazza che subiva dei comportamenti prevaricanti: le risate in palestra quando eseguiva gli esercizi, le battute su come si sarebbe vestita a carnevale, balena o mucca?

Mi faceva male se lo sentivo in prima persona. Reagendo per dirle anche troppo veemente che non doveva farsi dire certe cose, ma lo dicevo sempre dopo. Personalmente non facevo nulla, né per difenderla, né per farla stare bene. Era più facile se finivo per dire cose stupide come «Dai Maty, non mi va di fare merenda» nel tentativo di farla mangiare meno e toglierla dai problemi. Perché per me quella era la soluzione: se ti dicono che sei grassa, devi mangiare meno.

Dopo carnevale, il tempo passato assieme era ulteriormente diminuito, nonostante io sapessi perfettamente quanto fosse stato bello quel tempo trascorso assieme. Purtroppo le cose, semplicemente, succedono.

Matilde, come sempre, non si era lamentata, perché lei era così: faceva di necessità virtù, sfruttando la sua estrema creatività per costruirsi i suoi mondi fantastici, sigillando fuori i problemi. Ecco perché non aveva lanciato il minimo segnale di ciò che in realtà non andava bene appieno.


Cosa ho imparato a Gennaio 2008: le tette non sono un argomento neutro quando fai le medie

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