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𝚠𝚎 𝚍𝚘𝚗'𝚝 𝚏𝚎𝚎𝚕

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Merda.

Non ci entra, il resistore di merda, nel buco di merda dove dovrebbe starci. L'asticella continua a piegarsi, cazzo, e non ci sono altri buchi dove metterlo, devo metterlo qui e non capisco perché questa merda continui a...

Lo tiro fuori.

Stiro bene il fil di ferro.

Ci riprovo.

Sistemo un rametto da una parte, in serie al transistor n-p-n in cima alla breadboard, poi piego l'altro di lato per collegare in serie anche tutto il resto.

Premo lentamente, molto lentamente il resistore fino in fondo.

Si piegherà?

No, Dio, non si sta piegando, non si sta...

Entra.

Completamente.

Perfettamente, fino in fondo, fa contatto nel modo giusto.

Indietreggio immediatamente con lo sguardo.

Le lucine...

Lampeggiano, cazzo.

Eccole, che saltano una e l'altra accendendosi alternativamente.

Questa merda...

Questa merda funziona, cazzo.

Funziona.

Mi sfilo gli occhiali di dosso, li appoggio sul tavolo, schiaffo le mani aperte sul legno e sorrido a trentadue denti.

– Sono un cazzo di genio. Sono un cazzo di genio, porca troia, sono un genio. Il mondo deve baciarmi il culo, sono il cazzo di genio più genio di tutto il cazzo di globo. –

Il mio sguardo atterra su una testa tirata su ad ascoltarmi.

Gli occhi gli brillano, mi guarda sorridere come se fossi un'opera d'arte. Ha una cuffietta da una parte e l'orecchio libero dall'altra, la penna in mano, i capelli che gli scivolano fuori dalla coda fatta a caso e pendono verso il foglio.

– Io mi offro volontario. –

– Eh? –

– Per baciarti il culo. Quando vuoi, Kat. –

Stringo lo sguardo.

– Sai una cosa, Eijirō? Al momento sono così felice che potrei quasi accettare. –

– Davvero? –

– No, pervertito. Torna a studiare. –

– Ok, scusa. –

Stira le labbra in un sorriso, batte un paio di volte la guancia con il fondo della matita, poi indica con lo sguardo il circuito che sta ancora lampeggiando sotto i miei occhi.

– Sei riuscito a montarlo tutto da solo? – chiede, poi.

Mi balena per un istante in testa che gli avevo detto di tornare a studiare, ma la mia euforia per il figlio che mi sono appena costruito distrugge quel labile ricordo e mi ritrovo ad annuire.

– Tutto da solo. Sono andato a cercare le componenti in giro che in questo laboratorio di merda non c'era niente di utile e l'ho montato tutto da solo. –

– Che bravo che sei, Kat. È impressionante. –

Come un bambino col primo progetto di scienze, appoggio le mani sul fondo della basetta su cui tutti i cavetti sono attaccati nell'ordine giusto e lo spingo in avanti per farglielo vedere meglio.

– Ti piace? –

– Mi piace molto. –

– Vuoi che ti dica perché lampeggia? –

Kirishima mi guarda di nuovo negli occhi, poi fa "sì" con la testa.

– Certo. –

Recupero gli occhiali dal tavolo e infilo le mani fra i cavetti. Indico il primo transistor, una sorta di piccola scatolina nera con un lato smussato e tre rametti infilati nei fori. Poi indico l'altro, sistemato subito accanto.

– Un BJT va in saturazione quando l'altro è in interdizione e viceversa, i valori di tensione saltano da una regione di funzionamento all'altra quindi possiamo dire che... "passano" tensione alternandosi. E... quando "passano" tensione accendono il diodo LED in serie, che lampeggia. Quindi... c'è tensione prima da una parte e poi dall'altra. E lampeggia. –

– Il LED sarebbe la lucina? –

– Ah-ah. Le ho scelte gialle perché mi ricordavano Denki. Lui è un po' un diodo LED se ci pensi. –

– Lo è. –

Guardo le luci lampeggiare e sento un moto d'orgoglio montarmi nel petto. È bello, questo circuito, ed è ordinato. È realizzato bene, sono molto... molto fiero del mio lavoro, sì, davvero.

Sistemo un cavetto perché sia un po' più dritto, ne sposto un altro paio e li spingo verso il fondo giusto per precauzione, poi sposto la mia attenzione sul PC. Chiudo qualche scheda aperta, giro lo schermo, mi sporgo dalla sediolina sul tavolo.

– Qua vedi che... –

Quando guardo Kirishima lo trovo con lo sguardo sui suoi compiti.

Oh, merda.

Lui sta cercando di...

È vero, Kat, Dio, come fai a non essertene accorto? A lui che cazzo vuoi che freghi dei tuoi circuiti di merda? Alla fine non è che...

Alza il viso.

Guarda il mio PC.

Sorride di nuovo.

– Cosa vedo? –

Gli interessa? Non gli interessa? Non vedo come possa interessargli ma sembra anche che gli interessi e cazzo, la mia testa è troppo persino per me stesso, ogni tanto.

– Scusa, non volevo disturbarti mentre fai i compiti. È solo che... –

– Ma che disturbarmi, mi piace sentirti parlare dei tuoi circuiti. Va' avanti. –

– Sicuro? –

Annuisce, le ciocche libere si muovono col suo movimento.

È bello, con le luci del laboratorio sul suo viso. Fanno sembrare il rosso fuoco dei suoi capelli di un tono più scuro, più carminio, e gettano ombre chiare sulla sua pelle.

Mi piace, così, mi dico.

Coi capelli legati ma spettinati, coi ciuffi un po' di fronte alla faccia e la rasatura in bella vista, coi piercing che scintillano sulle orecchie e il sorriso dolce che gli piega le labbra.

Sento le guance diventarmi un po' più scure, quando torno al mio PC.

– Si vedono nel grafico le tensioni che saltano. Quella gialla è del primo BJT e quella blu del secondo. Vedi che si alternano? Qui. –

Indico il punto con l'indice, lui annuisce.

Mi sporgo per premere la barra spaziatrice.

– Se faccio andare la simulazione... –

– Si muove! –

Lo dice con un tono così... interessato, che il mio cuore esplode di gioia. Sorrido e annuisco convinto, batto piano sullo schermo, sempre sullo stesso punto.

– Sì, si muovono. Quando poi saltano la luce cambia, non è fichissimo? –

– Sì, cazzo, è fichissimo. –

– E l'ho fatto tutto da solo! –

Rido, rido di piena, completa soddisfazione. Rido fissando le mie lucine che lampeggiano e Kirishima che sorride di fronte a me, ed è...

Carino.

È molto carino.

È...

Confortevole.

L'elettronica, per me è confortevole. È sicura, perché le cose o funzionano o non funzionano, non variano a seconda di stronzate che non controllo e rimane sempre la stessa, sempre lì, sempre giusta o sbagliata fra le mie mani senza mezze misure.

I miei cavetti sono confortevoli, i miei resistori, i miei transistor bipolari e i miei diodi LED, i piccoli condensatori in ceramica e l'Analog che ho chiesto ai miei per il mio compleanno l'anno scorso con tutti i suoi collegamenti colorati.

Il laboratorio, la sedia troppo alta, le luci gialle, il silenzio e il rumore distante delle persone che passano in corridoio.

Sono...

È la continuità, per me, che è confortevole. La quotidianità, la routine. Sono un tipo ordinato e sono un tipo piuttosto timoroso anche se magari non lo do a vedere, detesto le cose che non posso controllare, detesto le cose che mi fanno reagire d'istinto.

Per quello pensavo che...

Tiro su lo sguardo, attraverso le ciglia bionde guardo Kirishima che ancora mi sorride.

Piega un po' la testa.

Noto chiaro affetto nei suoi occhi.

Poi torna al suo esercizio.

Maledetto bastardo, dimmi tu se non sei un maledetto bastardo. Poche cose, pochissime, mi tengono saldo al mio libero arbitrio contro di te, stronzo, e una di quelle era la consapevolezza che fossi qualcosa di straordinario, qualcosa di esterno, qualcosa di... nuovo.

Ma tu, tu sei un bastardo.

Perché questo, ora, questo è routine.

Quante settimane sono passate da quando sono diventato il tuo tutor? Tre, tre e qualche giorno.

Sai quanto tempo serve perché un gesto diventi un'abitudine, secondo gli scienziati?

Ventuno.

Tre settimane.

E tre settimane dopo tu sei qui.

E io, maledetto te, forse forse trovo confortevole anche la tua voce, oltre ai miei cavi, alla mia sedia, al mio laboratorio e alla mia routine. Perché ne fa parte, di quella routine, e dimmi tu se non sei un maledetto...

– C'è questo problema che non mi viene. Ci ho provato un paio di volte ma non mi viene proprio. Me la dai una mano? –

Mi muovo prima di marcire nei miei mille pensieri.

Indietreggio con la sedia, mi appoggio alla scrivania e mi alzo.

Lo raggiungo nel giro di un paio di secondi.

– Quale? –

Indica due volte il suo foglio con la matita.

– Questo. Dice delle cose strane tipo che devo determinare... il verso del vettore? Che è il verso del vettore? –

– La freccia, idiota. –

– La freccia? Ma la freccia non è il vettore? –

– Oh, oddio, allora... –

Arrivo al banchetto sul quale è seduto.

Faccio... come d'abitudine.

Mi arrampico seduto sulla superficie come d'abitudine.

– Un vettore è definito da tre componenti. Te le ricordi? –

Eijirō mi guarda, dal basso, sbatte le palpebre e aggrotta le sopracciglia.

– Il modulo? –

– Ti sembrano tre, "il modulo"? –

– Beh, no, però... –

Sospiro io, sospira lui, poi mi viene da ridere e rido piano di fronte al suo viso a metà fra il confuso e lo sconsolato e lui lascia crollare la faccia... sulla mia coscia. Tira giù la testa e spreme il viso sulla mia coscia, chiude le labbra e lascia andare un verso di pura frustrazione, mentre io continuo a ridere di lui come se nulla fosse.

Anche questa è... abitudine.

La prima volta che l'ha fatto, sono saltato come un cretino sul posto, perché non me l'aspettavo. Ma poi mi sono reso conto che non era nulla di che, nulla in confronto al fatto che gli ho letteralmente mandato una foto del culo, quindi ho lasciato correre.

Ora lo trovo carino.

Si tira su dopo essersi espresso in un altro verso, appoggia il mento sulla mia gamba, sbatte le palpebre.

– Me le dici tu le tre cose che definiscono il vettore? –

– Non ti va di cercarle sul libro? –

– No. –

Scuote la testa e muove appena la carne della mia coscia col movimento del suo viso, mi fa gli occhi dolci, la mia convinzione si sgretola come fosse fatta di pietra pomice e accondiscendo.

– Modulo, direzione e verso. Il modulo indica quanto si estende, quindi è la lunghezza del segmento, la direzione è la direzione della retta su cui si estende e il verso è la freccia al fondo. Il verso indica dove va il vettore. Chiaro? –

– In realtà... –

Mi sposto di lato, praticamente piegandomi a metà sul banchetto. Perché c'è da specificare che è un "banchetto" se ci si siede Kirishima, un metro e novantacinque di armadio che gioca a football, per me ragazzo giapponese di statura media somiglia molto di più ad una piccola scrivania.

Agito la mano, ci appoggia sopra la matita, sposta il viso dalla mia gamba allo spazio creato dal mio corpo, guarda il foglio.

Disegno un vettore parallelo alle linee orizzontali dei quadretti del suo quaderno.

– Questo lo chiamiamo v. È il vettore v. Ricordati che se sul libro vedi la lettera in grassetto è perché indica un vettore, oppure con la lineetta sopra. Con la lineetta potresti confonderti col complesso coniugato ma non credo che sarà così. Se ha il cappellino è vettore unitario, ma te lo spiego dopo. –

Aggiungo un pallino su entrambe le estremità, poi disegno la freccettina al fondo.

– Il numero dei quadretti di v, che scrivo come valore assoluto di v è il suo modulo. In questo caso cinque. –

Conto i quadretti uno ad uno con calma, per farglieli vedere.

– La direzione è la retta su cui si appoggia. In questo caso possiamo dire che sia l'asse x, anche se ovviamente gli assi sono a loro volta arbitrari e... sì, dai, hai capito. –

Disegno una retta premendo un po' meno la matita perché si noti la differenza, poi tratteggio le estremità per indicare che è infinita, dunque, per l'appunto, una retta.

– La freccettina è il verso. In questo caso va dal punto A verso il punto B. Il punto da cui parte, ti serve in fisica, è detto punto di applicazione. Ti serve per la trigonometria della forza peso nel piano inclinato o per il pendolo, anche. Ora è più chiaro? –

Annuisce piano.

Tiro il foglio verso di me, lo giro per leggere il problema scritto sopra. Grazie al cielo parliamo di spazio bidimensionale e non tridimensionale, spiegargli la regola della mano destra e cercare di costruire graficamente solidi utili sarebbe stato... un po' lungo.

Disegno due assi cartesiani accanto al mio esempio di vettore.

– Ti dice di prendere due vettori a e b con le coordinate. Me li disegni sul piano? –

Gli passo la matita e la prende fra le dita, sposta la punta di grafite verso lo zero, mi lancia uno sguardo che dire furtivo è dire poco.

Annuisco.

Sorride.

– Il primo numero è quando devo andare in là con le x e il secondo con le y, vero? –

– Già. –

– Ok. –

Guarda le coordinate, conta i quadretti, disegna prima un vettore, poi l'altro. A quel punto, dopo essersi fatto dire "bravo" e aver sorriso di conseguenza, mi ripassa la matita.

– Per trovare graficamente la somma come ti dice qui e determinarne direzione e verso puoi usare il metodo del parallelogramma. Prima disegni un parallelogramma così... – gli mostro come fare – e poi disegni il vettore risultante, che è questo. –

Collego un angolo all'altro, disegno la freccetta, indico il vettore.

– Ecco qui. Così. Hai capito? –

Kirishima osserva il foglio.

Lo studia per un secondo, aggrotta le sopracciglia.

– Credo... credo di sì. Ora ci riprovo con un altro. –

– Perfetto. –

Mi tiro su dalla mia posizione semi stesa e faccio per scendere dal banchetto, ma sento una mano aprirsi sulla mia coscia e tenermi fermo, le dita che si avvitano sulla pelle in modo innocente ma affettuoso.

– No, non andare via, mi serve supporto morale. –

– Per disegnare un vettore risultante? –

– Esatto, per quello che hai detto tu. –

Tiro giù il labbro inferiore in un broncio, ma mi metto fermo, seduto a fianco a lui. Non so se sia cosciente o involontario, ma stringe appena più forte la mia coscia e passa il pollice sopra i pantaloni come per accarezzarmi, mentre disegna un altro piano cartesiano e disegna un altro paio di vettori.

Prima di applicare la regola, però, si ferma.

– Il fatto che non sapessi le tre parti del vettore mi rende stupido? – chiede, senza guardarmi.

– In matematica? Dio, Kirishima, sì, in matematica sei decisamente stupido. –

– E nelle altre cose? –

Aspetto che sollevi lo sguardo su di me.

– Quali altre cose? Perché ce ne sono tante, di cose, in cui sei stupido, e anche tante in cui non lo sei. –

Alza poco poco gli angoli della bocca.

– Nello sport? –

– Non stupido. –

– A parlare con te? –

– Novantacinque per cento non stupido, cinque per cento stupido. La media decreta non stupido. –

– A fare le battute? –

– Mortalmente stupido. E un po' pervertito. –

Ridacchia, ferma la mano sulla mia coscia, la stringe un po' come per attirare meglio la mia attenzione.

– A baciare? Come sono a baciare? –

Sento la faccia scaldarmisi come una pentola a pressione.

– Ci siamo baciati una volta, Eijirō. –

So che tecnicamente sono due ma quella sul tetto non vale, quindi...

– Com'è stata, quella volta? È stato stupido? È stato un bacio stupido, Katsuki? –

Stupido? No, stupido no. Sbagliato, forse, ma neppure tanto. Sicuramente fuori contesto per me, sicuramente un po' frettoloso, sicuramente sorprendente.

Prendo fiato con calma, cerco d'imporre alla mia voce di non tremare.

– Non stupido. –

– Vuoi dire che sono bravo? –

– Io sono bravo. Tu sei... passabile. – rispondo, fingendo un'arroganza che non ho.

Sorride, mi si avvicina inavvertitamente col viso.

– Oh, sì, tu sei molto bravo. Come in tutto quello che fai. Certe volte mi chiedo quanto bravo tu possa essere e se ci sia qualcosa che non sai fare, Katsuki. –

– Non c'è. E daresti un braccio per vederlo dal vivo, vero? –

Anche io mi sto avvicinando a lui.

Dio, stiamo flirtando di nuovo, vero? Perché flirtiamo sempre? Perché finisce sempre che flirtiamo? Perché non riusciamo a...

Molla la matita sul quaderno, con la mano ora libera mi prende una guancia.

– Assolutamente. –

Alzo un angolo della bocca, lui inclina la testa. Non siamo vicini abbastanza perché questo gesto abbia un senso, è quello che si fa quando vuoi baciare qualcuno e non vuoi che i nasi si scontrino, però è evocativo e mi ricorda...

– Ci sono altre cose che vorrei sottoporre al tuo giudizio. Però le devi provare per dire se siano stupide o meno, lo sai? –

– Quali cose? – chiedo, sapendo già dove andrà a parare la risposta.

Socchiude gli occhi, mi guarda le labbra per un attimo.

– Mmh, al momento... –

Mi sale un brivido lungo la spina dorsale al solo muoversi dei suoi occhi sul mio corpo. Lo guarda, lo scannerizza, ne cerca ed esamina ogni centimetro.

Sorride definitivamente.

Il suo sorriso è così affilato che potrebbe tagliarmi in due parti nette.

Credo, a fronte di tutto, che lo faccia.

– Vorrei che mi dicessi se quello che mi hanno detto è stupido. –

– Cosa ti hanno detto? –

Stringe la mia coscia, fa quasi male. Annulla di un altro po' la distanza fra noi ma devia dalle mie labbra, si sporge verso l'orecchio. Non so se l'avrei fermato, se avesse provato a baciarmi. Decido di non pormi la domanda quando noto quanto difficile sia darmi una risposta.

– Che la mia faccia è un posto davvero comodo su cui sedersi, Katsuki. –

Mi si mozza il fiato.

La mia faccia diventa viola, il cuore mi martella nel petto.

Maledetto schifoso, brutto pervertito bastardo...

Vuoi la guerra?

Vuoi la cazzo di guerra, Kirishima?

Perché la facciamo la guerra se la vuoi e me ne fotte meno di zero che sei confortevole e adorabile e che credo di avere davvero un'enorme e difficilmente nascondibile cotta per te.

Indietreggio con il viso, mi fermo quando sono io, ad avere le labbra vicine al suo orecchio.

– Ti piacerebbe, eh? Ti piacerebbe da morire. –

Trema appena appena, la sua pelle mi vibra addosso.

Prendo una delle ciocche ribelli sul suo viso e gliela sistemo a posto.

– Vorresti sapere di cosa so, Eijirō? Vorresti sentire i versi che faccio? –

Indietreggia bruscamente, pianta lo sguardo sul mio. Le pupille sono... dilatate, e sembra pura e bramosa furia quella che ha negli occhi.

Annuisce, senza rispondere.

Annuisce.

Gli prendo il mento con le dita.

– Vorresti vedermi completamente nudo? –

Si sposta con la sedia.

Non tiene una mano sulla mia coscia distrattamente tanto per affetto, ora le spalma entrambe sulle mie gambe, stringe prima le ginocchia e poi sale, piano, senza fretta e senza attraversare il limite che gli ho imposto con l'abitudine, ma con un'intenzione completamente diversa.

– Vorresti togliermi tutti i vestiti di dosso, Eijirō? –

Mi chino, lui si sporge. Annuisce di nuovo, sposta il mento in alto e in basso e continua a dire sì, sì, che lo vuole, che non vedere l'ora, che...

Indietreggio e segue il mio movimento. Tiro indietro la faccia e mi segue.

Passo con le dita dal suo mento ad una spalla e lo tiro giù, mi lecco distrattamente le labbra e gli sorrido, nel modo più cattivo che posso.

– A cuccia, non ti ho dato il permesso di venirmi dietro come un cane. –

Lo vuoi vedere chi è che è il vero stronzo qui? Perché tu sei un bastardo ma io sono il migliore in tutto quello che faccio, quindi sono il migliore anche in questo.

Fa cenno di volersi muovere, ma lo spingo un'altra volta verso il basso.

– Sta' fermo. Ti ho detto di stare fermo. Fa' il bravo, Eijirō, su. –

Rimane seduto.

C'è qualcosa... di tremendamente attraente nell'idea di avere un uomo del genere fermo e ubbidiente sotto le mie mani. Qualcosa di catartico nel sapere che un metro e novantacinque di muscoli sta faticando a trattenersi perché sono io ad avergli detto di farlo.

Mi piace che mi venga usurpato il potere in queste cose perché mi piace la consapevolezza di liberarmi le spalle da un peso, ma questo non è che sia poi tanto male, eh.

Piego la faccia di lato.

– Se stai fermo ti do un premio come il bravo cane che sei, Eijirō. –

Rido piano, lo fisso.

– Ma devi stare fermo. Credi di potercela fare? –

Prende fiato, il petto gli trema, gli occhi sono scuri e sono predatori su di me. Un istante, un briciolo in meno di controllo e sarei a pezzi, piegato e trascinato sotto di lui come una bambola. Ed eppure... eppure obbedisce.

Annuisce.

Lascio andare le sue spalle e premo le mani sopra le sue sulle mie cosce, afferro i suoi polsi con le dita.

Le tiro su.

Su verso i miei fianchi, verso di me, verso la mia vita e l'orlo della mia maglietta.

Con una lentezza straziante.

– Sta' fermo, sta' fermo, sta' fermo, sta'... – ripeto ad ogni millimetro, la mia voce ridotta ad un filo, il cuore che mi martella nelle vene.

Gli tremano le mani.

Come se...

– Lo so che vuoi stringere ma devi fare il bravo e stare fermo. Lo so che vuoi prendermi e spalancarmi le gambe e farmi tutto quello che vuoi, ma... –

Le lascio entrare sotto la mia maglia.

Le sento sulla mia pancia, sui miei fianchi. Le fermo sulla mia vita, a contatto con la mia pelle.

Sorrido a Kirishima.

Ha...

Qualcosa di animalesco in faccia, nel senso più attraente del termine. Ha qualcosa di violento e qualcosa di rude e qualcosa di sopito sotto lo sguardo, come se... più che un cane fosse un lupo al quale sto sventolando il mio bel corpo da pecorella davanti al naso.

Lascio andare i suoi polsi.

Riapro le dita sulle sue spalle.

– Ecco, bravo, sei stato bravo. Ora se vuoi puoi avere la tua rico... –

Scaraventato. Ecco come mi sento, mi sento scaraventato.

Le mani sulla mia vita si stringono in una presa quasi d'acciaio, mi sento tirare su, Kirishima si alza. La mia schiena atterra sul banchetto, le mie ginocchia si separano, il suo corpo è sopra il mio, la sua fronte contro la mia, il suo respiro mi batte sulla faccia.

È successo tutto troppo...

– So che premio voglio. – mi dice di fronte alla faccia, la voce bassa e minacciosa, gli occhi che scavano i miei.

Un brivido, mi corre sulla schiena.

Un brivido che somiglia al terrore.

Un brivido... molto attraente.

– Io voglio... –

Credo di sapere cosa vuole.

E non credo di riuscire a dirgli di no.

Non ci riesco, non ci riesco non ci...

Apro le braccia e le aggancio dietro il suo collo, le mie cosce si stringono sulla sua vita, gli occhi mi si chiudono, la mia schiena s'inarca e...

Il mio telefono squilla.

Proprio quando io e Kirishima siamo separati da un centimetro, un millimetro d'aria, il mio telefono squilla.

E col rumore che esplode a mezzo metro da me si squarcia tutto quello che sta succedendo e mi rendo conto di dove io sia, con chi e di che cosa io stia facendo.

Oh merda.

Merda, merda, merda.

No, non doveva andare così.

Non doveva, non doveva, non...

– Te lo passo? –

Nella trance più totale non faccio altro che annuire. Kirishima si alza da me – e poche cose nella vita ho patito così tanto come la sensazione del suo corpo che si stacca dal mio – e si sporge verso la mia scrivania, prende il telefono e me lo passa.

Con la faccia viola dall'imbarazzo e il cuore che martella nel petto guardo lo schermo.

Merda, cazzo, vaffanculo.

Che mi è preso?

Stavo pensando che fosse confortevole un attimo fa e poi eccomi steso su un banco come una troia a farmi divorare vivo. Stavo per baciarlo, vero? Se non fosse suonato il telefono l'avrei baciato, vero? Dio, se non sono il cretino con la volontà più molliccia della Terra, se non...

È Shindō.

Ovviamente è Shindō.

Ovviamente, perché il Karma mi odia e credo abbia un ben dettagliato piano per prendermi a calci nel culo.

Guardo Kirishima.

Ha anche lui il viso accaldato e nonostante si sia allontanato ha quasi inavvertitamente rimesso una mano sul mio ginocchio, come per... non lo so, farmi sentire che c'è.

Col fiato corto, rispondo al telefono.

Mi si ghiaccia il sangue nelle vene.

– Ciao Katsuki, scusa se ti chiamo ma mi sono completamente dimenticato dov'è il laboratorio del tuo liceo. Sono passato a ridarti la chiavetta che hai lasciato da me come ti avevo detto stamattina ma mi sono perso. Mi vieni a recuperare? –

La chiavetta?

Quale chiavetta?

Oh, merda, merda merdissima merda.

È vero.

Non è che me n'ero dimenticato, di più. Avevo completamente rimosso il dettaglio, estirpato dalla mia memoria, divelto dalle radici del mio cervello.

A mia discolpa credo me l'abbia detto stamattina presto quando m'ero appena svegliato e non riuscivo a connettere ma...

– Katsuki? Ci sei? Mi senti? –

Se lo sento?

Io...

Prendo fiato.

Lancio un'occhiata a Kirishima che è più spaesato di me.

Deve legarsi i capelli, gli sono andati definitivamente a puttane. E deve anche sedersi al suo posto, smettere di accarezzarmi il ginocchio e cavarsi via dalla faccia quell'espressione... così eloquente.

– Ci sono. Se mi dai un secondo arrivo. –

– Sei impegnato? –

No, coglione, sono steso su un banchetto del laboratorio con il quarterback della squadra di football del liceo sopra di me e stavo per farmelo qui e ora prima che tu chiamassi.

Decido di ripulire un po' la mia versione.

– Sto finendo un esercizio. Un secondo, Shindō, un secondo e... –

– Oh, non importa, credo di averlo trovato. È la porta scura dopo la palestra, vero? –

La porta scu...

Merda.

Cazzo.

Mi tiro su di botto, prendo Kirishima da una spalla e lo spingo verso la sua sedia, mi sistemo la maglietta con la mano libera.

– Arrivo, arrivo subito. –

Stacca la chiamata.

È questione di... secondi.

Mi guardo dall'alto e squadro i miei pantaloni. Grazie al cielo la fase ormonale adolescenziale in cui al minimo contatto il mio corpo faceva festa è finita e la situazione non è particolarmente fraintendibile.

Mi giro.

I fogli sono un casino.

Li sistemo tutti uno vicino all'altro cercando di fare in modo che sembrino...

– Kat, che c'è? –

Oh, merda, è vero, devo anche spiegare...

Dio, ci sarà rimasto male. Quanto ci rimarrà male, quanto...

Non ho tempo per questo.

Mi dispiace, ma non ho tempo per questo.

Mi esibisco nella faccia più apologetica che riesca a produrre con le mie fattezze burbere del solito, prendo un grande fiato e glielo dico senza mezzi termini.

– Shindō deve passare qui a ridarmi una cosa. Sta arrivando. Noi... –

– Qui? Ora? –

– Qui. Ora. –

Spalanca gli occhi.

– Oh, merda. Sono presentabile? –

– Hai i capelli un casino, legateli. Per il resto... –

Sento chiaramente i passi fuori dalla porta.

Un paio di secondi.

Un paio di secondi che uso per...

– Mi dispiace. Se ti va poi ne parliamo. – sbotto alla velocità della luce, prima che la porta si apra.

Kirishima mi guarda.

Mi sorride.

Annuisce.

Mi giro verso la porta.

Passa una frazione di secondo, una frazione di secondo di pace prima che il mondo si spacchi in due, il legno scuro venga tirato indietro e la luce dell'esterno entri nell'intimità del laboratorio e la cosa che meno avrei voluto succedesse, specialmente oggi, succeda.

Shindō entra nella stanza.

Inizio a sentire nel petto una sensazione sgradevole, pesante, stretta che quasi mi ricorda un attacco di panico. Il mio cuore salta un battito, il mio viso sorride nonostante nessuno dei miei muscoli facciali abbia la minima intenzione di farlo, il mio corpo s'irrigidisce.

Merda.

Proprio ora?

Me...

Shindō è a tutti gli effetti un bel ragazzo. Alto, credo sul metro e ottanta o giù di lì, con la statura ben piazzata, il fisico asciutto, un bel viso. Ha i capelli scuri come gli occhi, la pelle chiara, un bel sorriso. Ha un modo di fare particolare, in bilico fra l'arrogante attraente e l'antipatico fastidioso, tutto di lui comunica che crede in se stesso, che ci crede molto, e che sa quanto di bell'aspetto sia.

Quando mi vede mi sorride.

Neppure calcola la presenza di qualcuno dietro di me.

Mi sorride...

Da quando c'è Kirishima sono molto più schizzinoso con i sorrisi che gli altri mi riservano.

Dalla primissima volta che l'ho visto, da quando ero sulle tribune del campo da football del liceo, da quando mi ha guardato come se fossi il Sole in terra e ha detto fra sé e sé "che bello".

I sorrisi di Kirishima sono affettuosi. Maliziosi, sporchi, a doppio senso, ma affettuosi. Sono come la cioccolata calda con la cannella e le nocciole sminuzzate dentro. Avvolgenti, confortevoli, affettuosi.

I sorrisi di Denki sono materni. Non paterni, materni. Hanno quella dolcezza e quella comprensione che mi ricorda più una madre, che un padre.

Quelli di Shinso sono stanchi, per la maggiore, ma sinceri. Sono rari quanto adorabili, pigri, ma sempre piacevoli da ricevere.

Quelli di Shindō...

Mi piace l'arroganza nei ragazzi?

Mi piace...va.

Perché mi convincevo che una persona arrogante avrebbe sopportato la mia arroganza. Mi convincevo che la mia arroganza fosse solo arroganza e non un bel cerotto sopra una ferita, e che cercarla in qualcun altro fosse solo una reazione istintiva.

Oh, Dio se non è così.

I sorrisi di Shindō, sono arroganti.

Lui è arrogante.

Ed è...

– Oh, menomale, mi ricordavo bene. –

La sua voce sembra fendere il silenzio come una lama.

Devo muovermi.

Devo...

Faccio un passo in avanti. Mi tremano le ginocchia e i miei pensieri sono così tanti e così veloci che quasi nessuno si fa strada fra gli altri per farsi sentire, mi batte forte il cuore, mi sento...

Shindō mi guarda per un attimo.

Poi fa spallucce.

– Ciao, Katsuki. – mi saluta, ignorando l'aria tesa nella stanza.

Supera lui la distanza che ci separa, mi appoggia una mano sulla spalla e si sporge dalla mia parte.

No.

Non farlo.

Non qui, non farlo, non devi farlo, non puoi di fronte a lui perché sarebbe cattivo e sarebbe meschino e non voglio che ci rimanga male e so che ci è già rimasto male ma così sarebbe...

Shindō mi bacia.

Non un bacio da film, neppure apre le labbra.

Solo si avvicina e mi bacia.

E si stacca quasi immediatamente quando il rumore chiaro, definito e stridente dei gommini di una sedia che strisciano sul pavimento squarciano l'attimo attirando l'attenzione.

Si è alzato.

È dietro di me.

Ora... ora Shindō lo nota.

– Sei il ragazzo di Kat? –

Potrei esplodere. Giuro che con tutta questa tensione potrei chiaramente esplodere.

No, ti prego, non farlo. Non usare questo tono, non...

Ora scappo.

Sarebbe una buona idea, sinceramente.

Prendo la mia roba, esco dalla porta, cambio nome, città e identità e scappo in un altro paese. Nessuno saprà chi sono e non dovrò vivere in questa situazione così tesa e così spiacevole e potrò farmi i cazzi miei senza che nessuno mi dia fastidio.

Una mano mi si preme sulla spalla, riconosco il modo di fare. Non indugia, non accarezza e non stringe, semplicemente mi invita a spostarmi di lato e lo faccio, mi sposto, faccio un paio di passi indietro e mi limito a guardare la scena.

È...

Non so nemmeno come descriverla.

Gli antipodi.

I completi antipodi.

Da una parte, studente universitario moro che sorride nel modo più arrogante possibile, con la giacca di pelle aperta su una maglietta scura e duemila anelli che scintillano sulle dita, dall'altra quindici centimetri buoni più alto di lui con la felpa che non fa niente per mascherare la conformazione fisica di uno che potrebbe tirare giù un muro a mani nude, giocatore di football coi capelli rossi che non sorride affatto.

Due persone così, sono riuscite a piacermi? In momenti diversi e in modo diverso, ma...

Wow, Katsuki, complimenti.

È quasi comico come tu sia passato dal trovare attraente uno a trovare attraente l'altro.

Shindō sorride.

– Sì, sono io. Tu saresti... –

– Un amico. Mi fa il tutor di matematica. –

È Kirishima ad allungare la mano.

– Eijirō Kirishima. –

L'altro risponde.

– Shindō Yō. –

Vedo le loro dita unirsi in una stretta di fronte ai miei occhi.

Mi sembra... di guardare un crollo in diretta. Di star sotto un ponte che il vento ha divelto a guardare le macerie scivolare via dal cielo, non sapendo minimamente se colpiranno anche me, se anche io verrò travolto dal loro rotolare giù.

Mi concentro su Kirishima, prima.

E qualcosa mi spaventa, di lui, quando lo faccio.

Mai visto così.

Mai.

Mai visto serio, mai visto con la linea della bocca così piatta, mai visto in questo modo.

Ha la mascella stretta, lo sguardo serio, di ferro, le spalle rigide, la schiena dritta come se fosse in guardia. Fissa l'altro con un astio, con un odio che non credevo fosse in grado di provare e per un secondo ho seriamente paura che succeda qualcosa.

Sposto lo sguardo su Shindō.

La sua bocca è piegata in una smorfia...

Di dolore.

Me ne rendo conto quando le loro mani si lasciano e la scuote prima di rimetterla giù.

Gli fa male.

Kirishima ha stretto la sua mano come se l'obiettivo della sua vita fosse polverizzargli le ossa.

– Dio, sei forte, ragazzone, hai una stretta che uccide. Fai così con tutti o solo con me? –

Shindō si gira verso di me.

– L'ha fatto anche con te? Com'è che si fa, dopo, c'è la riabilitazione o qualcosa del genere per... –

– No, con lui no. – sento Kirishima intervenire, per precisare qualcosa che forse non avrebbe dovuto precisare.

È vero. È vero, perché... perché non mi stringe la mano per distruggermi le dita e non mi fa mai deliberatamente male, anzi mi fa le carezze e mi sorride e mi passa le dita sulla pelle piano e con delicatezza.

Forse non c'avevo mai pensato, prima di ora, a quanto fisicamente forte potesse essere Kirishima. L'ho visto tirarsi su aggrappato ad una sbarra e scaraventare gente a terra ma non mi ero mai soffermato a ragionare su quanto sia delicato con me a confronto di quanto brutale possa essere il suo corpo.

È... dannatamente adorabile.

E dannatamente al momento sbagliato.

– Oh, ok, come vuoi. Certo che sei un tipo strano, tu. –

Devo fare qualcosa.

Prima che Kirishima gli stacchi la testa.

Perché credo sia chiaro che vuole staccargli la testa.

Cerco di pensare e...

Dio, è vero. Shindō è pur sempre qui per qualcosa, quindi basterà solo...

Mi infilo fra loro due e li separo per passare. Solo Eijirō si fa da parte per lasciarmi spazio, e lo fa istintivamente, come se fosse abituato alla presenza del mio corpo. Shindō invece mi segue, perché credo che qualsiasi cosa possa sembrargli un'alternativa migliore rispetto a farsi fissare con lo sguardo assassino da un muro di muscoli che non sembra affatto felice della sua presenza.

Si rintana al mio fianco dietro alla mia scrivania, mi infila un braccio attorno alla vita mentre giro il PC.

Kirishima rimane fermo a fissarci.

Sinceramente, non l'ho mai, mai visto così incazzato.

Cerco di far finta di niente.

– Mi dai la chiavetta? –

Shindō sembra ricordarsene all'improvviso.

Infila una mano nella giacca.

– Oh, sì, è vero. Me ne stavo quasi dimenticando. –

– Grazie. – commento, quando me la passa.

La infilo nella porta USB.

– Comunque non capisco perché ne usi una. I drive online sono molto più comodi. –

– Se il server è offline non voglio dover aspettare per aprire le mie cartelle. –

– Mi sembra un discorso da paranoici. –

– A me sembra una cosa piuttosto intelligente, invece. –

Shindō alza lo sguardo verso Kirishima che ha appena parlato. Abbassa le sopracciglia e la patina di terrore che lo permeava viene divelta dalla sensazione di essere appena stato contraddetto.

– Ti intendi di computer? –

– No. –

– Allora non vedo che cosa tu possa... –

– Ma sono abbastanza intelligente per capire che se Kat dice qualcosa, probabilmente ha ragione. –

Non è il momento.

So che non è il momento.

Però... lo dice con...

Orgoglio.

Come se...

No, non è il momento.

Cambia discorso, Katsuki, cambia...

Vedo il mio circuito sul tavolo.

Perfetto, è perfetto.

– Shindō, guarda, ho fatto un circuito oggi. Tutto da solo. Se vuoi ti faccio vedere la simulazione, ha anche i LED che lampeggiano. –

Ricevo in cambio qualcosa che mezz'ora fa non mi sarei nemmeno sognato dall'altra persona nella stanza.

Indifferenza.

– Katsuki, puoi aspettare un attimo? Stavo parlando col tuo amico, dopo mi fai vedere il tuo circuito, ok? –

Cerco di non farmi destabilizzare. Devo cambiare argomento e non m'interessa se risulterò pressante o cosa ma...

– È astabile, alterna le tensioni e si accendono uno alla volta. Sei sicuro che non vuoi vederlo? È fatto bene e ci ho lavorato due settimane per trovare le componenti e... –

– Avrò visto un milione di astabili solo questo mese, in facoltà li fanno in due ore al laboratorio. Dopo te lo guardo, ora no. Non essere... –

Si sporge per rivolgersi a Kirishima, focalizzato soltanto nell'unico intento di rispondere ad un'offesa che io in nessun modo posso estirpare. Ignora completamente me e i miei patetici tentativi, si rivolge ad un paio di occhi pungenti, affilati, ad una mascella ancora più contratta, e facendolo...

Alla fine il circuito lo nota.

Lo nota... troppo tardi.

Si allunga sulla scrivania per appoggiarsi e guardare Eijirō qualche metro più in là, facendolo urta la base su cui ho montato tutte le mie componenti, ancora appoggiata sul bordo da prima, quando mostravo il mio lavoro a qualcuno che ne era decisamente più interessato.

Cade.

Per terra.

Il mio circuito...

Cade.

Io...

Passa un nanosecondo di silenzio tombale nella mia testa. Uno solo. Poi iniziano a campeggiare un milione di pensieri molto volgari e molto offesi, poi un altro milione di insulti, poi i dubbi e la tristezza, la delusione, la rabbia.

Ma li azzero quando vedo Kirishima.

Kirishima che appoggia una mano aperta sulla scrivania di fronte a me e sta palesemente per muovere l'altra verso Shindō che... si scusa, dicendo che "dai che lo rimonti in un attimo".

No, questo non può finire così.

Non può finire a calci in faccia.

Non può finire in rissa.

– Shindō, vaffanculo, guarda dove metti le mani o comprati dei cazzo di occhiali. Ora per farti perdonare mi vai a prendere il caffè. – sentenzio, lasciandomi scappare qualche volgarità che però non somiglia nemmeno lontanamente alla miriade di quelle che ora come ora mi vengono in mente.

Nessuno si muove.

– Il caffè. Per tutti. Vai a prendere il caffè. –

– Non sono mica la tua came... –

– Hai appena distrutto il mio lavoro di due settimane. Vai a prendere i caffè, Shindō. –

Lo fisso con più decisione di quanta credo di poterne produrre.

Vedo che vorrebbe protestare.

Alla fine... grazie al cielo, perché una volta tanto anche lui mi ascolta, cede. Si defila dalla scrivania e mi passa dietro per andare verso la porta.

– Per tutti? –

– Per tutti. –

Si china prima di uscire. Tira su fra le dita il resistore che prima facevo tanta fatica a infilare nella base, lo appoggia distrattamente sulla cattedra.

Borbotta, mentre lo fa.

Dice...

– Dio, quanto sei dispotico. –

E scompare verso il corridoio l'attimo seguente, scampando per un secondo l'omicidio che sono sicuro Kirishima avrebbe commesso a sue spese.

Quando non lo vedo più nelle vicinanze e ho un attimo di pace, mi sembra che tutto quello che mi sono congelato nel petto si liquefaccia in un istante. Scende tutto, l'ansia di essere beccato e l'ansia che finisca male, il dispiacere e la tristezza per il circuito rotto e...

Apro le mani sulla scrivania.

Guardo verso il basso.

Mi scappa una... una lacrima.

Ticchetta verso il basso.

– Ci ho messo due settimane. Due... –

Una mano molto più grande della mia mi copre le dita.

– Una parola, Katsuki. Una parola. –

Alzo lo sguardo e non mi preoccupo di nascondere la rima cigliare infoltita dal pianto quando schianto lo sguardo su Kirishima.

– Eh? –

– Tu mi dici una parola, una soltanto, e io prendo quel figlio di puttana, gli stacco la testa e ci faccio un fermacarte. Una parola. –

Muove il pollice sull'interno del mio polso.

– Eijirō, non credo sia il... –

– Non voglio sindacare sui tuoi gusti, che se mi permetti sono di merda, ma quel tipo non mi piace, mi sta incredibilmente sul cazzo e se si azzarda un'altra volta, una sola altra volta a sminuirti in quel modo davanti a me io lo prendo e lo uccido. Non è che gli faccio male, Katsuki, no. Io lo uccido. –

Strofina il mio braccio con dolcezza, poi tira su la mano e mi spazza via un paio lacrime dalle guance.

– Ora ce lo leviamo di torno in qualche modo e ti aiuto a raccogliere tutto, ok? E te lo ripeto, se decidi che ne hai abbastanza di questo bastardo, tu me lo dici e ci penso io. –

Tiro su con il naso.

– Mi aiuti davvero? –

– Certo che ti aiuto. Ti aiuterei a rimontarlo se sapessi come si fa ma sai che non ne sono capace. –

– Basta che mi aiuti a trovare i pezzi, il resto lo faccio io. –

Sorride.

– So che lo fai tu, sei così dannatamente intelligente, Katsuki. –

Le sue parole sono piacevoli. Continua ad imperversare una tempesta dentro di me ma è come se calmasse un po' il vento che increspa le onde, come se appiattisse l'aggressività delle creste di schiuma.

Mi asciuga un'altra lacrima.

– Non piangere, non piangere. Va tutto bene, ok? È tutto salvato dentro la tua testa, puoi rifarlo quando ti pare, anche adesso. –

Mi accarezza la guancia.

– Così mi fai anche vedere come si fa a montarlo. –

– T'interessa davvero o stai solo cercando di fare il ruffiano? –

Ridacchio, quando glielo dico. Con il cuore ancora spezzato dall'immagine del mio circuito che rovina a terra, ma ridacchio.

Lo fa anche lui.

– Sai che sono un ruffiano di professione e non ho intenzione di mentirti sulla cosa, però davvero, m'interessa. Tutto di te mi interessa. Lo sai. –

– Lo so? –

– Dovresti saperlo. –

Sorrido di riflesso.

Gli angoli della mia bocca si alzano, gli sorrido.

Lui mi accarezza il bordo delle labbra.

Penso per un attimo che se potessi morire così morirei contento, che questo ragazzo forse è quasi più confortevole di tutto il laboratorio messo assieme, che tutti i miei dubbi forse non sono poi così fondati, che...

Finisce.

L'istante dopo, finisce.

Kirishima si allontana come se scottassi, i passi s'infittiscono al nostro fianco, Shindō torna, con tre bicchierini di plastica in mano e sfila in mezzo alla porta come se non avesse appena distrutto l'attimo più piacevole della mia giornata.

Non dice niente.

Entra.

Li posa sul tavolo.

Ne porge uno dalla mia parte.

Mi passa dietro di nuovo, mi stringe di nuovo col braccio, mi bacia una tempia e sorride contro il mio viso.

– Te l'ho preso senza zucchero come piace a te. Mi perdoni? –

Se ti perdono?

Per aver distrutto il mio circuito?

Per non ricordarti neppure che io il caffè del liceo lo bevo zuccheratissimo perché il sapore da solo mi fa schifo?

Io...

– Ti perdono. Ma se lo rifai mando qualcuno a farti secco. – rispondo, osservando per nulla entusiasta il liquame di fronte a me.

– Giuro che non lo rifaccio allora. –

Mi bacia un'altra volta la tempia.

Poi cambia argomento.

Perché per lui la cosa finisce là, non è più importante, è finita com'è iniziata e non è successo niente di che. Prende il mio PC e apre Chrome senza nemmeno guardarmi.

– Posso controllare le mail un attimo? Dovrebbe essermi arrivato lo schema per la relazione di Calcolatori. –

– Certo. – rispondo, più per dar fiato alla bocca che per altro, visto che è già sulla pagina che inserisce le credenziali.

Non dice più niente.

Guarda il PC come se fosse la cosa più interessante del mondo.

Non sapendo bene come reagire, io lascio perdere con un sospiro e decido di rivolgermi verso il caffè che mi guarda dal tavolo, cercando di elaborare un modo per mandarlo giù senza vomitare.

Lo vedo, là che ribolle come un calderone di petrolio.

Che schifo.

Dimmi tu sei io devo...

Senza farsi notare, vedo Kirishima prendere il suo bicchierino e sporgersi verso di me. Lo appoggia a fianco del mio, poi sposta la mano, prende il mio e se lo riporta vicino.

Alzo lo sguardo dalla sua parte.

Non parla, mima con le labbra.

"Lo so che ti piace dolce."

Sbatto le palpebre.

Lo sa che mi...

Sorride e non dice altro, beve il caffè che gli fa schifo in un sorso, osserva me portare alle labbra il bicchierino e lanciargli un'occhiatina furtiva quando il sapore sulla lingua si espande dolce invece che amaro.

Lui...

Lo schermo del mio cellulare si accende al fondo della scrivania, attira la mia attenzione, mi sporgo per guardarlo. C'è scritto che "@denksssss ti ha inviato una storia di @r3driot" e le mie sopracciglia si aggrottano nel leggere la notifica.

Denki mi ha mandato una storia di Kirishima?

Perché avrebbe dovuto...

Premo la notifica.

Sblocco il telefono, l'app si apre.

Carica qualche istante, la storia, e prendo il cellulare per vedere meglio.

C'è il messaggio di Denki sotto che dice "il ragazzo è cottissimo e tu sei uno splendore" ma lo ignoro, apro direttamente la foto.

L'ha postata... Kirishima.

Venti minuti fa.

È solo una foto, senza musica, senza niente, senza contesto, così, lasciata al caso e all'interpretazione di chi guarda.

E sono io.

Io che sistemo il mio circuito e io che sorrido.

Io...

Come se fosse orgoglioso.

Kirishima mi tratta come se fosse orgoglioso.

Come se io fossi qualcosa di cui è orgoglioso al punto che ogni suo singolo follower deve sapere che è con me, qualcosa per cui si sente fortunato, qualcosa che gli altri meritano di vedere.

Io che sistemo il mio circuito.

Lui è...

Alzo lo sguardo.

Lui mi sorride.

Troppo.

Troppo davvero.

Troppo per cui non credo sarò mai abbastanza.

Ma non m'importa, per un attimo, quanto poco io potrò mai aderire a qualsiasi aspettativa. Non m'importa della mia paura o delle mie insicurezze.

M'importa di lui.

Come, Kirishima, come? Ti ho cacciato via che ci stavamo per baciare e il mio ragazzo ti ha quasi insultato, sono un indeciso di merda e non faccio altro che deluderti.

Come fai?

Come fai ad essere ancora qui?

Chino gli occhi.

Solo un attimo.

Solo un attimo, uno solo.

Un secondo.

Per un secondo, Katsuki, proviamo davvero a pensare come sarebbe se tutto andasse bene.

Perché inizio seriamente a chiedermi se un eventuale cuore spezzato non possa essere il giusto prezzo da pagare per stare con la persona più dolce che io abbia mai conosciuto.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

OK ALLORA ECCOMI spero che vi sia piaciuto!!! è un po' MOLTO movimentato e ecco diciamo che prossimo capitolo stacco un po' giuro perchè its becoming intense (più che altro volevo che si formasse una certa intimità fra loro prima di far succedere ALTRE COSE)

prossimo capitolo entra un'altra stella nel cast

(teoricamente)

volevo solo ricordarvi una cosiiiiiiiiiiiina perchè kat l'ha già detto ma magari qualcuno non se lo ricorda. katsuki non preferisce shindō a kirishima IN NESSUN MODO, sa benissimo quale dei due gli piaccia di più e shindō per lui non è che sia una persona così importante. quindi perchè sta con lui? per non stare con kirishima, per dirsi che non sta con kirishima, per impedirsi di mettersi davvero con kirishima. no perchè già prevedo frotte di commenti "MA PERCHE' NON LO LASCIA SE LO ODIA" non lo lascia perchè gli serve mica per altro :D

UNICA COSA CHE VOLEVO DIRE ok lo so che come me siete grandi fan dello smut e VI PROMETTO CHE LO METTO ma non sarà ora, sicuramente non arriveranno a breve termine due capitoli di sesso sfrenato perchè 1) la trama non ne ha bisogno 2) katsuki è un personaggio particolare e fargli fare sesso con kirishima ORA sarebbe completamente fuori contesto

vi prego di non incazzarvi ma cuor* questo è e non ho intenzione di sciupare la trama per inserire dello smut che vi giuro vorrei scrivere anch'io ma che ora proprio non ci sta

niente, ci vediamo presto con scottish sithe

baci

mel <3

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