Briciole
Eppure, quando mi dibattevo nella ragnatela dell'insoddisfazione considerandomi senza speranza, ero felice senza saperlo. Le fasulle promesse del mondo hanno fatto breccia solo perché mi ostinavo a restare cieco e sordo ai miei veri desideri, li consideravo non più consoni al contesto. Adesso so che collimare alla perfezione con il cosiddetto stato attuale non sarebbe stato un dramma e, al contempo, mi avrebbe permesso il completo appagamento. E, invece, allora non avevo altro da fare che considerare indegnamente anacronistica l'unica parte di me che abbia mai emanato un odore, puzzo o profumo non ha importanza quando ha il potere di accendere qualsivoglia emozione negli occhi di chi hai davanti. Era la mia personalità, la singolarità che lo attraeva. Più detestavo il mio sguardo smorto e asimmetrico, più egli non ne poteva fare a meno; credevo che, andando avanti, l'incompatibilità sarebbe finita per trasformarsi in un divario incolmabile. Quanto sbagliavo! Mentre rinnovavo, uno dopo l'altro, i miei componenti, con essi buttavo ogni volta un pezzetto di me senza rendermene conto. Ma entrare direttamente nelle arterie della Rete ormai era il mio chiodo fisso, l'unico e arido.
E poi, cosa ho ottenuto? Oggi che controllo le comunicazioni di tutto l'Inferno senza che nessuna briciola mi sfugga, cosa stringo tra le mani a parte il vuoto?
Per la terza volta, Vox si spruzza il lucidante sul monitor e lo sfrega con una pezza pulita finché non cigola. Il gesto addiziona stizza a ogni ripetizione, ma continua a scozzarsi con i fallimenti perché le dannate lacrime non cessano di colargli dagli occhi rossi e disperati. È indegna quella vita che costringe a piangere solo in ritagli di tempo preimpostati tra una trasmissione e l'altra, poi di nuovo impeccabile -e falso- in onda, il pubblico che sbrana senza pietà fregandosene se chi ha davanti sia morto o vivo; se non funzioni ti elargisce un bel calcio del didietro per rispedirti nella fogna da cui sei uscito e avanti un altro.
L'insoddisfazione. Una condizione generata dalla mente e insita unicamente nelle convinzioni dell'individuo che ne è vittima. Molto spesso evanescente e soltanto presunta, questo è l'inganno. Solo le perdite fanno comprendere il valore del perduto tesoro che stazionava, invisibile, tra le dita. Il dolore esplode quando ormai l'impotenza ha steso la sua coltre su qualunque azione possibile rendendo insopportabile la pena.
Vox singhiozza e lo schermo è di nuovo da sistemare. Eppure, ha avuto quella maledetta fotografia di se stesso da giovane davanti miliardi di volte, sebbene abbia goduto sempre del posto d'onore sulla sua scrivania, da una manciata di mesi il bordo strappato occultato sotto la cornice ha preso a gridare come se godesse di vita propria. L'altra metà dell'immagine è rimasta sul fondo di un cassetto senza che Vox avesse mai raggranellato il coraggio di buttarla o di recuperarla. Ma adesso è lì, il demone televisivo se la rigira tra le punte celesti degli artigli. La mano tremante si accosta cauta al televisore dal telaio in legno dotato di tubo catodico e antenne telescopiche ritratto in bianco e nero e, finalmente, dopo dieci anni si riguardano negli occhi, almeno sulla carta. Lui è sempre identico, sicuro delle sue idee e fedele solo ai desideri davvero autentici.
"Perché, Alastor?" è sempre troppo presto per servirsi del lucidante, Vox si deterge il muco con la pezza senza badare al lungo filamento elastico che si dilata disgustoso prima di recidersi. Le elettroniche zanne celesti tremano impossibilitate a uscire dalla smorfia addolorata "Sei uno stronzo. Avresti potuto essere qui accanto a me, adesso. Mi manchi, cazzo!"
Vox, ormai senza controllo, sbatacchia la faccia piatta sulla pulsantiera dei comandi, le spalle gli tremano. Accidenti se ha provato a odiare Alastor in seguito al suo rifiuto, ancora senza una valida spiegazione, di collaborare, è stato persuaso del fittizio livore durante tutti i sette anni di misteriosa assenza del demone radio. Vox ne era ancora convinto assistendo al duro scontro tra Alastor e Adamo, creduto ingannevolmente attraente. Coltivava l'illusione di desiderare la morte dell'ex amico nel codardo pensiero di poter interrompere finalmente il proprio tormento in un mondo senza Alastor. Invece gli tocca vederlo intendersi con quell'accozzaglia di debosciati considerati più importanti di lui; dopo sette anni, per Alastor, il loro precedente e intenso rapporto ha semplicemente smesso di esistere. Il demone radio si è rifatto vivo senza neanche degnarsi di cercarlo o dirgli una parola; se non fosse stato per la caparbietà di Vox, non si sarebbero neanche salutati, ognuno per la propria strada e basta. Per forza, Vox realizza che questa è tutta una lista di conseguenze scaturite dalle sue colpe, è stato lui a distruggere il sentimento di Alastor rinnegando, ogni giorno, ciò che erano stati; giornate intere snobbando e criticando l'amico prendendo a pretesto il suo rifiuto di farsi contaminare dalle effimere tentazioni del mondo. Vox ha sempre ammesso la sua intensa voglia di scoparselo, ma Alastor dava importanza ad altro, tutto ciò che il demone TV adesso si angustia di non aver considerato; il demone radio si prodigava nell'accoglienza di Vox quando, appena arrivato all'Inferno, si sentiva ancora spaesato. Il mentore che in pochi hanno avuto la fortuna di avere, Alastor presentava la merda che li circondava come oro affinché Vox conservasse la gioia di vivere.
Per quanto Alastor possa essere educato, il costante ripudio di Vox verso il loro comune passato è stato troppo anche per lui. E, sì, si è incazzato, molto. Il vecchio monitor di Vox, quello così tanto profumato a detta del demone radio, è finito sbriciolato durante il diverbio.
"Com'è possibile che tu abbia dimenticato? Non puoi! Sei un pezzo di merda senza cuore" Vox colpisce la scrivania con un pugno senza alzare la faccia, il tono disperato e ovattato; se ne frega se tra pochi minuti andrà in onda, lo beccheranno come viene e pazienza, tanto ormai la sua vita è distrutta "ma chi pensi di essere per arrogarti il diritto di fare a brandelli il mio?"
"Vox, perdonami il disturbo..."
"Che cazzo vuoi, Valentino? Manca ancora un quarto d'ora alla trasmissione e ho bisogno di concentrarmi" Vox si cosparge lo schermo di uno strato spropositato di lucidante e ricomincia a grattare rabbioso, ha almeno il fragile sollievo di non aver pronunciato il nome di Alastor nell'ultima frase di sfogo "e impara a bussare, qualche volta."
"Sono qui proprio per parlarti del programma" malgrado Valentino si avvicini silenzioso, il puzzo di fumo lo tradisce, Vox non comprende cosa ci sia di tanto afrodisiaco in quella disgustosa sostanza rossa "la mocciosa di Lucifero ha rinunciato all'intervista, così, senza una ragione apparente."
Vox fa roteare, stizzoso, la sua sedia ergonomica. Il pacchiano accento di Valentino detiene il solo potere di farlo diventare ancora più sgarbato di quanto non abbia già fatto, per anni, la silenziosa voragine di vuoto "e allora diamo forfait anche noi?"
"Abbiamo studiato la nostra trasmissione apposta per offuscarla" Valentino raggiunge Vox ancheggiando senza far mai balenare le gambe dalla lunga pelliccia, appoggia le natiche alla scrivania continuando ad attorcigliare il fumo in sgargianti cuori. Odioso. "se non è necessaria teniamocela per quando servirà, io non posso perdere i miei modelli inutilmente."
Giusto. I poveri disgraziati che Valentino prevedeva di trucidare in diretta. Affinché Charlie perdesse ascolti, il demone falena aveva escogitato una sorta di gara a suon di battibecchi e follie perpetuati da un gruppo di uomini per conquistare una singola e bellissima donna, più snob possibile per aggiungere sale alla lotta. Alla fine lei ne avrebbe scelto uno per andare a cena fuori, firmando la condanna a morte di tutti gli altri.
Falsità. Schifo. Mera apparenza. Le briciole di esistenza a cui Vox si è ridotto ad attingere per non morire di fame, un palcoscenico perpetuo in cui non può mai essere se stesso. L'imminente crollo emotivo lo schiaccia ogni giorno di più.
"Sì, hai ragione" mugugna Vox riportando la sedia nella posizione iniziale.
"Hai bisogno di una pausa, sei troppo nevoso" gli artigli rosa di Valentino gli solleticano le piccole antenne sulla sommità del cilindro "non abbiamo mai tempo per noi, Voxy. Mi manchi, lo sai? Non abbiamo ancora provato il nuovo dildo gigante."
"Vaffanculo, Valentino!" con uno schiaffo, Vox si libera della mano invadente; tossisce soffocato non solo dal fumo, ma anche dai litri di ferormoni di cui Valentino si cosparge tutte le mattine. Gli viene ancora da piangere rimembrando il pungente e irresistibile profumo di Alastor "Sono indaffarato eccome, invece. Devo capire come mai Charlie ha declinato una così succulenta occasione, qualcosa bolle in pentola. Sparisci, Valentino, e lasciami lavorare."
"Sempre il solito scortese" Malgrado Valentino non tralasci di lagnarsi mentre si allontana, non manca d'impregnare la frase di apprezzamento proprio verso quest'ultima peculiarità di Vox.
Appena la porta a scorrimento si richiude con un leggero sibilo, il cuore di Vox inizia a martellare doloroso e potente. L'abbandono di Charlie potrebbe avere a che fare con Alastor? Deve saperlo.
Il demone TV cerca convulso tra i monitor che ha davanti, pesta forsennato la tastiera mentre gli occhi rossi schizzano fulminei da un'immagine all'altra. Purtroppo ha già appurato da tempo la totale assenza di dispositivi dotati di connessione nella stanza e nello studio di Alastor, quel vecchiaccio si rende irreperibile così arroccato nella sua rudimentalità. Perciò, collegarsi al cellulare di Charlie, ubicato nella sua tasca posteriore dei pantaloni, è l'opzione migliore. Il cattivo presentimento di Vox cresce ogni secondo di più, l'ira scade nella frustrazione già dalla prima inquadratura.
Intercettazione cellulare di Charlie, Hazbin Hotel ore 16: 45
"Bene, vedo che ti sei ripreso" Ancora non ha chiuso la porta della stanza di Alastor, e già Charlie cinguetta entusiasta.
Se quella è una ripresa, figuriamoci le precedenti condizioni.
La principessa si porta davanti alla poltrona su cui Alastor è accasciato. Il demone radio non alza neanche la testa che tiene storta e abbandonata sulla spalliera, le punte nere dei capelli rossi cadono in avanti nascondendogli il viso. È riuscito a vestirsi, ma la camicia è sbilenca, uno degli orli dei pantaloni incastrato nel bordo dello stivaletto, mentre giacca e microfono giacciono sul letto per un probabile e improvviso abbassamento di forze che lo ha costretto a sedersi. È molto più magro di come Vox lo ricordava, le spalle curve così gracili da fare spavento. All'ingresso di Charlie, le orecchie gli fremono leggermente inseguendo il suono, poi tornano ad ammosciarglisi ai lati del capo. Riesce solo a emanare flebili scariche elettrostatiche che disturbano la visuale a Vox. Sempre potente lo stronzo, seppur ridotto in quello stato.
"Come stai?" Charlie insiste abbassando il tono che ora vibra di apprensione.
"Molto meglio, cara. Tra poco vi raggiungo." Alastor si sforza di guardarla riesumando il sorriso e il consueto tono giocoso e metallico, ma l'affaticamento lo stronca e la testa gli crolla peggio di prima.
"Alastor?" Charlie gli si inginocchia davanti, la fatica per non farsi prendere dal panico è evidente.
La principessa si protende cauta verso il demone, allunga circospetta le mani per aggiustargli i bottoni che non combaciano. Lui si irrigidisce, il respiro gli si blocca assottiglia gli occhi e il sorriso vacilla pur non scomparendo, però la lascia fare.
Alastor, sempre infastidito dal contatto proveniente dagli altri, appiccicoso come una cozza quando l'iniziativa nasce da lui. L'unico comportamento singolare che non abbia mai irritato Vox, anzi, lo affascina oggi come allora. Chiedere ad Alastor di non configurare un contrasto vivente equivarrebbe costringerlo a non essere Alastor.
Le mani di Charlie scendono per andare a occuparsi dell'orlo sciancato, lo liscia con le punte delle dita mentre non smette di perlustrare il viso pallido di Alastor, sta diventando un po' troppo invadente quella maledetta. L'unico movimento del demone radio è il leggero affanno.
"Alastor, se mi dici qual è il problema ti aiuterò a risolverlo, non uscirà mai da questa stanza" senza staccargli gli occhi di dosso, Charlie si ritira per sedersi sui talloni. L'ammirazione che ella emana, la maniera che ha di toccarlo feriscono Vox come un pugnale, la saliva scarlatta che non si accorge di perdere dalle fauci digrignate gli cola su mani e tastiera.
"Grazie, cara. Ma non credo si possa fare niente" Alastor solleva le orecchie, addrizza la testa avvalendosi del supporto della spalliera, ma nulla più.
"Alastor, tu non lo ricordi, ma Niffty ti ha visitato a fondo. È stata con te per oltre un'ora ed è certa che tu abbia avuto un collasso emotivo, la ferita che ti ha inflitto Adamo è praticamente guarita. È chiaro che, sfidando mio padre, hai provato a toglierti la vita." Charlie esita, ingolla un nodo di angoscia con una difficoltà tale da emettere uno sgraziato verso. Si incastra le mani tra le cosce forse per evitare che vadano a prendersi ulteriori anelati contatti, lo sguardo le crolla sul pavimento "Si tratta di una persona? Hai perso qualcuno?"
L'effetto metallico si sovrascrive anche al doloroso sospiro esalato da Alastor, le orecchie gli tornano mogie. "L'ho lasciato andare... lui è... colpa mia..."
Trasmissione interrotta
L'interferenza radio stavolta è incontrastabile, le luci intorno a Vox tentennano, si spengono, poi riappaiono accompagnate dal sibilo ascendente del riavvio dei macchinari, ma lo schermo resta sfregiato da energia elettrostatica senza senso.
Un pugno frizzante e galvanizzato si abbatte sulla scrivania, tutto il corpo di Vox rasenta le convulsioni trafitto da intense scariche.
Alastor si è innamorato di qualcuno.
Lo stronzo aromantico, adesso, tiene a una persona; una sottospecie di farabutto che, addirittura, lo ha condotto sull'orlo del suicido. Che stolto! Alastor ha caparbiamente rifiutato Vox, l'unico capace di comprenderlo e assecondarlo, per andarsi a buttare tra le braccia di una carogna che lo sta annichilendo. Un miserabile degradato che fa parte dell'Hotel, altrimenti non si spiega l'improvviso ritorno di Alastor e la sua cotanta solerzia per restare lì.
L'asimmetria degli occhi gli si accentua. L'odio di Vox verso Alastor si riaccende; detesta il suo quotidiano tormento, ma non vive senza il veleno che riesce a inoculargli nel cuore anche a distanza. Tutti gli arredi del palazzo di Vox sono blu o celesti, solo adesso si accorge di come abbia fatto cancellare il rosso con estrema minuzia. Il ricordo di Alastor non lo abbandona mai, non lo lascerà mai in pace. Un male insediatoglisi ormai in ogni molecola, un virus subdolo che lo sta conducendo all'annientamento. Cancellare il rosso è una fugace illusione, in realtà il colore martellante Vox se lo ritrova insediato nel profondo di ogni cellula.
Vox deve sapere chi è il bastardo che è riuscito a papparsi il cuore di Alastor, che ha rubato ciò che gli spetta. Sebbene esausto, il demone TV si innesta tutti i collegamenti dietro la testa. L'occhio sinistro gli si traccia di cerchi mentre, entrato in una specie di trance, Vox si sconnette dalla realtà per ripescare ogni registrazione carpita giornalmente da quando Alastor ha fatto ingresso in quella baracca. Una malattia che lo divora lentamente, in sordina, l'unica soddisfazione di Vox, ormai, si riduce all'isolarsi per spiare e registrare quanto accade tra le stanze dell'Hotel.
Alastor che sorride, lo fa con tutti, elargisce gentilezza e aiuto a gente che neanche conosce, mentre per Vox riserva solo indifferenza. Appare contento persino quando la ciclope nana gli intreccia tra i capelli una corona di farfalle da lei personalmente eliminate. È lì, sempre presente, beve al bancone del bar in compagnia di Angel e del sacco di pulci, l'espressione piacevole. Canta e litiga con Lucifero, ma altro non è che sfoggio dei rispettivi talenti.
E per lui, dopo sette anni? Neanche un saluto, una spiegazione, una scusa.
Vox non cancellerà mai la sagoma di Alastor in allontanamento dopo avergli rifiutato ogni cosa.
Il demone televisivo interrompe la carrellata di penose immagini, non individua colui che ha stregato Alastor. I cavi gli frizzano ancora impiantati, digrigna le zanne, il pugno si chiude ancora colmo d'ira e di elettricità.
L'espressione elettronica cambia repentina. Gli occhi, sempre asimmetrici, sono affranti. Le zanne incurvate nel dolore e aperte nel turbamento. Singhiozzi disperati riecheggiano nella stanza, le spalle di Vox sobbalzano violente.
Vogliono entrare senza permesso? Facciano pure.
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