Restare in campo [2012]
«Basta!» dice Tobio, chinandosi a prendere la palla da terra.
A Shoyo non piace quel tono di comando. E il motivo per cui non gli piace è che tutte le volte avverte la tentazione di obbedire senza discutere. «Perché? Che ore sono?»
«Non è questione di ora, è che sta nevicando più forte. Ha già attaccato e tu sei scivolato almeno tre volte negli ultimi dieci minuti. L'unico motivo per cui non sei finito col culo per terra è che sei molto agile. E poi fa troppo freddo.»
Shoyo sospira e le sue spalle si abbassano. Tira un paio di calci allo strato di neve, sollevando qualche spruzzo. Raggiunge la panchina e si infila la giacca a vento. «Allora ciao» grugnisce, imbracciando la tracolla della borsa.
Si salutano sempre così, senza tanti convenevoli. Deve sembrare che a nessuno dei due importi granché dell'altro, fa parte di un'abitudine che è già diventata rito.
Shoyo si volta e si aspetta di vedere la mano alzata di Tobio, già incamminato nella direzione opposta. Appena sparito alla vista, arriverà il cicalino del suo messaggio: Scrivi quando arrivi, Boke. Sempre identico, con pochissime variazioni.
Invece stavolta Tobio è fermo lì, con le mani sui fianchi, e il cappotto ben allacciato
«Dove stai andando, Boke?»
«Dove pensi che stia andando? A casa.» Shoyo ha già le mani sul manubrio.
«In salita? Con questo tempo? Se devi morire prima dei nazionali, preferisco ammazzarti io.»
In effetti la nevicata sta rinforzando e l'ultima parte del percorso verso Kami è su una statale che, a essere fortunati, spazzeranno domattina.
«Se butta male, la porto a mano» replica Shoyo.
«Non se ne parla. Ci metterai tre ore e ti verrà la polmonite.»
«Non è che ci sono tante alternative.»
«Fatti venire a prendere.»
«E da chi? Da Natsu?» Shoyo scuote il capo e si avvia verso l'uscita, spingendo la bici.
Il passo di corsa di Kageyama ha un ritmo serrato incredibilmente uniforme, perfetto come tutte le sue prestazioni atletiche. Shoyo sarebbe capace di riconoscerlo fra mille. In questo caso, non c'è neanche bisogno di indovinare. Tobio lo raggiunge e lo afferra per un braccio, con poco garbo.
«Tu a casa in bici con questo tempo non ci vai!»
Shoyo si divincola «Piantala, Baka! Ho detto ciao!»
«Fatti venire a prendere da tua madre.»
«Lo sai che non guida col buio.»
«Aspetta, Boke!» Tobio estrae dalla tasca il telefono e digita furiosamente sui tasti.
Shoyo inizia ad averne abbastanza. E' sempre così con Kageyama, un prepotente su tutti i fronti. Eppure... eppure non ha mai conosciuto nessuno che ammirasse così tanto, e allo stesso tempo con cui si sentisse così libero di essere se stesso, di dire cose stupide, di litigare. Non che siano amici, no. E' qualcosa di diverso, una specie di rivalità, che però contiene anche altre cose che hanno in comune: competitività, per esempio. Passione smodata per la pallavolo. Voglia di vincere. Cose importanti.
«Manda un messaggio a tua madre e dille che arrivi alle nove» ordina Tobio, rimettendosi in tasca il cellulare. «Ti accompagna Miwa, dopo l'ultima cliente.»
«Ma sei deficiente? Hai scomodato tua sorella per accompagnarmi alle nove di sera? Io a casa tua non ci vengo!»
In realtà Shoyo è curiosissimo di vedere la casa di Kageyama, anche se si farebbe prendere a pallonate in faccia prima di ammetterlo.
«E chi ti ci vuole a casa mia?»
«Pensi di stare fuori sotto la neve fino alle nove? Sei scemo?»
«Andiamo in un posto.»
«Dove?»
«Seguimi!»
Shoyo si trova a obbedire. «Tienimi un attimo la bici!» gli dice, e intanto manda alla mamma un messaggio, pieno di faccine, come piace a lei.
«Mi dici dove andiamo?»
«No. Cammina.»
La strada risulta familiare: è quella che percorrono ogni giorno in senso inverso, per andare al parco. Immersi nella neve che danza, camminano in fretta, Hinata con le mani affondate in tasca e Kageyama continuando a spingere la bici.
«Siamo arrivati.»
«Eh?! Guarda che siamo a scuola!»
Tobio fa dondolare qualcosa davanti al naso di Shoyo. E' una chiave, attaccata a un anello d'acciaio, con un portachiavi di metallo a forma di Mikasa.
Gli occhi di Hinata si accendono come fiamme vive. Kageyama resta a guardarli, abbagliato. Quando si riscuote, stringe in pugno le chiavi con un gesto secco. «Se ci scoprono, ci possiamo scordare il torneo. Quindi cerca di non fare lo scemo.»
Raggiungono il punto dove la recinzione esterna si può sollevare quel tanto che basta per sgattaiolare dentro, si muovono al di fuori dei coni di luce dei lampioni ed entrano in fretta nella grande palestra, immersa nel buio salvo le strisce sotto le finestre larghe e basse, da cui filtrano il biancore della neve e la luce soffusa dei lampioni.
Uno dei posti più familiari al mondo, nonostante frequentino quella scuola da meno di nove mesi.
«Non possiamo giocare» osserva Shoyo deluso.
«Non possiamo neanche accendere la luce. Ma almeno non si muore di freddo.»
«Vado a vedere se i termosifoni negli spogliatoi sono accesi» dice Shoyo a bassa voce.
Torna scuotendo la testa.
«Come hai fatto ad avere le chiavi?»
«Ho fatto una copia di quelle di Tanaka, quel giorno che ce le ha date perché doveva correre a casa.»
«Sei un criminale.»
Tobio ghigna, come fosse un complimento. E forse un po' lo è.
L'orologio sul muro segna le sette e dieci. «E quindi che facciamo fino a che non arriva tua sorella?» domanda Shoyo, guardando con desiderio la cesta con i palloni.
Tobio si stringe nelle spalle. «Parliamo.»
Shoyo si gira a guardarlo, perplesso. «Parliamo? Di che vuoi parlare?»
«Non lo so» risponde Tobio, stringendosi nelle spalle. Si siede con la schiena contro il muro, sotto la finestra, le gambe distese e caviglie incrociate.
Shoyo si siede lì a fianco, la testa appoggiata sulle ginocchia piegate. «Una cosa di cui vorrei parlare con te ci sarebbe» confessa.
Tobio si volta a guardarlo. «Hai qualcosa da mangiare?»
«Eh?»
«Ho fame.»
«Non te ne frega niente di quello che ho da dire?»
«Non lo so, non l'hai ancora detto. Ma ho fame.»
«E poi fai quello che vuole parlare.»
«Dai, avrai pur qualcosa.»
Shoyo sospira «Ho quei biscotti che mi hai dato tu ieri.»
«Quelli pieni di glassa?» chiede Kageyama schifato.
Shoyo annuisce. «A forma di pupazzo di neve. Sono così carini! Anche la ragazza era molto carina.»
«Tu dici?»
Shoyo annuisce, rovistando nella borsa. Estrae un sacchetto di carta azzurra, con dentro sei o sette biscotti glassati. «Non te ne piace mai nessuna.»
Tobio alza le spalle. «Comunque, non avrei tempo per una ragazza.»
Hinata questo lo capisce. Porge i biscotti a Kageyama, ma prima se ne infila in bocca uno.
«Perché pensi che sia carina?» si informa Tobio, con una curiosità che sembra scientifica, più che romantica.
«Begli occhi, bei capelli, minuta, dolce. Kawaii.»
Tobio arriccia le labbra, riflettendoci. «Non mi dice niente» conclude, masticando.
«E' una ragazza carina. Cosa deve dirti?»
«Boh. Qualcosa. Quanto sorridono, mi sembrano tutte identiche. Negli occhi non hanno... » Kageyama si volta a fissare Shoyo, che aspetta la conclusione della frase. «...niente di speciale. Niente che valga la pena di guardare. O che ti faccia provare qualcosa.»
«Sei strano.»
L'unica risposta è una mano che si infila nel sacchetto a prendere un altro biscotto.
«Ma prima o poi te ne piacerà una» profetizza Shoyo. Vorrebbe essere allusivo e malizioso, ma la voce suona un po' fasulla.
«Bah! Non credo. A meno che non mi stracci a pallavolo.»
«Vuoi essere stracciato da una ragazza?»
«No.»
Hinata solleva le sopracciglia, poi scuote la testa, sfregandosi le mani. «Non ha tanto senso quello che dici.»
«Chissenefrega. Di che volevi parlare?»
«Del ritiro della nazionale giovanile» risponde Shoyo, guardandosi le scarpe. «Non mi hai raccontato quasi niente. Ho capito che è una cosa tua, ma... »
«Che vuoi sapere?»
«Tutto!» E' un tono a metà fra l'esaltazione e la frustrazione.
«Abbiamo giocato molto, in tutti i ruoli. Gli altri erano... forti. Alcune situazioni sono state interessanti. Lo yogurt della mensa era una marca sfigatissima e faceva pena.»
«E...?»
E tu, Boke, non c'eri. Quindi era buio. Tutto il tempo. «E cosa?»
Shoyo sbuffa, tirando una pedata a Kageyama. «E ti sei divertito? Ti sei emozionato? Hai imparato cose...tipo wow, stump, swish...»
«Parla come gli umani! E' stato... normale. Pallavolo.»
«Normale.» Il sospiro di Hinata è profondo, con un verso di scoramento. «Vai al ritiro della nazionale giovanile, a Tokyo, e la cosa non ti fa né caldo né freddo. Non ti esalta. Non ti cambia la vita. Sai che ti dico, baka? Tu non te la meriti, la nazionale giovanile! Anche se sei un mostro.»
Kageyama reagisce in un attimo, come sempre. Afferra Hinata per la giacca a vento e lo strattona: «E' tutta colpa tua!»
Shoyo si libera con una manata «Che cavolo dici? Colpa di cosa?»
«Non hai combinato niente. Da cinque a quindici anni non hai fatto un cazzo. Ricevi di merda, servi come uno di prima media! Fai schifo!»
Shoyo incassa quegli insulti con il cuore che gli martella in gola. Fanno male, anche se sono tutte cose vere. Fanno male perché sono vere. E fanno più male perché le dice lui. «Credi che non lo sappia?»
Scatta in piedi, a pugni stretti. E' gonfio di collera fin quasi a scoppiare. E nei suoi occhi, che lo guardano dall'alto in basso, Kageyama vede scoppi, eruzioni, esplosioni fra vampate di fiamma.
«Scusa se non ho il tuo talento! Se mio nonno non faceva l'allenatore di pallavolo e non mi ha messo una palla in mano a tre anni! Se sono basso! Se alle medie sono stato da solo in squadra per due anni e ho dovuto mendicare ogni singola alzata che ho ricevuto. In terza ho trascinato in campo cinque persone a caso solo per iscrivermi al torneo e farmi umiliare da te. Credi che non muoia di invidia ogni volta che ti guardo? Che non ci metta abbastanza impegno? Credi che non volessi essere lì a Tokyo con te? Mi sarei venduto l'anima per esserci!»
Kageyama lo guarda dal basso, con gli occhi socchiusi, senza parlare.
Shoyo si smonta in un attimo. L'ira lo abbandona tutta insieme, come un abito che cade; gli resta addosso un'ansia divorante di rivalsa, e qualcosa in più, come un nodo inestricabile all'altezza dello stomaco, che preme e fa male, lì dentro, da qualche parte.
Quando Tobio gli prende le mani, reagisce al rallentatore. «Si può sapere che vuoi?» grugnisce, liberandosi.
«Hai le mani ghiacciate.»
«E quindi?»
«Vieni qui!» ordina il re del campo.
«Ma dove?»
«Stai zitto. Vieni qui!» Tobio gli afferra un polso e lo torce, tirando verso il basso.
Hinata si ritrova in ginocchio di fronte a lui. «Ahia, mi fai male! Baka! Lasciami!»
Tobio, sordo alle proteste, lo spinge e lo tira, fino a farlo voltare, seduto di schiena in mezzo alle sue gambe aperte. E poi se lo stringe contro, abbracciandolo alla vita con una presa d'acciaio.
«Che diavolo fai?» Shoyo tenta invano di forzargli le braccia.
«Zitto. Ti scaldo.»
«Lasciami andare!»
«Stai zitto, ho detto: ci sentiranno, se continui a urlare come una scimmia. Vuoi sapere o no com'era il ritiro della nazionale giovanile?»
«Non me lo hai appena detto? Non mi hai appena riempito di insulti?»
«E tu non hai capito. Perché sei cretino.»
«Piantala!» Shoyo assesta un pugno all'indietro, diretto al fianco di Kageyama.
«Tieni ferme queste mani!» Tobio le afferra e le costringe sotto le proprie, tornando ad abbracciarlo più stretto di prima.
«Lasciami...» è una protesta debolissima, una ribellione solo a parole.
«Tu sei cento volte meglio di tutti quelli che erano al ritiro» dice Tobio. Lo dice con il viso nascosto fra il collo di Shoyo e il cappuccio della giacca a vento. L'odore di sole e di zucchero gli stanno dando alla testa.
«Ma...»
«Shhh, ascoltami. La pallavolo è il massimo. E' il meglio che esiste al mondo. E questo vale sempre. Ma senza di te è solo pallavolo. Con te è... » Tobio respira a fondo, in questa posizione, senza guardarlo, è un po' più facile trovare le parole. «E' giusta. E' come dovrebbe essere. Vincere. Esaltarsi. Essere a mille. Sudare. Soffrire. Allenarsi. Allenarsi. Allenarsi. Restare in campo. Restare in campo, Boke. Io e te. Dopo che gli altri hanno mollato. Dopo che gli sfigati, i mosci, gli sfiatati e i perdenti se ne sono andati tutti. Tu e io restiamo in campo. Anche sotto il sole di agosto. Anche sotto la neve.»
Shoyo sta trattenendo il respiro, in un'apnea di ossigeno e sentimenti. Il calore delle braccia che lo stringono supera quattro strati di vestiti e brucia sulla pelle. E quel soffio caldo sul collo lo fa tremare: ogni parola pronunciata è un brivido.
«Muoviti!» gli ordina Tobio, stringendolo più forte, articolando le parole direttamente contro la sua pelle. «Muoviti a recuperare, Boke, sono stufo di aspettarti!»
«Ti straccerò» risponde Shoyo, in un soffio.
«Fallo! Stracciami. E poi gioca con me. Vinci con me! Vola per me! Per me. Hai capito, cretino? Hai capito cosa sto cercando di dirti?»
Shoyo non ha capito. Le sue emozioni sono confuse e acerbe.
«Vinciamo tutto» sussurra. E' un credo, una professione di fede. Una certezza. Il resto è solo un vortice confuso, che parte dal cervello e arriva fra le gambe, mettendo in subbuglio tutto quello che c'è in mezzo.
«Vola per me!» ripete Tobio, soffiandogli le parole nell'orecchio.
«Io volo sempre per te. Sei il mio alzatore. Sei il migliore» risponde Shoyo, con il tono delle verità più ovvie.
Tobio nasconde il rossore nell'incavo del collo in cui ha affondato il viso.
Basta parole. Ne hanno dette fin troppe. Quindi stanno zitti.
E restano così, abbracciati, abbandonati uno addosso all'altro, senza farsi domande inutili, a sognare lo stesso futuro nei riverberi della neve che cade.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro