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Tutto il resto è fumo negli occhi


1.


Tutto il resto è fumo negli occhi


'We were born sick,'        you heard them say it.


Corro ad occhi chiusi lungo le spiagge dell'indifferenza.

Arranco, inciampo, cado, mi rialzo.

E corro, corro a perdifiato, lasciando cadere dagli occhi gocce di dolore che brillano nell'aria rarefatta, piombano a terra e scavano voragini. Si espandono, sfiorandomi con lingue d'oblio. Mi inseguono. Io corro, senza voltarmi indietro.

Il nulla alle spalle, verso un orizzonte di vetro.

Il battito del cuore è accelerato, il respiro fatica a ripetersi, nulla mi fa alzare lo sguardo. Sconforto è il mio nome.

Sconforto è il mio stato d'animo in questo momento.

Se mi guardo allo specchio, vedo riflesse tutte le parole che non riesco a dire, tutte le paure che mi porto dietro. Mentre le immagini lentamente si dissolvono i miei occhi guardano già altrove, alla ricerca di quel volto invisibile che possa dare un senso a questo mio vagare per le strade della vita.

La mia mente. Arma letale, come un veleno.

Sentire la mancanza di qualcuno è percepire un buco che niente e nessuno può colmare. Non i ricordi, non i desideri, non l'ostinazione di non pensare, perché siamo così masochisti da tatuare ogni dolore nella memoria. Quel buco a volte si allarga, a volte si restringe, ma continua a galleggiare dentro, amaro e incessante. Soltanto chi ci sta mancando potrebbe riempirlo, ma non sarebbe più mancanza, sarebbe tutta un'altra storia.

Il rumore silenzioso di una lacrima che scende, portandosi via un pezzo di me, un cuore solitario che vaga nell'oscura fragilità delle emozioni, il mio. Hogwarts è immersa nel buio e nella quiete: è una notte senza luna, i corridoi sono deserti, nessuno ha più osato avventurarsi per la scuola dopo gli orrori della guerra. E poi ci sono io, che sprezzante del pericolo continuo ostinatamente a cercare rifugio nell'isolamento.

Inspiro. Espiro. Mi sembra di impazzire. Ma mi succede spesso.

Sembra che tutti vivano bene, ora, che la vita sia tornata ad essere solo uno scherzo. Un gioco crudele, nefasto, che come esito ha riportato un enorme sterminio. La verità è che stiamo tutti tentando di farcela, in una maniera o nell'altra, tentando di trovare l'amore, tentando di trovare il sesso, tentando di trovare un po' di pace e un po' di senso prima di gettare la spugna.

Resistere ha significato solo se ne esci con qualcosa in mano alla fine. Ma resistere tanto per resistere è l'infelice condizione di milioni di persone. Compresa me.

È una vita al confine, la mia. Continuamente alla ricerca del mio baricentro, annaspo in questo grigiore che mi fa desiderare di cadere. Tutto il resto è fumo negli occhi.

Quel desiderio di fuga che mi pervade, la mente che evade, impigliata nel filo spinato delle mie paure. Vedo il colore della libertà, ma non ne conosco il sapore. Ma cos'è poi, la libertà?

"La vita senza libertà, è come un corpo senza lo spirito", lessi una volta in un libro babbano.

Sbagliato.

L'uomo crede di volere la libertà, in realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché essa lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi. Molti la definiscono come facoltà di scegliere fra le proprie schiavitù. Per quanto mi riguarda, un tempo conoscevo un'unica libertà, quella della mia mente. Ormai mi è stata strappata, e forse non l'ho mai posseduta davvero. Qualcosa mi ha traviata, spinta ad inseguire follemente mere illusioni, a cercare la felicità nei luoghi più impensabili. La gente manipola e viene manipolata, imbroglia e viene imbrogliata in continuazione, senza rendersene conto. Fanno del male e ne ricevono, senza rendersene conto. Rifiutano di comprenderlo perché non lo sopporterebbero.

Il gioco di prestigio dell'inganno è un espediente onesto proprio perché è chiaro in anticipo che niente è ciò che sembra e nessuno è chi crede di essere.

Ero arrivata ad un punto ben preciso della mia vita: sapevo cosa volevo e chi volevo. Ma "chi volevo" forse non voleva me; "cosa volevo" non faceva al caso mio. Adesso sono qui. Che gran presa in giro che è la vita.

Vorrei essere stata più lungimirante.

Mi sono lasciata imbrogliare, incastrare, irretire.

Ed ora ne pago le conseguenze.


Signorina Granger, sei davvero la strega più brillante della tua età.

Tu sei un genio, Hermione.

Esatto, signorina Granger. Dieci punti per Grifondoro.


Le stesse lodi e complimenti che mi avevano fatta sentire speciale stanotte prendono le sembianze di disgustose bugie.

Uno degli errori più grandi che si fa nella vita è prendersi troppa cura degli altri, dimenticando se stessi. Purtroppo posso dire di averlo imparato a mie spese. Ero sempre pronta a dare una mano, ad offrire il mio aiuto qualora ce ne fosse stato bisogno, ma a quale prezzo?

Il cuore senza la mente rende ingenui; la mente, senza il cuore, cinici. Ho da poco compreso quanto il cinismo altro non sia che la crudeltà dei delusi: non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro certezze.

Non sento la loro mancanza. Harry e Ron non mi mancano. Davvero.

Il senso di colpa a volte è tanto forte da soffocarmi, ma ormai le cose stanno così, e ho giurato che almeno a me stessa non avrei più mentito. Ci sto provando.

Vorrei poter dire che la mia sia stata una scelta razionale, quella di rifiutare la vantaggiosa offerta del capo degli Auror per recludermi a Hogwarts e potenziare le mie abilità magiche, ammesso che ci fosse effettivamente qualcosa da potenziare.

Non so nulla, ma sono convinta di sapere tutto.

Allora perché sono qui? La verità è che non ne ho idea.

Semplicemente, una mattina mi sono svegliata e ho capito di essere infelice, solo infelice. E stanca di quella vita.

Per quanto ancora sarei stata in grado di sostenere le aspettative che tutti riponevano su di me? Gli sguardi indiscreti della gente, i commenti inopportuni, le attenzioni morbose di chi aspirava ad ottenere un ruolo importante nella mia quotidianità: quanto ancora avrebbe resistito una come me in quella gabbia di ferro dipinta d'oro?

Ci creiamo il nostro Inferno e poi diamo la colpa agli altri.

Certo, l'ho voluto io. È stata una mia decisione, o meglio, una serie di decisioni prese anno dopo anno, a determinare questo squilibrio, e non riesco a pentirmene fino in fondo. Ma ho bisogno di andare oltre, di scavare dentro di me ed estirpare il problema alla radice.

Facile a dirsi. Come posso eliminare qualcosa di cui non conosco l'origine, la forma né l'aspetto? Sarebbe come fare un salto nel buio. Ed io sono stanca di salti nel buio.

Tornare a Hogwarts, da sola, poteva essere la soluzione di quel rompicapo, o comunque un punto di partenza. Tutto aveva avuto inizio lì, in quella scuola, e forse lì doveva terminare: la bambina dai capelli crespi che aveva varcato l'enorme portone, molti anni prima, aveva inconsapevolmente abbandonato una parte di lei che allora era apparsa superflua. Era arrivato il momento di tornare a riprendermela.

O forse ho semplicemente pensato di fuggire.

Quando siamo troppo allegri, in realtà siamo infelici. Quando parliamo troppo, in realtà siamo a disagio. Quando urliamo, in realtà abbiamo paura. In realtà, la realtà non è quasi mai come appare.

Ci sono persone che non ho mai conosciuto e sensazioni che non ho mai provato. Che avrei voluto con tutto il cuore conoscere e provare. Ma ormai è troppo tardi tutto è svanito con il passato.

Ormai.

Questa parola è diventata parte integrante del mio vocabolario, direi quasi fondamentale, alla veneranda età di diciotto anni, il che dice tutto. Nel periodo che dovrebbe essere il più intenso della mia vita, il termine esatto per descrivermi è rassegnata.

E ferita, anche.

È davvero incredibile, se ci penso. Sono riuscita laddove persino il più potente mago oscuro di tutti i tempi ha fallito.

Ho distrutto il Trio Magico, forse per sempre, chi lo sa.

L'ennesima lacrima rotola giù per la guancia, prima che io possa in qualche modo impedirlo. Devo smetterla di piangere.

Sono giorni in cui il vuoto morde il petto e il nulla logora le viscere, so che dovrei darmi una mossa ma tutto quel vuoto e tutto quel nulla mi paralizzano. Non sono contenta, eppure non mi manca nulla. Non so neanche come faccia a starci tutto questo spazio dentro di me. Sangue, muscoli, nervi non lasciano spazio al vuoto e in fisica il vuoto non esiste, tuttavia dentro di me se ne annida almeno qualche centimetro cubo, non visto, celato, quasi di contrabbando.

All'improvviso mi fermo, arresto la mia folle discesa verso l'Inferno e guardandomi intorno mi accorgo di essere letteralmente senza fiato.

Per la corsa.

Per il pianto.

Per la corsa e per il pianto, decido.

Sono nel mezzo di un corridoio buio, interminabile: intorno a me non avverto movimenti, i quadri animati appesi alle pareti sono insolitamente vuoti, tutti i cavalieri e le dame che vi erano raffigurati li hanno abbandonati durante la guerra e da allora non sono più tornati. Anche loro hanno scelto la fuga, probabilmente. C'è un silenzio surreale, spaventoso, ma allo stesso tempo quasi rassicurante: non ho ancora deciso se detestare la solitudine o imparare ad agognarla.

In realtà, colui che si nasconde da tutti altro non desidera che farsi trovare da qualcuno.

Non credo che le persone capiscano quanto sia stressante spiegare cosa sta succedendo nella tua testa quando nemmeno tu lo riesci a capire. Inutile illudersi, siamo tutti perfettamente sostituibili, per quanto ci sentiamo unici.

È uno strano dolore, il mio. Sento costantemente la mancanza di qualcosa, proprio all'altezza del petto, un buco che di tanto in tanto sembra esplodere e togliermi il fiato. È mancanza di affetto, di comprensione, di due braccia che mi stringano. È la mancanza di qualcosa che non ho mai avuto, perché l'affetto l'ho sempre e solo dato. La mia ossessione quasi viscerale per le poche persone a cui tengo mi porta ad autodistruggermi, a passare giornate in silenzio, sdraiata sul letto, con gli occhi serrati e le mani sul corpo. Momenti in cui vorrei solo farmi piccola, sparire, tenere le palpebre abbassate e dormire, in modo da non dover vedere quella mancanza in ogni cosa. Vorrei che la notte durasse in eterno, per poter sognare un mondo ideale in cui non mi manca nulla. Vorrei non essere in grado di svegliarmi mai più. La mia mente è contorta e forse malata, se ogni tanto penso a come sarebbe se morissi o se mi capitasse qualcosa di brutto. Non per me, ma per gli altri. Come sarebbe per loro se io sparissi? Vorrei avere la possibilità di scoprirlo, ma da una cosa del genere non si torna indietro, perciò devo rinunciare. E poi mi chiedo se questa mancanza verrà mai colmata, o se vivrò così per sempre. Il più delle volte non ho il coraggio di darmi una risposta, per il resto mi ripeto che se non cambio io per prima la mia vita non si smuoverà di una virgola. Perché è solo questo, la mia vita, un film noioso che nessuno guarderebbe, a discapito di quanto chiunque possa credere. Dipende dai punti di vista.

Vorrei invece aver avuto una vita intensa.

Non perfetta, non priva di sofferenza, solo intensa, piena di esperienze forti, dolorose e piacevoli insieme da ricordare.

E se invece mi guardo indietro riesco a vedere solo una linea piatta, sottile. Ma io sono questa, eccomi qui. Perché nessuno mi vede?

Forse questo condizionale, "vorrei", è troppo per una come me.

Il turbine di pensieri che ogni notte mi costringe ad alzarmi dal letto e a girovagare per il castello alla disperata ricerca di una ragione valida mi ha condotta qui, al settimo piano.

La memoria mi riporta immediatamente al quinto anno, a quando per puro caso ci eravamo imbattuti in quello che sarebbe stato il luogo di ritrovo per le riunioni dell'Esercito di Silente. Anche allora ero riuscita a rimanere fedele al ruolo che tutti si aspettavano che ricoprissi: paladina della giustizia, al fianco di Harry non avrei mai permesso che il Ministero ci privasse del diritto all'istruzione, né che facesse così il gioco di Voldemort insieme a quella donna ripugnante.

No, Hermione Granger non l'avrebbe permesso, lei avrebbe trovato una soluzione, come sempre.

Avrebbe provveduto affinché gli altri potessero salvarsi.

Evidentemente tutto era destinato a cambiare.

Ancora ricordi, più recenti. In quello stesso corridoio, pochi mesi prima io ed i miei amici avevamo distrutto uno degli ultimi Horcrux rimasti, il Diadema di Corvonero.

Lì, circondata dalle fiamme dell'Ardemonio, avevo rischiato per l'ennesima volta di morire colpita da un Anatema che Uccide.


Quella è la mia ragazza, imbecilli!


Sospiro. È decisamente cambiato tutto.

Stavolta sono io a cercare una soluzione anziché trovarla per gli altri. Sono io ad aver bisogno di essere salvata.

La Stanza delle Necessità, uno dei luoghi del castello che più mi affascinavano: la magia antica al suo interno doveva essere potentissima, prima di venire irrimediabilmente distrutta dalle fiamme infernali che quell'idiota di Tiger aveva evocato.

Ecco perché mi concedo di provare un rapido moto di meraviglia quando mi accorgo che ora, al posto della parete di pietra, è comparsa una porta. Le sue dimensioni sono ridotte rispetto al solito, alcuni dei decori argentati sono scomparsi e i cardini presentano delle evidenti bruciature, ma non ho dubbi: è proprio lei, la soglia della Stanza Va e Vieni. Le mie labbra si contraggono in una smorfia che un tempo avrebbe voluto essere un sorriso: esiste ancora qualcosa che nonostante la guerra era rimasta pressoché invariata. Ho avuto modo di verificare sulla mia pelle che il cambiamento radicale non mi si addice, perciò ultimamente ho sviluppato un forte senso di attaccamento verso tutto ciò che ha la caratteristica dell'immutabilità.

È strano, non ho desiderato nulla, so bene di aver bisogno di tutto in questo momento, il che equivale a dire che non ho bisogno di niente, tuttavia la stanza si è aperta per me.

Sarebbe il primo vero segno di interessamento nei miei confronti dopo mesi, forse è per questo che ho voglia di entrare. Non si tratta di stupida curiosità, né di alcun impulso positivo, semplicemente so di non avere più niente da perdere: lì dentro potrebbe davvero esserci una risposta, o potrebbe trattarsi dell'ennesima trappola letale, qualche residuo del Tranello del Diavolo, se così fosse morirei e andrebbe benissimo comunque. In fondo è dove non pensiamo di cercare che si trova quello che bramiamo.

In questo silenzio che mi consuma l'anima odo il rumore del mio cuore, ogni suo battito cela lacrime taciute e parole urlate alla mente.

Silenzi consapevoli che la mia vita ora è questa.

Nel buio prendo un lungo respiro, allungo il braccio verso la maniglia ed entro.

Sto andando all'Inferno, e questa ne è l'anticamera.


xXx


Mi immergo nell'oceano dei miei pensieri, nuoto disperatamente alla ricerca di un appiglio, intorno a me solo occasioni negate.

Annaspo, riemergo, soffoco, e rinuncio.

E sono il capitano di questa barca che adesso sta affondando.

È un periodo strano, questo. Tutto sembra ferirmi a morte, causarmi dolore. Tutto sembra infondermi una tristezza infinita, come se finalmente avessi capito.

Non merito questa vita.

Come quando muovo le gambe, i piedi, e mi accorgo che il mio corpo si sta spostando. Mi manca il respiro, penso di non riuscire a correre per più di altri trenta secondi. Aumento la velocità, nella speranza che la situazione migliori, a tal punto da non rendermi conto del tempo, dei secondi, di ciò che mi circonda. Non vedo neanche se ci sono alberi contro i quali potrei andare a sbattere, ma non mi interessa, penso soltanto a correre. Corro, per sfogarmi, per sentirmi finalmente libero di fronte al mondo, per illudermi di non avere confini.

Sono onnipotente. Corro così veloce che mi chiedo "Chi sta muovendo le mie gambe?". Vorrei bloccarmi, ma non lo faccio. Perché allora riprendere la velocità sarebbe ancora più faticoso, proverei un dolore sordo. Così decido di continuare, pur essendo consapevole che più andrò avanti, più sarà difficile quando mi fermerò.

Ma non mi importa, continuo.

Ho il controllo, decido io.

Poi mi fermo di scatto.

Non respiro. Le gambe mi tremano, non riescono a sostenermi. Gli occhi mi lacrimano, il cuore anche.

Cado a terra.

Battaglia persa.

Come posso vivere con me stesso? È tutto così surreale, privo di logica, combatto per ritrovarmi eppure scivolo costantemente sulla medesima, amara scoperta: non sono più chi credevo di essere, non sarò mai chi speravo di diventare.

Ho cercato un motivo per volermi bene, per essere l'uomo che mia madre desiderava quando mi guardava da bambino.

Ho tentato in tutti i modi di essere migliore di quello che sono, volevo solo sentirmi apprezzato da qualcuno. Ho fatto lo sbruffone, l'arrogante, a volte persino il vanitoso, ho mostrato al mondo il volto di una persona che in realtà non è mai esistita. Ogni errore, quando ho intrapreso la strada sbagliata, tutte le volte che mi sono perso alla ricerca di qualcun altro, pesano su di me. Perché è facile fingere davanti a decine di volti ignari, il vero problema sorge quando poggi la testa sul cuscino, quando sei solo.

Ho cercato l'amore in un paio di occhi scuri, in un paio di occhi chiari, l'ho cercato in ogni dove, vicino o lontano, non importava. Ho cercato amore da chi ne aveva solo per sé, da chi neppure sapeva cosa significasse. Così mi sono reso conto di aver trascorso un'intera esistenza a desiderare qualcuno da amare, solo perché non sono mai stato capace di amare me stesso.

E adesso? In cosa dovrei credere?

Non ho la minima nozione di quel che sarà, mi sembra di essere solo un'anima dispersa che vaga senza meta lungo quella strada asfaltata male, non più recuperabile, che è la mia vita.

Il tempo non guarisce niente. Rimpiazza solo i ricordi. Ed io di ricordi ne ho pieno il cervello, frammenti di memoria che riemergono nei momenti meno opportuni, che hanno sfaldato in pochi istanti quella barriera che mi ero impegnato a costruire con tanta dedizione. Quando m'illudo di aver recuperato il controllo qualcosa si insinua nella mia mente: grida, lampi di luce, fiamme infernali, e sono di nuovo al punto di partenza.

Si tratta di una verità spaventosa: il dolore può renderci più profondi, può conferire un maggiore splendore ai nostri colori e una risonanza più ricca alle nostre parole. Ecco come sono diventato così. Del Draco Malfoy di un tempo restano solo fumo e parole.

Tante, troppe parole. Quelle stesse parole da cui ho scelto di scappare via, quegli sguardi pieni di odio, biasimo, talvolta anche terrore, che negli ultimi mesi ho visto dipinti sui volti delle persone. Ho assistito passivamente al susseguirsi rapido di eventi, processi, condanne e testimonianze, dicevano che da tutto ciò sarebbe dipeso il mio destino, che era mio dovere interessarmene. Ho lasciato correre.

Rinchiudetemi ad Azkaban, uccidetemi, ho detto. Non me ne importa niente. Eppure, chissà per quale ragione, nessuno ha ascoltato la mia preghiera. Ed è desolante pensare di non essere valso abbastanza neppure come "cattivo", che non mi ritenessero abbastanza crudele o colpevole da subire il medesimo destino di altri come me. Di mio padre, ad esempio.


Sei un Mangiamorte, Draco. Comportati come tale.


Ripudiato dal male e respinto dal bene ora sono qui, ad attendere che una folata di vento mi trascini da una parte o dall'altra. Ho sempre lasciato che qualcun altro decidesse per me, non intendo rovinare tutto con una mossa sbagliata proprio adesso. Forse un po' mi importa della mia libertà, dopotutto.

Sono stufo e arrabbiato, semplicemente. Non provo rimorso né dispiacere, né mi nascondo per vergogna: il mio scopo era sopravvivere, e ce l'ho fatta. Ma allora perché ogni notte mi ritrovo sveglio a fissare il soffitto?

Nemmeno un trapianto di cuore potrebbe salvarmi.

Ormai il mio non lo trovano più.

Disteso sul letto nella mia stanza osservo le ombre del Lago Nero allungarsi e danzare lungo le pareti, somigliano tanto a quelle di cui si nutre la mia anima. Bevo un sorso dalla bottiglia di Firewhiskey che tengo sul comodino, in fondo ognuno fa quel che può per tirare avanti, e questo è il rimedio che mi sono scelto. Non voglio elemosinare alcun perdono da questa gente, non cerco compassione, perché sarebbe da ipocriti e da incoerenti. Il fatto che l'uomo sappia distinguere il giusto dallo sbagliato prova la sua superiorità intellettuale sulle altre creature; ma il fatto che egli possa agire in modo sbagliato prova la sua inferiorità morale rispetto a qualsiasi creatura che non può farlo.

Vorrei solo un po' di pace.

Vorrei che qualcuno capisse.

Se vuoi credere a coloro che penetrano più profondamente la verità, tutta la vita è un supplizio. Gettàti in questo mare profondo e tempestoso, agitato da alterne maree, e che ora ci solleva con improvvise impennate, ora ci precipita giù, non stiamo mai fermi in un luogo stabile, siamo sospesi e fluttuiamo e urtiamo l'uno contro l'altro, e talvolta facciamo naufragio. Per chi non naviga in questo mare così tempestoso, non v'è altro porto che la morte.

Il disfattismo e la sfiducia sono sempre state fra le parole chiave del mio destino, ammesso che un destino esista davvero, ed è indubbio che nell'ultimo periodo ne abbiano preso il sopravvento. Mi pare, del resto, che l'atteggiamento pessimistico si addica di più che non quello ottimistico all'uomo di ragione. L'ottimismo comporta pur sempre una certa dose di infatuazione, e l'uomo di ragione non dovrebbe essere infatuato. E poi il pessimista non raffrena l'operosità, anzi la rende più tesa e dritta allo scopo. Tra l'ottimista che ha per massima: "Non muoverti, vedrai che tutto si accomoda", e il pessimista replicante: "Fa' d'ogni modo quello che devi, anche se le cose andranno di male in peggio", preferisco il secondo.

Qualsiasi cosa, del resto, è una perdita e spreco di tempo: tranne fottere di gusto o creare qualcosa di buono o guarire o correr dietro a una specie di fantasma – amore – felicità.

Tanto tutti finiamo nel mondezzaio della sconfitta: chiamala morte, chiamala errore. Io non sono bravo con le parole. Direi però, dato che tutti ci si adatta alle circostanze, che certe cose accrescono la tua esperienza, anche se magari non si tratta di saggezza. È possibile peraltro che uno resti tutta la vita nell'errore, vivendo come in uno stato come d'intontimento o di paura. Ne avrete viste, di queste facce. Io ho visto la mia.


Nessuno può aiutarmi. Mi ha detto che se non lo faccio mi ucciderà. Non ho scelta.


Sorseggio stancamente il liquido ambrato, in attesa di qualcosa di meno impegnativo a cui pensare. Inutile, ormai ho sviluppato una resistenza ferrea all'effetto dell'alcool.

Inevitabilmente il passato torna a pararmisi di fronte agli occhi, il disgusto verso un'esistenza dalla quale ora mi trovo costretto a fuggire. La mia massima aspirazione nella vita era di evitare il maggior numero di persone possibile. Meno gente vedevo, meglio stavo. Ero prigioniero delle mie abitudini, dei miei pregiudizi. Non è male essere stupidi, se si tratta di un'ignoranza tutta propria.

Se per il resto del mondo magico la fine di Voldemort ha rappresentato una rinascita, per me è iniziata la vera guerra. Sono sempre stato in guerra con me stesso, riflettendoci. Cos'altro avrei potuto fare, se non tornare a Hogwarts? Segregarmi nel Manor di famiglia insieme a mia madre, nell'attesa di un'amnistia che non sarebbe mai arrivata?

Professare la redenzione?

No.

All'improvviso un rumore distoglie la mia attenzione dalle solite elucubrazioni notturne: sembra che qualcuno stia cercando di forzare la serratura della porta, incontrando evidenti difficoltà. Afferro la bacchetta e mi alzo di scatto, percependo immediatamente un lieve giramento di testa. Maledetto Firewhiskey...

Devo ammettere che la lista di persone che danzerebbero volentieri sulla mia tomba è piuttosto lunga, perciò negli ultimi istanti di lucidità comprendo di non essere poi tanto sorpreso e che anzi, quella potrebbe essere la soluzione.


Avanti, entra pure. Sono già mezzo morto, finisci tu il lavoro.


La serratura si apre con uno scatto e una massa di riccioli castano scuro irrompe nella stanza. Non ho bisogno di nient'altro per riconoscere a chi appartengano, automaticamente mi ritrovo a stringere maggiormente la presa sulla bacchetta che ora sto puntando contro l'ultima strega che mi sarei mai aspettato di vedere lì.

«Malfoy?»

«Che diavolo ci fai in camera mia, Granger?»





Note autrice:
Buonasera :)
Per chi si è imbattuto per caso in questa storia, benvenuti. Per chi ha già letto qualcosa di mio, bentornati.
Spero di aver suscitato comunque la vostra curiosità con questo primo capitolo, che costituisce un avviamento: pensavo a questa trama già da un po', e vi anticipo (per chi la conosce) che al suo interno troverà posto anche la one shot "Scritto sul corpo" (sono infatti partita da lì). Sarà molto diversa da "Help from the enemy", nella quale sto cercando di rimanere il più possibile fedele al libro originale, ma posso assicurarvi che non vi deluderà.
Sia Hermione che Draco sono tornati a Hogwarts dopo la battaglia, entrambi feriti, entrambi disillusi, alla disperata ricerca di qualcuno che possa comprenderli. Sicuramente avrete molte domande: che fine ha fatto Ron, ad esempio, insieme agli altri personaggi. Niente paura, tutto sarà chiarito.
Il titolo è ovviamente tratto dal libro "Nessuno si salva da solo" di Margaret Mazzantini, non avrei potuto sceglierne uno diverso. Inoltre ho scelto di accompagnare ad ogni capitolo un frammento della canzone "Take me to church".

Per il momento non posso fare altro che darvi appuntamento alla prossima, fatemi sapere cosa ne pensate e grazie per l'affetto che mi mostrate ♥

Slytehrina31
xxx

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