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Nessuno è solo

La pioggia scrosciava contro i vetri del salone, così grande ma al contempo così vuoto, nonostante le dozzine di persone che si aggiravano per i tavoli imbanditi dal buffet. I visi di gente che conosceva a malapena si susseguivano tutti uguali davanti agli occhi di Adam, il quale non riusciva a sentire quel calore che sembrava aleggiare nell'aria per tutti gli altri.

Accanto a lui, l'albero di Natale che avevano realizzato i domestici sfavillava di colori luccicanti, quasi a prendersi gioco di lui con quel rosso festoso e quell'oro brillante. I suoi occhi azzurri ne rifletterono le luci argentate quando si voltò verso di esso, ammirandolo in tutta la sua maestosità. Quando era piccolo aveva desiderato più volte adornare l'albero con le proprie mani, ma la madre gliel'aveva sempre impedito, affermando che i domestici l'avrebbero creato più presentabile in occasione delle grandi feste che a Natale tenevano nella villa.

Quel Natale per Adam era freddo, come le goccioline d'acqua che continuavano a battere insistenti sulla finestra al suo fianco. Il calore di Iris al suo fianco gli riscaldava il corpo, ma non poteva fare nulla per il suo cuore solitario. Continuare a fingere la loro relazione davanti a tutti lo stava sfiancando, nonostante la ragazza non sembrasse dello stesso avviso; continuava a sorridere e stringere mani di persone sempre nuove, che sembravano non avere mai fine. Solitamente era lui a fare gli onori di casa, ma quell'anno era diverso. Quell'anno mancava qualcosa che impediva agli angoli delle proprie labbra di alzarsi, la stessa cosa che rendeva i suoi movimenti limitati e meccanici.

Alec non era lì, non era con lui.

Le loro madri avevano tentato di tutto per farlo uscire dalla sua stanza, poco prima che gli ospiti iniziassero ad arrivare, ma nemmeno le minacce di suo padre Stephen erano servite a farlo comunicare con loro o aprire quella porta.

Si era autoimposto la solitudine il giorno di Natale, allontanandosi da tutti, persino da lui, che era stato costretto a presenziare a quello che sembrava il pranzo più lungo di tutta la sua vita. Da una parte, pensare che Alec avesse rifiutato persino lui lo feriva nel profondo, ma come al solito si sforzava di comprendere il ragionamento di un ragazzo che non era facile da capire. E questo aveva avuto modo di apprenderlo a forza di stargli vicino, come il cuore gli suggeriva di fare.

Alzò lo sguardo dalla mano di Iris intrecciata forzatamente con la sua e lo incrociò con quello di una ragazza. Marie, forse, non ne era sicuro, talmente tanta era la gente invitata alla festa. La giovane, poggiata al muro accanto a uno dei tavoli, si sistemò i lunghi capelli color caramello da un lato e sbatté le ciglia con fare malizioso. Adam credette di esserselo immaginato, ma subito dopo lei gli rivolse un occhiolino accompagnato da un sorriso e non ebbe più dubbi.

Strinse i denti per non adirarsi per lo squallore della situazione. Una ragazza ci stava provando con lui mentre era, a tutti gli affetti, mano nella mano con la sua fidanzata. Non ne poteva più.

«Smettila di corrucciarti.» Un sussurro provenne dalle sue spalle a malapena percettibile, ma riconobbe subito la voce.

«Mya?» esclamò sorpreso. L'aveva vista poco in giro. Lei aveva avuto più libertà perché il suo presunto fidanzato non era presente. La versione ufficiale era che aveva avuto un forte attacco di varicella altamente contagiosa e non era potuto scendere.

«Se ti pesa tanto, va' da lui. Anche io mi sto preoccupando...» gli disse timidamente. Adam era a conoscenza dell'affetto che Mya aveva iniziato a provare per Alec nonostante il loro astio iniziale. Era puramente affetto, il suo cuore era già di Grisham, un loro compagno di scuola, ma gli voleva comunque bene ed era preoccupata per lui.

«Non posso! Tutti si aspettano che stia qui con Iris...» disse tra i denti, affliggendosi tra il desiderio e il dovere. Iris non disse nulla, ma si voltò verso di loro e si mise in ascolto della conversazione.

«La vita non è fatta solo di doveri e obblighi» rispose la ragazza con un tono che sembrava divertito.

Adam si girò definitivamente verso di lei per scrutarla attentamente. Una frase del genere suonava strana detta da sua sorella, persona che non sempre aveva il coraggio di osare in quel modo. Nei suoi occhi cristallini era accesa una piccola luce sospettosa, così come lo era il rossore sulle sue guance. Non gliela raccontava giusta, ma non aveva la testa di indagare. Gli avrebbe spiegato tutto in seguito.

Il pensiero di Alec solo nella sua stanza in quel giorno di festeggiamenti si fece sempre più insistente. Sentiva verso di lui un istinto di protezione che lo spingeva a fare di tutto per allontanarlo dai suoi problemi. Voleva essere il suo scudo, non riusciva a vedere la sofferenza aleggiare nei suoi occhi, così come era successo tante volte. E, tantomeno, voleva immaginarla.

Staccò la mano da quella di Iris, si alzò e si lisciò la camicia elegante. Rivolse un sorriso alla ragazza per ringraziarla del suo intervento, poi girò i tacchi lasciandosi la sorella di Alec alle spalle. Sgattaiolò agile tra la folla e non si fermò quando la madre lo vide fuggire, iniziando a camminare verso di lui sicura che sotto il suo sguardo severo si fermasse. Invece continuò la sua ritirata verso il piano superiore, ed Eleanor non poté impedirglielo quando venne letteralmente travolta da vecchi amici di famiglia.

Adam esultò e si fermò a riprendere fiato una volta lontano dalla massa. Il piano di sopra l'attraeva come le api con il miele, doveva dare un senso al silenzioso rifiuto che aveva avuto da Alec quella mattina. Raggiunse la camera dell'oggetto dei suoi pensieri e vi bussò con poca delicatezza. Attese. Il chiacchiericcio proveniente dal piano di sotto riusciva a infastidirlo persino lì, dove regnava la tranquillità. Il silenzio che proveniva dalla stanza di Alec era al tempo stesso rilassante e inquietante, ma lui non si sarebbe dato per vinto.

«Alec, sono Adam. Aprimi» provò a dire con tono gentile, ma non una parola corse a riempire quel silenzio piatto.

Attese qualche minuto continuando a chiamarlo, ma Alec non ne volle sapere di emettere un solo rumore. La tristezza in lui aumentò di pari passo con la preoccupazione. Se Alec non gli rispondeva poteva significare solo due cose: o non voleva vederlo e parlare con lui, e la cosa lo feriva più di quanto avrebbe voluto ammettere, oppure gli era accaduto qualcosa.

Senza sprecare altro tempo, si mosse rapidamente verso la porta della sua stanza, quasi come se le gambe gli andassero da sole, fermandosi solamente davanti alla finestra mentre indossava una felpa presa dalla sedia della scrivania. La spalancò e una ventata di aria gelida corse a pizzicargli le guance fino ad arrossarle. I capelli gli svolazzarono sulla fronte, facendogli solletico. Li spostò all'indietro con la mano, osservando il cielo: la coltre di nuvole nerastre occupava totalmente l'arcata celeste senza lasciare spiragli; il sole, ormai morente, non riusciva a illuminare il mondo con il suo tramonto, e tutto intorno alla casa era ormai buio.

Adam strinse i pugni e uscì scavalcando il davanzale proprio nel momento in cui un fulmine illuminava la villa. La tettoia del balcone lo riparava parzialmente dalla pioggia, ma questa era così forte che riusciva comunque a raggiungerlo, quindi si tirò il cappuccio sulla testa mentre rabbrividiva. Non erano riusciti ad avere la neve a Seattle quell'anno, ma il freddo era comunque pungente, tanto da fargli increspare la pelle in tanti piccoli brividi.

Non si fece intimorire e si mosse rapido verso il bordo sinistro del balcone, laddove l'angolo della villa lo separava dalla balconata seguente. Studiò per qualche istante il cornicione che molte volte aveva sorpassato, anche solo per gioco, ma che ora risultava stretto e scivoloso per via dell'acqua. La mezza dozzina di metri che lo separava da terra non era mai apparsa così pericolosa.

Adam si strinse nelle spalle e si arrampicò sulla ringhiera, trovando sostegno nel muro adiacente. Non temette nemmeno un attimo di cadere, tanto era grande il desiderio di raggiungere l'amico e la preoccupazione per lui. Non era nemmeno la prima volta che percorreva in equilibrio quei pochi metri che lo separavano da lui, d'altronde.

Il primo passo fu abbastanza stabile, poi lasciò definitivamente la ringhiera per portare il secondo piede sul cornicione, e la pioggia imperversò sulla sua figura non più riparata dalla tettoia. Si stropicciò il viso con una mano per asciugarsi mentre con l'altra si sosteneva saldamente al muro. Avanzò deciso per i restanti metri e tirò un sospiro di sollievo quando strinse con le mani la ringhiera di fronte.

Nemmeno ebbe il tempo di toccare terra con i piedi che inquadrò una figura al centro della balconata, illuminata flebilmente dalla luce che proveniva dalla stanza dietro di lui.

Le spalle esili di Alec erano ricurve per far sì che la testa si poggiasse tra le mani aggrappate al ferro davanti a sé. Le gambe scivolavano verso il basso completamente esposte alla pioggia, così come quasi tutto il resto del corpo, incastrate tra una sbarra e l'altra. I capelli, ormai così lunghi che potevano essere stretti tra le dita, erano talmente bagnati da non essere più del solito biondo lucente, risultando color cenere scura.

Non si era voltato al suo arrivo, probabilmente non l'aveva nemmeno sentito. L'unico movimento che il suo corpo compieva era un tremore evidente e costante che lo scuoteva dalla testa ai piedi.

«Alec...» sussurrò Adam, compiendo un passo verso di lui, quasi timoroso.

Alec sobbalzò quando si sentì toccare. Dita calde, che a contatto con la sua pelle ormai ghiacciata risultavano bollenti. Un calore che non poteva permettersi, un calore che non meritava.

Il suo cuore accelerò il battito nel momento in cui l'odore familiare di Adam gli riempì le narici. Lo stava solo immaginando? Probabilmente era rimasto così tanto tempo concentrato sulla pioggia che batteva contro il suo corpo che aveva completamente perso la cognizione di ciò che era giusto e sbagliato. Eppure Adam sembrava reale mentre lo chiamava, mentre si accovacciava accanto a lui e gli sfiorava delicatamente una guancia per fargli alzare il capo.

Decise di assecondarlo. In ogni caso era felice di averlo con sé, giusto o sbagliato, verità o finzione.

Si lasciò guidare dalle dita affusolate finché non alzò lo sguardo abbastanza da poter incrociare gli occhi dell'amico. Poteva vedere al loro interno l'umidità delle gocce di pioggia riflesse, ma l'azzurro così limpido lo fece sentire come se gli avesse riportato il sole. Un piccolo sole unicamente per lui.

Il calore della mano poggiata sul suo volto lo fece rabbrividire ulteriormente per via della differenza di temperatura, e Adam se ne accorse. Non ebbe remore nel sedersi sulle mattonelle bagnate, e si posizionò esattamente dietro di lui, interrompendo il tocco con la sua guancia solo per infilare entrambe le mani nelle tasche della sua felpa fradicia e stringerlo a sé.

Il cuore di Alec fece una capriola nel petto mentre sentiva l'addome caldo dell'altro aderire completamente alla sua schiena. Adam lo circondò con le gambe e lo tirò ancora di più a sé, fino a fargli poggiare la testa contro il suo petto.

Solo dopo qualche minuto Alec trovò la forza per parlare. «È Natale. Ti stai perdendo la festa migliore dell'anno» ironizzò, cercando di non concentrarsi sulle mani di Adam che si muovevano piano sul suo ventre. Il rapporto tra loro aveva preso quella strana piega da un po' di tempo e non si era mai lamentato, nonostante provasse in quelle rare volte in cui avevano un contatto del genere un imbarazzo tale che gli chiudeva lo stomaco.

«E di te, vogliamo parlarne?» gli rispose l'amico. «Non mi sembra che tu ti stia godendo "la festa migliore dell'anno".»

Alec trattenne il respiro e si morse un labbro. Un tremito più esteso degli altri gli fece affondare esageratamente i denti, e subito sentì il sapore del sangue sulla lingua.

«Non fa per me» si limitò a dire.

Adam gli strinse forte la pelle attraverso la maglietta e gli fece mancare il respiro. Nonostante il freddo, una macchia di calore andava formandosi al centro del suo petto per poi scendere giù, sempre più giù...

«Parla chiaro, Alec. Perché sei qui fuori da solo?»

Continuò a mordersi il labbro senza rispondere. Ormai il sangue era ovunque nella sua bocca, ma accolse volentieri il suo sapore metallico che lo aiutava a distrarsi dalla situazione scomoda in cui si era ritrovato.

«Alec» insistette Adam, deciso a non lasciarlo stare. Ormai lo conosceva bene e sapeva quando aveva il potere di premere per una risposta e quando no. Era l'unico a poter fare una cosa del genere, l'unico con il quale gli riusciva sempre più difficile chiudersi a riccio.

«Come posso festeggiare una giornata del genere, dove tutti quanti si amano e sono felici, se io stesso sono cresciuto, e vivo tutt'ora, nella menzogna? Come posso, se sono solo?»

Il silenzio che cadde tra loro venne riempito unicamente dallo scrosciare insistente della pioggia e dal ticchettio dei denti di Alec che si accanivano contro le proprie labbra.

Adam tirò fuori una mano dalla tasca e la portò verso la bocca dell'amico, obbligandolo a fermarsi. Quel semplice gesto alimentò il calore come se avesse soffiato sul quel fuoco che gli ardeva dentro. Le dita indugiarono un po' sulle sue labbra prima che Adam si decidesse a parlare, muovendole fino a carezzargli la guancia e poi il collo.

«Nessuno è solo» gli sussurrò contro un orecchio, riempiendogli la schiena di tanti piccoli brividi.

Alec si girò lentamente per incontrare i suoi occhi, gli unici che avevano il potere di calmarlo. I loro nasi si sfiorarono involontariamente, ma non interruppe il contatto. Non fece altro che perdersi nella tranquillità che quel viso gli trasmetteva, sentendosi sempre più leggero, mentre in quello sguardo riusciva a carpire pensieri che era inutile palesare a voce.

Lui non era solo; aveva Adam con sé.

Adam riuscì finalmente a distaccare gli occhi da quel mare di ghiaccio nel quale era precipitato perdendo la cognizione del tempo. Al loro interno vi era ancora una punta di malinconia che gli offuscava il cuore, ma sembravano più limpidi in confronto a prima.

Portò le mani sopra quelle di Alec e le strinse forte, trovandole ghiacciate. Il suo intero corpo tremava convulsamente, e le labbra avevano preso un colore violaceo.

«Accidenti, Alec, stai congelando.»

Aveva sperato di poterlo scaldare con il proprio corpo, ma a quanto pareva non ne era stato in grado, e stava iniziando anche lui a tremare per via della pioggia che gli ricadeva addosso.

Alec strinse debolmente di rimando con le mani esili ed emise un singolo mugolio che non seppe a cosa attribuire, ma decise di prenderlo come un assenso per ciò che stava per fare.

Si guardò intorno, cercando tracce della sedia a rotelle di Alec, il quale senza di essa non avrebbe potuto muoversi. Non la vide. Probabilmente era arrivato fin lì strusciando a terra con l'aiuto delle mani. Scosse la testa. Non l'avrebbe lasciato in balia del temporale ancora per molto. Era così freddo che probabilmente rischiava l'ipotermia.

Lasciò andare le sue mani a malincuore, portando la stretta all'altezza dei fianchi. Sentì l'amico sobbalzare debolmente quando fece forza contro di essi per tirarlo a sé e liberargli le gambe.

«Scusa» mormorò appena, concentrato nel prenderlo in braccio. Era così leggero che non emise alcuno sforzo, ma venne distratto quando Alec gli portò le mani contro il petto. Si era sempre opposto a spostamenti di quel genere, invece questa volta lo sorprendeva accomodandosi tra le sue braccia. Rimase qualche attimo a osservarlo di nascosto perché aveva chiuso gli occhi, poi si mosse rapidamente verso l'interno della stanza e lo poggiò delicatamente sull'estremità sinistra del letto, tentando di tenere la destra asciutta.

Alec non disse una parola, come se ormai fosse troppo gelato per compiere un gesto tanto scontato come muovere le labbra. Rimase a tremare con gli occhi chiusi in attesa di scaldarsi. Cosa che con i vestiti bagnati addosso non sarebbe stata facile. Adam si avvicinò cautamente, afferrando i bordi della felpa inzuppata del ragazzo. Era almeno una taglia più grande, e le pieghe lasciavano intravvedere le ossa sporgenti delle anche. Quando toccò la sua pelle, quasi ritirò le mani per quanto era fredda.

Alzò il tessuto fino al petto, dove le mani di Alec arrivarono a fare debolmente resistenza. L'addome nudo lasciava completamente esposte le cicatrici che si era sempre vergognato a mostrare, ma che Adam apprezzava perché lo rendevano lui. Unico e irripetibile, Alec era entrato nel suo cuore senza che nemmeno potesse accorgersene.

«Devi toglierti questi vestiti bagnati» gli disse.

Alec aprì gli occhi e lo guardò di sottecchi prima di alzare la schiena per favorirgli il movimento. Non appena fu libero del tessuto fradicio, si sdraiò di nuovo e si coprì il petto con le mani, forse per il freddo, forse per l'imbarazzo.

Adam corse al bagno a prendere un asciugamano e poi glielo adagiò in testa e sul collo, strofinando forte. Nonostante il modo in cui voleva apparire, quel ragazzo era così delicato che quasi aveva paura di romperlo.

«Ehi» riuscì a lamentarsi l'altro, facendolo finalmente sorridere.

Quella mattina Alec era uscito perché stare in casa l'aveva fatto sentire soffocato. Aveva bisogno dell'aria aperta, della pioggia che gli scorreva lenta tra i capelli e del freddo che l'avrebbe fatto sentire vivo nel momento in cui avrebbe osservato il suo respiro condensarsi.

Ora che si era congelato a tal punto da non vedere la differenza tra il proprio fiato e il gelo dell'inverno, non gli importava più di tutto ciò. Se Adam era con lui, tutto il resto non contava. Con quel ragazzo riusciva a sentirsi bene in qualsiasi situazione, bastava che gli stesse vicino, senza nemmeno toccarlo.

Riuscì a sorridere al suono della sua risata armoniosa, scatenata dal lamento appena emesso, solo che l'altro non lo vide perché aveva il viso coperto dall'asciugamano. Con un rapido spostamento del braccio, spostò il tessuto spugnoso in modo che gli coprisse solamente il torace e poi chiuse gli occhi. Tremava ancora, ma era più rilassato di prima, così tanto che avrebbe potuto cedere al sonno, se solo non fosse stato per Adam.

Un tocco lo sfiorò all'altezza della cintola. Voleva essere delicato e poco invadente, ma Alec lo sentì bruciare come un tizzone ardente che alimentava ancora una volta il calore provocato da Adam. Il contatto lo infastidì per qualche istante, spostandosi sui bottoni dei suoi jeans, che Adam aprì uno a uno con estenuante lentezza. A ogni asola separata dal bottone, il calore si espandeva e scendeva sempre più in basso, finché essere toccato da Adam non divenne quasi un bisogno.

Solo nel momento in cui l'amico iniziò a sfilargli i pantaloni stretti si rese conto di aver esagerato, e che il suo desiderio di contatto poteva essere ben visibile a occhio nudo, attraverso la stoffa aderente dei suoi boxer. Non appena fu libero, non perse tempo e si girò su se stesso, rotolando nella parte asciutta del letto per nascondere la sua vergogna contro materasso e cuscino.

Adam raggiunse l'altro lato del letto e gli fece scivolare le coperte sulla schiena, diminuendo finalmente gli spasmi che scuotevano il suo corpo. In quella posizione poteva apparire quasi dormiente, ma in realtà stava cercando le parole per rivolgergli la sua gratitudine, oppure per fargli capire cosa davvero significava per lui avere le sue attenzioni. Cosa che non era mai riuscito a fare prima d'ora.

Quando Adam non lo vide più muoversi, fece un passo per andarsene, ma Alec lo trattenne afferrandogli la mano. Alzò le palpebre a fatica, solo per perdersi dentro i suoi occhi cristallini, poi diede fuoco a tutti i suoi propositi altruistici e disse la cosa più egoista che poté, l'unica che gli permetteva di tenere Adam con sé senza cadere nel più totale imbarazzo.

«Ho freddo. Resta» sussurrò in una supplica appena accennata.

Vide Adam sorridere, divertito, poi lo guardò mentre si osservava i vestiti, e si rese conto solo in quel momento che non aveva esitato a bagnarsi al freddo per lui. La camicia elegante di era sgualcita nonostante fosse protetta dalla felpa, e i pantaloni erano zuppi.

Adam si sfilò rapidamente i vestiti e rimase a sua volta solo con i boxer. Lo guardò, ammirandolo segretamente perché non aveva niente di cui vergognarsi, al contrario di lui.

Ogni pensiero, tuttavia, venne spazzato via dalla strana sensazione nel suo petto quando Adam si distese al suo fianco. Non riusciva più a pensare a nulla, non poteva concentrarsi su altro che la sua presenza bruciante al proprio fianco.

Era tutto ciò che voleva quel giorno, la sola e unica cosa che poteva renderlo felice. Adam era un dono che la vita gli aveva offerto; che quella giornata di festa gli aveva offerto.

Adam, il suo regalo di Natale.


Koaluch

Prima one-shot, natalizia! Ammetto che non mi piace per niente, non so per quale motivo >.> però la sera della vigilia mi era venuta in mente e qualche giorno dopo l'ho iniziata, quindi mi sarebbe dispiaciuto molto lasciarla in sospeso.

Spero voi siate di un altro avviso, anche se spesso quando una mia cosa mi fa schifo ci vedo lungo xD

Alec ha avuto il miglior regalo di Natale che potesse chiedere *_* e voi? Cosa avete ricevuto di bello per Natale? Il mio ragazzo mi ha fatto una bellissima tastiera a luminosità colorata, così non avrò più problemi a scrivere al buio di notte xD (credetemi, mi perdevo tutte le lettere hahaha).

Avrei voluto pubblicare un po' prima, ma a questo punto non mi resta che augurarvi un buon rientro a scuola o al lavoro :3 tanti abbracci coccolosi!

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