Ricami, fantasmi e narcotici
Una luce sfarfallante decorava la cucina di quella famiglia, mentre mangiavano uno scarso pasto, a malapena sufficiente perché entrambe reggessero fino alla mattina seguente. Ma Sereide non si lamentava; per lei la cosa più importante era festeggiare il suo compleanno con la madre, e al diavolo tutte le feste grondanti soldi che i suoi amici organizzavano.
Era già un grande privilegio, per lei, poter frequentare una scuola così prestigiosa, grazie alle borse di studio ottenute; non osava nemmeno mettersi al livello dei suoi compagni di classe. Come avrebbe mai potuto farlo? Erano il suo contrario. Non che fosse presa di mira da loro, anzi. Con le maschere di sorrisi che erano costretti ad indossare quotidianamente, sarebbe stato difficile che commettessero anche solo un'azione che potesse ripercuotersi sul loro futuro e, dunque, sulla famiglia.
Avevano tutti qualcosa da proteggere: ironicamente, forse era l'unica cosa che li accomunava.
Si alzò dalla sedia che la ospitava sin da bambina, i segni di sticker e macchie di colori infantili ancora ben visibili, e diede un bacio sulla fronte alla madre.
"Buon compleanno tesoro". Le disse la madre, ricambiando il gesto d'affetto. Poi, la ragazza si preparò per coricarsi sul materasso scomodo, a cui aveva fatto da un bel po' l'abitudine, però.
Strinse a sé il regalo speciale della madre; ogni anno, con la sua abilità nel cucire, le faceva trovare nuove decorazioni per la camera, sugli oggetti che avrebbe portato a scuola. Ogni compleanno se ne aggiungeva una alla lista e, quell'anno, erano diventate diciotto; il cuscino profumava di una nuova fragranza, forse lavanda, e sulla superficie vi era ricamato un bellissimo abbraccio tra madre e figlia che s'intrecciava fino a formare un cuore che, a sua volta, diveniva contenitore di quel magnifico legame. Un sorriso s'impresse sulle sue labbra e s'addormentò pian piano in questo modo, felice di quel poco che aveva poiché la vita le aveva già insegnato che c'erano punti ancora più bassi a cui sarebbe potuta arrivare.
Qualche ora dopo, la gola secca e la notte ormai inoltrata, si alzò per prendere un bicchiere d'acqua. Era diventata la sua abitudine, ultimamente. Appena mosse un passo nel corridoio, però, sentì una voce maschile che, il tono basso, discuteva con sua madre; subito si avvicinò alla porta della cucina e, curiosa, pose un orecchio sulla superficie, a voler ascoltare meglio. Se avesse provato ad aprirla avrebbe fatto un cigolio tremendo, rivelando la sua presenza, quindi si sarebbe dovuta accontentare di quella posizione.
Il tono di voce della madre si alzò leggermente, e lei poté sentirli anche meglio. Sereide era anche preoccupata: forse la mamma doveva qualcosa a quell'uomo? Non era calma, e le sue parole continuavano a ripetere, incessantemente, come potessero rivolere una certa cosa dopo tutto quel tempo.
"Senta, signora. Glielo ripeto, io non voglio portare via nessuno; il mio nome è...".
"Si, si. Il suo nome è Draken e vuole solo sapere perché mia figlia è tanto speciale. Io invece voglio sapere chi la manda, e perché volete rinchiudere la mia bambina in un laboratorio; è ancora giovane, non ha fatto niente di male! E di speciale ha solo l'intelligenza, mi creda". Sereide trattenne il respiro, quando capì di cosa stessero parlando.
Non poteva... lui non poteva...
"Non voglio portare sua figlia da nessuna parte! Mi deve credere, e Salden, per favore, zitto un momento!". Sentì la madre sussultare e guardò dalla fessura della porta se ci fosse qualcun altro nella stanza; oltre all'ometto seduto con le gambe accavallate ed una valigetta vicino, un altissimo ragazzo con una tunica castana gli era vicino, le labbra corrucciate per la mancanza di rispetto appena mostrata dall'altro.
"Con chi sta parlando?". Chiese la madre, e Sereide si rese conto che non riusciva a vederlo. Doveva trattarsi di un fantasma. Spalancò gli occhi, non tanto per la presenza di quell'essere, ma più che altro perché, all'apparenza, anche quell'uomo dal nome strano riusciva a vederlo.
Allora era come lei? Un bocciolo di speranza si aprì nel suo cuore e lei non poté far altro che cercare di trovare qualcosa dentro di sé che la collegasse alla figura entrata in gioco; era sempre stata sola in quella situazione, ma se avesse avuto qualcuno che potesse capirla, che potesse aiutarla...
Ormai vinta dalla curiosità, decise di aprire quella porta, ma un attimo prima che i suoi pensieri potessero trasformarsi in azioni, le parole dell'uomo la fecero fermare nuovamente.
"Lasci stare. Ho bisogno di sapere che tipo di poteri ha quella bambina. Quanto è speciale. Sono io che l'ho portata in questa casa, e sono l'unico ancora in... insomma, sono l'unico a sapere del mistero che avvolge la sua nascita. L'ho scelta tra tante famiglie perché mi serviva che Nereide avesse una vita un po' nascosta, che non brillasse troppo. Anche i morti la cercano, credevo se ne fosse ormai accorta". L'unica risposta della madre, a quell'insensato sproloquio, fu un indistinto borbottio, prima che prendesse un respiro profondo e si decidesse a parlare a sua volta.
"Il suo nome è Sereide. Ed io potrò non averla partorita, ma sono comunque sua madre". Disse. Per la ragazza, fu un enorme colpo; si portò la mano tremante alle labbra per sopprimere i singhiozzi che minacciavano di farla scoprire. Si aspettava che la madre negasse, che facesse qualcosa, qualunque cosa, per esprimere il suo disappunto verso un discorso del genere. Invece, aveva confermato ogni cosa, non lasciando spazio al minimo diniego.
Ma lei voleva bene a sua madre. E la donna aveva ragione... pur non avendole detto niente sul fatto di essere adottata, l'aveva cresciuta da sola con tutto l'amore del mondo. Come avrebbe potuto tradirla ed arrabbiarsi per questo? Conosceva persone adottate che sapevano della loro situazione ed erano messi molto peggio di lei.
"Vuoi davvero sapere solo dei suoi poteri? E nient'altro?". Chiese però la donna, e il dubbio che la genitrice stesse per fare qualcosa di stupido serpeggiò nell'animo della ragazza.
L'uomo dovette assentire con la testa perché, dopo quelli che parvero attimi infiniti di silenzio, la madre riprese parola. E fu lei a tradirla per prima.
Iniziò a parlare a quello sconosciuto dei suoi poteri, della sua crescita sino a quel giorno e mentre quel fiume di parole continuava, il patto stretto tra le due si ruppe, strappandosi in mille pezzi. Come poteva farlo, senza nemmeno consultarla? Senza nemmeno avere l'idea di chiederglielo?
Sapeva cosa c'era in gioco, no? La sua libertà. La sua vita. Era disposta a scommetterle dopo poche parole di un estraneo accompagnato da un fantasma?
Con le lacrime agli occhi e il passo più leggero possibile, tornò in camera; non sapeva cosa fare, né come avrebbe potuto affrontare la madre il giorno dopo.
Non faceva parte di quella famiglia.
Quella che era sempre stata la sua figura materna in realtà l'aveva adottata e l'aveva appena tradita.
Aprì la finestra e si buttò nell'oscurità della notte con le lacrime agli occhi, senza sapere se fosse la cosa giusta da fare; forse sarebbe bastata qualche ora lontano da quella casa perché riprendesse il controllo di sé stessa. Una notte. Un giorno.
La preoccupazione della madre sarebbe stata il suo fardello e, in parte, la sua vendetta.
Ma sapeva che non avrebbe resistito molto e sarebbe presto tornata in cerca d'affetto e risposte; per un momento, solo per qualche istante che non sapeva quanto lungo sarebbe diventato, aveva bisogno di restare sola con i suoi pensieri.
Uscì dallo sporco vicolo che costeggiava il loro appartamento al pianterreno, economico proprio perché più esposto ai pericoli di quel quartiere per niente sicuro; aveva imparato già da tempo che girare per quelle strade di notte voleva dire trasformarsi. Si alzò il cappuccio beige e cercò d'imitare il più possibile il passo cafone dei ragazzi delle bande che conosceva; non era sicuro nemmeno per un ragazzo vagare senza meta a quell'ora, figurarsi per una ragazza, ma il piccolo camuffamento dato dal volto ed i capelli coperti e la camminata stentata, uniti alla sua particolare altezza, davano l'idea di una figura più minacciosa di quanto non fosse all'apparenza.
L'apparenza. Sereide rise a pensarci. Era sempre stata tutto nella sua vita, poiché nessuno doveva anche solo avvicinarsi alla verità celata nel suo animo; ma in realtà lei aveva il privilegio di possedere un'anima? Era davvero una creatura di Dio, o considerarsi tale era un peccato di superbia?
Non sapeva bene cosa fare e, quando arrivò ai confini del quartiere, dove le luci rotte lasciavano il posto a lampioni più nuovi e curati, esitò un momento.
Fu quell'attimo.
Un solo attimo di esitazione, già programmato dal destino, pieno di una volontà superiore che avrebbe continuamente schiacciato quella della ragazza.
Quando si decise a muovere un ulteriore passo, ed immergersi nella calca di persone che affollava ad ogni ora del giorno e della notte quelle strade piene di negozi legali e clandestini, era ormai troppo tardi.
Una mano la rituffò nel buio, e a nulla valsero la prontezza di riflessi o il tentativo di liberarsi. Il fazzoletto premuto sul suo viso, impregnato di narcotici, svolse tutto il lavoro sporco e l'uomo non dovette che aspettare.
Il tocco barbaro del destino aveva deciso al posto suo come avrebbe passato il tempo nelle successive ore; Sereide sarebbe stata rapita.
Bene, eccoci all'inizio di questo nuovo viaggio! Come potete vedere la storia cambierà un poco, non tanto nel contenuto, più che altro nell'immagine; andando a rileggere i cinquanta capitoli che avevo scritto, per poco non ho cercato di accecarmi stile tragedia greca. Non riuscivo a credere di aver scritto in quel modo così orrendo ed essere comunque apprezzata.
Così, sto cercando di dare nuova vita a questa storia. Chi di voi ha letto la versione precedente, sappia che alcune cose cambieranno, ma tranquilli che più o meno il percorso sarà quello che vi ha fatto avere tanti dubbi e un bel po' di confusione. Quindi, per favore, non divulgate le informazioni che ricordate, sia perché non saprete se sono giuste, sia perché così permetterete anche agli altri lettori di avere un po' di pathos, leggendo questa storia.
Bene, allora. Alla prossima!
Tiger.
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