Capitolo 7
Quando tornammo in quella specie di chiesa a Città di Sotto, mi ero completamente ristabilito, ma provavo un certo imbarazzo nel restare accanto a Neon. Credevo che una volta consumato il mio appetito, il desiderio che provavo si sarebbe assopito, invece, mi sembrava più forte di prima, tanto che mi sembrava fosse diventato il mio piatto preferito.
Quando aprimmo il pesante portone della Domus sconsacrata la prima cosa che percepii furono le braccia di Samael, impetuose, stringermi, fino quasi a soffocarmi. Dentro di me sorrisi e ricambiai la stretta, inspirando il suo dolce profumo, che sapeva di casa e di miele; mi trattenni dal piangere.
-Sei un vero idiota! - bofonchiò, contro il mio petto, battendo qualche pugno gentile contro di esso.
-E tu mi stai soffocando. - risi, ma non lo lasciai andare, posando il capo su quei capelli dal colore chiaro che invidiavo. -Sei cresciuto? Hai per caso dato il tuo primo bacio? - chiesi, stuzzicandolo un poco.
Lui mi guardò truce, le guance leggermente rosse. Lo aveva fatto davvero?
-Come se tu potessi parlare. Hai il collo pieno di succhiotti. - mi fece notare e in un gesto incondizionato me lo grattai con un dito, guardando poi Neon colpevole, che però si era già allontanato.
I miei occhi si posarono su quella schiena nuda, visto che indossavo io la sua maglietta; vidi quei dannai tatuaggi e l'eccitazione tornò, mentre la gola mi si seccava e in risposta mi umettavo le labbra. Perché doveva essere così dannatamente sexy?
-Ti sei innamorato? - chiese all'improvviso mio fratello, richiamando la mia attenzione, mentre seguiva il mio sguardo.
Scoppiai a ridere. -Potrei farti la stessa domanda. -. Gli diedi un piccolo buffetto dietro la nuca e poi sciolsi l'abbraccio, andandomi a sedere su una delle numerose panche di legno.
Lui si mise accanto a me, iniziando a giocare a far incontrare le punte delle sue scarpe nere da ginnastica, ma leggermente buche. Presto avrei dovuto procurargliene un altro paio, mi appuntai nella mente.
-Mi ha dato un bacio sulla guancia quando l'ho aiutato a non cadere... era inciampato nel tappeto. - spiegò, in modo così flebile che dubitavo io stesso di averlo davvero udito -Ti stai attaccando troppo a quella cellula. - mi guardò da sotto le palpebre socchiuse, il suo sguardo era brillante, intenso, curioso e preoccupato come sempre.
-E' un figo da paura. - protestai con un sorriso a trentadue denti, il migliore dei miei sorrisi, prima di portare lo sguardo poi al soffitto affrescato e magnifico, raffigurazione di quel cielo che non avrei mai potuto toccare, nemmeno con un dito, nonostante fossi munito di ali, come quegli angeli che erano là, fermi, immobili, con i biondi e luccicanti capelli e le trombe in mano, al cospetto del loro amato Dio, che io non avrei mai potuto chiamare Padre.
Faceva male non sapere chi fossi davvero, a chi appartenessi, se al Paradiso, all'Inferno o al Purgatorio; era un dolore immenso, scontare una pena, che era stata commessa dai propri avi e non da te stesso. Era come se fossi una piccola presenza invisibile, ancora più piccola della Terra rispetto all'intero universo; un punto così piccolo che poteva essere ignorato, come l'aria.
Era come essere uno, nessuno e centomila allo stesso tempo. Ero uno, perché nessuno avrebbe potuto essere come me, ma allo stesso tempo, non potendo conoscere davvero me stesso, ero nessuno e infine ero centomila, poiché potevo crearmi così tante maschere, che potevano essere il vero me, come non esserlo.
Forse questo, però, era il destino di ogni uomo, angelo, demone o Nephilim. Siamo o non siamo su un'invisibile trottolina, cui fa da cordicella un filo di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai destino, come se ci provasse gusto a girar così, per faci sentire ora un po' più caldo, ora un po' più freddo, e per farci morire?
-Per lui sei quasi morto. L'ho sentito: qui. - si indicò il petto, all'altezza del cuore -E' come se all'improvviso una freccia mi avesse passato da parte a parte e mi fosse mancato il respiro. Per un momento era come se fossi morto, non ero più... qui. -.
Istintivamente lo strinsi, abbracciandolo e accarezzandogli la schiena. Samael era sempre stato così sensibile, forse troppo fragile per quel mondo corrotto, mero atomo opaco del male, che vigeva anche tra noi stessi Nephilim; troppo orgogliosi, testardi e pieni di paura per avere persino un capo che ci guidasse, che ci impedisse di ucciderci a vicenda o che tentasse anche solo di impedire alle cellule di farlo, di spargere ancora e ancora il nostro sangue, dando la fine a quella strage che ormai sembrava non avesse più fine.
-Sono qui e sono vivo. Eri solo preoccupato, ho la pellaccia dura io; dovresti saperlo. - gli baciai il capo tra i capelli e proprio in quel momento arrivarono Neon e, davanti a lui, con tra le mani un vassoio di quello che da profumo sembrava the caldo, Andrey, i cui occhi chiari cercavano di sfuggire a quelli scuri di Samael, che aveva preso subito a fissarlo, in un modo così dolce e tenero, che il mio primo istinto sarebbe stato quello di prenderlo in giro, ma mi trattenni. Cosa avrebbe fatto Neon nel caso avesse capito che mio fratello si era preso una piccola ed infantile, casta, cotta per il suo? Un brivido mi percorse la schiena; sicuramente nulla di buono.
-Ho pensato che avreste potuto aver fame... - il più piccolo delle due cellule, inginocchiandosi e posando ciò che teneva tra le mani sulla panca, accanto a Samael.
Prima servì me, poi mio fratello e in quel momento le loro dita si sfiorarono ed ambedue i loro visi divennero di fuoco. Sorrisi, sorseggiando quella sostanza calda e amara che in realtà odiavo, ma non volevo dare un dispiacere a quel ragazzino che si era preoccupato per noi e che faceva sorridere il mio piccolo e amato germano.
In quel momento una lampadina si accese ed imprecai, scattando in piedi. La tazza andò in frantumi e io bestemmiai, mentre gli occhi dei tre si puntavano su di me; probabilmente credevano fossi impazzito e forse avevano ragione: ero appena scampato alla morte, avevo fatto l'amore con uno che doveva essere un mio nemico e mi ero appena ricordato di avere una sorella minore.
-Nadia. - dissi solo, rispondendo alla loro tacita domanda e correndo via, come il vento che soffia impetuoso e che preannuncia l'arrivo di una tempesta.
Quanto arrivai al mio appartamento quello era a soqquadro: la porta era stata scardinata, fogli da disegno erano sparsi ovunque sul pavimento, il tavolo era riverso a terra, le sedie gettate sul divano, le pareti erano piene di buchi.
Dentro di me sentii la rabbia montare, un ringhio sorgermi spontaneo, come quello di una leonessa a cui avevano appena toccato il suo cucciolo e in fondo era proprio così: avevano preso Nadia, la mia piccola e dolce principessa.
In quel momento, col fiatone e la maglietta sporca di quello che sembrava the, arrivò anche Samael, che si aggrappò allo stipite della porta d'ingresso, per aiutarsi a sorreggersi, mentre i suoi occhi brillavano pieni di senso di colpa e terrore.
-No... - sussurrò, portandosi una mano davanti alla bocca e poi tirando un calcio a qualsiasi cosa avesse davanti ai piedi e di cui non mi interessai.
Mi avvicinai alla parete, un biglietto era stato lasciato appeso lì, per mezzo di uno dei coltelli da cucina.
Lo strappai, con violenza, mentre la lacerazione di quel sottile foglio faceva da sottofondo a quella della mia anima, quando vidi il simbolo che vi era stato impresso.
-Sam, torna da Neon. - accartocciai il foglio e lo buttai ovunque, in mezzo a quella confusione, mentre il sangue nelle vene mi scorreva violentemente dentro, caldo come lava. Non potevo davvero credere a ciò che i miei occhi avevano visto, non potevo credere che fosse stato lui, tra tutti, a prendere mia sorella.
-Scordatelo. - si impose mio fratello, sbarrandomi la strada -E' colpa mia se lei è stata presa, l'ho lasciata sola! - strinse i pungi lungo i fianchi, i suoi occhi ardevano come fuoco, mentre i vetri tremavano leggermente, segno che i suoi poteri si stavano risvegliando, prepotentemente. Sapevo quanto lui potesse essere pericoloso, non potevo permettergli di partecipare; era troppo gentile e altruista per poter sopportare il peso di dover ferire, se non uccidere, qualcuno. Per non parlare di quando questo "qualcuno" era un Nephilim, che conoscevamo sin da bambini.
-Chi l'ha presa? - ringhiò. I vetri andarono in frantumi, mentre qualcosa nell'aria si stava materializzando. Dovevo assolutamente calmarlo.
Posai una mano tra i suoi capelli, il mio sguardo era fermo e risoluto.
-Torna a quella chiesa e di' a Neon che potrebbero averlo scoperto. - lo sorpassai, ma lui mi fermò, prendendomi per il polso.
-Che vuoi dire? - disse lui -Se li avessero scoperti sarebbero già morti e noi con loro. - mi fece notare.
-Sai quanto a Coal piaccia giocare con le sue prede, anche se dubito che riuscirebbe ad avvicinarsi a Neon e a tornare vivo. - perché nutrivo così tanta fiducia in lui? Che davvero mi stessi innamorando? No, non era possibile; per l'amore non avevo tempo. Lo avevo pensato solo perché in fondo il moro era davvero forte e aveva armi che poteva utilizzare tranquillamente contro di noi.
-Coal? - il suo viso si aprì in una sorpresa mal celata, del tutto incredula -Coal ha preso Nadia! - chiese, urlando.
Sospirai. -Tu va ad avvertire Neon, a Coal ci penso io. - in fondo ero sicuro fosse stata una mossa ponderata, dettata dalla vendetta, visto che avevo rifiutato di diventare il suo cagnolino a letto. Lo conoscevo sin dall'infanzia, i suoi genitori come i miei erano stati presi dalle cellule e uccisi, ma la differenza sostanziale tra lui e me, era che lui aveva iniziato a provare da quel momento un odio profondo verso gli abitanti di mondo di sopra. Aveva organizzato parecchie spedizioni, doveva aveva sacrificato parecchi di noi, mentre non aveva ancora ucciso nessuno di loro.
-Non ora. - bloccai le sue proteste sul nascere -Va. - gli ordinai e lui mi lasciò, obbedendomi.
Mi passai una mano tra i capelli che ormai avevano perso il loro sgargiante colore a causa della pioggia; avrei dovuto trovare anche tinte migliori.
Osservai per qualche secondo il nero dei miei capelli, lo stesso di Nadia e ripensai ai suoi dolci boccoli, che solevano sempre solleticargli il naso e che lei si doveva sempre scostare dietro le orecchie, perché mai e poi mai li avrebbe tagliati. Amava i suoi capelli.
-Il fratellone sta arrivando Nadia. - sussurrai, mentre prendevo le poche armi rimaste da sotto una delle assi del pavimento e andavo a combattere, per riavere indietro uno dei due pezzi, che completavano la mia anima.
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