Capitolo 5
Arrivammo in un vicolo e lì ci prendemmo qualche minuto per ricomporci e sistemarci. Quando i nostri sguardi si incontrarono entrambi ridemmo, anche se Neon cercava di tenere quella sua facciata da freddo uomo che non provava alcuna emozione.
Mi avvicinai a lui, gli accarezzai una guancia e lo aiutai a rimettersi quella splendida cravatta. Lui mi lasciò fare, sicuro che non gli sarei saltato addosso, anche se ne ebbi la tentazione quando le sue grandi mani si poggiarono e afferrarono violente le mie natiche, facendomi gemere sommessamente di piacere. C'era mancato così poco!
-Andiamo. - ordinò solo, poi, staccandosi, come se non avesse fatto assolutamente nulla che avesse potuto eccitarmi più di quanto già non fossi. Perché il fato sembrava avercela con me? Era così sbagliato chiedere una notte di sana follia?
Senza fiatare lo seguii, con le braccia dietro la schiena e gli occhi puntati contro la sua schiena, sul retro del suo collo dove quei capelli neri sembravano stranamente sensuali ed invitanti; volevo baciare quel lembo di pelle che era appena al di sotto la sua attaccatura, apporci un succhiotto o magari inciderci il mio nome sopra, così da poter almeno sapere il significato di uno di quei tanti tatuaggi che ormai avevo impresso a fuoco nella mia mente, ma che ancora non erano altro che inchiostro posato su quel foglio che non era altro che Neon stesso; una tela simbolista che non avrei mai potuto capire da solo. Lui era un po' come il quadro "La stanza" di Van Gogh, che poteva sembrare la semplice rappresentazione di un ambiente visto superficialmente, ma invece rappresentava tutto il malessere dell'artista, tutto il suo dolore e la sua nostalgia con quella prospettiva esasperata.
-Da qui è meglio se ci separiamo. - disse all'improvviso, fermandosi e voltandosi verso di me. Io ero così perso tra i miei pensieri che inevitabilmente gli finii addosso, non avendo notato la sua immobilità. A causa del contraccolpo per poco non caddi a terra, ma lui mi afferrò per un polso e mi evitò la rovinosa caduta, ritrovandomi così tra le sue braccia e sorridendo sornione, alzando gli occhi e affogando in quel ghiaccio che brillava, tempestato da una tempesta che stava coinvolgendo anche me; una procella di brama e desiderio imperituro, insaziabile.
-Non ti lascio scappare così facilmente Neon. - mi alzai sulle punte dei piedi e apportai un casto bacio su quelle labbra, per stuzzicarlo, mentre mi beavo di quello strano, tranquillo e possessivo abbraccio. Per la prima volta, forse, riuscii anche a percepire il suo reale profumo, leggermente speziato: sandalo, muschio, chiodi di garofano e mi sembrava di percepire una piccola nota di vaniglia. -Poi sono curioso di sapere come riesci a salire e scendere senza ali. - ghignai, allacciandogli le braccia al collo e facendo sfrusciare i nostri bacini e quindi i nostri vistosi rigonfiamenti a cui non avevamo potuto dare alcuna soddisfazione.
Le sue mani scesero ai miei fianchi, li artigliarono e io sospirai pesantemente, chiudendo gli occhi, mentre mille scariche elettriche si dipanavano da dove le sue dita premevano. Mancava solo un tocco di pioggia a parer mio e al solo pensiero quella iniziò a cadere, bagnandoci di nuovo, facendo gocciolare di nuovo i suoi capelli neri e accentuando quel suo dannato profumo che non avrei mai più potuto dimenticare.
-La curiosità potrebbe portarti alla morte, Odisseo. - bellissimo, intelligente, che cosa si poteva chiedere di più? Ah sì, il suo corpo.
-Peccato che io non sono Nessuno. - e ci baciammo, tra quella battute pungenti, che in pochi avrebbero potuto capire. Non ero particolarmente letterato, ma qualche insegnamento classico lo avevo avuto.
Le nostre labbra si incontrarono, le nostre lingue lottarono per la supremazia, mentre i nostri denti graffiavano e le nostre mani andavano a far più pressione sui nostri corpi, come se fossimo stati i soggetti di una delle statue di Bernini, dove le dita premevano con violenza, creando pieghe per niente dolci come nel "Ratto di Proserpina", a differenza, per esempio, di "Amore e Pshiche" di Canova.
Quello di lasciarsi andare, anche solo per pochi istanti, fu un errore.
Bastò solo il rumore di un sassolino per farci staccare; ci guardammo per un fugace attimo con paura e poi entrambi ci voltammo là dove quel sassolino era stato calciato fino ai nostri piedi.
La nostra gola si era fatta secca, mentre cercavamo di ingoiare il timore e trovare una soluzione a quella situazione che apparentemente non ne aveva. Ci avevano trovati, perfino circondati e noi eravamo cascati come due polli nella loro trappola.
-E così ora patteggi per la parte nemica? - chiese una voce fredda, ma divertita. Inutile descriverla, le Cellule erano tutte uguali: capelli neri e pieni di gel, vestiti con lo stesso completo elegante, le stesse scarpe lucide e tutti con quegli occhiali da sole che nascondevano i loro glaciali, vuoti, quasi bianchi occhi. L'unica cosa che forse variava era l'altezza; dubitavo persino che avessero nomi diversi.
Neon vicino a me fece un passo avanti, mettendomi tra le mani il sacco di velluto rosso con dentro le medicine per Andrey. Lo guardai non capendo, ma lui aveva occhi solo per quello che aveva parlato e questo mi fece sorgere dentro uno strano sentimento che non credevo di aver mai provato. Volevo che mi guardasse, che i suoi occhi fossero puntati solo su di me e che mi prendesse di nuovo tra le sue braccia. Da quando ero diventato così possessivo? Non era il mio ragazzo, era solo Neon, il mio grande punto interrogativo, misterioso e per cui provavo una mera attrazione fisica, visto che non soddisfavo il mio appetito sessuale da un po' e a dire la verità per noi Nephilim adulti ciò era abbastanza importante.
Per quelli come me la maggiore età arrivava al compimento dei sedici anni, dove la tradizione voleva che si scegliesse un compagno adulto con cui giacere e essere indirizzati a quei piaceri che con il tempo sarebbero divenuti la nostra fonte di potere; meno rapporti consumavamo, meno saremmo stati potenti e prima o poi i nostri poteri sarebbero spariti fino a che non avremmo recuperato energia. Ciò era abbastanza raro, di solito l'appetito sorgeva già all'età di quattordici anni, al massimo quindici e ci rendeva voraci e, come nel mio caso, maniaci. O almeno, verso Neon.
-Torna a casa. - sibilò sottovoce la mia Cellula, mentre si portava davanti a me, come per nascondermi.
Senza che potessi farci nulla posai una mano sulla sua schiena e la feci scivolare, accarezzandola, in un gesto sensuale e allo stesso tempo rassicurante. Non lo avrei mai lasciato da solo, non in quella situazione. Avevo già visto morire troppe volte chi conoscevo, chi amavo; non avrei mai e poi mai aggiunto il suo nome alla mia lista.
-Qual è il tuo piano? - chiesi, affiancandolo.
Lui mi guardò, gli occhi che gelavano al solo sguardo, ma io non avevo paura. Dentro mi sentivo bruciare e gli sorrisi, mentre una fitta pioggia iniziava a cadere. Sapevo che quel mio potere non avrebbe potuto salvarci, ma forse ci avrebbe dato un po' di vantaggio.
-Torna di sotto. - dal retro dei suoi pantaloni prese la pistola e la caricò, pronto a sparare.
-Sono troppi. - dissi guardandomi intorno, mentre quelli si avvicinavano -Non puoi farcela. - gli feci notare. Perché non sentivo la paura?
Lui si chinò e mi baciò fugace. -Prenditi cura di Andrey. - e poi mi spinse via, in una piccola apertura che prima non avevo notato. In quel momento iniziarono a sparare e fu allora che dentro di me sentii una voce gridare, mentre lo vedevo andare incontro alla morte.
Rimasi lì, inerte, non riuscendo a capire più nulla, mentre il rumore degli spari mi facevano accapponare la pelle e sentire un freddo glaciale, uno che non poteva essere scaldato con nessun fuoco esistente al mondo. Quel ghiaccio era quello della paura, della disperazione.
Pregai, come non avevo mai fatto. Dopotutto Dio ci aveva abbandonato, a che pro farlo? Ma in quel momento quel Dio dannato, colui che ci aveva abbandonato, esiliandoci, fu il mio unico appiglio. A chi potevo rivolgermi se non a lui? La pioggia che potevo creare non era utile alla battaglia, poteva solo favorire insieme al buio della note una scarsa visuale, un aiuto per la fuga e rendere così poco visibile agli occhi il mondo come appariva. L'acqua, però, non poteva fermare i proiettili, non poteva guarire le ferite e soprattutto non poteva fungere da scudo.
Quando i rumori cessarono non osai sporgermi. Avevo paura di scoprire la verità, avevo paura di vedere il corpo di Neon accasciato a terra e il suo sangue spandersi da sotto il suo corpo per formare una pozza che andava a spandersi sull'asfalto bagnato e nero.
Cercai di concentrarmi, di affilare il mio udito, ma ero troppo agitato per riuscirci davvero.
Il mio stomaco era stretto in una morsa feroce, come se un cobra mi avesse attanagliato e mi avesse stretto così forte per poi farmi mancare il respiro, prima di finire all'interno della sua bocca spalancata che anelava di assaporare il gusto delle mie carni.
Alla fine presi un respiro profondo e mossi pesantemente un passo, era come se all'improvviso fossi finito nelle sabbie mobili e più mi muovevo più venivo trascinato verso il fondo.
Quando mi sporsi vidi corpi accasciati a terra, sangue ovunque, ma non vidi Neon, non tra quelle sagome esanimi, ma ciò non mi rassicurò comunque.
La nausea arrivò forte e mi piegai per vomitare tutto ciò che avevo nello stomaco. La morte era orribile.
Mi pulii, poi, la bocca con la manica della maglietta e uscii allo scoperto e guardandomi attorno, oltre la pioggia che non "feriva" i miei occhi, lo vidi.
Non sapevo come fosse stato possibile, ma tra tutti quegli uomini erano rimasti solo in due ancora vivi in quel vicolo: Neon e colui che doveva essere il capo.
Il mio cuore pulsò dolorosamente all'interno del mio petto, mentre sentivo la testa vorticare.
Neon era inginocchiato a terra, qualche graffio qua e là che sanguinava, mentre l'altro uomo il cui nome mi era sconosciuto era in piedi, ghignava e aveva una pistola puntata contro la testa dell'altro che rimaneva inerte in quella posizione che trovavo umiliante visto ciò che era.
Il tempo si dilatò, mi sembrò che tutto fosse andato fermandosi in quel preciso e terrificante istante, mentre tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che dovevo fare qualcosa; dovevo salvarlo!
-Sei proprio caduto in basso. - disse quello, caricando la pistola. Mossi un passo; non poteva morire, non lui.
-Ma ci penserò io a purificarti. Proshchay. - e non avevo bisogno di conoscere quella strana lingua per capire che gli aveva appena dato l'estremo saluto.
Sparò e poi tutto si fece rosso, fino a che non giunse il buio.
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