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Capitolo 3

Sapevo bene dove cercarlo, non avevo bisogno di mappe o dispositivi di localizzazione per trovare mio fratello; semplicemente, sapevo che l'avrei trovato lì, in quell'edificio in cui giocavamo da bambini. Quello in cui ci eravamo sempre confidati i nostri segreti, la nostra base segreta, quella dove ci eravamo sempre rifugiati quando provavamo l'esigenza di pensare o il bisogno di restare da soli; quel luogo che i nostri genitori avevano sempre trovato pericoloso, in cui ci avevano proibito di andare, ma per noi era l'unico posto in cui potevamo abbandonarci alle lacrime.
Una volta doveva essere un vecchio magazzino: era spazioso, con un alto ed ampio soffitto, con tanti pilasti che si ergevano a sostenerlo, insieme a quelle travi a vista fatte di metallo, che però erano per metà crollate.
Era un luogo diroccato, fatto di polvere, dove c'era anche un piccolo laghetto formato dall'acqua che continuava a stillare, a gocciolare, senza sosta dal soffitto, dai quei canali che avevamo costruito per poter portare ovunque quell'unico elemento che ci era stato permesso di tenere.
-Samael. - lo chiamai, avvicinandomi alla sua figura rannicchiata vicino a quella distesa d'acqua artificiale.
Lui si asciugò le lacrime con la manica della maglietta, ma né si mosse, né mi guardò. Semplicemente osservava il nostro riflesso in quell'acqua scura, sporca, che non si poteva bere, ma che rifletteva esattamente com'era il mondo: fatto di fango, di polvere e anche di sangue ai miei occhi.
Mi sedetti accanto a lui, ma a qualche centimetro di distanza; sapevo che in quel momento non voleva essere toccato.
Restammo entrambi in silenzio, per un po'; entrambi rinchiusi tra le pesanti pareti dei nostri pensieri, che creavano una spessa barriera tra noi, un muro di Berlino che però era possibile distruggere se avessimo voluto, se avessimo parlato.
-Ti sei di nuovo cacciato in una situazione pericolosa. - ruppe il silenzio lui; la sua voce era aspra, amara e profondamente preoccupata, mentre si stringeva le gambe al petto e se le abbracciava, per tenersi al caldo, per tenersi protetto.
Io guardai verso l'alto. Tutto era buio, come sempre. Mi chiesi come fosse il sole, di cui, di tanto in tanto, osservavo la luce, che era molto più chiara rispetto a quella delle candele o delle piccole lucciole che volavano nel perenne buio della nostra città e che potevi scorgere solo se sapevi dove cercare.
-Solo perché stavo per andare a letto con Neon? Hai ragione, non avevo con me un preservativo; sarei potuto rimanere incinto. - lui mi fulminò con lo sguardo e io risi, ma poi divenni serio, guardandolo. -Samael, quell'uomo mi ha salvato qualche settimana fa e poi mi piace, mi incuriosisce. - iniziai.
-Ti piace una cellula? Loro hanno ucciso i nostri genitori! - mi ricordò e fu una stilettata al cuore, ma rimasi calmo e composto. Lo lasciai sfogare fino a che non gli mancò il fiato, fino a che le sue guance divennero rosse come pomodori.
-Non puoi cercare la vendetta, ti rovini solo la vita. Che ci ricaverei a ucciderlo, ammettendo che potessi, loro tornerebbero indietro? No, quindi non dare la colpa a lui di ciò che non ha macchiato le sue mani, per ciò che non ha potuto scegliere di essere. - allungai una mano e gli scompigliai quei capelli ramati, invidiandolo come sempre per quel colore che io potevo solo cercare di imitare con una delle tante tinte che arraffavo quando potevo.
-Dici così solo perché ti piace. - si lasciò toccare e sentii le mie spalle sciogliersi; non mi ero nemmeno accorto di essere stato teso per tutto il tempo.
-Fisicamente. Ha dei tatuaggi da favola! - trillai, come una ragazzina innamorata alla prima cotta, che sparla con le amiche del ragazzo che le piace e loda ogni cosa che le fa girare la testa.
-Rimane una cellula. - rimbeccò l'altro.
-Rimane uno schianto. - gli diedi un'amichevole spallata.
-E' il nemico. - ricambiò, mentre ad entrambi scappava un sorriso. Per me uno di divertimento, per l'altro di isteria.
-Ancora meglio. Ho sentito che fare il sesso col proibito ha il sapore dell'ardesia. - mi umettai inconsciamente le labbra.
-Che schifo! - tirò fuori la lingua, imitando un conato di vomito, disgustato. Dopotutto, era forse ancora troppo piccolo per certe cose, o forse non le aveva ancora scoperte.
-Oh tra un po' non parlerai più così. Vorrai tette o muscoli; spero più nella seconda scelta, altrimenti dovrai chiedere consigli a Nadia, perché io non so assolutamente come trattare una ragazza. - lui mi tappò la bocca, schiaffeggiandoci su la sua mano.
-Sta' zitto. Non le voglio sentire certe cose! - era imbarazzato e la cosa mi inteneriva e allo stesso tempo mi divertiva. Gli morsi dolcemente la mano e lui la tirò via, ma non prima di avermi dato un buffetto sul capo.
-Matar, ma quindi non ci hai fatto ancora niente? Insomma, prima eravate... beh... sembravate la rappresentazione del Laocoonte. - si grattò nervosamente il capo, scompigliandosi quei fili sottili di rame che sembrarono vibrare come fiamme mosse da un lieve soffio d'aria.
-Oh quanto mi piacciono quei serpenti! - un'altra espressione disgustata mi fece ridacchiare -No, non ci ho fatto niente. Mi hai interrotto e l'altra volta è stato suo fratello a farlo... magari potreste diventare amici! Chissà che non ti piace e inizi ad uscirci, a sperimentare i primi baci e... - si tappò le orecchie e iniziò ad ignorarmi canticchiando stonatamente.
-Oh, andiamo dovrai fare certe cose prima o poi! Meglio sapere prima cosa fare, non trovi? - continuò ad ignorarmi e io sbuffai alzandomi. Mi sprimacciai le brache che erano l'unica cosa che indossavo e poi lo guardai.
-Vieni con me? - chiesi e lui mi guardò come se gli avessi appena chiesto di portargli la luna.
-Neon voleva parlarti. Devo solo assicurargli che non spiffererai agli altri Nephilim che sono qui, poi potrai tornare a casa da Nadia... sperando non si sia svegliata. - mi preoccupai appena. Sapevo quanto fosse vivace e se non avesse visto nessuno dei due sarebbe stata capace di uscire da sola a cercarci e ciò non era un bene per due motivo. Il primo perché avrebbero potuto farle del male, anche se era solo una bambina; secondo, perché avrebbe potuto far scoprire Neon e volevo evitarlo. Non mi aveva ancora soddisfatto!
-Solo per dirgli che non deve farti soffrire. - acconsentii e io alzai un sopracciglio.
-Mica lo amo. Mi piace il suo corpo... è così muscoloso, duro. - sospirai, mentre ero sicuro che i miei occhi da gatto cangianti stessero brillando.
-Okay, okay non voglio i dettagli! - mise subito le mani avanti Samael, precedendomi.
*
Quando tornammo in quella chiesa non trovammo nessuno. Tutto era buio, di nuovo e sembrava un normale edificio diroccato, antico e disabitato.
-Neon? - chiamai senza timore, mentre mi avvicinavo a una delle panche su cui era stata ripiegata la maglietta che avevo lasciato lì durante la mia fuga forzata.
Nessuno mi rispose.
Samael mi stava di fianco e si guardava teso e guardingo intorno. Doveva avere ancora paura, anche se durante il tragitto gli avevo assicurato che la cellula non ci avrebbe fatto nulla di male, perché altrimenti io sarei già stato morto.
-Neon! - chiamai di nuovo e questa volta l'unica risposta che ebbi fu il cigolio e la testa mora di Andrey sporsi appena, timidamente.
-E' andato di Sopra. - informò e io sbuffai. Non era stato forse lui a chiedermi di tornare con mio fratello?
-Te l'ho detto che ci avrebbe tradito! - sbottò mio fratello -Adesso porterà le cellula qua sotto e... -
La porta sbatté all'improvviso, Andrey si avvicinò a Samael e gli diede un calcio.
-Mio fratello non lo farebbe mai! - urlò, stringendosi nelle spalle, serrando i pugni, con gli occhi stretti e con qualche lacrima ad inumidire le ciglia.
Vedendolo da più vicino era appena più basso di mio fratello; i capelli neri che sembravano corti in realtà erano lunghi dietro il capo e racchiusi in una coda. Portava un paio di orecchini a goccia sui lobi, la pelle era diafana, prima di tatuaggi e l'unica cosa a deturparla era una lunga cicatrice che partiva dal polso e risaliva fino all'interno del gomito sul braccio sinistro.
-Sam, sta qui con Andrey e non beccatevi. Fate l'amore e non la guerra. - ammiccai a mio fratello, stuzzicandolo, ma lui stava ancora saltellando su un piede. Forse, quel ragazzino era più forte di quanto sembrasse.
Il moro invece mi sentì alla perfezione e arrossì, portandosi le mani dietro la schiena.
-E' andato a prendere le mie medicine e a cercare da mangiare... tornerà presto; lui può confondersi. - tentò di fermarmi il ragazzo, ma io mi avvicinai, accarezzandogli i capelli e sorridendogli.
-Quando hai paura dillo, non raccontarti bugie. So che sei preoccupato, quindi vado a vedere e a dargli una mano. - mi alzai e spettinai anche i capelli rossi di mio fratello che mi guardava freddamente, contrariato e forse lo avrei fatto anche io se fossi stato nella sua posizione.
-Sei un incosciente. - soffiò e io risi.
-Brivido è il mio secondo nome. - ci scherzai su, ma lui non rise mentre si scostava da me e prendeva per il polso il moro che iniziò a protestare mentre tornavano dietro a quella pesante porta di legno e io me ne andavo richiamando le mie ali.
Era ora di fare un'altra visita a città di Sopra.
Sorrisi mentre lasciavo quel luogo e ancora una volta lasciando una lieve pioggia alle mie spalle, perché Matar voleva dire pioggia e da sempre la portavo ovunque andassi come monito e portafortuna.

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